HANNO UCCISO TUTTE LE CONQUISTE DEI LAVORATORI, CHI SIA STATO NON SI SA
Tutta la sinistra, da quella di destra che si spaccia per
sinistra ai centri sociali,
è un ammasso di macerie. La scelta di governare la nuova fase del
capitalismo intrapresa più di un quarantennio fa, che poco alla volta ha
coinvolto tutta la sinistra, si è risolta in una catastrofica sconfitta
politica e culturale. Ai lavoratori, alle classi popolari, alle nuove
generazioni è stato fatto scientemente pagare il conto di quelle scelte
governiste. Questi ladri di futuro tuttora bazzicano la scena politica,
ma mai nessun giornalista chiede a costoro di spiegare perché, in che
modo “la classe operaia più forte del mondo” ha perso tutte le
sue conquiste e chi ne è responsabile. Quanto segue è un promemoria, un
riassunto delle tappe principali dell'assalto alle conquiste dei
lavoratori. Per capire il presente, per non dimenticare.
L'ULTIMA VITTORIA
A Torino, la mattina dello sciopero generale del 23 gennaio 1975
per “l'occupazione, la contingenza e il salario”, un grande e
combattivo corteo di lavoratori proveniente da Mirafiori giunge in
piazza San Carlo mentre è già in corso il comizio del rappresentante di
CGIL-CISL-UIL. Gli slogan che chiedono la firma immediata dell’accordo
per il punto unico di contingenza costringono l’oratore a prendersi
alcune pause. Poi iniziano i fischi che in breve raggiungono
un’intensità da stadio, come quando la squadra ospite si appresta a
calciare un rigore. Il malcapitato Rinaldo Scheda della CGIL è costretto
a interrompere definitivamente il suo intervento e a lasciare il palco.
A mia memoria, è la prima volta che un dirigente sindacale della CGIL,
viene contestato, fischiato in piazza dai lavoratori, e non sarà
l’ultima.
Due giorni dopo a Roma, l’avvocato Gianni Agnelli, all'epoca
presidente di Confindustria, e i segretari di CGIL-CISL-UIL, Luciano
Lama, Bruno Storti e Raffaele Vanni, sottoscrivono obtorto collo
l'accordo interconfederale che unifica il “punto” di contingenza:
indipendentemente dalla loro qualifica, tutti i lavoratori riceveranno
il medesimo importo quale adeguamento automatico del salario all'aumento
del costo della vita. E' l'ultima grande conquista egualitaria del
movimento dei lavoratori del 1969, ma è un passo indietro per Lama,
“migliorista”(1) della prima ora, che vuole dimostrare a spese dei
lavoratori l'affidabilità del PCI e della CGIL a governare,
nell'interesse dei padroni, il cambio di fase del capitalismo che si sta
prospettando.
EVVIVA L'AUSTERITA' PER I LAVORATORI
Grazie alle lotte e alle conquiste dei lavoratori, le elezioni
Amministrative del giugno 1975 vedono una grande avanzata del PCI e
delle sinistre che conquistano le principali città italiane. Nelle
successive Politiche del giugno 1976 il PCI raggiunge il 34,4%, miglior
risultato di sempre, e vota la famosa “non sfiducia” (cioè si
astiene) alla nascita del governo “monocolore di solidarietà
nazionale” guidato da Giulio Andreotti. Al Comitato Centrale del PCI
del 18/20 ottobre 1976, Enrico Berlinguer annuncia che “occorre
abbandonare l'illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo
fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è
fonte di sprechi, di parassistismi, di privilegi, di dissipazione delle
risorse, di dissesto finanziario. Ecco perché una politica di austerità,
di rigore, di guerra allo spreco è divenuta una necessità irrecusabile
da parte di tutti ed è, al tempo stesso, la leva su cui premere per far
avanzare la battaglia per
trasformare la società nelle sue strutture e nelle sue idee di base”.
E così, il 26 gennaio 1977, “di
fronte ai problemi della crisi economica in atto nell’intento di
accrescere la competitività del sistema produttivo sul piano interno ed
internazionale”,
“allo scopo di contribuire 1) alla lotta contro l'inflazione ed alla
difesa della moneta mediante il contenimento della dinamica del costo
globale del lavoro e l'aumento della produttivita; 2) alla creazione di
condizioni per nuovi investimenti e per lo sviluppo dell'occupazione
specie nel Mezzogiorno”, “con l'obiettivo di restringere l'area
degli automatismi che incidono sulla dinamica del costo del lavoro”,
CGIL-CISL-UIL firmano un accordo che elimina il conteggio dei punti di
contingenza dal TFR dei lavoratori a partire dal 1° febbraio 1977 e
cancella sette festività dal calendario.
Non ricordo con precisione
il costo, quantificato all'epoca da alcuni esperti, di questa
operazione; ma si tratta di moltissime migliaia di miliardi di lire che
restano nelle tasche dei padroni anziché finire come salario differito
in quelle dei lavoratori; mentre la perdita occupazionale per
l'abolizione delle festività fu calcolata in 250 mila posti di lavoro. I
padroni incassano subito i benefici dell'accordo, mentre le presunte
contropartite, gli investimenti al Sud, restano una chimera, aria
fritta. E' un classico accordo tipicamente migliorista in due tempi: il
primo tempo, quando i padroni devono incassare, inizia immediatamente,
mentre il secondo tempo non debutta mai. E' una svolta di 180 gradi
della politica sindacale, un accordo totalmente
negativo per i lavoratori. Ed è solo l'inizio.
E' ORA, E' ORA, MISERIA A CHI LAVORA
In questa atmosfera di
restaurazione dell'autoritarismo dei vertici aziendali e sindacali sui
lavoratori, il 17 febbraio 1977, nel cortile dell'università La Sapienza
a Roma, Lama tiene un comizio organizzato da PCI e CGIL. Nelle settimane
precedenti l'università è stata luogo di scontri con sparatoria, tra
fascisti del FUAN e militanti dell'Autonomia Operaia, ed è diventata il
centro della protesta contro la riforma del ministro DC dell'Istruzione
Franco Maria Malfatti. L'ala creativa del cosiddetto Movimento del '77,
gli “indiani metropolitani”, noti per la revisione ironica dei testi di
alcuni storici slogan [E' ora, è ora, miseria a chi lavora - Più lavoro,
meno salario - Potere padronale - Siamo felici di fare sacrifici - Non
c'è disfatta, non c'è sconfitta senza il grande partito comunista - Lama
star, superstar, i sacrifici vogliamo far (sulle note di Jesus Christ
Superstar) - Vogliam lavoro nero, nero, nero, vogliam lavoro nero per il
padron (sulle note di Sei diventata nera) - ecc.], accolgono il
segretario della CGIL cantando sulle note di Guantanamera “Fatti una
pera, Luciano fatti una pera, fatti una pera, Luciano fatti una pera”.
Un pupazzo raffigurante Lama viene impiccato e iniziano scontri con
sassaiola fra militanti dell'Autonomia e un centinaio di persone del
servizio d'ordine di PCI e CGIL; scontri che costringono Lama a fuggire
precipitosamente. Il camioncino dal quale Lama stava tenendo il comizio
viene distrutto.
Molti di quegli slogan che all'epoca facevano sorridere,
oggigiorno rispecchiano una drammatica realtà, ma nonostante questa
straordinaria capacità di leggere gli eventi, che è invece mancata a
tanta parte della sinistra, il Movimento del '77 dura poco e
“rifluisce”, chi nel privato, chi nell'eroina, chi rapito da crisi
spirituali, chi nella lotta armata. Lotta Continua era già scomparsa
alla fine del 1976. Anche i
numeri certificano che l'onda lunga del 1968-69 sta esaurendo la sua
spinta propulsiva: alle elezioni Politiche del giugno 1979 il cartello
elettorale di Nuova Sinistra Unita, che mette insieme, ad eccezione del
PDUP, tutti gli sbandati sopravvissuti a sinistra del PCI, raccoglie
solo un misero 0,8%. E' il crepuscolo dei movimenti, in fabbrica e nella
società.
DELATORI
Il clima in fabbrica è pesante. Coloro che per un decennio hanno
tirato le lotte devono adesso impegnarsi su tre fronti: la lotta armata,
che tragicamente confonde l'inizio dell'arretramento operaio con il
momento propizio per la rivoluzione; la FIAT, che approfitta della
stanchezza delle avanguardie, delle contraddizioni create dalla lotta
armata e dalle scelte governiste del PCI, per passare al contrattacco;
il PCI e la CGIL che non vedono l'ora di guadagnare a qualsiasi costo la
fiducia dei padroni svendendo le conquiste operaie, e di dimostrare la
loro totale
estraneità al fenomeno
terrorista.
Quando il 16 marzo 1978 le Brigate Rosse sequestrano Aldo Moro,
il PCI capeggia il fronte del rifiuto contro qualsiasi
iniziativa/trattativa per salvare la vita del presidente della DC. Fra i
partiti, il fronte trattativista è composto soltanto dal PSI di Bettino
Craxi e da Democrazia Proletaria (DP). Nel febbraio 1979, un mese dopo
la morte a Genova di Guido Rossa, operaio comunista dell'Italsider
assassinato per aver sorpreso e denunciato un suo collega che
introduceva in fabbrica dei volantini con le risolzioni strategiche
delle BR, il PCI, per dimostrare di essere il primo della classe nella
lotta al terrorismo, diffonde capillarmente a Torino un “questionario
antiterrorismo” composto dalle seguenti sei domande:
“Quali sono a vostro
giudizio le cause del terrorismo? Quali sono gli ostacoli da rimuovere e
le cose da fare per ottenere non solo l'isolamento morale, ma la
scomparsa del terrorismo? Cosa dovrebbero fare le istituzioni (governo
centrale, comuni, province, regioni)? Potete segnalare fatti accaduti a
voi personalmente o ad altri nel quartiere che rientrino nella
criminalità politica (aggressioni, minacce, intimidazioni, attentati,
incendi di auto o di sedi, etc.)? Avete da segnalare fatti concreti che
possano aiutare gli organi della magistratura e le forze dell'ordine ad
individuare coloro che commettono attentati, delitti, aggressioni? Avete
delle concrete proposte da fare per migliorare la situazione nel nostro
quartiere?”. Il
questionario è indirizzato a tutte le famiglie col seguente appello
finale: “Discutetene in famiglia e scrivete senza firmare
(sottolineato nel testo) le risposte ad ogni domanda. Mettete la
risposta nella busta, chiudetela e speditela o consegnatela alla sezione
dei Vigili Urbani o nei punti di raccolta”.
A Torino, il questionario viene distribuito in 60.000 copie ai
bambini nelle scuole, nelle fabbriche, nei negozi, nelle cassette delle
lettere e nelle parrocchie. I questionari riconsegnati sono 12.000 di
cui solo 35 (0,06%) risulteranno “meritevoli di inchiesta” come
dirà poi in un'intervista Dino Sanlorenzo, presidente PCI della Regione
Piemonte, ideatore dell'iniziativa assieme al senatore PCI Ugo Pecchioli
e a Giuliano Ferrara allora comunista migliorista duro e puro, “poi
craxiano con Craxi, filodipietrista con Mani Pulite, antidipietrista e
berlusconiano con Berlusconi, dalemiano con D'Alema, riberlusconiano col
ritorno di Berlusconi, montiano con Monti
(celebre il suo rap alla vaccinara in cui implorava Silvio con
uno straziante 'Tienimi da conto Monti'), napolitaniano con Napolitano,
lettiano con Enrico Letta, renziano con Renzi. Sempre con chi aveva il
potere in quel momento...”, e oggigiorno innamorato di Salvini a cui
scrive una “Lettera d'amore a Matteo” sul quotidiano clandestino
Il Foglio (Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 15
dicembre 2018). Ma “l'obiettivo non era quello di scovare terroristi.
Per quello le vie erano altre. L'obiettivo era isolarli, i terroristi”
dichiarerà Sanlorenzo.
IL NEMICO COMUNE
Come sanno tutti coloro che stavano in fabbrica, il terrorismo di
sinistra è un parassita che colpisce le lotte dei lavoratori, le
sfrutta. Nasce quando sono al loro apice, muore con la loro agonia,
salvo poche eccezioni. Ha ragione Sanlorenzo quando dice che l'obiettivo
non era quello di scovare i terroristi: posso confermare che la FIAT
sapeva con estrema precisione chi in fabbrica era connesso col
terrorismo e chi non lo era. Non c'era bisogno di questionari. Quando i
tanti Sanlorenzo presenti nel PCI dicono di voler prosciugare il brodo
di coltura dei terroristi, isolarli, in realtà intendono far cessare le
rivendicazioni, le lotte
dei lavoratori, colpire chi le organizza dal basso. Per dimostrarsi
“responsabili”, all'altezza di guidare il Paese, “il PCI avrebbe
fatto meglio ad accelerare i passaggi che poi ha fatto come PDS, DS e
che molti avevano auspicato”, afferma ancora Sanlorenzo.
Eliminare il potere operaio è l'identico obiettivo della FIAT,
che vuole ritornare ad avere il pieno controllo della fabbrica. E così,
la “violenza” operaia, cioè la lotta dei lavoratori, grazie anche a una
campagna di stampa ben orchestrata dai giornali padronali e dal PCI,
viene assimilata alla violenza terrorista. Il 9 ottobre 1979, la FIAT
spedisce una lettera di licenziamento a 61 dipendenti colpevoli di “aver
fornito prestazioni di lavoro non rispondenti ai principi della
diligenza, correttezza e buona fede e nell'aver costantemente
manifestato comportamenti non consoni ai principi della civile
convivenza nei luoghi di lavoro”. In sostanza i 61 lavoratori sono
accusati di connivenza col terrorismo. Quattro giorni dopo, in
un'intervista a La Stampa, Adalberto Minucci della segreteria del
PCI dichiara: “Credo che in quest'ultima ondata (di assunzioni)
a Mirafiori sia entrato un po' di tutto, dallo studente al disadattato,
s'è proprio raschiato il fondo del barile”.
Ma è Giorgio Amendola, esponente di primo piano della corrente
“migliorista”, ad essere il più esplicito su violenza, terrorismo,
sindacato. In un articolo che appare su Rinascita del 9 novembre
1979 intitolato “Interrogativi sul caso FIAT”,
scomunica un decennio di lotte e di conquiste dei lavoratori: “(...)
le rivendicazioni sono cresciute incontrollate, con progressivo
livellamento delle retribuzioni, in un esasperato egualitarismo, che
contribuisce a mortificare, assieme ai nuovi sistemi di organizzazione
del lavoro, ogni orgoglio professionale, e senza che l'aumento dei
salari sia accompagnato da un crescente aumento della produttività. Solo
negli ultimi tempi, per merito essenzialmente di Lama, si è riconosciuto
che il salario non può essere considerato una variabile indipendente
dalla produttività, (…) L'errore iniziale compiuto dal
sindacato è stato quello di non denunciare immediatamente il primo atto
di violenza teppistica compiuto in fabbrica, come quello compiuto nelle
scuole. L'errore dei comunisti è quello di non aver criticato
apertamente, fin dal primo momento, questo comportamento (…)
Non si vada ora a ricordare la necessaria asprezza derlla lotta di
classe per giustificare i nuovi atti di teppismo e di violenza nelle
fabbriche (…) E chi può negare che vi sia un rapporto
diretto tra la violenza di
fabbrica ed il terrore? E perché il sindacato, i comunisti non hanno
parlato, denunciato in tempo quello che oggi viene rivelato? (…)
E poi ci sono forme di lotta, impiegate a Torino e largamente attuate in
tutto il Paese, che si manifestano fuori dalle fabbriche, con
occuoazioni stradali, cortei intimidatori, distruzioni vandaliche di
macchine e negozi. Sono forme di lotta che quando non sono episodi
isolati, esplosioni di collera a lungo represse, quando diventano
abitudini correnti, snaturano il carattere stesso della lotte di classe
(...)”.
Nel 20° anniversario dell'autunno 1980, nella trasmissione Porta a
porta del 13 ottobre 2000, Giuliano Ferrara, nel 1979 capogruppo PCI
al Comune di Torino,
dichiara: “La lista dei 61 licenziati fu concordata da Umberto
Agnelli e Ugo Pecchioli, posso testimoniarlo. Ci fu una sorta di
screening della lista, il PCI faceva una seria politica di
antiterrorismo” (Corriere della Sera, 14 ottobre 2000).
Cesare Romiti, amministratore delegato FIAT dell'epoca si limita
ad affermare: “La FIAT avvertì in anticipo i vertici sindacali
dell'intenzione di licenziare un gruppo di lavoratori: lo dissi
personalmente a Luciano Lama in occasione di un incontro a Villa d'Este”
(Repubblica, 13 ottobre 2000). Umberto Agnelli smentisce,
l'avvocato Gianni Agnelli non parla, mentre Piero Fassino, già
responsabile fabbriche PCI afferma: “Non ne so nulla”.
Tengo a precisare che il sottoscritto, modestissimo delegato
sindacale a Mirafiori Carrozzeria, ha appreso due giorni prima da fonte
autorevole la notizia dei licenziamenti e che le organizzazioni
sindacali erano al corrente di tali provvedimenti.
Alla fine, saranno quattro su 61 gli operai per i quali vengono
provate connessioni col terrorismo.
LA PAROLA D'ORDINE E' UNA SOLA, CATEGORICA E IMPERATIVA PER TUTTI
Fra le tante vicende accadute durante i famosi 35 giorni, quattro
sono gli eventi che mi sono rimasti più scolpiti nella memoria. Venerdì
26 settembre 1980, Enrico Berlinguer è a Torino e parla ai lavoratori in
sciopero davanti agli stabilimenti di Rivalta, Lingotto, Lancia e
Mirafiori. Un corteo partito da corso Tazzoli raccoglie a ogni porta i
lavoratori. Alla porta 3 mi aggrego a Liberato Norcia e Bruno Canu che
stanno discutendo fra loro della domanda da fare a Berlinguer sulla
questione delle forme di lotta che dividela base operaia del PCI:
occupazione dello stabilimento o non occupazione? Alla porta 5, davanti
alla palazzina principale di Mirafiori dove si tiene il comizio,
Liberato va sul palco e pone la famosa domanda al segretario del PCI: se
ci sarà l'occupazione delle fabbriche come si comporterà il PCI?
Berlinguer dà l'unica risposta che poteva dare: se gli operai nella loro
autonomia decideranno per l'occupazione, il PCI starà con gli operai che
avranno come sempre il sostegno di tutto il partito. La risposta di
Berlinguer scatena l'ira della classe politica. Per il segretario della
DC Flaminio Piccoli istigherebbe la violenza,
mentre il segretario della CISL Pierre Carniti si sente
scavalcato. Gli operai la intendono come un chiaro benestare ad occupare
le fabbriche FIAT.
Lo sciopero generale del 10 ottobre si conclude davanti alla
porta 5 di Mirafiori con il comizio del segretario della UIL Giorgio
Benvenuto. Durante il comizio, Benvenuto racconta di un operaio che gli
ha chiesto quale sarà il
finale della vicenda FIAT: “Gli ho risposto: le strade sono due, o
molliamo noi o molla la FIAT . E l'operaio ha ribattuto: 'No compagno
Benvenuto, o molla la FIAT o la FIAT molla'”. Solo quattro giorni
dopo, a seguito della famosa “marcia dei 40.000” (cifra fornita
dalla sinistra Repubblica, per la questura 12.000, ma ad esser
generosi 10.000), assieme ai suoi compagni di merende Lama e Carniti,
Benvenuto firmerà l'accordo scritto da Cesare Romiti. Accordo che
prevederà cassa integrazione a zero ore per circa 24.000 lavoratori;
cassa integrazione a rotazione per le linee dei modelli 131 e 132;
processi di mobilità extraziendali. I lavoratori che entro il 30 giugno
1983 non avranno ancora trovato un lavoro saranno reintegrati in FIAT.
In sostanza tutti i desideri della FIAT saranno esauditi.
La marcia dei 40.000
del 14 ottobre è l'evento tanto atteso per chiudere la vicenda
FIAT; Lama, Carniti e Benvenuto non aspettavano altro, si dichiarano
immediatamente sconfitti e Lama lascia a Romiti il compito di stendere
il testo dell'accordo. L'indomani al cinema Smeraldo in via Tunisi,
presente tutto il gotha sindacale, si riunisce il Consiglione di
Mirafiori. Enzo Mattina della UILM fatica assai per portare a termine
l'intervento introduttivo. Tutti gli interventi dei delegati, tranne due
o tre sono contrari all'accordo. Carniti replicherà con arroganza alle
contestazioni dei delegati. L'intervento più emozionante è del delegato
Giovanni Falcone della Carrozzeria. Ricorda in breve l'arrivo a Torino
da un paesino del Sud, la sua assunzione in FIAT, la sua
alfabetizzazione, la sua politicizzazione, l'impegno nelle lotte, e si
chiede perché la FIAT dovrebbe richiamare in fabbrica nel 1983 uno come
lui. Con una calma e una
lucidità impressionanti spiega che un ciclo storico è finito, ma lui non
si pente di nulla di ciò che ha fatto, anzi (2).
Il 16 ottobre è la giornata delle assemblee con i lavoratori.
Sono presenti i tre big del sindacato: Lama alla Carrozzeria, Carniti
alla Meccanica, Benvenuto alle Presse. Tutto l'apparato sindacale e
quello del PCI è mobilitato al gran completo, la parola d'ordine è una
sola, categorica e imperativa per tutti: l'accordo deve essere approvato
a tutti i costi. In Carrozzeria, al momento della votazione per alzata
di mano è evidente che ha vinto il no, ma lo speaker annuncia che
“l'assemblea approva a larga maggioranza”. Scoppia qualche
tafferuglio, vola qualche pugno, Lama sparisce. Alla Meccanica dove si
ha lo stesso risultato, Carniti è costretto a fuggire a gambe levate.
Benvenuto è più fortunato e viene solo insultato. All'Autobianchi di
Desio, constatata la manifesta ostilità dell'assemblea, i dirigenti
sindacali non mettono ai voti l'accordo sostenendo che la decisione
spetta solo agli stabilimenti torinesi. A Rivalta e alla Lancia di
Chivasso, l'accordo non viene messo in votazione perché ritenuto
palesemente non corrispondente al mandato. Le assemblee del pomeriggio
si risolvono tutte con la netta vittoria del no. In serata le
organizzazioni sindacali annunciano: “I conteggi delle votazioni sono
stati un po' problematici, ma risulta evidente la netta maggioranza dei
voti favorevoli all'accordo”.
Quando oggigiorno si ciancia di pericolo fascista, di deterioramento
della democrazia, di fine dello stato di diritto, automaticamente il mio
pensiero corre sempre a quel piovoso mattino del 16 ottobre 1980 quando
CGIL-CISL-UIL, PCI e FIAT uniti nella lotta seppellirono la democrazia
diretta, il sindacato rivendicativo, e compilarono aumm aumm la
lista dei circa 24.000 cassintegrati a zero ore da espellere dalla
fabbrica.
IL DECRETO DI SAN VALENTINO
Dopo l'accordo del 1977 che sterilizzava gli effetti della scala
mobile sul TFR dei lavoratori, prosegue l'attacco agli automatismi
salariali. Verso la fine del 1983 il governo Craxi intavola una
lunga trattativa con CGIL-CISL-UIL sulla scala mobile,
considerata la principale causa dell'inflazione che veleggia intorno al
16%. Per i partiti di
governo, per Confindustria, per la CISL, per la UIL, per la componente
socialista nella CGIL, per i miglioristi, sono i lavoratori che,
recuperando solo al 60% con la scala mobile il potere d'acquisto dei
loro salari, alimentano l'inflazione. Tutti, PCI compreso, sono
d'accordo che occorre tagliare la contingenza per frenare questo “effetto
perverso”. La divergenza fra i sindacati sorge sul fatto se i punti
tagliati debbano essere o non essere recuperati nella busta paga al
termine del periodo emergenziale. Il 14 febbraio 1984, Craxi mette fine
alle discussioni e decide con un decreto legge di tagliare tre punti
di contingenza. La componente comunista della CGIL reagisce con
scioperi e una grande manifestazione a Roma. In Parlamento, PCI, PDUP e
DP fanno ostruzionismo, il decreto decade, ma viene reiterato e infine
approvato (Legge 219 del 12 giugno 1984).
La sera precedente all'approvazione definitiva del decreto, muore
a Padova Enrico Berlinguer; poco prima aveva annuciato che sarebbero
state raccolte le firme per un referendum abrogativo del decreto di San
Valentino, ma la corrente migliorista che vuole abolire del tutto la
scala mobile è contraria alla consultazione popolare. Il referendum si
svolge il 9-10 giugno 1985, si pronunciano per il Sì PCI, DP, MSI Destra
Nazionale e Partito Sardo d'Azione. Vince il No col 54,3%. Alle ore 14
del 10 giugno, cioè all'ora della chiusura dei seggi, il presidente di
Confindustria Luigi Lucchini disdetta l'accordo sull'indennità di
contingenza. Si domanda: ma i
sempre più numerosi sostenitori della corrente migliorista
all'interno del PCI, i Napolitano, i Fassino, nel segreto dell'urna cosa
avranno votato?
LA STANGATA
Solo cinque giorni dopo il suo insediamento, nella notte fra il 9
e il 10 luglio 1992, il governo di centrosinistra presieduto dal
socialista Giuliano Amato, appoggiato da DC, PSI, PSDI e PLI, effettua
per decreto un prelievo forzoso del sei per mille su tutti i depositi
bancari degli italiani. Oltre al prelievo forzoso, Amato introduce in
autunno tutta una serie di misure e nuovi balzelli, fra i quali i ticket
sanitari e l'imposta straordinaria del tre per mille sugli immobili
(ISI), in seguito trasformata in ordinaria (ICI). Inizia con questo
governo la lunga agonia delle pensioni. I primi provvedimenti della
“riforma” prevedono: l'ammontare pensionabile calcolato sugli ultimi
dieci anni di lavoro anziché su cinque, l'età per la pensione alzata da
55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 per gli uomini, il blocco
immediato delle baby pensioni, misure restrittive sulla cumulabilità
delle pensioni. E' una manovra finanziaria da quasi 100 mila miliardi di
lire, la più pesante del secondo dopoguerra, si programmano tre anni di
lacrime e sangue per i lavoratori.
Negli stessi giorni in cui i conti correnti bancari degli
italiani sono alleggeriti dalla patrimoniale di Amato, l'inchiesta Mani
Pulite (partita il 17 febbraio 1992 con l'arresto in flagranza di reato
di Mario Chiesa presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio di
Milano che intasca una tangente) giunge a toccare i vertici della
politica, la casta. Il 3 luglio, per difendersi dalle accuse di
finanziamento illecito al partito, Craxi alla Camera accusa a sua volta
tutti gli altri partiti: “I partiti, specie quelli che contano su
apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche,
promozionali e associative, e con essi molte a varie strutture politiche
operative, hanno ricorso e ricorrono all'uso di risorse aggiuntive in
forma irregolare o illegale. Se gran parte di questa materia deve essere
considerata materia puramente criminale allora gran parte del sistema
sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in
quest'aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa
alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo:
presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”.
Nel frattempo, il PCI di Occhetto si era liberato
dell'imbarazzante insegna comunista, non senza qualche lacrimuccia di
circostanza, e nel congresso di Rimini del 3 febbraio 1991 era nato il
Partito Democratico della Sinistra (PDS). Ma alle elezioni Politiche del
5-6 aprile 1992 la nuova formazione ottiene un modesto 16,1%, una
debacle. I numeri elettorali suggeriscono che i padroni non lo ritengono
ancora in grado di guidare il Paese. Lo scandalo di Tangentopoli e
l'inchiesta Mani Pulite che azzerano i vecchi partiti della Prima
Repubblica sembrerebbero favorire il PDS, ma la discesa in campo
di Berlusconi nell'inverno del 1993 con la promessa di riforme liberali
bloccherà la gioiosa macchina da guerra di Occhetto & C.
Il 1992 è un anno cruciale: il 7 febbraio viene firmato a
Maastricht il trattato che stabilisce le regole, i famosi cinque
parametri, per l'ingresso nell'Unione Europea. Attorno alla moneta unica
si gettano le basi dell'Europa dei e per i padroni. Il trattato è
ratificato dalla Camera dei Deputati il 29 ottobre con 403 voti
favorevoli, 46 contrari e 18 astenuti: votano contro solo il
MSI-DN e Rifondazione Comunista (RC), astenuti Verdi e Rete.
Ecco il bilancio sull'operato della UE in questi 27 anni
tracciato da Paolo Savona, economista, poi ministro per gli Affari
Europei del governo Lega-M5S: “Io sarei per l'Europa unita, per
questo non posso che dire peste e corna di quello che vedo a Bruxelles.
Le difficoltà della UE sono colpa delle élite che la guidano: dicono di
interessarsi del popolo, ma si occupano solo di loro stesse e non
ammetteranno mai il fallimento dell'Europa perché significherebbe
autocondannarsi. E questo acuisce i problemi.
La mancanza di diagnosi comporta l'assenza di terapia. Le élite
italiane hanno voluto questa Europa, sbagliando. Si prendano la colpa o
qualcuno gliela attribuisca”(il
manifesto, 24 maggio 2018).
Venerdì 31 luglio 1992, mentre le fabbriche stanno chiudendo per
le ferie, con la supervisione del governo Amato, CGIL-CISL-UIL e
Confindustria firmano un accordo che sopprime definitivamente la scala
mobile, congela per due anni i contratti aziendali, blocca le
retribuzioni fino a tutto il 1994, e comincia a lavorare ai fianchi le
pensioni. Il presidente di Confindustria Luigi Abete commenta: “Ha
vinto il senso di responsabilità” (l'Unità, 1° agosto 1992).
“Finalmente una prova di coraggio” titola La Stampa del 1°
agosto 1992. Anche Ottaviano Del Turco, socialista, numero due della
CGIL, è contento: “Difendo l'accordo, anzi dico che il sindacato ha
firmato un bell'accordo” (l'Unità, 2 agosto). La CGIL “sfiora
la rottura interna” scrive Flavia Amabile su La Stampa del 1°
agosto, “poi a maggioranza approva il protocollo. La Confederazione
dice addio al passato della CGIL. E alla fine il sì a denti stretti di
Trentin”. Bruno Trentin si dimette da segretario della CGIL: “Ho
dovuto firmare un brutto accordo. Non mi pento della firma, ma la
Confederazione voleva altro” dichiara. E riceve l'onore delle armi.
Piero Sansonetti firma un editoriale su l'Unità del 2
agosto dal titolo: “Una brutta intesa, un gesto coraggioso”.
Abete: “Grande rispetto”, Claudio Martelli, ministro PSI di
Grazia e Giustizia: “Spero che resti”, Achille Occhetto,
segretario PDS: “E' un gesto dignitoso”,
Vittorio Foa, PDS: “Difendo lui e il suo atto di coraggio”,
Sergio Cofferati, segretario dei chimici CGIL: “Quella firma era
inevitabile”. Solo Fausto Bertinotti, già segretario regionale CGIL
Piemonte nel 1980 all'epoca dei 35 giorni, afferma: “Per il sindacato
è un accordo di resa”. Come si sa, in Italia le dimissioni, se non
subito accettate, hanno sempre una scadenza ravvicinata, come le
mozzarelle; infatti, al ritorno dalle ferie, il 4 settembre, Trentin le
ritira. Dopo che ogni personaggio ha recitato al meglio la sua parte in
commedia, nel sindacato si ricaricano le stilografiche e ci si appresta
alla prossima grande svendita.
PENSIONI, DA BERLUSKAISER AL ROSPO (3)
Il 27-28 marzo 1994 la coalizione di centrodestra che nel Nord
Italia si presenta come Polo delle Libertà (Forza Italia-Lega
Nord-Centro Cristiano Democratico) e al Sud come Polo del Buon Governo
(Forza Italia-Alleanza Nazionale-Centro Cristiano Democratico) vince le
elezioni Politiche contro l'Alleanza dei Progressisti (PDS-RC-Verdi-Rete
e formazioni minori). L'11 maggio nasce il primo governo Berlusconi che
a fine settembre presenta in Parlamento la Finanziaria 1995 contenente
anche una “riforma” del sistema pensionistico che prevede parecchi
tagli. Dopo lo sciopero generale contro la Finanziaria del 14 ottobre
con imponenti manifestazioni in tutte le città italiane, il governo apre
un tavolo di trattative con tutti i sindacati; trattative che vengono
rotte da Berlusconi sul tema delle pensioni. Il 12 novembre i sindacati
organizzano una oceanica manifestazione nazionale a Roma, Berlusconi
stralcia la riforma delle pensioni dalla legge Finanziaria, ma il 17
dicembre la Lega Nord si ritira dal governo. Tre giorni dopo la Camera
approva la Finanziaria 1995 priva dei provvedimenti sulle pensioni, ma
PDS, Lega Nord e Partito Popolare Italiano (PPI) presentano una mozione
di sfiducia: Berlusconi, senza più maggioranza, si dimette, va dal
presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e chiede immediate
nuove elezioni. Ma Scalfaro, constatato che in Parlamento esiste una
maggioranza alternativa (PDS, Lega Nord, PPI, Patto dei Democratici)
(4), affida l'incarico per un nuovo governo a Lamberto Dini, ministro
del Tesoro del defunto governo Berlusconi, che si insedia il 17 gennaio
1995.
L'8 maggio 1995 CGIL-CISL-UIL raggiungono un accordo col governo
Dini su una riforma del sistema pensionistico che introduce il criterio
contributivo che andrà a sostituire quello retributivo. La riforma è del
tutto simile, se non addirittura in alcuni punti peggiorativa per i
lavoratori, a quella proposta da Berlusconi un anno prima, sulla quale
CGIL-CISL-UIL avevano chiamato milioni di lavoratori a mobilitarsi, a
opporsi. La differenza sta nel fatto che questa volta la riforma non la
propone la destra “fascista”, berlusconiana, ma un governo appoggiato
dagli ex “comunisti” del PDS, che vogliono così guadagnare punti fedeltà
per giungere al governo del Paese. Il 4 agosto il Parlamento approva la
riforma Dini sulle pensioni: votano a favore PDS, Lega Nord, PPI e
Cristiano Democratici Uniti; votano contro Alleanza Nazionale (AN) e RC;
si astengono Forza Italia e CCD.
Invece Confindustria non firma l'accordo sulla riforma definita
dal vicepresidente Carlo Callieri “tecnicamente vergognosa”
(Repubblica, 9 maggio); mentre le assemblee dei lavoratori pur fra
le contestazioni di Cobas e RC la approvano, secondo i dati forniti dai
sindacati, col 65%. Partono anche degli scioperi spontanei contro
l'accordo, RC ed Essere Sindacato (corrente di sinistra nella CGIL)
indicono una manifestazione nazionale a Milano per sabato 13 maggio,
mentre Cofferati, segretario della CGIL esprime soddisfazione: “Ognuno
dovrà assumersi le proprie responsabilità. Chi in questi mesi ha dato il
poco edificante spettacolo di criticare senza produrre misure
alternative, dovrà adesso parlare chiaro. Questo accordo fa giustizia di
tutti i sospetti che fossimo noi ad impedire la riforma” (Repubblica,
9 maggio). Anche il “più estremista” di tutti, il leader della FIOM,
Claudio Sabattini, appoggia l'intesa che però va accompagnata ad una “forte
campagna di verità” (Repubblica, 9 maggio). E' evidente anche
in questo caso che ogni personaggio recita la sua parte nella commedia,
con Confindustria che si finge delusa per salvare la faccia di un
sindacato che ha firmato l'ennesima intesa tutta negativa per i
lavoratori. Tutti i governi di centrodestra, di centrosinistra o
“tecnici” che succedono a quelli di Amato del 1994 e di Dini del 1995,
apporteranno delle modifiche al sistema pensionistico, ma sempre
peggiorando, chi più chi meno, le prestazioni per i lavoratori.
Dal 1995 a oggi, CGIL-CISL-UIL proclameranno solo dieci scioperi
generali antigovernativi di tutte le categorie: la classifica vede
nettamente al comando Berlusconi con cinque scioperi (due della sola
CGIL), segue Monti con due (per la legge Fornero solo tre ore a fine
turno), in coda D'Alema, Amato e Renzi con uno, quest'ultimo sul Jobs
Act, dichiarato soltanto da CGIL e UIL. I numeri dicono che in presenza
di politiche antipopolari, che hanno massacrato il salario, i diritti
dei lavoratori, messe in atto indistintamente da governi di
centrodestra e centrosinistra, la Troika sindacale chissà come mai ha
scioperato solo contro i governi di Berlusconi.
E' ARRIVATA LA PRECARIETA', A TEMPO INDETERMINATO
Si intitola “Norme in materia di promozione dell'occupazione” la
legge 196 del 24 giugno 1997, meglio nota come Pacchetto Treu, varata
dal governo Prodi sostenuto da una coalizione di centrosinistra (PDS,
Popolari per Prodi, RC, Verdi, Rete, Rinnovamento Italiano). L'idea
ispiratrice del provvedimento è genuinamente iperliberista: più
flessibilità del lavoro, meno diritti per i lavoratori, uguale più
occupazione. Sono istituiti tutta una serie di nuovi contratti di
lavoro: interinale, a tempo determinato, part-time,
collaborazioni coordinete e continuative, formazione lavoro,
apprendistato, tirocinio, stage, socialmente utili e varie altre forme
contrattuali definite “atipiche”. I successivi interventi sulle norme
del lavoro, legge Biagi (2003), riforma Fornero (2011), decreto Poletti
(2014), Jobs Act (2014/2015), seguiranno tutti quell'indirizzo. Al
termine di questo ciclo di riforme liberiste,
il lavoro precario o in nero ha ormai preso il sopravvento e
diventa la normalità. La profonda manomissione delle disposizioni sul
lavoro in combinazione con le manovre sulle pensioni cancella qualsiasi
possibilità di futuro per le giovani e meno giovani generazioni. Per i
giovani entrati nel mondo del lavoro dopo la riforma Dini si dovrebbe
parlare di sussidio di
sopravvivenza e non più di pensione.
In verità Tiziano Treu non è stato il primo a mettere mano alle
disposizioni sul lavoro e a creare precarietà. Ovviamente sempre col
nobile intento di “favorire l'occupazione”, già il terzo governo
Andreotti, quello che aveva incassato la “non sfiducia” del PCI,
con legge 285 del 1° giugno 1977 aveva varato il “contratto di
formazione lavoro”. Lo Stato offriva incentivi in forma di sgravi
contributivi al datore di lavoro che assumeva ragazzi con lo scopo di
insegnar loro un mestiere. Ma in realtà è solo una scappatoia, una forma
di assunzione dei lavoratori in condizioni peggiori.
Il governo Lega-5 Stelle è il primo dopo un quarantennio che pare
non voler peggiorare ulteriormente
lo sfruttamento, il tenore di vita dei lavoratori, ma anzi sembra
volgere in direzione opposta. Questa inversione di tendenza che ha
generato il successo elettorale delle due forze politiche ha
miracolosamente ravveduto i perdenti del 4 marzo 2018: “Il PD si è
completamente scordato dei poveri” dice un giovane candidato alle
primarie per la segreteria, tale Dario Corallo, ma sembra un problema
medico più che politico; è consigliabile qualche integratore di memoria,
rivolgersi al farmacista di fiducia. Per Walter Veltroni la
precarizzazione del lavoro non è stata promossa dalla “sinistra”, ma è
caduta dal cielo: “Qual è stato l'errore principale della sinistra?
Aver accettato la precarizzazione delle persone” (Piazza Pulita,
8 novembre 2018). “Abbiamo perso perché abbiamo lasciato la questione
sociale alla destra” dichiara Pierluigi Bersani intervistato da
Floris in una puntata di Di martedì dello scorso settembre; ma i
fatti dimostrano al contrario che la “sinistra”
ha perso proprio perché si è occupata con ossessivo accanimento
terapeutico delle tematiche sociali. Ma soprattutto c'è l'improvvisa
riscoperta oltre che dei poveri, anche dei giovani. Chi ha lavorato con
zelo fino a ieri a distruggere qualsiasi speranza di futuro, oggi se ne
preoccupa, reclama attenzione per i giovani. Provoca perciò una
istintiva sensazione di ribrezzo chi ha l'indecenza di definire la
Finanziaria dell'attuale governo Lega-5 Stelle “una manovra contro i
giovani” (Elsa Fornero, Di martedì, 30 ottobre 2018).
LA RAPINA DEL SECOLO
Il 30 dicembre 1997, Romano Prodi, leader dell'Ulivo e presidente
del Consiglio, per star dentro a uno dei parametri di Maastricht
necessari ad entrare nell'euro, quello del 3% fra deficit e PIL, si
inventa un “contributo straordinario per l'Europa” noto anche come
“eurotassa” che si impegna a restituire negli anni a venire, ma che non
restituirà mai interamente. Questa manovra straordinaria consente di
giungere ad un rapporto Deficit/PIL del 2,7%. Uno dei capolavori della
propaganda europeista è che riesce a convincere anche
le vittime della convenienza dell'operazione. E' la prova
generale, un esercizio propedeutico, di una delle più grandi rapine
perpetrate contro lavoratori e pensionati. Le forze politiche sono
concordi, pur con sfumature diverse, sul fatto che l'ingresso nella
moneta unica porterà solo vantaggi, per tutti.
Siamo nel paradossale caso di un condannato a morte che viene
convinto a pagare le spese per la sua esecuzione. In una famosa
intervista di Stefano Feltri pubblicata su Il Fatto Quotidiano
del 13 maggio 2012, sui retroscena dell'entrata dell'Italia nell'euro,
l'ex ministro delle Finanze del governo Prodi I, Vincenzo Visco, dice: “Un'Italia
fuori dall'euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura
a molti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni
prezzate in lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la
globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus
nei confronti di tutti i Paesi, tranne la Russia da cui compra
l'energia. Era un disegno razionale, serviva l'Italia dentro la moneta
unica proprio perché era debole. In cambio di questo vantaggio
sull'export, la Germania avrebbe dovuto pensare al bene della zona euro
nel suo complesso”.
Il 1° gennaio 2002 entra in circolazione la nuova moneta, ma il
passaggio all'euro non è uguale per tutti. Mentre le pensioni e i salari
dei lavoratori sono convertiti al cambio ufficiale di 1936,27, i prezzi
di buona parte di merci e servizi adottano il cambio di mille lire per
un euro. Pur governando Berlusconi, ricordo che la sera in tv appare un
rubicondo e gioioso Prodi con sorriso a piena dentiera che, ritenendosi
non a torto il padre dell'operazione sulla moneta, mostra la nuova
banconota ed esprime tutto il suo compiacimento di poter finalmente
girare l'Europa senza dover più perdere tempo da un cambiavaluta. Ben
presto però gli italiani a reddito fisso scoprono che il loro potere
d'acquisto si è quasi dimezzato e milioni di pensionati finiscono ai
limiti della soglia di povertà; però vuoi mettere la comodità di non
dover più frequentare il cambiavaluta!
UN MODERNO, DEMOCRATICO COLPO DI STATO
Il 5 agosto 2011, il presidente della Banca Centrale Europea
Jean-Claude Trichet e il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi
indirizzano al presidente del Consiglio italiano Berlusconi una lettera
“strettamente confidenziale” sulle misure di politica economica
da prendere per uscire dalla crisi: liberalizzazioni dei servizi
professionali, privatizzazioni dei servizi pubblici locali, dare
priorità a contratti aziendali al posto dei contratti nazionali di
lavoro, pareggio di bilancio anticipato al 2013, deficit pubblico all'1%
del PIL entro il 2012, stretta sulle pensioni di anzianità, innalzamento
dell'età pensionabile delle donne, riduzione dei costi della Pubblica
Amministrazione anche con tagli agli stipendi se necessario, pareggio di
bilancio in Costituzione, abolizione delle Province.
Da più di un anno il quarto governo presieduto da Berlusconi è
ritenuto inadeguato dall'Europa dei padroni a garantire i loro
interessi; tutti i grandi giornali, Corriere della Sera in testa,
mobilitano quotidianamente le loro migliori bocche da fuoco per
attaccare il governo di centrodestra incapace di realizzare quelle
riforme “liberali” da anni promesse. Il 26 maggio 2010, all'assemblea
annuale di Confindustria, Berlusconi offre alla presidente Emma
Marcegaglia la poltrona di ministro dello Sviluppo Economico e chiede
all'assemblea una votazione immediata, ma neanche una mano si alza per
approvare.
Nessun raggruppamento politico potrebbe realizzare il programma
antipopolare richiesto da Bruxelles e salvare la pelle. Occorre una
persona, un governo che non abbia nulla da perdere, che non debba poi
sottoporsi a un giudizio popolare, un “tecnico” che faccia il lavoro
sporco per far quadrare i conti. Mentre lo spread sale alle
stelle opportunamente sollecitato dalle massicce vendite
di titoli italiani da parte di banche tedesche, il 9 novembre 2011
Napolitano nomina senatore a vita Mario Monti, già da tempo in attesa in
anticamera. Tre giorni dopo, avvisato dal Fedele Confalonieri che sono
in corso manovre speculative sulle aziende di famiglia che rischiano il
tracollo, Berlusconi si dimette e il giorno dopo Napolitano dà a Monti
l'incarico di formare il nuovo governo “tecnico”con lo scopo di
realizzare il programma dettato dai gerarchi europei.
Le dimissioni di Berlusconi provocano un grande entusiasmo nella
sinistra. Se ne fa portavoce uno degli intellettuali più in vista, Marco
Revelli, con un articolo dal titolo “Bacio il rospo Monti, ma ...”
di cui si consiglia la lettura integrale per comprendere l'inutilità
della sinistra italiana e le ragioni della sua disfatta: “Confesso
innanzitutto che se fossi stato a Roma, sabato scorso, avrei
probabilmente preso una bandierina (tricolore) e sarei sceso in strada a
festeggiare, perché quella sera, alle 21 e 42, è davvero finito
'ufficialmente' il berlusconismo (…) Confesso anche - e la cosa mi costa
un po' di più - che ho fatto il tifo per Mario Monti. Forse per una
questione di pelle. Più estetica (ed etica) che politica. Perché dopo
tanto strepitare sopra le righe, dopo la volgarità al potere, il
disgusto quotidiano e lo strepito da caravanserraglio, i troppi nani e
ballerine e pailettes e cotillon nel cuore dello Stato, la sua normalità
sembra un miracolo. La sua sobrietà di abito e di parola una
rivoluzione. Ma anche perché, politicamente, mi rendo conto che al suo
governo non ci sono alternative (...)” (il manifesto, 17
novembre 2011) .
E così, mentre il professor Revelli con il calice di spumante in una
mano e la bandierina (tricolore) nell'altra sta ancora festeggiando la
caduta del donnaiolo di Arcore, già il 30 novembre viene votato
il pareggio di bilancio in Costituzione con soli sei astenuti, mentre
con legge 214 del 21 dicembre è approvata la famigerata riforma delle
pensioni Fornero; votano contro solo la Lega Nord e l'Italia dei Valori.
Per i lavoratori è come cadere dalla padella nella brace, però
all'estero con Monti facciamo un figurone.
E FINALMENTE RENZI
Matteo Renzi non è un alieno, non ha sbagliato partito, non è
arrivato per caso al vertice del PD. Renzi è il figlio legittimo dell'orrendo
serpentone metamorfico PCI-PDS-DS-PD, è il prodotto finale più
genuino, biologico di quel percorso. Non nasce per rottamare le
cariatidi della vecchia politica; i Bersani, i D'Alema e compagnia si
sono già da parecchio tempo culturalmente e politicamente autorottamati.
Il governo Renzi nasce il 22 febbraio 2014 col compito di portare
velocemente a compimento la precarizzazione totale del lavoro
subordinato e distruggere le ultime garanzie legislative per i
lavoratori: Jobs Act, abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei
Lavoratori, nuova legge elettorale, riforma della Costituzione. Renzi
riesce a realizzare solo le prime tre voci del suo programma, poi il 4
dicembre 2016 quasi il 60% degli italiani boccia il nuovo testo
costituzionale e alle elezioni Politiche
del 4 marzo 2018 il
PD crolla al 18,7% e implode, mentre il M5S diventa il primo partito con
il 32,6%.
Questi, sommariamente, i fatti determinanti riguardanti il mondo
del lavoro accaduti negli ultimi 40 anni. Non occorre l'acume di Hercule
Poirot per scoprire gli assassini di tutte le conquiste dei lavoratori.
Diceva Agatha Christie che un lettore attento e perspicace già dopo una
quarantina di pagine dei suoi gialli ha tutti gli elementi per scoprire
il colpevole. Nel caso in questione, invece, il colpevole lo si conosce
già dall'inizio, come nei gialli del tenente Colombo. Ma come è stato
possibile che abbia potuto godere di 40 anni di impunità?
La sinistra, il centrosinistra supportati dalla Troika sindacale
per 40 anni hanno campato grazie al terrorismo elettorale nei confronti
dei lavoratori: votate per noi anche se siamo costretti a bastonarvi
perché i mercati ci guardano, ce lo chiede l'Europa, perché se vince
Berlusconi è peggio ancora. Votate per noi perché Berlusconi è il
cavaliere nero, ademocratico, fascista, la Costituzione nata dalla
resistenza è in pericolo, la democrazia muore, il fascismo è sempre in
agguato, il fascismo eterno, quello che minaccia l'umanità
intera sin dal peccato originale. L'involontario merito di aver svelato
al popolo della sinistra questi sotterfugi va tutto a Renzi, che Dio lo
benedica, che ancor prima di diventare presidente del Consiglio stipula
col “fascista” Berlusconi un patto di governo, il “Patto del Nazareno”:
crolla così il principale alibi degli assassini delle conquiste dei
lavoratori.
Ma il terrorismo elettorale non era sufficiente: occorreva
addebitare a Berlusconi tutti i provvedimenti antipopolari varati da
sinistra e centrosinistra in collaborazione con la Troika sindacale. Ed
ecco l'invenzione geniale della maxi bufala del ventennio
berlusconiano. Ancora
oggigiorno incontro persone che quando dimostro numeri alla mano che non
è mai esistito un ventennio berlusconiano restano basite. Nella
storia d'Italia c'è stato un solo “ventennio”, ma non è quello
berlusconiano. Il termine ventennio berlusconiano viene coniato
da Massimo Giannini del dipartimento ideologico del PD in un suo libro
del 2008 per paragonarlo al ventennio mussoliniano. Oltretutto non si
tratta neanche di un ventennio avendo Berlusconi governato alternandosi
però col centrosinistra dall'11 maggio 1994 al 16 novembre 2011. Di
questi 17 anni, 6 mesi e 6 giorni, il centrodestra con i governi
Berlusconi I, II, III, IV ha governato 9 anni, 1 mese e 20 giorni,
mentre il centrosinistra con i governi Dini, Prodi I e II, D'Alema I e
II e Amato II ha governato 8 anni, 4 mesi e 16 giorni. Ma, al di là
dell'aritmetica, la dicotomia era finta, le due coalizioni non erano
alternative, ma complementari, si legittimavano a vicenda: difatti mai
nessuna coalizione di centrosinistra ha abrogato una legge contro i
lavoratori varata dalla precedente coalizione di centrodestra, e
viceversa.
Alla “sinistra” sopravvissuta non restano che due argomenti per
autocertificare l'esistenza in vita: fascismo e immigrazione, altro dire
non sa. Dell'uso dell'antifascismo come arma di distrazione di massa ne
ho scritto e ne ho detto fino alla nausea (5).
L'ultimo tentativo di distrarre il popolo dai problemi reali è
stato davvero divertente. In un saggio dal titolo Istruzioni per
diventare fascista (Einaudi) Michela Murgia propone un
fascistometro, test con 65 frasi per misurare il tasso di fascismo
presente in noi. Ma, “secondo il demenziale fascistometro sarebbero
fascisti financo Lenin e Togliatti, Gramsci e il Che Guevara di Patria o
Muerte” scrive il filosofo Diego Fusaro. L'iniziativa finisce nel
ridicolo perché Il Tempo pubblica il Comunistometro,
analogo test per misurare quanto sei comunista o radical chic;
Travaglio il ladrometro, Andrea Scanzi il
sinistrometro. Perfino il britannico The Guardian propone un
populistometro.
Non ho mai ascoltato in vita mia un serio dibattito sul tema
immigrazione. A Torino e dintorni non c'è mai stato. E non c'è mai stato
perché il tema è complesso, tocca tante altre materie, l'Europa, il
lavoro, le questioni internzazionali, eccetera. Anche se poi tutta la
classe politica nostrana tende a ridurlo agli sbarchi, a ordine pubblico
e alla cosiddetta “integrazione”. E infine la “sinistra” tende in
generale a evitare di parlare di fatti che potrebbero confutare le
opinioni consolidate. Nell'ottobre scorso ho pubblicizzato la
presentazione di un libretto scritto da Sonia Savioli intitolato ONG,
il cavallo di Troia del capitalismo globale - Zambon editore. Chi
sono i creatori e i
finanziatori delle ONG, chi le dirige, che mestiere facevano
precedentemente costoro? Fra i tanti casi indagati mi ha colpito quello
di Haiti del dopo terremoto di dieci anni fa, uno dei Paesi più poveri
del mondo. Dove, a fronte di una popolazione di circa 11 milioni di
abitanti, operano n° 10.000 ONG, una ogni 1.100 abitanti. Un record
mondiale. Che ci sarà mai ad Haiti di così importante? Che progetti ha
il capitalismo americano per Haiti? Ovviamente la risposta la si trova
leggendo il libro e non la svelo. Scrive l'autrice: “Con tutti i
miliardi che ogni anno le fondazioni filantropiche e le ONG spendono per
aiutare i poveri, non ci dovrebbe essere più un emigrante sulla faccia
della terra. A spostarsi da un Paese all'altro dovrebbero essere rimasti
solo i filantropi , i turisti e i laureati e ricercatori italiani”.
Quando ero giovane un libretto del genere sarebbe stato definito di
controinformazione. Invece, due persone di sinistra appena sentito il
titolo hanno storto il naso. Una terza mi ha detto che, con Salvini
all'attacco delle ONG, questo libro è “inopportuno”. Ma la verità
è ancora rivoluzionaria?
Torino, 19 dicembre 2018
Cesare Allara
Note
(1)
Il migliorismo è una corrente politica che si pone all'estrema
destra all'interno del PCI.
L'obiettivo è di far abbandonare al partito l'ideologia marxista e
migliorare con riforme il capitalismo. Dopo la morte di Berlinguer (11
giugno 1984) i miglioristi
diventano la netta maggioranza nel partito e propongono l'unificazione
col PSI e col PSDI, che non si farà a causa dello scoppio dello scandalo
di Tangentopoli. Il leader di questa corrente è sempre stato Giorgio
Napolitano. Altri
miglioristi famosi sono stati o sono tuttora: Giorgio Amendola,
Giancarlo Pajetta, Paolo Bufalini, Mario Alicata, Nilde Iotti, Luciano
Lama, Gerardo Chiaromonte, Napoleone Colajanni, Gianni Cervetti, Achille
Occhetto, Piero Fassino, Enrico Morando, Sandro Bondi …
(2) Una parte
dell'intervento di Giovanni
Falcone si può ascoltare
nei dvd di Pietro Perotti
FIAT autunno 80, per non dimenticare e Senza chiedere
permesso.
(3)
Berluskaiser del Tuben,
Berluskaz , due dei tanti nomignoli con cui Umberto Bossi, leader della
Lega Nord, bersagli ain campagnelettorale il suo alleato Berlusconi.
Il nuovo presidente del Consiglio Lamberto Dini fu battezzato il
rospo. Il dilemma della sinistra era : gioire per la caduta di
Berlusconi e baciare il
rospo Dini oppure gioire ma
non baciare il rospo.
(4)
Il Patto dei Democratici era una coalizione elettorale composta
da Alleanza Democratica di Willer Bordon, Patto Segni e Socialisti
Italiani guidati da Enrico Boselli.
(5) Vedere ad esempio
prefazione di Cesare Allara
a Paolo Borgognone, L'immagine sinistra della globalizzazione.
Critica del radicalismo liberale, Zambon editore