INTERVISTA AD ENRICO DI
COLA, ANARCHICO.
D: ENRICO DI COLA. UN
NOME CHE NON DIRA' NULLA A MOLTI MA CHE QUALCUNO ANCORA RICORDA. VUOI
PRESENTARTI?
Vorrei ringraziarti per
avermi dato questa opportunità di raccontare la storia mia e dei miei
compagni. Purtroppo ancora oggi sono molti – anche a sinistra - che
raccontano la nostra storia senza nemmeno disturbarsi a chiederci
conferme o smentite sui fatti o senza avere avuto perlomeno la decenza
di verificare le nostre dichiarazioni testimoniali o i documenti che
abbiamo pubblicato sul blog della nostra associazione. Da ormai tre anni
esiste un nostro Blog (http://stragedistato.wordpress.com/) dove si
possono trovare documenti e testimonianze dei compagni che hanno vissuto
sulla loro pelle quella tremenda esperienza. Vi sono non solo le nostre
testimonianze individuali, personali, ma soprattutto vi sono – per la
prima volta - le nostre testimonianze collettive sulla ricostruzioni dei
fatti, e anche le nostre prese di posizione ufficiali su molte questioni
controverse che da 43 anni ci perseguitano e pesano sullo stomaco.
Nonostante questo, la cosa incredibile (fino ad un certo punto) è che si
seguitano a scrivere e dire su di noi cose non vere e infami menzogne
Per rispondere alla tua
domanda posso dire che il mio “chi sono” lo posso sintetizzare in poche
parole: nel 1969 ero uno studente diciottenne, un compagno che faceva
parte del circolo 22 marzo di Roma. Il circolo con Pietro Valpreda per
intenderci.
La mia casa fu
perquisita ed io venni fermato dai carabinieri la sera del 12 dicembre,
a poche ore dallo scoppio delle bombe. Fui sottoposto ad un lunghissimo
interrogatorio, condito di botte e minacce di morte, nel vano tentativo
di farmi firmare un verbale in cui avrei dovuto dire che avevo visto
Valpreda partire per Milano con una scatola per le scarpe piena di
esplosivo. Questo è un dettaglio non secondario perchè questo avveniva
il 13 dicembre, cosa che smentisce quanto le autorità hanno sempre
sostenuto: cioè che di Valpreda si sia iniziato a parlare solo il 15
dicembre e non prima.
Comunque fui rilasciato
e potei raccontare ai miei compagni di questo “strano” interrogatorio.
Il 16 dicembre, dopo la morte di Pinelli e l’arresto di Valpreda, fui
chiamato da alcuni compagni per dare un’intervista a Paese Sera, per
spiegare chi eravamo (ma il giornale non pubblicò mai le cose che
dissi). Quella sera andai a dormire a casa dei compagni che mi avevano
telefonato e la mattina successiva, quando telefonai a casa per dire che
stavo per tornare, seppi che la polizia era venuta a cercarmi. Da quel
momento iniziarono i miei due anni di latitanza in Italia prima di poter
raggiungere la Svezia dove chiesi ed ottenni – primo e forse unico
cittadino italiano – l’asilo politico.
Questa mia storia spiega
anche perché il mio nome sia poco conosciuto: non essendo andato in
galera assieme agli altri, il mio nome non figurava tra quelli di cui i
compagni in tutte le piazze d’Italia chiedevano la liberazione. Non
venni neanche arrestato dagli svedesi perchè l’Italia si dimenticò di
chiedere – o più probabilmente scelse di non chiedere – la mia
estradizione nonostante la lettera pubblica di sfida che inviai alle
autorità italiane in tal senso. Permettimi di dire che in fondo sono
contento che il mio nome sia poco conosciuto perchè questo mi ha
permesso di vivere una vita più normale, più anonima, rispetto a quelle
degli altri compagni che invece hanno dovuto portare il peso di quelle
tremende accuse su di loro, sul loro nome.
Enrico di Cola insieme a Pietro Valpreda |
D: QUANDO ADERISTI AL
GRUPPO 22 MARZO?
Una precisazione: stiamo
parlando del gruppo 22 marzo in numeri arabi e non quello in numeri
romani. Il XXII marzo era un gruppo creato dai fascisti nel ’68 per
infiltrarsi nel movimento studentesco. Gruppo che ebbe vita breve e si
disciolse dopo un paio di mesi. Il 22 marzo di cui stiamo parlando,
quello anarchico e di cui io fui tra i fondatori, nasce nel novembre del
’69. La presenza dell’infiltrato fascista Mario Merlino tra di noi, che
era stato presente anche nel XXII marzo, è servito alle forze della
repressione per creare confusione, per poterci infamare su una nostra
presunta ambiguità politica, nel tentativo – solo inizialmente e in
parte andato in porto - di isolarci e accusare di quell’orrendo massacro
che è stato la strage di stato di piazza Fontana.
D: MOLTI HANNO SEMPRE
AFFERMATO CHE L'ALLORA 22 MARZO ERA IN FORTE CONTRASTO CON IL CIRCOLO
MILANESE DEL PONTE DELLA GHISOLFA PER IL MODO DIFFERENTE DI VEDERE
L'ANARCHISMO. PUOI CONFERMARE?
Il 22 marzo era un
gruppo che si trovava a Roma, per cui è davvero difficile sostenere che
potessimo avere dei contrasti con un gruppo che si trovava a Milano. Il
tempo trascorso e la riscrittura storica della nostra esperienza
politica che si è intensificata in questi ultimi anni (forse non
casualmente dopo la morte di Valpreda) tendono a confondere le acque,
per cui mi sembra necessario perdere qualche minuto per fare chiarezza
su questo punto.
Noi abbiamo avuto dei
contrasti a Roma con il gruppo Bakunin che aderiva alla FAI. Noi eravamo
in stragrande maggioranza studenti medi “cresciuti” nelle lotte
studentesche del ’68 per cui la nostra prassi politica era
essenzialmente “movimentista” in quanto volevamo essere e lo eravamo,
presenti in tutte le lotte che si svolgevano sul territorio cittadino.
Il nostro attivismo si svolgeva soprattutto nelle lotte studentesche e
al fianco di compagni di ogni tendenza politica di sinistra. Questo
nostro modo di porci non era ben visto dai compagni della FAI romana (si
era ancora al ritornello che non potevamo lottare assieme a chi ci aveva
massacrati in Spagna o in Russia, per capirci). L’altro punto che ci
separava da loro era il fatto che noi ci rifiutavamo di separare i
compagni tra simpatizzanti e militanti: per noi chi lottava al nostro
fianco e cresceva di coscienza politica assieme a noi, era un compagno a
tutti gli effetti, aveva stessi diritti di tutti gli altri. Se non si
sottolinea adeguatamente che eravamo ancora nell’onda lunga dei sogni di
rivolta del ’68 non si può capire bene il perché della nostra ribellione
anche alle “regole” e alle “burocrazie” che vigevano pure tra gli
anarchici della FAI. I giovani anarchici della FAI avevano cercato di
rompere certi schemi creando la FAGI che poneva molte delle nostre
tematiche.
Considerando che nessuno
di noi aderiva alla FAI o alla FAGI ci parve normale ed ovvio, proprio
per queste differenze tra noi e i compagni del Bakunin, decidere di
cercare una nostra strada autonoma piuttosto che continuare quella
convivenza forzata.
Anche qui una
precisazione: si è sempre parlato di “scissione” tra noi e il Bakunin,
ma sarebbe tempo che qualcuno ci spiegasse come sia possibile fare una
scissione da qualcosa a cui non ci si è mai aderito, a cui non ci si è
mai uniti! La realtà è molto semplice: all’epoca vi era a Roma un unico
gruppo anarchico, quello del Bakunin, ed è quindi naturale che i
compagni anarchici di Roma, di qualsiasi tendenza fossero, facessero
riferimento a quel locale come punto di incontro. Tutto qui.
Torniamo ora al punto
che riguarda il Ponte della Ghisolfa. L’unico di noi che avesse
frequentato il Ponte era ovviamente Pietro Valpreda prima che si
trasferisse a vivere a Roma. Ci sono dei compagni anarchici che ancora
oggi sostengono che ci fu un presunto “allontanamento” di Valpreda dal
Ponte. Siccome una menzogna non diventa verità solo perché la si ripete
da oltre 43 anni mi sembra corretto citare quello che ha scritto, poco
prima di morire, un testimone diretto di quel fatto, il compagno Paolo
Braschi: “... Per Pinelli affermiamo che quel pomeriggio è andato
esattamente come lui ha raccontato, che lui fosse contrario alle azioni
dirette dimostrative con botti o esplosivi. Io stesso ho assistito ad un
episodio nell'aprile del 69 a Milano in occasione di un convegno degli
studenti anarchici al Ponte della Ghisolfa che vedeva proprio Valpreda
ed altri giovani di Milano discutere per andare a tirare una molotov al
Fronte della Gioventù quale ritorsione per quanto successo in precedenza
all'Albergo Commercio occupato proprio in piazza Fontana. Pinelli li
sentì ed intervenne invitandoli ad abbandonare la sede perchè contrario
ad ogni tipo di azione del genere. Gli stessi discussero a più riprese
tutto il giorno non sapendo decidersi. Alla fine la molotov fu lanciata
su un portone di una chiesa senza causare danni”. Quello che Braschi non
ha avuto il tempo di scrivere – ma fortunatamente ci ha raccontato - è
che Pinelli chiese, giustamente, ai compagni di uscire dalla sede mentre
discutevano di quelle cose perché lui non voleva sentirne parlare, ma
che quegli stessi compagni poi tornarono nella sede senza alcun
problema. Si era trattato solamente di un allontanamento “provvisorio”
se così possiamo dire, Pinelli non voleva sapere o essere coinvolto o
che il circolo fosse in qualche modo coinvolto in un’azione cui era
contrario. Nulla più di questo. D’altra parte se uno ci riflette un
momento, sarebbe davvero curioso che un anarchico – non stiamo parlando
di un partito dove esistono gerarchie di comando -, da solo e senza
consultarsi con nessuno, possa decidere chi frequenti o meno una sede.
Che queste cazzate le scrivano magistrati, poliziotti o pennivendoli è
normale, il loro mestiere è quello di intorpidire le acque, di mentire
scientemente, ma che dei compagni possano sostenere assurdità del genere
senza arrossire almeno un po’ è davvero inaccettabile. Io e Gargamelli
siamo testimoni, - per esserci stati assieme a Valpreda, - di come
ancora nell’ottobre del ’69 Valpreda venisse accolto con calore dai
compagni del Ponte. Tra l’altro proprio con Pinelli ci eravamo accordati
perchè ci inviasse il materiale anarchico che veniva prodotto a Milano.
D: LO HAI CONOSCIUTO E
FREQUENTATO. UN TUO RICORDO DI PIETRO VALPREDA.
Con Pietro è stato, se
così si può dire, un amore a prima vista. Quando ho conosciuto Pietro al
Bakunin che - ribadisco - allora era l’unica sede anarchica romana, dopo
poche ore stavamo già organizzando lo sciopero della fame che portammo
avanti assieme al compagno di Milano Leonardo Claps davanti al
“Palazzaccio” di Roma, in solidarietà coi compagni ingiustamente
incarcerati a Milano da alcuni mesi, con le infami accuse degli
attentati ai treni dell’8 agosto e quelli alla Fiera di Milano del 25
aprile (le bombe per cui molti anni dopo saranno condannati in via
definitiva i fascisti Freda e Ventura).
Pietro era un compagno
che aveva una vasta conoscenza delle idee e della storia anarchica ed
era anche un militante, un compagno più grande di noi ma che viveva
all’interno del contesto e della cultura del ’68, per cui ci si sentiva
a proprio agio con lui e non si sentiva affatto quella differenza di
età. Come noi, credeva fosse importante e giusto provare le nostre
teorie, le idee, direttamente sul terreno pratico, assieme alla gente.
Era uno spirito libero, generoso, pieno di idee e di vita, ma anche
capace di interrogarsi e mettersi in discussione. Per farti capire la
persona, quando una volta successe che qualche compagno lo accusò di
fare “il leader” del gruppo, lui immediatamente iniziò ad interrogarsi
su quello che poteva esserci di vero e fece subito due passi indietro,
per lasciarci più liberi di decidere da soli.
D: QUANDO IL 22 MARZO FU
COINVOLTO NELLE BOMBE DI ROMA E MILANO, QUALE FU LA TUA REAZIONE?
Come ti ho detto, io fui
tra i primi fermati del gruppo e su di me i carabinieri fecero subito
pressioni perché puntassi il dito contro Valpreda. Io, come tanti altri
compagni del gruppo, passavamo molte ore assieme a Pietro a parlare di
politica, della vita, dei nostri sogni, per cui ovviamente non potevo
che essere certo che fosse innocente e che fosse in atto una caccia alle
streghe contro gli anarchici. In quei primi giorni mi sembrò chiaro che
la polizia aveva puntato su di noi, anche se, in un primo tempo almeno,
pensavo che la cosa si sarebbe risolta mettendo in galera alcuni di noi
e dopo magari qualche mese o anno ci avrebbero rilasciato con tante
scuse. Le cose non sono andate esattamente così ma neanche in modo tanto
differente.
Essendo diventato un
latitante già dopo i primissimi giorni (dal 16 dicembre), e avendo
dovuto tagliare tutti i miei contatti con gli ambienti anarchici (dove
maggiormente le forze del disordine mi andavano cercando e dove
continuavano a colpire con perquisizioni e fermi) l’unica mia risorsa
per seguire gli sviluppi del caso furono i quotidiani. Ammetto che tutta
quella mole di merda che ci gettarono addosso fin dal primo istante –
per quanto assurda fosse - mi fece comunque riflettere molto.
Soprattutto quando lessi la durissima presa di posizione della FAI/FAGI
romana e del Lazio. E se ci fosse stato qualcosa di vero in quanto
andavano scrivendo anche i compagni anarchici? Lo so, può sembrare
assurdo, e ancor più se si pensa che tranne le poche ore in cui andavo a
scuola – le rare volte che ci andavo - il resto del tempo lo
trascorrevo fino a notte inoltrata, assieme ai compagni e Pietro. Quindi
era semplicemente impossibile che potesse succedere qualcosa che io non
sapessi. Però, seppure solo per pochi giorni, il mio cervello era
costantemente impegnato ad esaminare le notizie riportate da giornali
per analizzarle sulla base di quanto a mia conoscenza per poterle così
eliminare. Non avendo vicino a me nessun compagno con cui parlare o
discutere tutto mi sembrava deformato e ingigantito… poi capii che forse
era questo che il potere cercava di fare, voleva farci sentire soli,
metterci paura e isolarci per poterci usare come capri espiatori. Se
addirittura io, che avevo militato a tempo pieno nel gruppo, ero
riuscito a farmi passare qualche ombra di sospetto nel cervello voleva
dire che il martellamento della stampa, dei media in generale, che
riportava acriticamente le veline della questura, stavano svolgendo
egregiamente il loro sporco lavoro di disinformazione di massa. Molta di
quella merda è rimasta sospesa nell’aria fino ad oggi ed è per questo
motivo che abbiamo deciso che era giunto il tempo di fare pulizia, di
spazzare via una volta per tutte quelle nubi che hanno impedito di far
conoscere la nostra vera storia.
D: QUALI FURONO LE
CONSEGUENZE PERSONALI CHE SUBISTI A QUEI TEMPI E ANCHE DOPO?
Perquisizione,
interrogatorio duro, minacce di morte, minacce ai miei familiari,
compagni assassinati, due anni di vita chiuso in appartamenti dove a
volte non avevo nessuno con cui parlare. Poi l’esilio, il dolore di
dover abbandonare la mia famiglia e i compagni senza sapere quando e se
fossi potuto rientrare. Tre mandati di cattura sulla testa di cui
l’ultimo (renitenza alla leva) estinto solo al mio 55esimo anno di età.
Una vita distrutta a 18 anni prima, una vita da inventarsi dopo. Ti dico
solo questo: ho potuto riabbracciare mia madre soltanto dopo il
compimento dei 21 anni, quando lei poté finalmente ottenere un
passaporto. Le “autorità” glielo rifiutavano perché vedova con un figlio
minore a carico. La legge di allora le vietava di andare all'estero
lasciando in Italia il figlio minore. Peccato che il figlio minore ero
io e che vivevo in Svezia! La polizia e la magistratura impedirono
persino il rilascio dei miei titoli di studio per cui fui costretto a
riprendere l’equivalente della licenza media frequentando dei corsi
nella scuola svedese, per poter proseguire (cioè reiniziare) qualsiasi
tipo di studio. Passare anni e anni senza una sicurezza sul domani (la
spada di damocle dell’estradizione), doversi sempre guardare le spalle,
sono cose che non si possono dimenticare facilmente e che ti marchiano
per sempre. La mia vita, i miei primi 18 anni, furono distrutti
completamente, e fui costretto a reinventarmi una vita all’estero.
Ancora oggi vivo all’estero, anche se per mia scelta.
D: IL LAVORO DI
CONTROINFORMAZIONE CHE PRODUSSE 'LA STRAGE DI STATO' AIUTO' MOLTI
COMPAGNI A QUEL TEMPO DISORIENTATI, A CAPIRE LE TRAME DI QUEL DISEGNO
EVERSIVO CHE PRODUSSE LA STRATEGIA DELLA TENSIONE PRIMA E CHE DOVEVA
AVVALORARE LA TEORIA DEGLI OPPOSTI ESTREMISMI DOPO. TI SEI MAI CHIESTO
SE QUESTO LAVORO NON FOSSE STATO MAI FATTO, COME SAREBBE CAMBIATA LA
STORIA?
Il lavoro di
controinformazione non mi era estraneo già prima del 12 dicembre.
Infatti gli anarchici – con la Crocenera – furoni i primi a lavorare su
questa linea per i compagni arrestati per gli attentati fascisti di
aprile e agosto (il bollettino ci veniva inviato da Pinelli). Già una
decina di giorni dopo le bombe ero entrato in contatto con Marco Ligini
e con lui avevo iniziato a collaborare nella raccolta di informazioni.
Poi lavorai anche con il mio avvocato, il compagno Eduardo Di Giovanni,
sia vagliando quanto appariva sulla stampa della destra estrema sia
dando valutazioni sugli interrogatori dei vari compagni ecc.
Non vi è dubbio alcuno
che il lavoro collettivo di ricerca e analisi di migliaia di compagni
senza nome che si concretizzò nel libro “la strage di stato” è stato
fondamentale per far capire prima di tutto alla sinistra cosa stava
realmente accadendo e poi trasformare la verità della nostra innocenza
in consapevolezza di massa. Senza quel libro, senza quel lavoro corale,
probabilmente oggi racconteremo una storia molto diversa.
Vorrei aggiungere una
cosa che non riguarda ieri ma l’oggi, se mi permetti. Da alcuni anni si
vede un nuovo tentativo di criminalizzazione degli anarchici e più in
generale di tutti coloro che osano ribellarsi contro lo status quo
esistente. Ecco, mi chiedo come mai e perchè la sinistra – quello che
rimane della sinistra di classe almeno – non sia riuscita a cogliere
questo aspetto e non si sia impegnata unitariamente nella difesa dei
compagni incarcerati producendo nuovamente controinformazione. Eppure
non è così difficile capire che se non si è uniti..vince il padrone
(come diceva una vecchia canzone)
D: COSA HA LASCIATO IN
EREDITA' PINO PINELLI?
Parlare di Pino Pinelli,
nonostante siano passati tanti anni dalla sua morte, è per me sempre un
dolore. Prima di tutto vorrei ricordare che l’assassinio di Pino è stato
probabilmente il primo e più grosso errore della polizia. Sono le
modalità della morte di Pinelli che aprono il primo vero squarcio nella
montatura antianarchica e che permetteranno poi di portare alla
mobilitazione anche di tanti democratici per far luce sulle cause della
sua morte.
Pino e Pietro Valpreda
erano perseguitati e nel mirino della squadra politica di Milano sin dai
tempi delle bombe del 25 aprile. La storia, l’arresto di Pietro e la
morte di Pino sono la diretta conseguenza di quelle persecuzioni
poliziesche. Senza gli arresti degli anarchici per gli attentati del 25
aprile alla Fiera di Milano e quelli dell’8 agosto ai treni
probabilmente avremmo visto un altro film. La montatura poliziesca, la
trappola contro di loro, iniziano in quel frangente e si concludono con
la strage del 12 dicembre. Bisogna studiarle, leggere assieme quelle
azioni di repressione e provocazione portate avanti dalla Questura di
Milano e dalla Magistratura per poter capire cosa avviene veramente il
15 dicembre e che porta alla morte di Pino e l’arresto di Pietro per la
strage.
Sulla figura di Pino ho
poco o nulla di aggiungere a quello che in tutti questi anni è stato
scritto e detto, alla posizione di rispetto per la sua militanza
politica e per la sua grande umanità. Se devo essere sincero però, credo
che della sua eredità sia, purtroppo, restato poco. E' stato troppo
“santificato” e poco “imitato” o seguito nei suoi insegnamenti,
arrivando persino, in qualche modo, a deformare la sua identità
politica. Pino era un compagno sincero, aperto, amava confrontarsi al di
fuori dello steccato “identitario” che ancora oggi tra gli anarchici
provoca delle assurde divisioni tra fratelli di idee (frequentava non a
caso due diverse sedi anarchiche) , non apparteneva alla FAI come molti
credono ma aveva aderito ai GIA (Gruppi di Iniziativa Anarchica, che
oggi non esistono più), aveva intuito la necessità di dotarsi di uno
strumento adeguato per la controinformazione e la difesa dei compagni
detenuti (la Crocenera anarchica) e tante altre cose ancora. Le cose
lasciateci in eredità, a mio modesto avviso, sono davvero tante, quello
che non vedo è dove siano oggi i suoi “eredi”. E questo fa male.
D: IL MODO DI FARE
POLITICA MILITANTE E' FORTEMENTE CAMBIATO. SECONDO IL TUO PARERE, C'E'
CONSAPEVOLEZZA MAGGIORE OPPURE SI SONO PERDUTI STIMOLI ED ENTUSIASMI CHE
NEGLI ANNI '70 SONO STATI LA RAGIONE DI MOLTI GIOVANI?
Forse sono pessimista e
forse non conosco bene la situazione italiana (anche se la situazione
non è molto dissimile in altri paesi europei) ma ho la netta,
spiacevole, sensazione di un forte arretramento politico. Da una parte
si osa poco, si ha paura di realizzare le proprie utopie, dall’altra ci
si getta sulla linea del fuoco in maniera troppo impavida e generosa. In
qualche modo credo che anche alcuni “valori” negativi di questa società
siano stati intrinsecati nel vivere politico del militante di oggi. Si
ha paura di sperare davvero in un futuro migliore, di tentare la
conquista del cielo, non si combatte a sufficienza quel “celerino” che è
nella nostra testa, non si infrange con sufficiente vigore la muraglia
che ci tiene separati l’uno dall’altro che ci rinchiude nel nostro
piccolo fortino egoistico e individuale. E’ come se ci si sentisse soli
anche quando si lotta in compagnia, assieme ai propri compagni. E’
terribile. Ma capisco bene che per noi era tutto più facile, la voglia
di cambiare, di modificare la società, di voler fare la rivoluzione (e
subito!) era qualcosa che respiravamo nell’aria, condividevamo gli
stessi sogni di un mondo migliore. Quelli della mia generazione hanno
fallito nel realizzare i propri sogni, e per questo, a maggior ragione
hanno l’obligo politico di sostenere, di essere vicini, di non lasciare
soli i giovani militanti di oggi che in condizioni oggettivamente più
dure si, ma non sfavorevoli se pensiamo al livello della crisi mondiale,
stanno combattendo.
D: L'ANARCHIA E' PER TE
UN SOGNO RIMASTO APPESO, OPPURE UNA RAGIONE DI CONTINUARE A COMBATTERE?
Non ho mai smesso di
combattere contro il capitalismo ed il potere, non mi sono mai chiuso in
casa. Sono sempre stato al fianco di chiunque si battesse per una
società di liberi ed uguali, contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Molto è cambiata la
società di oggi rispetto a quella che ho combattuto quando avevo 18
anni, ma le ragioni di quella lotta, di quella utopia di liberazione
umana universale non sono cambiate affatto. Anzi oggi la povertà, lo
sfruttamento, la disperazione, il controllo sociale, la repressione, la
tortura legalizzata sono ancor più duri e generalizzati che mai e quindi
le ragioni per continuare a combattere sono ancora più profonde di ieri.
Mi considero ancora un anarchico, ma credo anche – come tanti anni fa -
che le “etichette” siano uno dei tanti mali che affliggono la sinistra.
Ero e sono un compagno che, innanzitutto, vuole sconvolgere fin dalle
fondamenta questa società, e vuole ancora credere che l’atto
rivoluzionario sia ancora possibile e necessario per distruggere lo
stato. Rivendico il mio radicalismo e sovversivismo al fianco di
chiunque - qualunque sia il mezzo di lotta che scelga - lotti per un
mondo migliore.
foto del gruppo 22 marzo