OFF TOPIC


                   NON SOLO CUBA

 


 

 

INTERVISTA AD ENRICO DI COLA, ANARCHICO.

 

 

D: ENRICO DI COLA. UN NOME CHE NON DIRA' NULLA A MOLTI MA CHE QUALCUNO ANCORA RICORDA. VUOI PRESENTARTI?

Vorrei ringraziarti per avermi dato questa opportunità di raccontare la storia mia e dei miei compagni. Purtroppo ancora oggi sono molti – anche a sinistra - che raccontano la nostra storia senza nemmeno disturbarsi a chiederci conferme o smentite sui fatti o senza avere avuto perlomeno la decenza di verificare le nostre dichiarazioni testimoniali o i documenti che abbiamo pubblicato sul blog della nostra associazione. Da ormai tre anni esiste un nostro Blog (http://stragedistato.wordpress.com/) dove si possono trovare documenti e testimonianze dei compagni che hanno vissuto sulla loro pelle quella tremenda esperienza. Vi sono non solo le nostre testimonianze individuali, personali, ma soprattutto vi sono – per la prima volta - le nostre testimonianze collettive sulla ricostruzioni dei fatti, e anche le nostre prese di posizione ufficiali su molte questioni controverse che da 43 anni ci perseguitano e pesano sullo stomaco. Nonostante questo, la cosa incredibile (fino ad un certo punto) è che si seguitano a scrivere e dire su di noi cose non vere e infami menzogne

Per rispondere alla tua domanda posso dire che il mio “chi sono” lo posso sintetizzare in poche parole: nel 1969 ero uno studente diciottenne, un compagno che faceva parte del circolo 22 marzo di Roma. Il circolo con Pietro Valpreda per intenderci.

La mia casa fu perquisita ed io venni fermato dai carabinieri la sera del 12 dicembre, a poche ore dallo scoppio delle bombe. Fui sottoposto ad un lunghissimo interrogatorio, condito di botte e minacce di morte, nel vano tentativo di farmi firmare un verbale in cui avrei dovuto dire che avevo visto Valpreda partire per Milano con una scatola per le scarpe piena di esplosivo. Questo è un dettaglio non secondario perchè questo avveniva il 13 dicembre, cosa che smentisce quanto le autorità hanno sempre sostenuto: cioè che di Valpreda si sia iniziato a parlare solo il 15 dicembre e non prima.

Comunque fui rilasciato e potei raccontare ai miei compagni di questo “strano” interrogatorio. Il 16 dicembre, dopo la morte di Pinelli e l’arresto di Valpreda, fui chiamato da alcuni compagni per dare un’intervista a Paese Sera, per spiegare chi eravamo (ma il giornale non pubblicò mai le cose che dissi). Quella sera andai a dormire a casa dei compagni che mi avevano telefonato e la mattina successiva, quando telefonai a casa per dire che stavo per tornare, seppi che la polizia era venuta a cercarmi. Da quel momento iniziarono i miei due anni di latitanza in Italia prima di poter raggiungere la Svezia dove chiesi ed ottenni – primo e forse unico cittadino italiano – l’asilo politico.

Questa mia storia spiega anche perché il mio nome sia poco conosciuto: non essendo andato in galera assieme agli altri, il mio nome non figurava tra quelli di cui i compagni  in tutte le piazze d’Italia chiedevano la liberazione. Non venni neanche arrestato dagli svedesi perchè l’Italia si dimenticò di chiedere – o più probabilmente scelse di non chiedere – la mia estradizione nonostante la lettera pubblica di sfida che inviai alle autorità italiane in tal senso. Permettimi di dire che in fondo sono contento che il mio nome sia poco conosciuto perchè questo mi ha permesso di vivere una vita più normale, più anonima, rispetto a quelle degli altri compagni che invece hanno dovuto portare il peso di quelle tremende accuse su di loro, sul loro nome.

Enrico di Cola insieme a Pietro Valpreda

D: QUANDO ADERISTI AL GRUPPO 22 MARZO?

Una precisazione: stiamo parlando del gruppo 22 marzo in numeri arabi e non quello in numeri romani. Il XXII marzo era un gruppo creato dai fascisti nel ’68 per infiltrarsi nel movimento studentesco. Gruppo che ebbe vita breve e si disciolse dopo un paio di mesi. Il 22 marzo di cui stiamo parlando, quello anarchico e di cui io fui tra i fondatori, nasce nel novembre del ’69. La presenza dell’infiltrato fascista Mario Merlino tra di noi, che era stato presente anche nel XXII marzo, è servito alle forze della repressione per creare confusione, per poterci infamare su una nostra presunta ambiguità politica, nel tentativo – solo inizialmente e in parte andato in porto - di isolarci e accusare di quell’orrendo massacro che è stato la strage di stato di piazza Fontana.

 

D: MOLTI HANNO SEMPRE AFFERMATO CHE L'ALLORA 22 MARZO ERA IN FORTE CONTRASTO CON IL CIRCOLO MILANESE DEL PONTE DELLA GHISOLFA PER IL MODO DIFFERENTE DI VEDERE L'ANARCHISMO. PUOI CONFERMARE?

Il 22 marzo era un gruppo che si trovava a Roma, per cui è davvero difficile sostenere che potessimo avere dei contrasti con un gruppo che si trovava a Milano. Il tempo trascorso e la riscrittura storica della nostra esperienza politica che si è intensificata in questi ultimi anni (forse non casualmente dopo la morte di Valpreda) tendono a confondere le acque, per cui mi sembra necessario perdere qualche minuto per fare chiarezza su questo punto.

Noi abbiamo avuto dei contrasti a Roma con il gruppo Bakunin che aderiva alla FAI. Noi eravamo in stragrande maggioranza studenti medi “cresciuti” nelle lotte studentesche del ’68 per cui la nostra prassi politica era essenzialmente “movimentista” in quanto volevamo essere e lo eravamo, presenti in tutte le lotte che si svolgevano sul territorio cittadino. Il nostro attivismo si svolgeva soprattutto nelle lotte studentesche e al fianco di compagni di ogni tendenza politica di sinistra. Questo nostro modo di porci non era ben visto dai compagni della FAI romana (si era ancora al ritornello che non potevamo lottare assieme a chi ci aveva massacrati in Spagna o in Russia, per capirci). L’altro punto che ci separava da loro era il fatto che noi ci rifiutavamo di separare i compagni tra simpatizzanti e militanti: per noi chi lottava al nostro fianco e cresceva di coscienza politica assieme a noi, era un compagno a tutti gli effetti, aveva stessi diritti di tutti gli altri. Se non si sottolinea adeguatamente che eravamo ancora nell’onda lunga dei sogni di rivolta del ’68 non si può capire bene il perché della nostra ribellione anche alle “regole” e alle “burocrazie” che vigevano pure tra gli anarchici della FAI. I giovani anarchici della FAI avevano cercato di rompere certi schemi creando la FAGI che poneva molte delle nostre tematiche.

Considerando che nessuno di noi aderiva alla FAI o alla FAGI ci parve normale ed ovvio, proprio per queste differenze tra noi e i compagni del Bakunin,  decidere di cercare una nostra strada autonoma piuttosto che continuare quella convivenza forzata.

Anche qui una precisazione: si è sempre parlato di “scissione” tra noi e il Bakunin, ma sarebbe tempo che qualcuno ci spiegasse come sia possibile fare una scissione da qualcosa a cui non ci si è mai aderito, a cui non ci si è mai uniti! La realtà è molto semplice: all’epoca vi era a Roma un unico gruppo anarchico, quello del Bakunin, ed è quindi naturale che i compagni anarchici di Roma, di qualsiasi tendenza fossero, facessero riferimento a quel locale come punto di incontro. Tutto qui.

Torniamo ora al punto che riguarda il Ponte della Ghisolfa. L’unico di noi che avesse frequentato il Ponte era ovviamente Pietro Valpreda prima che si trasferisse a vivere a Roma. Ci sono dei compagni anarchici che ancora oggi sostengono che ci fu un presunto “allontanamento” di Valpreda dal Ponte. Siccome una menzogna non diventa verità solo perché la si ripete da oltre 43 anni mi sembra corretto citare quello che ha scritto, poco prima di morire, un testimone diretto di quel fatto, il compagno Paolo Braschi: “... Per Pinelli affermiamo che quel pomeriggio è andato esattamente come lui ha raccontato, che lui fosse contrario alle azioni dirette dimostrative con botti o esplosivi. Io stesso ho assistito ad un episodio nell'aprile del 69 a Milano in occasione di un convegno degli studenti anarchici al Ponte della Ghisolfa che vedeva proprio Valpreda ed altri giovani di Milano discutere per andare a tirare una molotov al Fronte della Gioventù quale ritorsione per quanto successo in precedenza all'Albergo Commercio occupato proprio in piazza Fontana. Pinelli li sentì ed intervenne invitandoli ad abbandonare la sede perchè contrario ad ogni tipo di azione del genere. Gli stessi discussero a più riprese tutto il giorno non sapendo decidersi. Alla fine la molotov fu lanciata su un portone di una chiesa senza causare danni”. Quello che Braschi non ha avuto il tempo di scrivere – ma fortunatamente ci ha raccontato - è che Pinelli chiese, giustamente, ai compagni di uscire dalla sede mentre discutevano di quelle cose perché lui non voleva sentirne parlare, ma che quegli stessi compagni poi tornarono nella sede senza alcun problema. Si era trattato solamente di un allontanamento “provvisorio” se così possiamo dire, Pinelli non voleva sapere o essere coinvolto o che il circolo fosse in qualche modo coinvolto in un’azione cui era contrario. Nulla più di questo. D’altra parte se uno ci riflette un momento, sarebbe davvero curioso che un anarchico – non stiamo parlando di un partito dove esistono gerarchie di comando -, da solo e senza consultarsi con nessuno, possa decidere chi frequenti o meno una sede.  Che queste cazzate le scrivano magistrati, poliziotti o pennivendoli è normale, il loro mestiere è quello di intorpidire le acque, di mentire scientemente, ma che dei compagni possano sostenere assurdità del genere senza arrossire almeno un po’ è davvero inaccettabile. Io e Gargamelli siamo testimoni,  - per esserci stati assieme a Valpreda, - di come ancora nell’ottobre del ’69 Valpreda venisse accolto con calore dai compagni del Ponte. Tra l’altro proprio con Pinelli ci eravamo accordati perchè ci inviasse il materiale anarchico che veniva prodotto a Milano.

 

D: LO HAI CONOSCIUTO E FREQUENTATO. UN TUO RICORDO DI PIETRO VALPREDA.

Con Pietro è stato, se così si può dire, un amore a prima vista. Quando ho conosciuto Pietro al Bakunin che - ribadisco - allora era l’unica sede anarchica romana, dopo poche ore stavamo già organizzando lo sciopero della fame che portammo avanti assieme al compagno di Milano Leonardo Claps davanti al “Palazzaccio” di Roma, in solidarietà coi compagni ingiustamente incarcerati a Milano da alcuni mesi, con le infami accuse degli attentati ai treni dell’8 agosto e quelli alla Fiera di Milano del 25 aprile (le bombe per cui molti anni dopo saranno condannati in via definitiva i fascisti Freda e Ventura).  

Pietro era un compagno che aveva una vasta conoscenza delle idee e della storia anarchica ed era anche un militante, un compagno più grande di noi ma che viveva all’interno del contesto e della cultura del ’68, per cui ci si sentiva a proprio agio con lui e non si sentiva affatto quella differenza di età. Come noi, credeva fosse importante e giusto provare le nostre teorie, le idee, direttamente sul terreno pratico, assieme alla gente. Era uno spirito libero, generoso, pieno di idee e di vita, ma anche capace di interrogarsi e mettersi in discussione. Per farti capire la persona, quando una volta successe che qualche compagno lo accusò di fare “il leader” del gruppo, lui immediatamente iniziò ad interrogarsi su quello che poteva esserci di vero e fece subito due passi indietro, per lasciarci più liberi di decidere da soli.

 

D: QUANDO IL 22 MARZO FU COINVOLTO NELLE BOMBE DI ROMA E MILANO, QUALE FU LA TUA REAZIONE?

Come ti ho detto, io fui tra i primi fermati del gruppo e su di me i carabinieri fecero subito pressioni perché puntassi il dito contro Valpreda. Io, come tanti altri compagni del gruppo, passavamo molte ore assieme a Pietro a parlare di politica, della vita, dei nostri sogni, per cui ovviamente non potevo che essere certo che fosse innocente e che fosse in atto una caccia alle streghe contro gli anarchici. In quei primi giorni mi sembrò chiaro che la polizia aveva puntato su di noi, anche se, in un primo tempo almeno, pensavo che la cosa si sarebbe risolta mettendo in galera alcuni di noi e dopo magari qualche mese o anno ci avrebbero rilasciato con tante scuse. Le cose non sono andate esattamente così ma neanche in modo tanto differente.

Essendo diventato un latitante già dopo i primissimi giorni (dal 16 dicembre), e avendo dovuto tagliare tutti i miei contatti con gli ambienti anarchici (dove maggiormente le forze del disordine mi andavano cercando e dove continuavano a colpire con perquisizioni e fermi) l’unica mia risorsa per seguire gli sviluppi del caso furono i quotidiani. Ammetto che tutta quella mole di merda che ci gettarono addosso fin dal primo istante – per quanto assurda fosse - mi fece comunque riflettere molto. Soprattutto quando lessi la durissima presa di posizione della FAI/FAGI romana e del Lazio. E se ci fosse stato qualcosa di vero in quanto andavano scrivendo anche i compagni anarchici? Lo so, può sembrare assurdo, e ancor più se si pensa che tranne le poche ore in cui andavo a scuola – le rare volte che ci andavo -  il resto del tempo lo trascorrevo fino a notte inoltrata, assieme ai compagni e Pietro. Quindi era semplicemente impossibile che potesse succedere qualcosa che io non sapessi. Però, seppure solo per pochi giorni, il mio cervello era costantemente impegnato ad esaminare le notizie riportate da giornali per analizzarle sulla base di quanto a mia conoscenza per poterle così eliminare. Non avendo vicino a me nessun compagno con cui parlare o discutere tutto mi sembrava deformato e ingigantito… poi capii che forse era questo che il potere cercava di fare, voleva farci sentire soli, metterci paura e isolarci per poterci usare come capri espiatori. Se addirittura io, che avevo militato a tempo pieno nel gruppo, ero riuscito a farmi passare qualche ombra di sospetto nel cervello voleva dire che il martellamento della stampa, dei media in generale, che riportava acriticamente le veline della questura, stavano svolgendo egregiamente il loro sporco lavoro di disinformazione di massa. Molta di quella merda è rimasta sospesa nell’aria fino ad oggi ed è per questo motivo che abbiamo deciso che era giunto il tempo di fare pulizia, di spazzare via una volta per tutte quelle nubi che hanno impedito di far conoscere la nostra vera storia.

 

D: QUALI FURONO LE CONSEGUENZE PERSONALI CHE SUBISTI A QUEI TEMPI E ANCHE DOPO?

Perquisizione, interrogatorio duro, minacce di morte, minacce ai miei familiari, compagni assassinati, due anni di vita chiuso in appartamenti dove a volte non avevo nessuno con cui parlare. Poi l’esilio, il dolore di dover abbandonare la mia famiglia e i compagni senza sapere quando e se fossi potuto rientrare. Tre mandati di cattura sulla testa di cui l’ultimo (renitenza alla leva) estinto solo al mio 55esimo anno di età. Una vita distrutta a 18 anni prima, una vita da inventarsi dopo. Ti dico solo questo: ho potuto riabbracciare mia madre soltanto dopo il compimento dei 21 anni, quando lei poté finalmente ottenere un passaporto. Le “autorità” glielo rifiutavano perché vedova con un figlio minore a carico. La legge di allora le vietava di andare all'estero lasciando in Italia il figlio minore. Peccato che il figlio minore ero io e che vivevo in Svezia! La polizia e la magistratura impedirono persino il rilascio dei miei titoli di studio per cui fui costretto a riprendere l’equivalente della licenza media frequentando dei corsi nella scuola svedese, per poter proseguire (cioè reiniziare) qualsiasi tipo di studio. Passare anni e anni senza una sicurezza sul domani (la spada di damocle dell’estradizione), doversi sempre guardare le spalle, sono cose che non si possono dimenticare facilmente e che ti marchiano per sempre. La mia vita, i miei primi 18 anni, furono distrutti completamente, e fui costretto a reinventarmi una vita all’estero. Ancora oggi vivo all’estero, anche se per mia scelta.

 

D: IL LAVORO DI CONTROINFORMAZIONE CHE PRODUSSE 'LA STRAGE DI STATO' AIUTO' MOLTI COMPAGNI A QUEL TEMPO DISORIENTATI, A CAPIRE LE TRAME DI QUEL DISEGNO EVERSIVO CHE PRODUSSE LA STRATEGIA DELLA TENSIONE PRIMA E CHE DOVEVA AVVALORARE LA TEORIA DEGLI OPPOSTI ESTREMISMI DOPO. TI SEI MAI CHIESTO SE QUESTO LAVORO NON FOSSE STATO MAI FATTO, COME SAREBBE CAMBIATA LA STORIA?

Il lavoro di controinformazione non mi era estraneo già prima del 12 dicembre. Infatti gli anarchici – con la Crocenera – furoni i primi a lavorare su questa linea per i compagni arrestati per gli attentati fascisti di aprile e agosto (il bollettino ci veniva inviato da Pinelli). Già una decina di giorni dopo le bombe ero entrato in contatto con Marco Ligini e con lui avevo iniziato a collaborare nella raccolta di informazioni. Poi lavorai anche con il mio avvocato, il compagno Eduardo Di Giovanni, sia vagliando quanto appariva sulla stampa della destra estrema sia dando valutazioni sugli interrogatori dei vari compagni ecc.

Non vi è dubbio alcuno che il lavoro collettivo di ricerca e analisi di migliaia di compagni senza nome che si concretizzò nel libro “la strage di stato” è stato fondamentale per far capire prima di tutto alla sinistra cosa stava realmente accadendo e poi trasformare la verità della nostra innocenza in consapevolezza di massa. Senza quel libro, senza quel lavoro corale, probabilmente oggi racconteremo una storia molto diversa.

Vorrei aggiungere una cosa che non riguarda ieri ma l’oggi, se mi permetti. Da alcuni anni si vede un nuovo tentativo di criminalizzazione degli anarchici e più in generale di tutti coloro che osano ribellarsi contro lo status quo esistente. Ecco, mi chiedo come mai e perchè la sinistra – quello che rimane della sinistra di classe almeno – non sia riuscita a cogliere questo aspetto e non si sia impegnata unitariamente nella difesa dei compagni incarcerati producendo nuovamente controinformazione. Eppure non è così difficile capire che se non si è uniti..vince il padrone (come diceva una vecchia canzone) 

 

D: COSA HA LASCIATO IN EREDITA' PINO PINELLI?

Parlare di Pino Pinelli, nonostante siano passati tanti anni dalla sua morte, è per me sempre un dolore. Prima di tutto vorrei ricordare che l’assassinio di Pino è stato probabilmente il primo e più grosso errore della polizia. Sono le modalità della morte di Pinelli che aprono il primo vero squarcio nella montatura antianarchica e che permetteranno poi di portare alla mobilitazione anche di tanti democratici per far luce sulle cause della sua morte.

Pino e Pietro Valpreda erano perseguitati e nel mirino della squadra politica di Milano sin dai tempi delle bombe del 25 aprile. La storia, l’arresto di Pietro e la morte di Pino sono la diretta conseguenza di quelle persecuzioni poliziesche. Senza gli arresti degli anarchici per gli attentati del 25 aprile alla Fiera di Milano  e quelli dell’8 agosto ai treni probabilmente avremmo visto un altro film. La montatura poliziesca, la trappola contro di loro, iniziano in quel frangente e si concludono con la strage del 12 dicembre. Bisogna studiarle, leggere assieme quelle azioni di repressione e provocazione portate avanti dalla Questura di Milano e dalla Magistratura per poter capire cosa avviene veramente il 15 dicembre e che porta alla morte di Pino e l’arresto di Pietro per la strage.

Sulla figura di Pino ho poco o nulla di aggiungere a quello che in tutti questi anni è stato scritto e detto, alla posizione di rispetto per la sua militanza politica e per la sua grande umanità. Se devo essere sincero però, credo che della sua eredità sia, purtroppo, restato poco. E' stato troppo “santificato” e poco “imitato” o seguito nei suoi insegnamenti, arrivando persino, in qualche modo, a deformare la sua identità politica. Pino era un compagno sincero, aperto, amava confrontarsi al di fuori dello steccato “identitario” che ancora oggi tra gli anarchici provoca delle assurde divisioni tra fratelli di idee (frequentava non a caso due diverse sedi anarchiche) , non apparteneva alla FAI come molti credono ma aveva aderito ai GIA (Gruppi di Iniziativa Anarchica, che oggi non esistono più), aveva intuito la necessità di dotarsi di uno strumento adeguato per la controinformazione e la difesa dei compagni detenuti (la Crocenera anarchica) e tante altre cose ancora. Le cose lasciateci in eredità, a mio modesto avviso, sono davvero tante, quello che non vedo è dove siano oggi i suoi “eredi”. E questo fa male.

 

D: IL MODO DI FARE POLITICA MILITANTE E' FORTEMENTE CAMBIATO. SECONDO IL TUO PARERE, C'E' CONSAPEVOLEZZA MAGGIORE OPPURE SI SONO PERDUTI STIMOLI ED ENTUSIASMI CHE NEGLI ANNI '70 SONO STATI LA RAGIONE DI MOLTI GIOVANI?

Forse sono pessimista e forse non conosco bene la situazione italiana (anche se la situazione non è molto dissimile in altri paesi europei) ma ho la netta, spiacevole, sensazione di un forte arretramento politico. Da una parte si osa poco, si ha paura di realizzare le proprie utopie, dall’altra ci si getta sulla linea del fuoco in maniera troppo impavida e generosa. In qualche modo credo che anche alcuni “valori” negativi di questa società siano stati intrinsecati nel vivere politico del militante di oggi. Si ha paura di sperare davvero in un futuro migliore, di tentare la conquista del cielo, non si combatte a sufficienza quel “celerino” che è nella nostra testa, non si infrange con sufficiente vigore la muraglia che ci tiene separati l’uno dall’altro che ci rinchiude nel nostro piccolo fortino egoistico e individuale. E’ come se ci si sentisse soli anche quando si lotta in compagnia, assieme ai propri compagni. E’ terribile. Ma capisco bene che per noi era tutto più facile, la voglia di cambiare, di modificare la società, di voler fare la rivoluzione (e subito!) era qualcosa che respiravamo nell’aria, condividevamo gli stessi sogni di un mondo migliore. Quelli della mia generazione hanno fallito nel realizzare i propri sogni, e per questo, a maggior ragione hanno l’obligo politico di sostenere, di essere vicini, di non lasciare soli i giovani militanti di oggi che in condizioni oggettivamente più dure si, ma non sfavorevoli se pensiamo al livello della crisi mondiale, stanno combattendo.

 

D: L'ANARCHIA E' PER TE UN SOGNO RIMASTO APPESO, OPPURE UNA RAGIONE DI CONTINUARE A COMBATTERE?

Non ho mai smesso di combattere contro il capitalismo ed il potere, non mi sono mai chiuso in casa. Sono sempre stato al fianco di chiunque si battesse per una società di liberi ed uguali, contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Molto è cambiata la società di oggi rispetto a quella che ho combattuto quando avevo 18 anni, ma le ragioni di quella lotta, di quella utopia di liberazione umana universale non sono cambiate affatto.  Anzi oggi la povertà, lo sfruttamento, la disperazione, il controllo sociale, la repressione, la tortura legalizzata sono ancor più duri e generalizzati che mai e quindi le ragioni per continuare a combattere sono ancora più profonde di ieri. Mi considero ancora un anarchico, ma credo anche – come tanti anni fa - che le “etichette” siano uno dei tanti mali che affliggono la sinistra. Ero e sono un compagno che, innanzitutto, vuole sconvolgere fin dalle fondamenta questa società, e vuole ancora credere che l’atto rivoluzionario sia ancora possibile e necessario per distruggere lo stato. Rivendico il mio radicalismo e sovversivismo al fianco di chiunque -  qualunque sia il mezzo di lotta che scelga - lotti per un mondo migliore.

 

foto del  gruppo 22 marzo

 

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