CULTURA CUBANA

L’occhio sicuro di Titón
 


 

     

 

di Gustavo B. Estorino – speciale per Si porCuba

 

Circa 15 anni fa, nel mese d’aprile del 1996, morì uno dei più grandi registi cinematografici di Cuba e dell’América: Tomás Gutiérrez Alea, Titón, come lo chiamavano tutti.

Era nato a L’Avana nel 1928 e sin da ragazzo aveva imparato a suonare il pianoforte e si dedicò alla musica e ad altre attività manuali ma fu il cinema che lo conquistò.

Se sappiamo che una pellicola è come un sogno e può trasportare lo spettatore a uno stato d’illusione, dobbiamo anche dargli un filo che lo riporti indietro, affermava Titón che applicava questo concetto come ricetta infallibile all’ora di dirigere.

Quella conclusione non la conosceva, ovviamente, quando per la prima volta andò al cinema a L’Avana e vide un cinegiornale dove due aerei andavano verso la cinepresa e davano la sensazione di atterrare sul tetto della sala.

Dopo aver fatto incursioni in varie arti, Gutiérrez Alea giunse a quella che  sarebbe stata parte del suo destino: il cinema, quella preziosa attività intellettuale che sintetizzò, in modo quasi meraviglioso le sue altre inclinazioni.

Considerato il miglior cineasta cubano di tutti i tempi, uno dei migliori dell’America Latina, Titón trovava nel cinema il mezzo perfetto e più diretto per relazionarsi con la realtà.

Il processo d’intensa ricerca che fu sempre presente nella sua carriera di grande successo, lo si doveva alla sua idea di quel che il cinema doveva significare.

Convinto che la realtà non è come la si vede ma come la si immagina il regista di Memorias del subdesarrollo, (Memorie dal sottosviluppo) dirigeva partendo da questa filosofia.

“M’interessa raccogliere tutti questi piani e m’interessa non solo che il cinema mi serva come mezzo d’espressione, ma anche, e in maniera speciale, per intendere il mondo, per capire meglio la realtà e per aiutare lo spettatore ad avanzare in questo senso”, assicurava.

 Titón non aveva mai dimenticato, e lo ricordava in continuazione, che la lettura di El sentido del cine, di Eisenstein, letto casualmente  verso la fine degli anni ‘50, era stata decisiva nella sua vocazione cinematografica.

Allora Titón non sapeva a cosa serviva il cinema. Il libro di Eisenstein glielo aveva insegnato definitivamente.

Dopo due anni trascorsi a Roma agli inizi del decennio dei ’50 ricevette dal  Centro Sperimentale quello che definì ‘una verniciata accademica’. Le intense giornate che si vivevano in Italia accelerarono il suo processo di maturazione politica, iniziato anni prima.

“Nel mondo del cinema il neorealismo continuava ad essere il movimento più vitale ed io mi sentivo come molti giovani che si avvicinavano al cinema, letteralmente trascinato da quella tendenza.  Dopotutto era un fattore importante nella decisione presa d’andare a studiare in Italia”, aveva riflettuto alcune volete parlando della sua nascente vocazione cinematografica

Tomás Gutiérrez Alea fu l’autore del primo documentario Della cinematografia  cubana dopo il 1959. S’intitolava  Esta tierra nuestra, di 20 minuti di durata, sulla Legge di Riforma Agraria.

Poi cominciò la lista dei films che lo resero famoso nella cinematografia latinoamericana, con Historias de la Revolución (1960), il suo primo lungometraggio di fiction.

Titón lo si ricorda per Las doce sillas, ispirata in un materiale sul processo di trasformazioni in Unione Sovietica dopo il trionfo della Rivoluzione d’Ottobre. Con un elenco nel quale si faceva notare  Enrique Santiesteban, uno dei più lucidi attori del paese, quella  specie di commedia dell’assurdo che fu “Las doce sillas” aperse gli occhi di coloro che avevano ancora dei dubbi sul talento di Gutiérrez Alea, e il pubblico la ricevette con enormi applausi e le bracci aperte. 

Un’altra delle sue pellicole più popolari fu La muerte de un burócrata del 1966. La vita quotidiana, le documentazioni che si dilatavano per i burocrati, le perdite di tempo, angosciavano  Gutiérrez Alea, che non li comprendeva. Un ambiente asfissiante per il quale aveva preparato un quaderno di note che aveva sempre con sè. Certi tipi di comportamento, certe situazioni assurde, li annotava per i suoi films.

Invece di farsi trascinare dall’ira, affrontava con umorismo le tonte e insolite situazioni che la vita gli regalava ironicamente.

La morte, nella pellicola, diveniva il personaggio principale, perchè per il regista era essenziale che lo spettatore notasse che il protagonista  doveva vincere l’ostacolo della burocrazia, quasi fosse stata la morte.

Memorias del subdesarrollo, considerata da molti la miglior pellicola  Gutiérrez Alea, fu scritta molto rapidamente.  Pieno di suggerimenti e con differenti letture, il film fu realizzato a partire dal romanzo di Edmundo Desnoes, e fu una delle avventure più appassionanti nella  carriera di Titón. Forse è l’opera nella quale affiorano, con Maggiore forza le considerazioni etiche del cineasta.

Poi girò ‘Una pelea contra los demonios’, (1971), ‘La última cena’ (1976), ‘Los sobrevivientes’ (1978), una magnifica espressione  del cinema dell’Isola, simile nel racconto a Las doce sillas e Memorias del subdesarrollo.

Los sobrevivientes, chiudeva, in accordo con lo stesso Titón, il ciclo del cinema storico nel quale si era immerso durante vari anni.

Creatore prolifico, colto, capace di saltare da un tema all’altro con la stessa profondità, Gutiérrez Alea ricreò la vita delle operaie dei porti  dell’Isola con ‘Hasta cierto punto’, con Mirtha Ibarra come protagonista. Opera di varie lezioni etiche, ‘Hasta cierto punto’ non solo è un’espressione critica sul  machismo nella relazione uomo- donna. In realtà va al di là e cerca di dimostrare che il machismo e un atteggiamento che comprende diversi fattori. Intessuta da vari livelli di lettura, la pellicola del 1983, presenta due contraddizioni fondamentali: quella dello sceneggiatore e del regista che affrontano motivazioni differenti nell’ora di filmare e quella di una relazione amorosa che implica il possesso d’una persona da parte di un’altra.

Un vincolo sentimentale che termina con i versi d’una bella canzone basca, pronunciati quasi alla fine del film: “Si io volessi, potrei tagliarle le ali e sarebbe mia, ma non potrebbe volare e quello che io amo è l’uccello”.

Artista che girava le sue pellicole partendo da un’ispirazione, Fresa y chocolate del 1993, è vincolata anche se non sembra a ‘Memorias del subdesarrollo’, partendo dalla crisi esistenziale dei personaggi.

Le due pellicole sono tanto relazionate anche nel contesto, che durante le conversazioni iniziali  attorno alla sceneggiatura, Titón

sentì che la presenza delle ‘Memorias’ era troppo forte, quasi schiacciante, riconobbe.

Come Guantanamera, il suo ultimo film, elaborato alla fine della sua vita, ‘Fresa y chocolate’ fu un’opera molto collettiva, girata con Juan Carlos Tabío, nominata all’Oscar come miglior pellicola straniera.

Fu, inoltre quella che aperse le porte del cinema cubano ai circuiti commerciali e risvegliò l’interesse internazionale.

Con la morte di Tomas Gutiérrez Alea, il cinema cubano perse uno dei pezzi più importanti del suo ingranaggio, ma lasciò un legato: un occhio con cui guardare sempre più avanti.
 

 

 

 

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