LATINOAMERICA
DA CARACAS:
FULVIO GRIMALDI |
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da Caracas, 17/8/04
Sta placandosi il tempo della grande festa. Come rilanciata
dalla fiondata impressa,come suole, dalla controrivoluzione,
riparte la rivoluzione bolivariana che, per Chavez, piaccia o
non piaccia all'oligarchia fascista e golpista spodestata e ai
suoi sponsor e padroni USA,"ahora vamos a aprofundir". E parte
anche la Grande Provocazione. Poche ore fa, nel lunedì della
travolgente vittoria del poder popular, finita l'intervista con
William Lara, braccio destro di Chavez e coordinatore nazionale
del suo partito, MVR, ero andato a vedere le facce livide dei
sopravvissuti alla "derrota" dei 20 punti di differenza nella
più massiccia votazione nella storia di questo paese. Erano
rimasti, nella roccaforte di Plaza Altamira, non più di un
migliaio di sopravvissuti, piccola e media borghesia creola
profondamente reazionaria, la carne da cannone dei grossi
capitalisti e latifondisti, politici maneggioni e scaltri della
dalemiana Azione Democratica e del democristiano Copei, giá in
volo per Miami (i Cisneiros, i Mendoza), sulla scia dei golpisti
finiti in quel pozzo nero, ricettacolo di ogni turpitudine
mafiosa e di ogni imbroglio bushiano, nel 2oo2. Questi, urlando
contro la "fraude" e contro Carter che avrebbe accettato la "fraude"
chavista in cambio di petrolio, dovevano reggere la coda ai
rimasugli di destabilizzazione messa in atto all'indomani della
disfatta, già consacrata da proprio tutti i sondaggi
pre-referendum e poi sancita nientemeno che da Gaviria, per
l'OSA, e da Carter per gli USA, cioè nientemeno che da coloro di
cui l'oligarchia più si fidava (fiducia che sarebbe stata
giustificata se solo il popolo venezuelano avesse deciso di
misura e non a valanga).
Con la coazione a ripetere del potere impunito, ecco che
spuntano tre energumeni, a faccia scoperta, a piedi, in mezzo
alla piazza bloccata su tutti i lati dalla polizia amica e dai
pompieri, sparano nel mucchio dei capannelli vocianti , falciano
otto persone, una morirá, spariscono senza che nessuno delle
centinaia tra agenti e vigili faccia neppure la mossa di
catturarli. Scena identica a quella del giorno prima, quando
bande di ignoti in motocicletta hanno sparato sulla folla in
coda per votare nei quartieri popolari e hanno ucciso. Scena
ancora più identica a quella dell'aprile 2002, allorchè una
manifestazione dei riccastri di Caracas Est contro Chavez fu
bersaglio di cecchini che poi furono identificati come agenti
israeliani.
Poi fu il golpe e la controbotta della giustizia proletaria.
Scopo evidente di questi remake: provocare una risposta, far
perdere il controllo alle parti in causa, suscitare la scalata
della violenza , fino alla guerra civile.
Erano in attesa dei loro capibastone, le signore inanellate e
pur sempre fresche di estetista e i giovanotti muscolosi con
occhiali a specchio e supermoto, ma i magnate dell'informazione
e della pandemia di menzogne alla Cisneiros, i delinquenti
pseudosindacali alla Carlos Ortega, la cosca del governatore
dello Stato di Miranda, Enrique Mendoza e del suo improponibile
rivale nella successione a Chavez, Marcel Granier, altro
berlusconide dei media e della mafia, giá erano a Miami, ad
ascoltare le istruzioni del padrone per la nuova situazione e,
soprattutto, a mettere al sicuro i frutti di secolari rapine al
popolo vampirizzato. Si presenta solamente un numero tre o
quattro dell'AD-Copei, che, nel tornado di bile che lo investe,
invoca la calma, la pazienza, l'autocontrollo. Eh gíà ci sono le
telecamere, quelle internazionali... Le istruzioni vere, quelle
appropriate si daranno dopo, al chiuso.Se si daranno. Giacchè
questa marmaglia è profondamente divisa, la disfatta l'ha
inviperita ulteriormente, c'è un addossare la colpa al rivale
nell'impossibile gara a una rivalsa democratica nella scadenza
del 2006, c'è chi da retta ai sion-nazisti di Washington che
vorrebbero torrenti di sangue per le strade, fino a un
intervento dalla Colombia per accaparrare almeno lo Stato
confinante di Zulia (ancora sotto governatore di destra), quello
che galleggia sul petrolio, alla maniera di Panama, o del
Kuwait. E c'è chi dice calma e dollari, ora il petrolio costa
troppo, magari Bush perde le elezioni, serve un Venezuela che
non interrompa il flusso del combustibile capitalista per
soddisfare i terratenientes. Ci penseremo dopo ad annegare nel
sangue, in qualche modo, questi rigurgiti di Americhe
reaparecide.
Kuwait, Iraq. Non c'è intervento pubblico di Chavez in questi
giorni in cui non si riferisca all'Iraq, sia per far capire
quanto si rischiava e quanto si è evitato, per ora, sia per un
debito nei confronti di quegli altri che stanno mettendo in
ginocchio statunitensi e loro camerieri e boia: i partigiani
iracheni. C'è in tutto il processo bolivariano un collegamento
diretto con gli Stati Canaglia, con quei paesi che, ci piaccia o
no, sono l'argine all'olocausto, un lavoro verso quel fronte
antimperialista che Chavez già negli anni passati aveva
adombrato stringendo rapporti con paesi come Iran, Iraq, Corea
del Nord, Libia a fottendosi sia della collera imperialista, sia
dei nasi arricciati dei nostri utili idioti. Sapendo meglio di
loro che cosa fosse in gioco. E William Lara, che può essere
considerato il massimo artefice organizzativo della
stravittoria, in quanto responsabile nazionale di quell'incredibile
organizzazione che ha visto la mobilitazione di migliaia di
militanti (qui si dice così, non "volontari" o "attivisti")
nelle "Pattuglie Elettorali", nelle "Unità di combattimento (qui
si dice così, mi dispiace, Lidia Menapace o Gennaro
"Migliore")elettorale", nei Circoli Bolivariani, veri Soviet
onnipresenti nei luoghi della vita, dello studio, del lavoro,
della sofferenza, William Lara ribadisce l'originalità
dell'esperienza bolivariana, che non vuole essere modello a
nessuno, ma che crede anche profondamente nell'"ALBA".
"Alba", per Alternativa Bolivariana per l'America, in guerra
dichiarata contro l'ALCA, che è il modo statunitense per
ricolonizzare quanto perso dalla Spagna, dal Portogallo,
dall'Inghilterra, da una Chiesa che, in questo paese, è proprio
una fetecchia filofascista,
dai feudatari, dai gorilla e dalle multinazionali USA, quello
contro il quale insorsero i maja del Messico, illusi e
abbandonati, fetticcio abusato di vaneggiamenti nonviolenti,
quello contro il quale qualcosa serpeggia con forza in tutto il
continente Sud. Perchè, come ci ha detto ierisera Chavez in una
conferenza stampa tutta sui generis, che vedeva il presidente
prorompere in canti, risate, nomignoli per i giornalisti
riconosciuti, qui non basta dire dei NO, no all'Alca, no all'FMI,
alla Banca Mondiale, alle multinazionali, al mercato-dio. Qui
bisogna fare progetti, essere positivi, impari Fassino (ma
quando mai), proporre qualcosa di radicalmente diverso,
rovesciare il sistema, pensare a un banco continentale etico per
davvero, per il microcredito che qui ha fatto fiorire
un'economia di cooperative al posto del latifondo e della grande
distribuzione e produzione, per i finanziamenti allo sviluppo
sociale, alla sanità, all'uscita dalla fame. E intanto c'è il
Mercosud, cui il Venezuela si è associato e in cui più di Lula,
che sta dando segni di inquietudine da egemonismo brasiliano
messo in crisi dalla più forte e vincente radicalità bolivariana,
ma in sintonia con Kirchner e con i grandi movimenti in Bolivia,
Uruguay, Ecuador (dove oggi, al tradimento del finto indio Lucio
Guiterrez si è risposto con la creazione di un Movimento
Bolivariano dell'Ecuador che raccoglie tutta la lotta di massa
di questi anni), Chavez e i suoi vedono la chiave per opporre al
moloch del Nord uno schieramento in grado di fare da solo,
meglio, con una sovranità rafforzata dall'integrazione. E'
ovviamente l'unica via. Ci fosse un Chavez nel mondo arabo...
C'erano. Ma li hanno saputi stroncare. Avrebbero provato a
stroncare anche questo non fosse per tre carte invincibili che
lui ha in mano: la coscienza politica matura e irreversibile
delle masse popolari aderenti al processo rivoluzionario, oggi
ribadita con il nono voto in 6 anni, ma anche con la prontezza
di occupare la piazza contro la penetrazione anche del più
perfido scarafaggio (chiedendo scusa al povero animaletto) e, se
necessario,di difendersi con ogni mezzo necessario da pezzi di
pseudumanità "pronti - come dice Chavez - a tutto"; il successo
in un lavoro, disconosciuto dai masturbatori soloni della nostra
sinistra, nelle forze armate, perseguito per tutti gli anni'80
in clandestine campagne che brandivano i testi di Lenin e di
Gramsci, approfondito nel corso di questi anni di rivoluzione
vittoriosa facendo affluire nell'esercito le facce cappuccino
forte o leggero degli indios e dei meticci, mutando di un corpo,
identificato da sempre con la reazione e la conservazione,
l'ideologia e le lealtà, il senso della nazione, il mandante e
destinatario delle proprie responsabilità. E poi Cuba. Senza
Cuba resistente e vittoriosa a dispetto di
tutto, a che cosa si sarebbero potute attaccare le masse nel
momento della espressione, a quale cima annaspata tra gli
scogli, nel momento in cui da tutte le fonti di rumore non
venivano che inganni, sozzura, menzogna?
Sono stati tre giorni di festa, dopo l'incredibile prova di
domenica, in cui si è resistito a tutto, alle fandonie del
pomeriggio di una valanga oligarchica, al CD che falsificava la
voce di Francisco Carrasquero, presidente del CNE (Comitato
Elettorale Nazionale) e gli faceva dire, alle presunte ore 20,
che i Sì alla revoca avevano vinto; alle aggressioni omicide che
volevano impedire il voto nei quartieri proletari e nei ranchos
del riscatto in marcia; a 25 ore di attesa nella fredda alba
tropicale, nella canicola spaccasassi del mezzogiorno,
nell'estenuante prolungarsi dell'orario di voto, dalle 16 alle
18, no,alle 20, alle 24, fino a quando c'è ancora un votante. E
si è finito alle tre, con la più bassa percentuale di non
votanti della storia di questo paese. E la festa ha sollevato a
mezzo
cielo mezza città, quel cielo rojo che aveva auspicato Chavez
parlando davanti ai milioni della domenica prima. Si è come
levato in alto un'enorme creatura rossa, magliette rosse,
berretti e baschi rossi, fazzoletti rossi, bandiere rosse,
palloncini rossi, fuochi d'artificio rossi. La spina dorsale era
quell'Avenida Urduneda che nasce tre i piedi del Palacio
Miraflores, dove governa il presidente, e fluisce enormizzata
dalla folla fino all'estremo occidentale della città proletaria,
con i suoi laghi rossi a Plaza Bolivar, in faccia al municipio
del sindaco golpista (la sua polizia, milizia privata
dell'oligarchia, come tutte le altre, è rimasta consegnata in
caserma per tutta la giornata referendaria), in Plaza Candelaria,
dove si suona, si balla, si canta (non ricordo altre rivoluzioni
cantate come questa, Manu Chao sarà anche simpatico e benvenuto,
ma qui la musica, come nella lotta irlandese, nasce dal
basso)...
Sarò, mi consenta, irriverente, ma forse no, dato che credo che
tutti gli esseri viventi siano rivestiti di pari dignità, basta
mettersi nei loro piedi. E che la folla che si sbracciava,
agitava tutti i pezzi di corpo agitabili e anche quelli non
agitabili lungo Avenida Urduneda, in Avenida Bolivar, in Avenida
del Mexico, rideva, rideva, rideva, poi esplodeva in urli
sconnessi, ti guardava, si guardava con amore, riconoscendosi,
si faceva passare nei visi bagliori di memorie desolate, torti
inenarrabili subiti nei secoli, tosto dissipati da un altro giro
di danza, abbraccio, capriola: Uh-Ah - Chavez no se va, El
pueblo unido...No volveran (non torneranno). L'irriverenza sta
nell'accostamento che m'è venuto con il mio bassotto Nando,
quando rientro a casa dopo prolungate e sofferte da entrambi
distanze. Sono momenti di incontinente follia dove l'esplosione
emotiva di felicità si deve per forza contrastare con un
sentimento contrario, che ristabilisca un limite, giustificato o
no. E allora tra i baci, scodinzolamenti furiosi, contorcimenti,
andarivieni a scatto, ecco che irrompe il ringhio, per non uscir
di testa, per restare nei binari della ragione, per una
possibilità di equilibrio. Poi tutto si addolcisce, il bacio più
lento, il ringhio che diventa brontolìo, la tenera
collisione-collusione. Così in Avenida Urduneda, all'ombra di un
capo che non si adora perchè è il capo del Grande Partito,
depositario e mandatario delle nostre speranze (ragazzi, le
fregature dal '44 in poi!), ma di un capo che è noi, che ha la
faccia nostra, che noi teniamo in piedi e che a noi traccia la
strada che insieme stiamo costruendo. E' uno di cui ci si fida e
cui si vuole bene. Un sacco di bene. Penso a Ho Ci Min, a Fidel,
più che al Che, anche se quel Che lì è qui onnipresente,
scultura nera sul rosso di sconfinati tessuti, perchè il cinismo
è da noi lontano come la Casa Bianca dalla foresta della
Bolivia.
Un tassista con cui pettinavo le lunghissime colonne di donne,
uomini, vecchi, bambini al seguito, seggiolini, muriccioli
affastellati come da gabbiani, ombrelli antisole in marcia verso
il diritto a dire la propria parola decisiva, mi ha fulminato
come Socrate poteva aver fatto con Alcibiade, la saggezza
dell'ovvietà assoluta. "Questa non è come le solite - mi ha
detto -, questa è una guerra tra ricchi e poveri". Poteva anche
dire: tra sfruttati e sfruttatori, tra capitale e lavoro, tra
oppressi e oppressori, tra imperialismo e sovranità, tra
borghesia e proletariato, ma era un tassista del Venezuela e il
suo capo ama Gramsci. Non c'entra, o forse sì. Che tristezza,
che meraviglia, compagni. Da noi la guerra vera, quella tra
ricchi e poveri, quella di classe, se la sono bevuta, forse
proprio da quel '44 in poi. Collateralisti piú o meno
consapevoli ci hanno confuso nelle "moltitudini" dell'Impero,
nella clausura dei municipalismi partecipati e, nel capitalismo,
senza il becco di un quattrino da partecipare. A farci delle
gran pippe, mentre altrove si accoppiavano. Ma che forse è una
guerra tra ricchi e poveri quella tra Fassino, corredato di un
Bertinotti qualsiasi, e Berlusconi, tra Amato e Montezemolo, tra
Kerry e
Bush, tra laburisti e tories, tra Chirac e PSF? Ci hanno tolto
la guerra, altro che la violenza. La guerra vera, quella che in
un modo o nell'altro avremmo vinto, e l'hanno rimpiazzata con le
sciabolate e mazzate finte tra pupi. Con noi, gli altri, quelli
che conterebbero davvero e davvero dovrebbero battersi, alla
finestra, anzi, nel sottoscala, anzi alle bocche di lupo.
Che bravo quel tassista, che bravi questi venezuelani, che bella
questa rivoluzione!
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