AVVENIMENTI
Cara Cuba,
Fidel non ti lascia
di
GIANNI MINÀ
La transizione
cubana. Gli Usa sperano sia la volta buona, ma sbagliano. Il dialogo
con la gente è il collante che tiene insieme il paese e che ha fatto
tener botta a Cuba per mezzo secolo neutralizzando cospirazioni e
strategie montate per distruggere il suo modello sociale e politico.
Consiglio tutti
coloro che, dopo l'intervento chirurgico subito da Fidel Castro,
azzardano previsioni sul futuro di Cuba, di essere cauti.
Sono cinquantanni,
o almeno diciassette, dal tramonto del comunismo sovietico, che
molti compiono infatti incautamente questo esercizio prevedendo
quasi sempre catastrofi per la rivoluzione socialista dell'Isola.
Cuba invece è
ancora li, infrangibile all'embargo, alle «politiche democratiche»
che gli Stati uniti organizzano per annientarla; esempio di
resistenza nel continente, pur fra tanti errori, allo sciagurato
neoliberismo.
Da settimana
scorsa, dopo il vertice di Cordoba, in Argentina, l'Isola di Fidel è
perfino reintegrata nel consesso delle alleanze commerciali e
politiche dei paesi latinoamericani e candidata ad una prossima
entrata nel Mercosur, antefatto di quella che sarà, sull'esempio
europeo, l'unione degli Stati sudamericani.
Il tutto con un
palese sconcerto di George W. Bush che, troppo impegnato in Medio
Oriente, non solo ha visto fallire l'ALCA, il progetto d’annessione
economica del continente a sud del Texas, ma, dopo che il congresso
aveva stanziato sessanta milioni di dollari per favorire «un cambio
rapido e drastico» a Cuba (con tanti saluti al diritto di
autodeterminazione dei popoli), aveva aggiunto ottanta milioni presi
dal suo appannaggio presidenziale per dare la spallata finale alla
Revolución.
Un sogno eversivo
che nove presidenti nordamericani hanno atteso prima di lui senza
poterlo realizzare.
Un quadro simile
può essere considerato solo il fallimento plateale dei presunti
analisti della realtà cubana, ma per esempio Pierluigi Battista sul
Corriere della Sera lo liquida invece come il crepuscolo politico di
Fidel Castro.
Tutti i giudizi
sono rispettabili, anche quelli smentiti dai fatti, ma pur
comprendendo il rimorso angosciante del collega per essere stato
comunista, il suo giudizio mi pare indicativo di una polemica che
gli ha preso la mano e gli fa addirittura paragonare la Cuba di
Castro alla Corea del Nord di Kim Il Sung. E non mi riferisco solo
all'argomento, credo non secondario per le nuove idee liberali del
collega, che il PIL a Cuba cresce dell'11% (grazie al corposo
incremento degli scambi con Venezuela e Cina) ma anche al fatto che,
secondo un rapporto dell'Università di California, l'aspettativa di
vita dell'isola è di un anno superiore a quella degli Stati uniti,
la mortalità infantile è la più bassa del continente e inferiore al
tasso fisiologico dei paesi sviluppati e infine la scuola e
l'università sono gratuiti, libri compresi, mentre il paese ha
trentamila medici in missione tra America Latina e Africa,
continenti saccheggiati dall'economia neoliberale, che secondo i
duri nostalgici di Miami che festeggiano la malattia di Castro,
dovrebbe restituire Cuba magari ai fasti dell'epoca della mafia, dei
casinò e del torturatore Fulgenzio Batista.
Voglio riferirmi
poi anche al contenuto del messaggio che Fidel ha inviato ai suoi
compatrioti prima di sottoporsi all'operazione chirurgica e che
rassicura i cubani sul fatto che qualsiasi cosa possa succedere, i
programmi riguardanti salute pubblica, istruzione, e rivoluzione
energetica del paese, continueranno affidati alle mani dei ministri
competenti (José Ramon Balaguer e José Ramon Machado Ventura) e del
segretario del comitato esecutivo del Consiglio dei ministri con la
supervisione del responsabile del dicastero dell'economia Carlos
Lage, del presidente del Banco Centrale Francisco Soberon e del
ministro degli esteri, il quarantenne Felipe Perez Roque.
So che tutto
questo è inusuale, quasi surreale per le nostre abitudini, e
qualcuno può anche considerarlo un espediente retorico, ma ho
imparato in tanti anni di reportage a Cuba e in America Latina che
questo dialogo con la gente è il collante che tiene insieme il paese
e che, spiazzando sempre le presuntuose previsioni del Dipartimento
di Stato ha fatto tener botta a Cuba per mezzo secolo,
neutralizzando le cospirazioni e le «strategie della tensione»
montate dagli Stati Uniti per distruggere il suo modello sociale e
politico, per quanto discutibile fosse.
I cubani, anche
quelli che sono stanchi del socialismo e della retorica della
Rivoluzione, sanno perfettamente che la loro sicurezza sociale
sarebbe impensabile se i governi di Washington avessero potuto
imporre modelli come quello segnalato nel sito del Dipartimento di
Stato, intitolato Cuba Libre, un piano di cinquecentocinquanta
pagine dove si parla di una transizione nell'Isola pilotata come
sempre da Washington.
Una transizione
sul modello, per intenderci, messo in atto in Iraq con un altro uomo
della CIA come Allawi, che guiderebbe il cambiamento e magari con la
collaborazione del solito Negroponte, l'uomo delle guerre sporche,
che sceglierebbe uno per uno i componenti del nuovo gabinetto
cubano.
Non è
fantapolitica. Il giorno 26 maggio si è svolta per esempio una
riunione urgente nella sede destinata appunto al piano «Cuba libre»
presieduta da tal Caleb McCarry, scelto a diventare il futuro
governatore della transizione a l'Avana. Con lui c'erano anche i
congressisti Lincoln e Mario Diaz Ballart, figli di uno che fu fra i
complici più stretti di Fulgencio Batista, nonché dirigenti di varie
organizzazioni anticastriste fra le quali anche alcune di quelle
accusate di aver fiancheggiato i gruppi eversivi che dalla Florida
negli anni hanno portato il terrore a Cuba, causando più di
tremilacinquecento morti e diecimila feriti.
In collegamento
telefonico via internet dall'Avana c'erano personaggi come arta
Beatriz Roque, considerata dal governo dell'Avana un’agente del
governo di Washington e invece una dissidente dai cubani di Miami.
Erano stati invitati anche gli ambasciatori dell'Unione europea, di
Canada e Messico, che però non si sono fatti vedere. Mentre erano
presenti quelli di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia e
Lituania, le ex nazioni comuniste diventate i capisaldi del governo
Bush.
Caleb McCarry, non
si sa con quanta credibilità, ha reso noto che la Segretaria di
stato Condoleezza Rice aveva ottenuto in una conversazione con il
ministro degli esteri italiano D'Alema una sorta di promessa di
aiuto per favorire una transizione a Cuba ed ha annunciato che nella
successiva riunione del gruppo in programma nell'estate a Praga
avrebbe partecipato un rappresentante italiano. So che personaggi
come McCarry, per quanto pericolosi, fanno parte del bestiario della
sottopolitica degli Stati uniti ma penso che quando si affronta il
controverso argomento Cuba bisognerebbe avere più equilibrio e più
lealtà.
Pierluigi
Battista, per esempio, sa perfettamente che i cubani che hanno
lasciato il proprio paese in zattera «cercando la libertà» sulla
costa della Florida erano attratti da una logica infame per cui se
fossero arrivati a toccar terra negli Stati Uniti avrebbero avuto
immediatamente il visto di ingresso e la carta verde per risiedere e
lavorare. Realtà negata a qualunque altro latino americano che, come
avviene nei passaggi di confine col Messico, o viene allontanato a
schioppettate o fatto entrare senza documenti e quindi enza
diritti. Col rischio d’essere denunciato alla prima richiesta di
tutela dallo stesso padrone che gli da lavoro e che lo farebbe
rimpatriare subito.
Parlare poi ancora
della repressione degli omosessuali (mentendo perfino sul ruolo di
Che Guevara) in un paese come Cuba, dove è in corso un progetto di
legge perché un essere umano possa cambiare sesso a spese della
sanità dello Stato, è pura malafede.
Dopo quello che è
successo negli ultimi tre anni ad Abu Ghraib, a Guantanamo e nelle
prigioni gentilmente concesse alla CIA in altri paesi, e dopo gli
eccidi recenti di bambini, donne e vecchi innocenti in Palestina e
in Libano, l'occidente e gli Stati uniti in particolare non hanno
più l'autorità morale, come ha scritto Eduardo Galeano, per
giudicare le illiberalità degli altri.
Cosa vogliono
insegnare gli Stati uniti di George W. Bush che hanno più di due ilioni
di detenuti nelle carceri, spesso gestite da privati, sui diritti
degli esseri umani a cui viene tolta la libertà?
Per scrivere con
il disprezzo usato ieri da Battista e da altri pensatori come lui,
bisognerebbe non aver dimenticato troppo spesso le infamie commesse
in nome della democrazia, come il terrorismo degli Stati Uniti
contro Cuba raccontato da Angelo Rizzo in un film che ieri sera ha
chiuso la rassegna ul nuovo cinema italiano presentata a Torella
dei Lombardi, in provincia di Avellino, nell'ambito del Premio
dedicato all'illustre concittadino Sergio eone. O il terrorismo è
accettabile quando viene fatto in nome dei nostri
interessi?
Cuba è un paese
complesso eppure, senza giustificare nulla delle sue ontraddizioni,
che ha il diritto di essere giudicato con serietà, confrontandolo
con la realtà sociale del continente latino americano e di tutti i
sud del mondo ostaggio dell'economia capitalista. Al contrario della
logica dei promossi e dei bocciati scelta da qualche giornale per
stabilire in modo calcistico quali saranno le personalità che
domani, dopo Fidel, governeranno Cuba, io penso di poter solo
segnalare che il futuro di quest'Isola, che da cinquantanni
smentisce tutti, è già presente nelle personalità del governo, alle
quali il vecchio Leader Massimo malato ha affidato l'incarico di
continuare un certo cammino nei settori vitali per la sopravvivenza
di Cuba .
Il ministro
dell'economia Lage è un cinquantenne, il ministro degli esteri
Felipe Perez Roque è un quarantenne. Proprio quest'anno a Salamanca
il giovane ministro degli esteri è riuscito a far firmare ai
colleghi dei paesi latino americani riuniti con i governanti di
Spagna e Portogallo due documenti, uno di condanna del blocco a
Cuba da parte degli Stati uniti e l'altro di richiesta ell’estradizione
del terrorista Posada Carriles, mandante nel '97 degli attentati.
alle strutture
turistiche dell'Avana, in uno dei quali morì il giovane
'imprenditore italiano Fabio Di Celmo, nei paesi che ne avessero
fatto richiesta per rendere giustizia alle vittime dei suoi
misfatti. Un risultato notevole.
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