CHE GUEVARA
di Guido Guidi Guerriera
Francesca ha quasi quindici anni e a dirla tutta sa poco o
nulla del personaggio che idolatra sulle cartoline come le
adolescenti di mezzo mondo. Lo trova bello e questo le basta, ed è
forte il sospetto che lo metta alla stessa stregua dei divi del
cinema in un minestrone confuso di cose reali e finte. Lui, è
innegabile, ha carisma da vendere e la sua espressione di cristo
laico incute rispetto e al contempo fa scorrere fiumi di sensualità:
la passione si trasmette e comunica. Korda lo ha folgorato in uno
dei suoi atteggiamenti tipici e lo ha reso uno stereotipo più forte
della maschera di Tutankamun, regalandogli una immortalità destinata
a perpetuare il mito. Il Che non può morire perché gli eroi della
sua statura che in genere crepano per colpa di un grilletto premuto
da uno qualunque finiscono per essere santificati dagli aedi delle
sue gesta, così la sua stessa fine si ammanta di mistero e di
leggenda. Secondo il parere dei boliviani i resti di Che Guevara,
caduto a Valle Grande, sarebbero sparsi da qualche parte vicino alla
pista dell’aeroporto di La Paz: anzi, sono convinti che proprio
in corrispondenza della sua tomba nella nuda terra non crescano né
erba né fiori. Non vogliono rassegnarsi a credere che nel luglio del
‘97 la salma è stata riesumata a opera di un gruppo di specialisti
con altri sette corpi di guerriglieri e traslata al mausoleo di
Santa Clara e parlano di maledizioni che avrebbero colpito gli
incauti. Il mistero regna denso sulla morte quanto sulla segretezza
della tumulazione . Il mausoleo voluto dal Lider Maximo Fidel
Castro per commemorare in modo degno l’amico di sempre ha
proporzioni monumentali e sorge come una smisurata casamatta color
cenere in una piazza costellata di mattonelle ocra e basse aiuole
verdi, assolata e deserta. La scenografia sia fuori che
all’interno è perfetta e assai suggestiva. Le guardie con fucile
imbracciato e aria debitamente truce, forse per nascondere i disagi
della canicola impietosa, sbarrano il passo e perquisiscono ad
estro. Campeggia il famoso grido di battaglia: “ Hasta la victoria
siempre!”. Dentro c’è una frescura in compenso deliziosa e il buio è
rischiarato appena dalle lampade votive. Prima di arrivare alla
tomba dell’eroe si attraversano una serie di corridoi, stile rifugio
per guerriglieri, dove riposano le spoglie di altri compagni e di
Tania, la ‘ companera pasionaria’ forse anche amata dal
rivoluzionario argentino. Con tocco da perfetto regista un grande
braciere con la ‘lux aeterna’ arde davanti alla lapide che reca
scritta la parte iniziale dell’ordine di servizio impartito da
Castro, un sapiente gioco di luci proietta una minuscola stella su
quelle parole: “Se asigna al comandante Ernesto Guevara la misiòn de
conducir desde la Sierra Maestra hasta la provincias de Las Villas
una Columna rebelde y operar en dicho teritorio de acuerdo con el
plan estratégico del Ejèrcito rebelde”. La gente di tutto il mondo
saluta il giovane eroe caduto che per questo resta nella memoria
bello e incorrotto, e come un semidio neppure sfiorato dalla
bestemmia della vecchiaia. Molti indossano le celebri magliette col
suo ritratto, qualcuno porta fiori, altri si sono fatti tatuare il
braccio con i tratti del suo volto sormontato dal famoso basco e
qualche frase ad effetto presa a prestito dall’abbondante
‘agiografia ’. Qualcuno intona piano e con toni di fervore il
refrain di ‘Hasta siempre comandante” . Se ne conoscono decine e
decine di versioni di questa bella canzone composta da Carlos Puebla
all’indomani della scomparsa del Che. Ne fecero una intensa
interpretazione i Buena Vista Social Club e gli Intillimani, senza
contare quella splendida di Chico Buarque de Hollanda e Luis Eduard.
Tutti insieme hanno fatto volare il sogno per le terre del globo
sulle ali della musica. Oggi devi chiedere esplicitamente che
eseguano il pezzo nei caffè di Calle Obispo o nel patio del Palazzo
dell’Artigianato: si coglie un velo, un velo appena di imbarazzo,
ma con certezza non si avverte più il trasporto di un tempo, né
quella ardente passione politica che animava i cuori pronti a fare
sgorgare la melodia e i versi poetici spontaneamente. Come nel caso
del Mausoleo anche l’inno all’eroe sembra un pezzo di folclore
venduto ai turisti in cerca di emozioni provenienti da bagliori di
un mondo che simili alle luci di un teatro in disfacimento stanno
spegnendosi l’una dopo l’altra. Ho sentito qualcuno, tra i giovani
che compongono i tanti gruppi musicali ‘di strada ’, non pronunciare
più la fatidica ‘Y con Fidel te decimos…” e sostituirla con un
generico ‘Como siempre…” . Non è forse il caso di trarre cabale
azzardate, ma il senso di disaffezione tradito da un atteggiamento
insofferente che prima non si notava affatto è oggi palese anche al
più distratto visitatore dello splendido paese caraibico. In
compenso una folla assillante di postulanti disseminata per le vie
affollatissime del centro propone - oltre ai soliti sigari a
mercato nero, a droghe varie, alle ‘case private’, ai paladar ,
ristorantini a poco prezzo, e alle prostitute - banconote e monetine
che ritraggono il bel Che con il suo bel sorriso da gatto
sornione. Quelle da tre pesos, assai ricercate, vengono vendute
per la strada a un dollaro o meglio a un euro, da quando la moneta
statunitense è stata cervelloticamente svalutata del venti per
cento, mentre su internet le stesse sono offerte al prezzo
sbalorditivo di oltre diciotto euro più le spese postali. Sempre a
un euro si ottengono tre o quattro monetine da un peso cubano l’uno.
I gadget poi non si contano e si esprimono in tutta la stupefacente
rosa di splendide inutilità che l’ingegno umano può essere in grado
di concepire.
Un fatto però è certo: comprare una maglietta del Che
profumata d’aria di Cuba è una idiozia clamorosa perché il prodotto
generalmente fatto in Italia, in Spagna o made in Mexico arriva a
costare il triplo rispetto a confezioni di qualità decisamente
migliore reperibile in ogni mercato di casa nostra. Alla stregua di
un santo patrono, o di un pontefice che si è consegnato già in vita
alla gloria postuma, l’icona del Che rappresenta comunque un
ideale romantico irresistibile quanto la sua stessa brevissima
esistenza, da afferrare come un frammento di cielo capace di entrare
in una scatola di fiammiferi. E quei mille gadget appaiono il mezzo
ideale per far proprio il mito, al quale si immagina di appartenere
in una sorta di scambio osmotico. Così chi si frega le mani a
dispetto degli ultimi romantici custodi di un’epopea ormai del tutto
finita sono proprio i mercanti di illusioni che a molti livelli
tengono alta quella febbre con un’unica passione in cuore: il
profitto di qualsiasi genere esso sia. Francesca mostra con
orgoglio i suoi cimeli alle amiche’ : ‘ che bono!’ esclamano in
coro, commentando gli scatti di Albert Korda, che regalò quella foto
mitica a Giangiacomo Feltrinelli nel ’60, di Canales, Garcia, Ozon e
Romero. In una di quelle cartoline Ernesto ha un Cohiba tra le
labbra: quei sigari e quel nome li aveva inventati con Fidel Castro
mentre era ministro dell’Industria. Una delle cose di cui, da buon
fumatore di ‘habanos’, andava assai fiero. Le immagini srotolate sul
tavolo sembrano brevi sequenze di un film, lui la faccia dell’attore
ce l’ha per davvero. Mi avvicino al gruppetto: “ Guardate che questo
ragazzo ha combattuto tutta la vita ed è morto per un ideale, come
lui ne nascono pochi.” “E’ morto?” Mi guardano allibite, non ci
vogliono credere. Gli eroi come Ernesto Che Guevara non possono
morire, non gli è permesso. La ‘tu querida presenzia’, comandante,
resta un mistero e ha tutta la forza e la dignità della storia,
capace di prevalere sempre su qualsiasi oltraggio delle mode.
L’attrice
Margaret Cho si è fatta ritrarre in posa alla Guevara per il suo
“Cho Revolution” tour. Il pugile Mike Tyson esibisce il tatuaggio
Guevara sul torso da quando si è sentito vittima di torti. Lo stesso
valga per il campione del calcio Diego Armando Maradona con viso del
guerrigliero tatuato sul braccio destro, per il musicista Carlos
Santana che ha indossato una maglietta con l’effige del Che assieme
ad Antonio Banderas , in occasione della trascorsa notte degli
Oscar durante la quale si sono esibiti nell’interpretazione
canora del tema tratto dal film ‘I Diari della Motocicletta ’ .
Leung Kwok Hung, giovane attivista cinese, sfida il governo di
Pechino con indosso la fatidica t-shirt e lo stesso fanno i
ragazzi del movimento bielorusso Zubr, ‘il bisonte, che combattono
la tirannia dittatoriale di Aleksandr Lukashenko e giurano nel
corso di una cerimonia vagamente inziatica di combattere
fraternamente per la causa della democrazia senza risparmio di
energie, né della stessa vita. Vladimir
Kobets, uno dei coordinatori dei Zubr afferma: “ Sto pensando di
mandare in giro Misha ( un compagno di battaglia n.d.r.) come nostro
Che Guevara…”. In questo caso l’ icona di lotta, quasi scarnificata
nella sua essenza storica, viene usata per una ideologia
diametralmente opposta. E a tenere viva la fiaccola della leggenda
colpendo proprio il cuore dell’immaginario collettivo giovanile, il
recente film che Gianni Minà ha portato sugli schermi grazie alla
collaborazione con Robert Redford. ‘I diari della motocicletta’
raccontano il viaggio ‘per scoprire il mondo ’ fatto nel ’52
da Guevara con l’amico Alberto Granado a bordo della “Norton” ,
detta “la poderosa”. “ Stavano tentando di ridurre il Che solo ad un
gadget, ma con il film e il documentario questo inganno viene ora
cancellato e tutti potranno riscoprire come Guevara fosse un
rivoluzionario e un pensatore – queste le parole di Granado durante
la presentazione in Italia del suo libro ‘Un Gitano Ribelle’ – “
Adesso sarà chiaro ancora una volta che Ernesto non era solo un
guerrigliero, ma anche un intellettuale: la cosa può non piacere
ai poteri forti di oggi che continuano a rappresentarlo come un
‘santino ’o una ‘icona ’ fatti per impressionare la fantasia dei
ragazzi.” Tuttavia il cinema si è da tempo dedicato a raccontare le
gesta del Che con più o meno aderenza storica ai fatti a partire da
Francisco Rabal nel ‘68, da Omar Sharif un anno dopo , poi da
Alfredo Vasco nel ’99 e nel 2002 dall’ultimo Gael García Bernal
nel film di Walter Salles. Eppure singolarmente è sempre l’immagine
catturata da Korda a servire ancora da lezione fisiognomica perfetta
se per un motivo o l’altro, che a volte è solo un pretesto, si
intende comunicare un messaggio fortemente subliminale. I grandi
soloni della pubblicità hanno da par loro annusato il business
immediatamente. Classico i caso della vodka Smirnoff che ha fatto
andare su tutte le furie Alberto Korda , non si capisce bene se per
ragioni squisitamente ideologiche oppure più banalmente materiali.
Ecco il suo sfogo rilasciato al quotidiano inglese ‘Guardian’: "Non
ci ho mai preso un solo dollaro. Nessuno, mai, mi ha pagato i
diritti. Per me, bastava l' idea che grazie ad una foto carpita in
un momento particolare, avevo reso immortale il comandante Che
Guevara. Ma adesso, basta: se farà da cornice alla vodka Smirnoff,
lui che era completamente astemio, pretenderò i diritti d' autore.”
E sempre a
proposito di trovate pubblicitarie, alla New York Public Library
esiste un negozio di articoli da regalo dove è stato messo in
vendita un orologio con la faccia del Che e la parola “Revolution”.
La pubblicità, solo appena un po’ kitsch, recita : “La rivoluzione è
uno stato permanente. Fate vostro questo intelligente orologio con
la classica immagine romantica di Che Guevara, intorno alla quale
gira la parola ‘rivoluzione’.” E ancora come se non bastasse da La
La Ling, un negozio per bambini a Los Angeles, si può acquistare
una tutina per bebè con la sorniona immagine barbuta . Questo il
messaggio pubblicitario: “Consigliato dalla prestigiosa guida allo
shopping delle vacanze ‘Time Magazine’: “Viva la revolucion !” Di
che genere? Del ciucciotto, della pappa, della cacca…?
Eppure questo
simbolo per antonomasia della rivolta giovanile degli anni ’60,
rimane secondo il giudizio degli oppositori del regime castrista un
esempio negativo di violazione dei diritti umani proprio nel
periodo in cui Guevara ricopriva cariche di alta responsabilità nel
governo di Cuba: nient’altri che un ‘tagliagole’ senza scrupoli al
servizio della dittatura di Fidel Castro.
Le nebbie del
tempo hanno fatto calare sulla sua memoria e sulla verità delle
cose una spessa coltre e il buio si è infittito nella guazza della
indistinzione dei contorni delle cose e a causa dell’odierna,
implacabile, assenza di ideologie forti e comprensibili. Chi era
insomma costui? Era un rivoluzionario argentino audace e fortunato
che la vittoria ha consacrato e tramandato col titolo di eroe e
guerrigliero, laddove la sconfitta lo avrebbe bollato col marchio di
traditore e di terrorista, o invece quell’amabile mito romantico,
idolatrato spesso inconsapevolmente da generazioni, una specie di
‘robin hood’ al servizio della povera gente e dei suoi bisogni? La
storia sempre più appassionante di un romanzo, continua e con la
saggezza di chi ha per orizzonte il futuro preferisce non scrivere
la parola fine.
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