AVVENIMENTI
“RIFLETTERE IL FUTURO"
Quaderno di Analisi, Riflessioni e Strumenti di Azione Aprile 2007
“LA
“NUOVA”AMERICA LATINA DEL XXI°SECOLO
il governo, la sinistra, la cooperazione”
INTRODUZIONE
di Andrea Genovali – Presidente Associazione
Puntocritico
Come associazione Puntocritico abbiamo sempre cercato di
approfondire le analisi e lo studio dell’America Latina. Oggi
proseguiamo su questa strada (NO di analisi e) approfondimenti dando
vita a questo quaderno “Riflettere il Futuro”. Lo facciamo
mettendo a confronto idee e punti di vista diversi sui temi politici
e sugli (degli) strumenti di azione per interagire, non solo
politicamente, con le nuove realtà latinoamericane. Non è un
caso, a nostro avviso, se oggi l’America Latina rappresenta la punta
più avanzata di un’idea di cambiamento possibile per la sinistra
mondiale di fronte ai tragici risultati del capitalismo e delle
politiche neoliberiste. A livello internazionale constatiamo oggi
che molti stati cercano di costruire una multipolarità che non vuole
più piegarsi al cosiddetto “consenso di Washington” e al dominio
unilaterale della super potenza statunitense. La multipolarità che,
lentamente, ma concretamente, sta nascendo vede nella Cina,
nell’India, nella Russia, nell’Unione africana, nell’Amercia latina…
i maggiori protagonisti, con le loro difficoltà e contraddizioni, ma
tutti con la consapevolezza che quella è una strada realmente
percorribile per assicurare i maggiori vantaggi ai propri popoli,
sia in termini economici, che sociali e per assicurare loro una pace
vera e duratura.
Dal momento che ogni accadimento non avviene per caso, è importante
comprendere come la rinascita del continente latinoamericano si sia
potuta verificare. Gli interventi, preziosi, dei nostri
interlocutori ci permetteranno di capire come la sinistra italiana
si ponga di fronte a questo scenario ricchissimo di potenzialità,
sia dal punto di vista politico-ideale, sia dal punto di vista del
che fare concretamente per sostenere questi processi e,
contemporaneamente, a nostro avviso, essere sostenuti, nella pratica
politica e democratica, da quei progetti.
Una delle idee di fondo di questo nuovo processo latinoamericano è
senza dubbio l’acquisizione dell’idea del governo del paese come
strumento, non per la gestione ordinaria, o comunque all’interno
delle cosiddette compatibilità di sistema, ma per realizzare le
condizioni politiche, economiche e sociali atte a costruire società
diverse.
Non ci sfugge, ovviamente, che le realtà dei paesi latinoamericani
sono molto articolate e variegate. Volerle riassumere tutte in un
unico schema sarebbe, prima che sbagliato, sciocco. Non si possono
paragonare, infatti, il Venezuela con il Cile, il Brasile con la
Bolivia, l’Argentina con Cuba o l’Uruguay con l’Ecuador solo per
citarne alcuni. I processi in atto sono fra loro diversi, e spesso
anche molto distanti, ma in tutti i casi il tentativo, più o meno
radicale o più o meno moderato, è di cercare di costruire una
società dove i popoli possano recuperare la propria indipendenza e
autonomia rispetto alle politiche neoliberiste, militariste e
imperialiste degli Stati Uniti, in primo luogo.
Un processo in atto, questo, il cui inizio può essere ricondotto
alla implosione dell’esperienza del socialismo sovietico e alla
caduta del Muro di Berlino. Un fatto di enormi proporzioni che ha
permesso ai popoli latinoamericani di dare vita, e sostanza, a nuove
energie di cambiamento, non più costrette dentro gli schemi angusti
della “guerra fredda”.
Un processo non facile, né indolore, che nacque, appunto, sulle
macerie ancora fumanti di quel muro tedesco nel 1990 ad opera del PT
di Lula che seppe, insieme a tutta la sinistra latinoamericana,
comprendere la gravità del momento e, superando enormi schemi e
barriere ideologiche, riunirsi attorno ad un tavolo e dare vita al
Foro di S. Paolo dove, dai guerriglieri alla sinistra cattolica di
base, furono in grado di parlarsi, ascoltarsi e dialogare per
capire, senza nessun senso di superiorità da parte di nessuno, come
fare per uscire da questo enorme disastro. Un dialogo che ancor oggi
prosegue.
Da questo processo e dai vasti e grandi movimenti sociali sorti in
questi anni in America latina è emersa, a nostro avviso, la “nuova”
America latina. Un superamento, dunque, in positivo per la sinistra
latinoamericana di quel disfacimento di valori e di relazioni
commerciali che fu la fine del blocco sovietico. Tutto ciò a
differenza del destino della sinistra europea che dalla caduta di
quel muro non è stata, almeno finora, in grado di riprendere un
cammino comune e nella direzione del socialismo.
Questo Quaderno, allora, cerca di far ragionare la sinistra italiana
non tanto su un ipotetico modello latinoamericano - perché non
potranno più esistere modelli validi per tutti e in ogni luogo - ,
ma su un metodo di lavoro che l’America latina ci propone
come strumento di “ri-nascita” anche per la sinistra italiana ed
europea.
Una riflessione per concludere. Nel 1990 la sola Cuba, in America
latina, aveva un governo di sinistra. In soli 17 anni la sinistra, e
il centrosinistra latinoamericano sono riusciti a cambiare
profondamente il volto di questo continente. Un cambiamento nel
quale, pur nelle diverse opzioni spesso inconciliabili, è chiaro
quale sia il nemico da battere: il neoliberismo imperialista degli
Usa. Oggi sono una decina i governi di sinistra e progressisti nel
continente che affondano le radici in quell’esperienza che abbiamo
sopra delineato. Ogni paese con la propria storia, con i bisogni del
proprio popolo, con i rapporti di forza storicamente dati fra i
partiti e le forze sociali, ma tutti con la consapevolezza che è
nell’autonomia e nell’idipendenza che si possono costruire futuri di
pace e serenità per i proprio popoli.
In Europa non esiste niente di paragonabile. Non si riesce a
discutere, ad ascoltarsi, a condividere luoghi aperti e inclusivi.
In Europa è l’opzione discriminante a prevalere, non l’inclusività.
Inoltre, il governo è percepito come gestione dell’attuale e non
come tentativo di democratizzazione profonda della società. Ancora
una volta, l’America latina ci consegna un metodo di lavoro. Adesso
tocca a noi italiani, ed europei, saper essere all’altezza della
situazione storica e cercare di dare il nostro contributo al
cambiamento sociale e alla democratizzazione sempre più partecipata
delle nostre società.
Contributo Patrizia Sentinelli
Vice Ministro Affari Esteri con delega alla Cooperazione
Il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio chiede nuove
politiche di cooperazione integrate e partecipative, che sappiano
incoraggiare iniziative locali rispettose delle popolazioni e
dell’ambiente.
Lo scarto tra i propositi e i risultati raggiunti indica la
necessità di un cambio di passo e il delinearsi di politiche di
cooperazione che sappiano coniugare migliore qualità degli
interventi e maggiori quantità di risorse economiche destinate all’APS
come avvenuto nella finanziaria 2007.
Occorre coniugare il rafforzamento delle azioni di cooperazione con
la definizione di un nuovo assetto multilaterale all’interno di un
quadro internazionale più equo e solidale, ma anche con un rinnovato
protagonismo dell’iniziativa del nostro Paese capace di proporre
nuovi ambiti e settori di intervento.
Questa premessa riguarda anche i nostri
rapporti con l’America Latina dove, anche nei paesi a medio reddito
continuano ad esistere grandi sacche di povertà ma dove nel contempo
si registrano una grande vivacità e interessanti esperienze
partecipative che fanno guardare con ancor maggiore interesse
all’intera area.
I legami tra l’Italia e l’America Latina, anche in forza della
consistente Comunità italiana, sono particolarmente intensi e, oltre
ai tradizionali rapporti economici ed industriali sviluppati nel
passato, coinvolgono al momento attuale molte aree che interessano
più da vicino
la Cooperazione allo sviluppo.
I dati della Fao sulla povertà e sul mancato
accesso a beni comuni come acqua, terra ed energia che dovrebbero
essere garantiti a tutti, evidenziano sia il fallimento delle
politiche economiche degli ultimi 20 anni sia delle stesse politiche
di aiuto allo sviluppo.
Per questo acquista una grande importanza
nell’ambito del nostro Paese, il disegno di legge delega sulla
cooperazione che il CdM ha approvato definitivamente lo scorso 5
aprile. Con questa iniziativa si intende rispondere ai cambiamenti
che hanno segnato il mondo, incidendo sul ruolo della cooperazione
allo sviluppo, rispetto al 1987 anno di approvazione della legge 49
attualmente in vigore.
Oggi i temi sono diversi e più gravi e il
disegno di legge delega punta ad affrontare, con l’obiettivo di
scioglierli, quattro nodi: quello di dare una vera unitarietà
all’indirizzo politico sulla cooperazione, in capo al ministro degli
Esteri, e alla riunificazione dei fondi, oggi dispersi tra diversi
ministeri; quello di snellire le procedure e di rendere l’azione
pubblica più efficace e incisiva rispetto alle reali necessità con
l’istituzione di un’Agenzia pubblica per la cooperazione; la fine
della sovrapposizione con le attività commerciali superando il
cosiddetto aiuto legato con l’impiego il più possibile di beni e
servizi prodotti nei Paesi e nelle aree in cui si realizza la
cooperazione; il pieno riconoscimento del ruolo di tutti gli attori
della cooperazione, vecchi e nuovi.
La grande povertà urbana e rurale, la difesa
delle risorse naturali, la carenza di servizi sanitari pubblici e
dell’istruzione di base, la lotta al narcotraffico ed un determinato
intervento per combattere la violenza sui minori e sulle donne,
sono, oggi, le priorità che dovrebbero riguardare l’intervento
dell’intera comunità internazionale in America Latina.
E’ noto che circa un quarto degli abitanti
dell’America Latina vive con meno di due dollari al giorno; il 10%
con meno di un dollaro. Malgrado le immense ricchezze naturali,
un’aspettativa di vita relativamente alta (71 anni) un basso tasso
di analfabetismo e un trend di crescita economica in aumento, nei
vari Paesi, permangono sacche di povertà e profonde disuguaglianze
tra le varie fasce della popolazione.
La popolazione urbana del subcontinente è circa tre quarti del
totale, facendo dell’America Latina l’area in via di sviluppo con la
minor quota di popolazione rurale e, di conseguenza, con la maggior
presenza di povertà urbana.
Questo fenomeno di “urbanizzazione” della povertà è da alcuni anni
al centro dell’attenzione internazionale (è del 1996 la prima
conferenza mondiale sugli insediamenti umani) ed ha portato, nel
1999, alla nascita della “Cities Alliance for Cities Without Slums”,
su iniziativa di Banca Mondiale ed Habitat; si tratta di un
organismo multilaterale che si propone, in coerenza con gli
obiettivi del Millennio, di migliorare entro il 2020 le condizioni
di vita di 100 milioni di abitanti delle aree degradate urbane in
tutto il mondo.
Il fatto che a fronte di dati che segnano una crescita economica
non vi sia stato un contestuale miglioramento dei numerosi problemi
sociali che affliggono l’America Latina pone la necessità di un
cambio radicale dell’attuale “modello di sviluppo”.
In questo senso l’Italia guarda con interesse alla nuova stagione
politica che ha visto emergere in questi anni in molti Paesi
dell’America Latina nuovi rappresentanti eletti che hanno fatto di
questa critica un punto fondamentale della loro iniziativa politica.
Le iniziative italiane di cooperazione allo sviluppo in
America Latina sono ispirate all’esigenza di promuovere un progresso
economico, ma soprattutto della condizione sociale della
popolazione, in un area legata al nostro Paese da importanti
vincoli etnici e culturali.
Gli interventi e i programmi italiani, per un impegno di circa 60
milioni di euro nello scorso anno, sono numerosissimi ed è
impossibile citarli tutti; essi riguardano lo sviluppo economico, la
lotta alla disoccupazione, il settore sanitario e la protezione
delle madri e dei minori, la distribuzione e il trattamento delle
acque, la tutela ambientale, lo sviluppo delle risorse umane della
piccola imprenditoria, il sostegno al tessuto agroalimentare.
Riveste sicuramente importanza il Programma
regionale contro il traffico di minori per sfruttamento, in
corso anche in Repubblica Dominicana e che ho avuto modo di
monitorare anche nel corso del mio ultimo recente viaggio in Centro
America, attraverso il quale si è favorita la messa a punto di
metodologie intergovernative di contrasto dei fenomeni peggiori di
criminalità a danno dei minori. In questo settore, un particolare
risalto, viene dato, infatti, alla collaborazione con le
Istituzioni dei Paesi interessati quali gli Istituti per
la Protezione del Minore, le Forze di Polizia e i Ministeri
degli Interni.
Per il futuro, in America Latina verrà dedicata grande importanza
alla tutela ambientale, all’accesso all’acqua e all’agricoltura,
come abbiamo già iniziato a fare in un recente viaggio in Bolivia
dove la nostra cooperazione completerà un’importante diga con lo
scopo di fornire acqua potabile e a scopo irriguo nella valle di
Cochabamba e dove si sosterranno le coltivazioni di caffè, ma anche
con una nuova attenzione ai programmi delle istituzioni bancarie
multilaterali con l’obiettivo di favorire e sviluppare programmi di
microcredito.
Quello sulla formazione e nel settore culturale sono altri
interventi fondamentali nelle economie dei PVS poiché il loro
obiettivo è l’investimento nel capitale umano, cioè l’insieme delle
conoscenze, delle capacità, delle competenze e delle prerogative
delle persone, che facilità la creazione del benessere individuale,
sociale ed economico.
La Cooperazione italiana investe di grande importanza la
preservazione del patrimonio culturale, soprattutto se si opera in
aree dove è importante rafforzare la consapevolezza del valore che
la cultura rappresenta per la conservazione dell’ identità e dello
sviluppo dei territori.
La protezione e la valorizzazione del
patrimonio non è oggi un’operazione di tipo “conservativo” ma uno
strumento privilegiato per avviare dei veri e propri meccanismi di
autopromozione e protagonismo delle comunità locali. La
valorizzazione delle tradizioni e dei saperi locali, si configura,
infatti, come una strada privilegiata per migliorare il benessere
delle popolazioni dei paesi partners di solito molto attente alla
difesa del loro territorio e dei beni comuni: acqua, terra, energia.
Non esistono soluzioni magiche per la lotta contro la povertà e i
più gravi problemi di tante aree della terra; i conflitti, la
corruzione, il mancato accesso alle risorse naturali e
all’istruzione, il degrado dell’ambiente sono una pesante zavorra
che gettano i Paesi in un circolo vizioso fatto di povertà, fame e
miseria. E’compito anche della cooperazione italiana concorrere a
spezzare questa spirale negativa attraverso politiche di aiuto
mirate e sostenute dalla volontà comune dei Governi e delle
istituzioni internazionali, ma soprattutto attraverso processi
partecipativi delle popolazioni direttamente coinvolte, fattore
questo che può diventare l’aspetto qualificante della nuova
cooperazione Italiana.
Contributo di Donato Di Santo
Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, con
delega per i paesi dell'America latina e Caraibi
Rivolgo un caro saluto e un augurio di buon
lavoro a tutti i relatori, organizzatori e partecipanti all'incontro
su "America latina, un continente in movimento”. Mi dispiace non
poter essere con voi: l’avrei fatto, come sempre, molto volentieri.
Purtroppo il lavoro del governo, come sapete, è stato interrotto e
quindi non mi è possibile partecipare in rappresentanza del
Ministero degli Affari Esteri. Approfitto, comunque, di questo
saluto per svolgere brevi riflessioni che spero possano essere di
vostro interesse.
Spesso, in Italia, sulle problematiche che
riguardano l'America latina, si riscontra un forte e diffuso
interesse in tanti settori della società civile, dei movimenti,
degli Enti locali, del mondo della cultura, dell'Università. Molto
meno, e negli ultimi anni in modo particolare, da parte delle
istituzioni nazionali e del governo.
E' partendo da questa constatazione che va
considerata e valutata la decisione del governo italiano presieduto
da Romano Prodi di riattivare l'attenzione, le attività, i rapporti
con l'America latina e i Caraibi. La mia nomina, nove mesi fa, a
Sottosegretario per gli Affari Esteri discende da questa decisione e
non da criteri o equilibri "politici". Nei limiti delle mie
possibilità e capacità ho cercato di corrispondere appieno a questo
"mandato".
In questi primi mesi abbiamo già svolto
missioni politiche in quindici paesi latinoamericani e caraibici.
Nel luglio scorso, il primo paese (primo non casualmente ma per
decisione politica) è stata
la Bolivia,
dove ho avuto l'onore di essere ricevuto dal Presidente Morales e
dove, pochi giorni fa, si è recata
la Viceministra Patrizia
Sentinelli con l'obiettivo di sviluppare ulteriormente la nostra
cooperazione bilaterale.
Abbiamo riattivato rapporti e progetti fermi da
anni, lanciando nuove iniziative politiche, istituzionali,
economiche e di cooperazione, cercando di essere al passo con i
tempi e con i cambiamenti in corso, e di cui voi discuterete oggi.
Ci stavamo preparando perché l'Italia fosse protagonista attiva e
propositiva nel Vertice Unione europea-America latina e Caraibi, che
si terrà il prossimo anno a Lima. Ci stavamo attrezzando affinché la
cooperazione decentrata, quella degli enti locali, del terzo
settore, della società civile, fermo restando la piena e totale
autonomia di questi soggetti, potesse vedere nel governo un punto di
riferimento positivo, non un "grande assente" come è stato per
troppo tempo. Proprio per questo, pochi mesi fa, abbiamo deciso di
partecipare direttamente alle attività in Brasile (riguardanti
centinaia di progetti di cooperazione decentrata e, si potrebbe
dire, popolare) di una delegazione di molti Comuni e Provincie, e
di sei importanti Regioni italiane, guidata da Mercedes Bresso,
Presidente del Piemonte. E' stata una decisione molto apprezzata
e che ha dato subito un primo risultato: dopo meno di due mesi da
quella visita si è tenuta a Roma
la prima Commissione
economica mista Italia-Brasile, prevista da un accordo bilaterale di
dieci (!) anni fa e mai realizzata. nSappiamo bene che, nel contesto del mondo
globalizzato, a livello bilaterale molte cose non si possono
risolvere e quindi ci stiamo sforzando affinché la nostra presenza
-di paese fondatore- nell'Unione europea, inizi anche ad essere
sinonimo di nuova attenzione alle problematiche commerciali e
agricole espresse dai paesi e dalle organizzazioni regionali (Mercosud,
Comunità andina, Centroamerica, Caraibi, oltre che da Cile e
Messico) dell'America latina. Di questo stavamo discutendo con
moltissimi dei paesi dell'area, favorendo un processo che offra - e
non sarà facile - anche una sponda europea ai loro legittimi
programmi di integrazione. Di questo hanno approfonditamente
discusso il Ministro degli esteri D'Alema con i Presidenti Lula e
Michelle Bachelet, nei recenti incontri che abbiamo svolto nelle due
capitali di Cile e Brasile.
Sul piano più strettamente politico, tra le
tante cose che si potrebbero ricordare, vi segnalo la forte ripresa
di attenzione dell'Italia, non solo del Governo ma anche di tante
espressioni della nostra società civile, verso la situazione
colombiana e gli sforzi per favorire un rilancio dei negoziati di
pace, a partire da un sostegno al difficilissimo lavoro in
atto per uno scambio umanitario con le FARC, e da una attiva opera
di facilitatori nel dialogo governo-ELN (a questo proposito ricordo
che, per la prima volta, lo scorso novembre l'Italia è stata
invitata – e ha partecipato - agli incontri in corso a L'Avana).
Va ricordata la vicenda del voto per
il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite: il nostro è
stato l'unico paese europeo a non aver votato contro il Venezuela,
favorendo una soluzione che fosse decisa dai latinoamericani e non
spaccasse l'America latina.
E va segnalato che uno dei miei primi atti,
pochi giorni dopo la nomina, fu la richiesta formale al nostro
Ministero della Giustizia, di aprire un fascicolo riguardante il
caso Di Celmo, il giovane italiano ucciso in un attentato
terroristico a Cuba. Non va dimenticato, inoltre, che se esiste una
"Italia in America latina" (e finalmente è rappresentata
ufficialmente anche nel Parlamento nazionale), esiste sempre più una
"America latina in Italia", e sono le centinaia di migliaia di
immigrati che lavorano nelle nostre fabbriche, nelle nostre
campagne e, soprattutto, nelle nostre case. Dobbiamo uscire dalla
logica di vedere questo fenomeno solo da un punto di vista di ordine
pubblico o di assistenza sociale e valutarlo per quello che è: una
grande opportunità, una storica opportunità, per sviluppare la
conoscenza reciproca e per favorire il progresso nei loro paesi di
origine. Su queste cose stavamo dialogando con le stesse
associazioni degli immigrati e con molti dei governi
latinoamericani. Per ultimo, poche settimane fa, con il nuovo
governo dell'Ecuador, dove mi sono recato per l'insediamento del
Presidente Rafael Correa. Abbiamo avviato un lavoro che avrebbe
dovuto portare alla formalizzazione di un accordo tra i due paesi.
Infine, se il governo non fosse dimissionario,
avrei invitato tutti i presenti a collaborare alla preparazione
della III Conferenza Nazionale italiana sull’America Latina, il cui
percorso avremmo avviato nelle prossime settimane e che si sarebbe
concluso a Roma, a metà ottobre.
Molte altre cose potrei aggiungere ma non
voglio tediarvi. Vi auguro nuovamente un buon lavoro in questa
giornata di dibattito e spero di poter condividere, in un prossimo
futuro, una occasione analoga con voi.
* MESSAGGIO ALL’INCONTRO SU “AMERICA LATINA, CONTINENTE IN
MOVIMENTO”* Padova febbraio 2007 organizzato da Puntocritico
e altre associazioni
Contributo di on. Iacopo Venier,
resp. Esteri PdCI; Segr. Comm. Esteri Camera deputati
La sinistra latinoamericana è una sinistra viva, capace di
interpretare le aspirazioni profonde dei lavoratori e più in
generale dei popoli di quel continente.
E’ una sinistra all’offensiva capace di lottare e spesso vincere nei
propri paesi.
Ma soprattutto è una sinistra che non si ferma alle sue piattaforme
nazionali ma si sta dando gli strumenti per agire a livello mondiale
con l’ambizione di modificare le dinamiche globali ed il corso
stesso della storia.
Per noi che da tempo abbiamo abbandonato ogni idea eurocentrica
tutto ciò non è una sorpresa.
Altri invece purtroppo insistono con intollerabili atteggiamenti
paternalistici o peggio praticano addirittura metodi di pesante
intromissione nelle dinamiche della sinistra latino americana.
Si tratta di fatti gravissimi messi in atto da forze che farebbero
bene, per il loro stesso futuro, ad accettare l’idea che alle volte
si deve anche ascoltare; che bisogna rispettare chi ha fatto e fa
più di te; che alle volte bisogna anche imparare da chi ha quella
forza politica e morale che tu hai abbandonato. Non è il nostro caso
ovviamente.
L’America che ha sperimentato sulla sua pelle cosa significa neo
liberismo, globalizzazione finanziaria, che conosce bene le
politiche di aggiustamento strutturale, del debito, del FMI e della
Banca mondiale.
E’ l’America che contrasta l’ALCA e che deve rispondere ai colpi di
stato, alle minacce militari, alle interferenze politiche ed
economiche messe in capo dagli USA.
E’ però anche l’America che può impedire proprio agli USA di
continuare quell’enorme appropriazione di risorse nel cortile di
casa che è fondamentale per la strategia Bush di dominio globale.
Le parole chimera della destra mondiale sono flessibilità e
innovazione. A queste parole la sinistra dell’America Latina
risponde con la coppia resistenza e progetto. Questa coppia è la
coppia fondamentale attorno a cui si può articolare la sola politica
possibile a sinistra in questa fase caratterizzata dalla più
importante offensiva violenta e globale da destra dall’inizio del
secolo scorso. In America latina la coppia resistenza e progetto
significa che tutti, proprio tutti, hanno insieme individuato
l’avversario principale da battere. La resistenza agli USA ed al
loro progetto di appropriazione del Continente è il cemento che
tiene insieme le forze più diverse, è il cardine di una strategia
che man mano è divenuta vittoriosa. Questa base comune, questa
analisi condivisa è ciò che manca alla sinistra europea è ciò che le
impedisce di avere una strategia comune, una unità non tattica.
La resistenza in America Latina ha inoltre una base teorica ed una
storia. Il pensiero di Josè Martì e di Simon Bolivar, le lotte per
l’indipendenza e poi contro le nuove oppressioni, il cammino tragico
attraverso l’epoca delle dittature, le straordinarie vittorie
rivoluzionarie, come le attuali altrettanto straordinarie vittorie
politiche ed elettorali trovano una loro coerenza e nessuno si
abbandona in revisionismi sciocchi in abiure autolesioniste come
capita qui da noi. La storia della sinistra, la storia dei
comunisti, è colma di pagine eroiche ma anche di errori e tragedie
ma ciò non significa che questa non sia la storia della più
straordinaria impresa di emancipazione umana. Di questa storia tutti
noi siamo indegnamente eredi ed al contempo se non vogliamo perderci
ci è chiaro che in questa storia, in questo bagaglio prezioso e
pesante, si trovano le mappe per proseguire il nostro cammino.
Il tema della resistenza si innesta con il tema della sovranità e
cioè con l’idea che siano i popoli a dover decidere del proprio
destino a dover darsi le forme del proprio modello di sviluppo. E
non è quindi un paradosso che gli scritti di Gramsci sul tema siano
oggi motivo di studio proprio in America Latina mentre Cuba resta il
paradigma politico di tutto ciò poiché la sua sola esistenza
dimostra ogni giorno che un altro sviluppo è possibile, che altre
priorità sono possibili, che altre politiche sono praticabili.
La sovranità non è però pensata più solo a livello nazionale. Per
rispondere alla sfida dell’ALCA l’altra America sta facendo crescere
forme di integrazione regionale fondamentali basti pensare alla
proposta di Lula di dare natura politica al Mercosur. Anche qui si
ritrova la lezione dei grandi teorici dell’indipendentismo
latinoamericano che avevano sempre pensato alla unità del sub
continente. Noi in Europa invece, lasciamo che sia il killer
dell’Europa Berlusconi a ricordare Spinelli, e ci dividiamo anche a
sinistra sulla necessità di difendere ed allargare quel poco di
unità politica che abbiamo acquisito.
La sinistra latinoamericana inoltre non si chiude nelle proprie
piccole famiglie. Ha un luogo, il Foro di San Paolo, che è divenuto
il crogiuolo dove si sta fondendo una nuova identità politica
comune. Mentre in Europa c’è chi impedisce addirittura ai
parlamentari della sinistra di riunirsi insieme in occasione dei
Fori Sociali, ed tra le forze della sinistra di trasformazione
assistiamo a divisioni vere e unificazioni forzate senza una reale
base politica in quel continente un metodo nuovo ha consentito al
Foro di far interagire tutte le forze politiche della sinistra :
dall’internazionale socialista, a Cuba, dalle forze guerrigliere,
alla nuova sinistra.
La sinistra latinoamericana non confonde i piani e per questo ha una
relazione fortissima e seria con i movimenti. Il Foro di San Paolo è
un foro di partiti e nessuno si sognerebbe di dire che l’analisi la
fanno i movimenti e che serve una prassi senza teoria. I Partiti si
assumono tutta la loro responsabilità ma ciò non è in contraddizione
con il pieno sostegno anche allo sviluppo dei movimenti.
La sinistra latino americana è una sinistra di trasformazione. E’
cioè una sinistra che accetta la sfida del governo, che organizza
attorno a sé alleanze politiche e sociali, che quando vince cambia
sul serio lo stato di cose presenti. Cambiare le cose significa per
esempio sperimentare nuove forme di partecipazione e democrazia come
sta avvenendo in Venezuela, in Bolivia, in Ecuador, in Brasile solo
per fare pochi esempi, chiedersi con chi si è davvero in debito come
fanno gli argentini e decidere poi di non pagare più gli strozzini
del Nord, significa sviluppare nuovi software per rompere il
monopolio mondiale come si propone di fare Cuba.
La sinistra latino americana infine ha una strategia mondiale.
L’esplodere dello scambio SUD-SUD, ad es. tra Brasile e Cina ma non
solo, oppure solo per ricordare un altro esempio, la posizione che i
paesi latinoamericani hanno tenuto sulla guerra in Iraq sono fatti
enormi che rendono il continente protagonista globale. Per questo,
noi che ci battiamo per il multilateralismo, perché pensiamo che
l’Europa può essere attore di Pace se saprà cambiare le ragioni di
scambio globale.
Detto tutto questo solo alcune parole su di noi, su questa sinistra
europea ed italiana che si sente tanto forte da dare lezione agli
altri ma non è in grado di cambiare se stessa se non per perdersi in
unificazioni senza identità ed in mutazioni senza storia.
Questa nostra sinistra deve divenire meno provinciale e forse usare
con più parsimonia la parola globalizzazione per avere più tempo per
guardare davvero cosa si muove nel mondo.
Noi, pur piccoli, vogliamo provarci.
Proposte e profili per una nuova stagione italo-americana
di Francesca D’Ulisse – resp. America Latina D.S.
Definire importanti le relazione tra l’Italia e
l’America latina, e più in generale tra l’Europa e l’America latina,
è ormai un dato acquisito. Definirle naturale e necessarie, come da
tempo credono i Democratici di Sinistra, testimonia di un profilo
che presuppone nuovi e più articolati strumenti di analisi e una
reale e concreta volontà politica di rendere quelle relazioni,
appunto, strategiche per il futuro del nostro paese. Se è vero che
l’America latina guarda all’Europa e, all’interno del continente, a
quei paesi che per storia, tradizioni, demografia e cultura sono più
simili (Spagna, Portogallo ed Italia tra tutti) è altrettanto
evidente che, già nei suoi primi mesi, il Governo di Romano Prodi ha
guardato ai diversi paesi del continente in modo diverso dal
passato, restituendo loro il posto che meritano: essere,
al pari
di altri, uno degli assi naturalmente strategici della nostra
politica estera.
Un “continente in movimento”, quello
latinoamericano, dove trasformazioni, cambiamenti e sperimentazioni
sono le cifre di una classe dirigente e di una società civile che
guarda al futuro, nonostante tutto, con una straordinaria fiducia.
L’America latina sente di essere in credito con la globalizzazione e
ritiene, a ragione, di poter avere un ruolo da protagonista nel
nuovo secolo. Queste sensazioni sono accompagnata dalla
consapevolezza di stare vivendo una congiuntura politica ed
economica, interna ed internazionale, straordinaria e forse
irripetibile e di non voler sprecare, come spesso è successo, questa
occasione storica.
In una situazione di questo tipo, il ruolo che
spetta ai partiti dell’Unione è quello di accompagnare e dare linfa
all’azione dell’esecutivo intensificando la conoscenza, le
relazioni, le collaborazioni e l’intercambio con i partiti politici,
i sindacati ed i movimenti sociali latinoamericani. In altri
termini, favorire il dialogo con le “sinistre latinoamericane”,
tante quanti sono i paesi del continente ed anche di più, superando,
per ciò stesso, la distinzione tra sinistra radicale e sinistra
riformista che sa tanto di politica di casa nostra.
Queste nuove forze politiche, in molti casi
ormai mature forze di governo uscite da elezioni democratiche, si
misurano quotidianamente con le contraddizioni della globalizzazione
neoliberista, sono animate dai principi della giustizia sociale e
del progresso, sono consapevoli che l’11 settembre ha determinato la
necessità di creare un nuovo sistema di relazioni internazionali,
fondato sul rispetto e sulla pace, e che questo sistema non sia
gestibile in modo unilaterale ma attraverso organismi internazionali
sovranazionali.
Se valgono queste considerazioni, non è
difficile tracciare i temi sui quali tessere relazioni e
incrementare proficue collaborazioni. Crediamo fortemente che non
esista tema dell’agenda politica internazionale in cui l’America
latina non sia in grado di avere un ruolo strategico. Pensiamo, tra
i tanti esempi possibili, al tema energetico. Se noto che l’America
latina è un enorme giacimento di materie prime e di combustibili,
quel che forse non è altrettanto conosciuto è che la ricerca di
fonti alternative e rinnovabili di energia, che siano in grado di
coniugare sviluppo economico e sostenibilità ambientale, è ormai una
eccellenza di alcuni paesi del continente. Se teniamo in
considerazione, invece, la ricerca di una migliore e più equa
gestione delle stesse risorse naturali, crediamo che questa vada
valutata non tanto come il tratto distintivo di una nuova politica
economica latinoamericana ma come il segnale di mutati rapporti di
forza e di rinnovate consapevolezze nell’ambito delle relazioni tra
paesi.
“La democrazia energetica” del continente
latinoamericano è il frutto di questa nuova coscienza di poter
ridefinire i termini di un sistema fondato sull’esclusione sociale
per trasformarlo in una rete continentale di inclusione sociale. Su
questo stesso fronte, pensiamo all’enorme rivoluzione dei diritti
conquistati con la pratica politica (e non con la violenza) dalla
maggioranza indigena di alcuni paesi del continente e a come una
sperimentazione di integrazione e di inclusione sociale (a volte
riconoscimento della stessa esistenza in vita) possa costituire un
modello da seguire in un pianeta sempre più multiculturale e
multirazziale e dove a breve il meticciato sarà la cifra di tanti
paesi del pianeta. Ancora, pensiamo alla ricerca di nuovi modelli di
sviluppo e di stato sociale che garantiscano, insieme ai noti tassi
di crescita del continente, una più equa distribuzione e che
cancellino, ora e per sempre, il triste primato di continente più
disuguale del pianeta, modelli sui quali i governi di
centro-sinistra latinoamericani stanno ipotecando il loro futuro e
quello dei loro popoli.
La circostanze elencate, unite ad un
atteggiamento di curiosità e di rispetto, sono una occasione
straordinaria che sarebbe inopportuno far passare invano o
posticipare. Quel che il recente viaggio del Presidente Bush in
America latina ha palesato non è tanto una scontata e prevedibile
insofferenza nei confronti del governo nordamericano, sfociata in
episodi di teppismo che vanno sempre condannati, quanto piuttosto il
fatto che non si cancellano 6 anni di indifferenza con 8 giorni di
tour in cinque paesi, che non si va in America latina per sfidare
Hugo Chavez ma per comprendere il perché un ex parà sia diventato
l’icona di alcune delle sinistre a cui abbiamo fatto riferimento,
che non si può praticare una politica di “muro” contro gli immigrati
ed invocare la fratellanza panamericana “dall’Alaska alla terra del
fuoco” dei beni e dei servizi. Orfana degli Stati Uniti, con un
rinnovato orgoglio e una nuova consapevolezza, l’America latina è
alla ricerca di alleati. Su più fronti e con “geometrie variabili”.
Relazioni economiche con l’Estremo oriente, Cina innanzitutto. Asse
sud-sud con l’Africa. Collaborazione globale, a 360 gradi speriamo,
con l’Europa.
Geometrie variabili che si riflettono anche nei
processi di integrazione regionale, soprattutto se pensiamo
all’America del sud. Sta in questa abile ed alchimistica ricerca di
un equilibrio tra i diversi paesi, già integrati in blocchi
sub-regionali, e di superamento delle asimmetrie esistenti che si
trova la chiave per la creazione di un blocco regionale forte ed
integrato che sia capace sempre più di parlare con una sola voce
nell’ambito delle diverse organizzazioni internazionali. In altri
termini, siamo di fronte non soltanto ad un felice compromesso tra i
differenti modelli di integrazione sub-regionale esistenti quanto
piuttosto alla ricerca di una risposta nuova alla crisi del sistema
globalizzato neoliberista.
Geometrie variabili e convergenze sui grandi
temi che riguardano il futuro del pianeta: è a questa “nuova America
latina” che come partito dell’Unione guardiamo e con cui auspicano
di tessere intese sempre più fraterne, in un sistema di relazioni
che, durante gli anni, abbiamo sempre provato a tener vivo, proficuo
e stimolante.
La Cooperazione – fra Società –come strumento di diplomazia attiva
fra i Popoli
di Stefano Fedeli – resp Cooperazione Internazionale
PdCI
Per chiarire il concetto di Cooperazione fra Società parto da due
punti importanti:
il primo
contributo allo sviluppo di un nuovo equilibrio mondiale che
permetta di raggiungere la pace, la libertà, la giustizia sociale e
fra i cittadini del mondo.
l’altro
l’educazione interculturale alla cooperazione allo sviluppo quale
ambito di elaborazione al cui interno sono incluse l’educazione alla
pace, i diritti umani e la solidarietà.
Le due questioni le collochiamo all’interno della convinzione che
la cooperazione fra Società ( intese come complessità
sociale-culturale-economica-produttiva ) costituisca una vera
e propria diplomazia attiva e dei popoli; anch’essa intesa nella sua
complessità, da contrapporre all’attuale sistema relazioni fra
Stati, sostanzialmente unipolare. Nei due punti sono di
fatto racchiusi principi forti e qualificanti di una strategia
diversa di Stare al mondo e di concepire le relazioni fra chi lo
abita e lo vive.
Parto dalla concezione di una cooperazione, caratterizzata da una
progettualità condivisa e dall’agire con e non
per, in una relazione di assoluta reciprocità !
E’ particolarmente significativo far riferimento all’America latina
( AL ), poiché è in questo continente che si stanno sperimentando
esperienze di governo finalmente diverse e fuori dall’ombra
incombente degli USA E’ qui che la cosi detta Società civile, è
riuscita, più che in altri posti a pensare prima ed a costruire poi
un percorso di analisi e pratiche sociali e politiche che
hanno determinato l’affermarsi di coalizioni progressiste che
stanno dando una vera ed originale identità a tanti paesi.
Dove, in passato, si è sperimentata l’applicazione spregiudicata del
modello di “ sviluppo “ dominante: su tutti la recente
catastrofe Argentina.
L’AL perché i suoi popoli, dopo secoli di sfruttamento selvaggio,
realizzato da dittature feroci asservite ai diversi poteri
economici e politici dell’onnipotente vicino del nord – gli USA –
oggi rialzano la testa. Le forze progressiste di tutti i paesi, a
partire in particolare dal 1990 ( anno del primo incontro del Foro
di Sao Paolo convocato dal PT del Presidente Lula ) sono
riuscite, quasi totalmente, a riunirsi intorno ad una idea di un
progetto continentale.
Un grande attivo laboratorio dove pensare e costruire i processi di
progresso.
Ne ometto la lista completa ma mi preme sottolineare che
senza un punto di riferimento costante com’è stata Cuba, nel corso
degli ultimi decenni, forse sarebbe stata un’altra storia. L’aver
resistito nel mantenere vivo il “sogno della diversità “ come Cuba è
riuscita a fare ha , probabilmente aiutato in tutti i sensi questo
processo. Se lo confrontiamo con quanto accade in
Europa è molto e molto rilavante al punto tale che immaginare oggi
di costruire un simile processo nel nostro amato vecchio continente
è impresa complicata ancorchè assolutamente necessaria! Noi europei
dobbiamo certo guardare anche ad occidente, a tutti i popoli, ma
prima di tutto, dobbiamo ascoltare e, soprattutto dobbiamo
comprendere. I governi progressisti latino americani hanno tutti
una propria specifica caratteristica. Non è ne utile ne possibile
ricondurli ad un unica identità politica: diverse sono le condizioni
ed i rapporti di forza che li hanno generati. Sino ad arrivare
all’interessante e complesso progetto del Presidente Morales in
Bolivia, caratterizzato anche dalla sua fondante e complessa
identità indigena. Ciò che interessa e conta è il metodo che
hanno usato, non tanto e non solo il segno politico che hanno
assunto.
Questo processo di trasformazione in atto è tanto più rilevante se
si considera che si sta svolgendo in una contingenza geopolitica
particolarmente complessa e delicata. Da un lato gli USA ed il loro
sistema di alleanze, che stanno incassando le perdite politiche e
militari di scelte fondate esclusivamente sull’uso della forza.
Dall’altro il resto del mondo, che sembra in grado di uscire da
schemi puramente ideologici proponendo sistemi politici, economici e
sociali possibili ed in fase di consolidamento. Sarebbe un grave
errore considerare le trasformazioni in atto, pur con tante luci ed
ombre, un fatto meramente contingente. Come sarebbe un grave
errore non impegnarsi a capirle ed a capire come potranno influire
sul riassetto che dovrà necessariamente rideterminarsi nelle varie
aree di conflitto o di crisi. Non va sottovalutato, infine,
che sono anche il frutto di una spinta dal basso da parte dei vari
segmenti delle società locali, impegnate per lungo tempo in
un’attività di analisi e pratiche sociali e politiche intense e
difficili Ciò che conta è come il processo si è costruito, e come
si è affermato.
Non è questo il luogo per elencare i ritardi, le contraddizioni, i
limiti della costruzione dell’Europa della giustizia, dell’equità e,
soprattutto della Pace. Per ricordare quanto sia ancora
politicamente fragile e ancora non in grado di distinguere la
fedeltà dei popoli europei alla democrazia con il diritto/dovere di
costruire un sistema in grado di essere parte attiva ed efficace
nella costruzione di un mondo multipolare che possa modificare
prima e contrastare poi gli effetti delle politiche neoliberiste e
neoimperialiste. Il nostro Paese, nella sua complessità
sociale-economica e nella sua articolata sensibilità politica, deve
mantenere alta l’attenzione e la curiosità verso quanto accade
dall’altra parte dell’Oceano.Con l’AL dobbiamo, in un
rapporto di assoluta reciprocità, ridefinire, attualizzandole, le
priorità della nostra politica adeguando gli strumenti di
Cooperazione ( lavoro condiviso ) per poter contribuire al
rafforzamento dei processi di trasformazione. Non
è certo questo il momento di ridimensionare la nostra presenza, ma
invece lo è per rilanciarla. Certo con obbiettivi quantità e
qualità di risorse complessive più mirate verso le attuali necessità
delle Comunità locali. Risorse che devono essere individuate
nella ricchezza di esperienze delle nostre complesse Comunità
locali, intese come sistemi di sviluppo in grado di interagire
concretamente con gli altri contesti simili. C’è una
larghissima parte della società italiana che desidera, vuole e può
essere parte attiva del rafforzamento dei processi di trasformazione
in atto. Che vuole e può essere utile a costruire pace, sviluppo
sociale-economico-umano-ambientale sostenibile. Non un’altra lettura
( diciamo così riformista , peraltro, a mio parere, impossibile
del modello di sviluppo dominante ) ma per altro progetto!
Certo è che la scarsità delle nostre risorse economiche incide in
maniera rilevante; ma sappiamo anche che gli stanziamenti
dipendono dal valore delle priorità stabilite.
La Cooperazione allo sviluppo, sia quella Italiana che europea,
negli ultimi 10 anni almeno, si barcamena con estrema difficoltà fra
due grandi questioni - Sviluppo ed Emergenza - fra loro
antagoniste ma che si collocano all’interno dello stesso contesto
di relazioni fra i popoli e fra i paesi nei quali vivono. Mi
limiterò a richiamare l’attenzione sul fatto che le recenti grandi
“ emergenze “ sono in gran parte, conseguenza di politiche precise
poste in essere dai poteri dominanti il mondo in qui viviamo: su
tutti gli interventi militari devastanti in Medio Oriente.
Sorvolando per mere ragioni di tempo e spazio sulle emergenze
naturali in gran parte conseguenza dello sfruttamento bieco
dell’ambiente e delle risorse naturali.
Nell’area mediorientale c’è stato un tempo lunghissimo di pace e
prosperità; esistevano forme di economia e convivenza che
consentivano un rapporto possibile fra esseri umani ed ambiente nel
quale vivevano e si sviluppavano. Oggi siamo consapevoli, che in
generale le enormi ricchezze usate e gestite da pochi hanno
determinato e continuano a determinare squilibri, sociali-politici,
economici maggiori: fra i poveri, sempre più numerosi e più
poveri ed, i ricchi sempre di meno e sempre più ricchi.
L’emergenza, nei tempi moderni, è sempre più determinata da
decisioni ed azioni di politica più in generale, ovvero da
un’idea di sviluppo centrata sulle esigenze di chi detiene il potere
politico ed economico dominante !
Si sottovaluta quanto, nella cultura dominante, emergenza
corrisponda a sviluppo sino al punto di investire in essa una
quantità di risorse economiche, sottratte allo sviluppo, che sono
cresciute esponenzialmente nel corso degli ultimi anni. Da
aggiungere anche che le missioni militari, “ umanitarie e non
“, vengono finanziate, in prevalenza, con fondi sottratti alla
cooperazione allo sviluppo.
Ne deriva che le organizzazioni nazionali ed internazionali deputate
alla regolazione delle relazioni fra Società siano depotenziate o
impegnate esclusivamente a tentare di dirimere controversie e
gestire crisi. Peraltro con scarsi poteri e, forse poca credibilità.
Mi riferisco agli organismi non governativi, le ONG, in parte
riconvertiti in strumenti di interventi umanitari post-crisi (
ricostruzione ecc ) e l’ONU prigioniera dei veti dei membri
permanenti del Consiglio di sicurezza.
Appartengo, per scelta, alla cultura della Società che non
governa, ovvero quella che spesso viene definita,
semplicisticamente, Società civile.
A quel mondo che non vincola il proprio pensare, progettare ed agire
all’esercizio del “ governo della cosa pubblica “ .Quella società,
assolutamente maggioritaria, che lega il proprio sentire, pensare,
progettare ed agire alle esigenze ed ai bisogni concreti.
La solidarietà attiva, basata su principio di reciprocità, che
spesso corrisponde a vere e proprie pratiche di autogoverno delle
Comunità locali!
Solidarietà, dunque: ovvero quella spinta/sentimento che ci rende
sensibili ai problemi di “ coloro che meno hanno “.
Nelle politiche attuali ciò si traduce nel dover tentare di farsi
parzialmente e marginalmente carico di quanti vivono e manifestano
una condizione più drammatica della nostra .
Ma il punto, per cosi dire di analisi ineludibile, sono le cause e
non gli effetti !
Essere solidali nel contrastare e combattere le cause degli
squilibri vuol dire condividere l’analisi e cooperare a sviluppare
una progettualità che ci consenta di stabilire una
conseguenza logica fra cause, effetti ed azioni.Solidarietà
attiva, progettuale, concreta e costruttiva !Invece la
Cooperazione fra i Popoli è intesa sempre e solo come qualcosa di
più e di diverso da affrontare, peggio, risolvere con le elemosine.
Quando non la si considera un pozzo senza fondo;non come
opportunità di confronto prima e di azione poi fra soggetti diversi
ma che vivono problematiche simili. Il senso e
l’urgenza della necessità assoluta oggi più di ieri, di Cooperare
nel rispetto mutuo, del condividere a tutti i livelli le
riflessioni, le analisi, e l’agire partendo prima di tutto dalla
reciproca conoscenza risiedono in queste brevi considerazioni.Convinti
che la globalizzazione dell’economia sta producendo,
progressivamente, la globalizzazione dei bisogni connessi alla
globalizzazione degli effetti.
E’ attraverso il confronto delle dinamiche di sviluppo delle
esperienze acquisite di governo di Comunità complesse che si può
riuscire e proporre modelli possibili ed equilibrati; favorire
quell’interculturalità indispensabile a perfezionare le nostre
azioni anche adeguandole a contesti diversi.Preferisco sottolineare
l’importanza del Decentramento della Cooperazione piuttosto che
parlare di Cooperazione decentrata. Qui passa il concetto che
NON decide il Governo centrale per tutti e poi decentra ,quanto
invece quello che i territori e le Comunità locali siano non solo
agenti ma soprattutto protagonisti, nei sistemi di
relazione che sono capaci di costruire con altre Comunità,
fisicamente lontane ma terribilmente vicine in quanto a bisogni.Le
Comunità locali e gli Enti locali, che a partire dalle loro
specificità e vocazioni economiche e culturali cercano e
costruiscono, anche attraverso le ONG, rapporti attivi con Comunità
di altri continenti dove impiegare, come contributo le loro
sensibilità, le loro esperienze e loro risorse. Favorendo
l’impiego, coordinandole, dell’insieme delle risorse del proprio
territorio che nella quotidianità ne assicurano il funzionamento.
La cooperazione fra i popoli, può e deve essere uno strumento
decisivo di azione comune per la pace, contro la guerra ed il
terrorismo; per la democrazia, contro l’esclusione sociale. Per un
altro sviluppo contro lo sfruttamento dell’essere umano e
dell’ambiente in cui vive e lavora.Un
progetto per un altro mondo possibile, che indubbiamente in America
latina non è solo un sogno ma ora è una realtà ed una enorme
opportunità per tutti noi.
Pinguini, ombre e okupas.
Leonardo Sacchetti, giornalista L’Unità
Dette così, queste tre parole possono dir poco.
Nella realtà dell’America Latina di questo XXI secolo, dietro di
loro ci sono alcuni tra i movimenti urbani più originali degli
ultimi anni. Parliamo di quanto è accaduto nell’ultimo anno nella
capitali di Cile, Messico e Argentina. I tre colossi, insieme al
Brasile e all’astro nascente venezuelano, del sub-continente
americano.
Spesso, in quanto ad attenzione politica e a
cooperazione decentrata e governativa, gli sforzi europei hanno
privilegiato maggiormente le aree rurali dell’America Latina. Ma la
realtà continentale è ormai segnata dall’urbanizzazione selvaggia e
le grandi città sono diventate, nel bene e nel male, i centri
nevralgici di questi sommovimenti. È in metropoli come Santiago,
Città del Messico o Buenos Aires che l’America Latina segna le più
evidenti novità per l’agenda politica. Come detto: nel bene e nel
male, tra i picchi di miseria e violenza delle perifiere e gli
ottimi livelli organizzativi di gruppi di cittadini in cui si
mischiano varie tematiche politiche. Le città, con le loro
periferie, sono il cuore dei nuovi movimenti latinoamericani.
Ma sono gli stessi pinguini cileni, le ombre
messicane e gli okupas argentini a non dimenticarsi dei marginati,
dei problemi della selva. E a dare una lezione politica anche a noi
europei.
I PINGUINI
A fine maggio del 2006,
il Cile ha visto sfilare oltre 600mila studenti che
protestavano contro la lentezza con cui i vari governi hanno cercato
di modificare l’ultima beffa lasciata dal regime di Pinochet: la
Legge organica costituzionale per l’insegnamento (Loce).
Protestavano contro l’assenza di sovvenzioni per gli istituti
considerati di “serie B”, contro quei generali e graduati delle
forze armate trasformati in docenti senza alcun esame, contro la
maternità considerata come fattore inconciliabile con lo studio (e
dunque: espulsione per le ragazze-madri), contro il divieto a
“promuovere i diritti umani” nelle classi e la possibilità di
espellere uno studente a metà dell’anno “per ragioni economiche”.
Dopo due settimane di occupazioni di scuole, lo
slogan delle migliaia di studenti (come si sono autodefiniti gli
studenti in lotta), era solo uno: contro la Loce e il sistema
ingiusto voluto da Pinochet per la scuola.
Tutto quel che gli studenti, i “pinguini”
(“Perché piccoli, tanti e tenaci”, come raccontano loro stessi),
fanno passa dal web, dai blog tra i vari licei e dai siti aperti a
tempo di record dagli stessi ragazzi tra i 14 e 18 anni che
frequentano gli istituti medi superiori del Paese. E così, un po’
come era già successo in Francia per i contratti precari, anche a
Santiago i blog e Internet hanno anticipato l’emersione della
protesta.
LE OMBRE
In Messico, e soprattutto nella sua capitale,
la campagna elettorale per le presidenziali del luglio 2006 (vinte
dal conservatore Felipe Calderon e fortemente contestate dal
candidato della sinistra, Andrés
Manuel Lopez Obrador) hanno visto emergere una nuova forma di
organizzazione politica: quella dei gruppi di abitanti di singoli
quartieri, organizzatisi intorno a poche ma contundenti richieste
politiche. Solo le “ombre” di Città del Messico, quei cittadini
dimenticati dai partiti ma che hanno trovato nel clima nuovo sorto
dalla gestione del “sindaco” della capitale (proprio Lopez Obrador)
un terreno dove crescere.
Ogni barrio aveva e ha il suo comitato che, a
differenza di quanto spesso succede nelle città europee, non è
“contro” ma “pro” qualcosa. Ci sono i gruppi organizzati di Ciudad
Neza (una metropoli nella metropoli) che lottano per l’acqua
potabile “quantomeno in ogni strada”. Quelli di Indios Verdes, che
lottano per un nuovo sistema di trasporto pubblico che, togliendo i
bus dalle strade, punti tutto su treni e metrò (anche a scapito di
terreni coltivati). Poi c’è tutto il sottobosco studentesco che ha
sostituito lo zoccolo duro del zapatismo. Non a caso, lo stesso
Subcomandante Marcos si è quasi “trasferito” nella capitale,
mettendo in secondo piano la sua attività nella Selva Lacandona in
Chiapas.
GLI OKUPAS
L’Argentina stenta a risollevarsi dalla
bancarotta nazionale del 2001. Ma alcune cose, in questi sei anni,
sono cambiate. Spinti dalla necessità e dall’esigenza di uno
stipendio, migliaia di porteños (gli abitanti di Buenos Aires) si
sono auto-organizzati.
Si va dalle realtà sorte nelle villas
miserias (le baraccopoli argentine), dove migliaia di disperati
cercano di sopravvivere in attesa non di un nuovo miracolo ma di una
prima possibilità. Non è un caso che in villas come quelle
nei pressi della stazione di Libertadores, accanto agli argentini si
trovino emigrati dalla Bolivia o dal Paraguay. La disoccupazione,
seguita alla crisi del 2001, che ha allontanato gli uomini dal
lavoro, ha anche prodotto il fenomeno delle donne a capo
dell’organizzazione delle comunità. Sono loro (spesso con i mariti
fuggiti o alcolizzati o – più semplicemente – arresisi) ad aver
trasformato delle discariche in luoghi dove sopravvivere, dove non
morire di fame e, in alcuni casi, dove aprire delle scuole.
Ci sono anche argentini che non hanno
abbandonato la città e che hanno deciso di occupare le stesse
fabbriche dove fino a poco prima lavoravano. Ecco allora
l’esperienza delle centinaia di insediamenti industriali presi in
gestione dagli operai: occupazioni come quelle che andavano in scena
nell’Italia degli anni ’50. uomini e donne che, pur di non perdere
il lavoro, se ne sono inventati uno simile. E il paradosso – o, se
volete, l’originalità – sta nel fatto che molte di queste fabbriche
occupate erano di proprietà dello stato. Alcune continuano a servire
i pasti all’Esercito, altre producono siringhe per gli ospedali
pubblici. Un cortocircuito industriale che, dopo sei anni, continua
a reggersi sull’organizzazione e sulla tenacia di questi
obreros-okupas.
La nuova America Latina
di Alessandro Grandi, giornalista Peacereporter
E' vero, ormai è difficile pure nasconderlo:
l'America Latina negli ultimi anni è cambiata. In meglio o in peggio
non sta ad un umile cronista deciderlo, certo è che l'aria di
cambiamento ha investito quasi tutte le nazioni dell'area.
Una data su tutte ha aperto le porte al
cambiamento: il 1° gennaio
1994.
In quel giorno, in Messico (più precisamente in Chiapas, stato
meridionale al confine con il Guatemala), l'Ezln (Esercito Zapatista
di
Liberazione Nazionale),
sotto il comando del Subcomandante Insurgente Marcos, scese per le
strade e nel giro di poche ore occupò diversi municipi della
regione, rivendicando i diritti delle popolazioni indigene
discendenti dei Maya.
Fino a quel momento gli indios del Messico
erano stati praticamente ignorati dai media nazionali e
internazionali e la loro condizione era conosciuta solo dagli
"operatori del settore". Su di loro e sulle loro terre le grandi
multinazionali straniere, appoggiate dai poteri forti della
politica, avevano (in parte continuano a farlo ancora oggi) per
decenni fatto il bello e cattivo tempo. In più esercito regolare e i
paramilitari rendevano la loro esistenza quasi impossibile.
Nel corso del tempo, però, le azioni degli
zapatisti e dei loro sostenitori hanno trovato appoggio
internazionale divenendo una realtà conosciuta e creando una sorta
di coscienza nazionale "nuova".
Ma non è solo il Messico a vivere una nuova
fase storica. L'esempio più clamoroso degli ultimi anni, infatti,
riguarda Bolivia e Venezuela.
La Bolivia (insieme a Haiti) è considerata il
paese più povero del continente americano. Gran parte della
popolazione, infatti, vive con meno di un dollaro Usa al giorno.
Potenzialmente, però, la Bolivia sarebbe una nazione ricchissima,
grazie alle enormi risorse naturali presenti nel suo territorio. Gas
e petrolio, così come l'acqua, però, sono state svendute dai governi
conservatori e filostatunitensi alle multinazionali straniere che si
sono arricchite in modo spropositato lasciando ai boliviani solo le
briciole. Tutto questo fino a che un giovane sindacalista cocalero
(i coltivatori della pianta della coca), Evo Morales, di origini
Aymara, vince le elezioni presidenziali e inaugura una nuova fase
storica per il Paese, spazzando via i vecchi burocrati che in più di
un'occasione erano stati costretti a commettere abusi per tenere
calma
la popolazione. Inizia,
il presidente indio, con il collocare il Paese nell'asse
Venezuela-Cuba per sviluppare un nuovo modo di governare.
Morales è amico di Fidel Castro e Hugo Chavez
da loro prende esempio e a loro chiede sostegno. Non solo. Il
presidente boliviano nazionalizza gas e petrolio, facendo storcere
il naso a diverse nazioni (Francia e Spagna su tutte) che avevano
interessi economici miliardari in Bolivia. Dall'altra parte,
Morales, ha regalato il sorriso alla popolazione che dopo anni di
sfruttamento straniero ha visto le risorse del paese tornare nelle
mani del governo boliviano.
Morales ha anche stabilito un record: portare
una foglia di coca alla ribalta mondiale. Sì perché durante una
riunione all'Onu, il leader indigeno, ha spiegato davanti
all'assemblea le proprietà terapeutiche della pianta della coca,
l'uso tradizionale fatto dalla popolazione boliviana e l'enorme
differenza fra la foglia di coca e
la cocaina. E non si è nemmeno fatto mancare la polemica con
gli Usa che tanta coca comprano per produrre Coca Cola e tanti danni
fanno per demonizzare le piantagioni in America Latina, lasciando
aperti ancora molti interrogativi sullo strapotere Usa nel sud del
continente.
Anche il Venezuela ha aperto una nuova fase
storica. Dal 1999, infatti, Hugo Chavez è il suo presidente. Fiero
oppositore degli Usa, Chavez, non perde occasione per raccontare i
danni causati dagli americani in sudamerica, i tentativi di golpe ai
quali è stato sottoposto (a suo avviso orchestrati da Washington) e
le continue pressioni Usa sull'area. E' lui, forse il vero esempio
dell'America Latina che cambia. Senza macchia (siamo sicuri?) e
senza paura, Chavez ha da poco, in pratica, fatto rientrare
l'industria petrolifera nell'orbita del controllo statale. Il
Venezuela occupa, infatti, un posto sul podio dei paesi produttori
di petrolio e fa parte dell'Opec, l'organizzazione che comprende i
maggiori Paesi produttori di greggio del mondo. Il petrolio è stato
anche un ottimo collante per i rapporti fra Chavez e molti
presidenti dell'area mediorientale, uno su tutti il leader iraniani
Ahmadinejad.
E non si possono certo dimenticare i
cambiamenti avvenuti in Argentina, Brasile, Uruguay e Cile. Le
ferite causate dalle dittature militari degli anni 70 e 80 sono
ancora aperte e bruciano ma l'Argentina ha dimostrato, soprattutto
grazie alle decisioni del presidente Kirchner, di essere capace di
reagire e voler continuare la propria storia sulla strada della
democrazia. E che dire del Brasile dove il "presidente operaio" Luis
Ignacio Lula da Silva, è stato l'artefice di clamorose decisioni a
favore della parte di popolazione più indigente anche se a
dire il vero ancora molto c'è da fare sotto il punto
di vista della sicurezza sociale e dell'occupazione. In Uruguay,
passata la tempesta politica,degli anni ottanta e novanta, il
presidente Tabare Vasquez, lavora in silenzio per far tornare
competitivo il Paese. E poi
il Cile della socialista Bachelet, uscito dalla
tremenda dittatura di Pinochet, che è il paese dell'area
latinoamericana che spende più quattrini per gli armamenti ma che
dal punto di vista dei diritti umani ha fatto passi da gigante.
Un capitolo a parte deve essere dedicato a
Cuba. Con l'uscita di scena di Fidel Castro e l'avvento del periodo
di transizione (sarà transizione?) del fratello Raul qualcosa
potrebbe davvero cambiare. In materia economica, ad esempio, è
risaputo che il 'piccolo Castro' sia più vicino al pensiero di
un'economia di mercato alla "cinese". E Raul si è dimostrato
favorevole e disponibile anche verso gli Usa, proponendo di riaprire
il dialogo ormai interrotto da troppo tempo. Con un obiettivo: porre
fine al blocco economico imposto da Washington che da quattro
decenni stritola l'isola.
Ma è dalla comunità internazionale che arrivano
le richieste di cambiamento a Cuba. Da più parti sono arrivati
inviti a rispettare maggiormente i diritti umani e le libertà
personali. Su questi aspetti nella paradisiaca isola caraibica c'è
ancora molto da lavorare.
In sostanza l'America Latina sta cambiando.
Politicamente ogni nazione ha da qualche anno una sua identità
nuova, forte e riconosciuta. Economicamente i paesi che erano
considerati più poveri si stanno rialzando e con la firma su diversi
accordi si stanno alleando. Un solo nodo resta ancora da sciogliere:
quello del rispetto dei diritti umani. Sono ancora troppi gli
oppositori politici, i giornalisti e gli scrittori in carcere per
reati d'opinione. In più sono ancora molti i casi in cui i governi
più conservatori della regione reprimono con la forza le
manifestazioni dei lavoratori, degli studenti, delle donne. Sciolto
questo nodo il cambiamento non sarà definitivo ma sarà a buon punto.
Un’altra rivoluzione è possibile: Incontri nella Nuova Latinoamerica
Fulvio Grimaldi, giornalista
Caracas: parte dal Mercal il “Socialismo del XXI secolo”
E’ giorno di Mercal. Veramente il Mercal è
dappertutto, ogni giorno, nei quartieri, nei villaggi, tra una
hacienda e l’altra per gli immensi llanos della terra ripresa e
riattivata. Ma questo è un Mercal speciale, ogni prima domenica del
mese, a Caracas in Avenida Bolivar, lì dove si raccolgono quelle
milionate di magliette rosse ad ascoltare in profundidad, amor y
alegria il comandante Hugo. E non sono di meno quelli che vi si
riuniscono oggi, per il Mercal del mese, sintesi, epitome e apoteosi
di tutti i Mercal. Con i Mercal, un po’ ispirati al “paniere”
cubano, come tante altre cose che fanno rivoluzione, si è data una
mazzata non da poco alla proprietà privata di quelli che ora si
chiamano, attenuando, “beni comuni”. Se non altro
dell’alimentazione, quella che, in un futuro minimamente decente,
dovrebbe fare lo stesso passo dell’acqua in Bolivia, dove, a forza
di botte, a volte servono anche quelle, la gente di Cochabamba e El
Alto l’ha ripresa dalla grinfie di Suez. Il Mercal è quella cesoia
che taglia gli artigli a coloro che sulla fame della gente ci fanno
la cresta, che dai produttori di generi alimentari e di altra prima
necessità cavano
il pizzo, solo perché gli impongono un magazzino, una
rete di distribuzione monopolizzata, orripilanti spot pubblicitari,
insomma il famigerato marketing. “Niente marketing” ha
annunciato Hugo Chavez e la speculazione commerciale si è dovuta
rintanare in quelle nicchie nelle quali, prima, a stento
sopravviveva un minimo di mercato non drogato dai superprofitti
oligarchici, perlopiù multinazionali. Nel Mercal arrivano burro,
olio, carne, noccioline, riso, soya, zucchero, papaya, cavoli, e poi
giacconi, pantaloni, gonne, maglie, scarpe e poi occhiali,
portamonete, penne, mobili, forbici, libri, libri, libri, pentole,
stoviglie, insomma tutto, senza il passaggio capitalista per le
forche caudine della sedicente “intermediazione”, direttamente dal
produttore, perlopiù oggi organizzato in cooperativa bolivariana, al
consumatore, che dunque torna a essere da caricatura consumistica
cittadino utente titolare di diritti. Si chiama, estesa nel tempo e
nello spazio, “sovranità alimentare”. Al prezzo giusto, cioè dal 30
al 70% sotto quello delle boutique, dei negozi, dei supermercati,
tutti lì, semivuoti, con un palmo di naso.
Parla sempre di alegria, questo
presidente, e il karma deve funzionare a guardare questo sterminato
flusso di famiglie multicolori, di una società che è forse oggi la
più integrata e sinergica del mondo, a parte quelle coorti di
pallidissimi creoli rintanati dietro ai loro fili spinati ed
elettrificati nelle ville di Altamira: erano larve che si cibavano
di una grande e forte corpo, forte, ma supino, Il corpo si è scosso
e le larve sono precipitate nei loro bunker ad arrovellarsi su
quando la complice manona del Grande Padrino del Nord verrà a
rianimarle. Campa cavallo, se è vero che quelle migliaia che qui al
Mercal di Avenida Bolivar hanno capito, una volta per tutte, come
possono e devono funzionare le cose. Sono allegri per questo,
un’altra economia è possibile e gli fa portare a casa quel
vestitino, quell’orologio, quelle carote, quel caffè per il quale,
prima, avrebbero dovuto metterci qualche centinaio di giri
anoressici intorno a vetrine scintillanti. Qui, sotto le tettoie di
tela e sui banchi di legno, sono le arance, le insalate, le
enciclopedie a scintillare. E non solo, agevolata l’iniziativa
sociale nella produzione-distribuzione, lo Stato si fa servizio al
cittadino offrendo in diretta, senza travagli burocratici e saltando
barriere di ignoranza, l’esame ocultistico, l’analisi del sangue, le
prove per la patente, l’iscrizione ad un’anagrafe elettorale che,
pour cause, i furbetti dell’oligarchia avevano sempre nascosto
nei cespugli della giungla amministrativa. Qui il lestofante texano,
due volte truccato da presidente dalla “più grande democrazia del
mondo”, non ha più nulla da insegnare.
Quito: indigene, combattenti, donne
Blanca Chancosa, col suo foulard bianco
arrotolato sulla faccia color terra di ferro e i suoi grembiuli a
cipolla trafitti da bagliori colorati, di stampo indio-castigliano,
l’avevamo conosciuta a Caracas, protagonista del Festival Mondiale
della Gioventù. Anima e testa del movimento indigeno, e non solo di
quello femminile che sta facendo saltare una secolare scorza di
doppia repressione, etnico-politica e di genere, ci aveva
indirizzato alle donne dell’Ecuarunari, ala andina della
grande Conaie (Confederacion de Pueblos de
la
Nacionalidad Indigena de Ecuador), il movimento indigeno protagonista
delle grandiose eversioni anticolonialiste ed antioligarchiche, fino
alla crisi del tradimento di Lucio Gutierrez, falso indio
cripto-biancoyankee. Un’autentica avanguardia politica e sociale
dell’America Latina. E’ in vetta a una vertiginosa scalinata che
porta a uno dei sette colli di Quito, dentro a una scuola in corso
di recupero “spontaneo”, che si svolge l’assemblea delle donne
Quetchua, ultimi germogli degli Inca e, oggi, i più fecondi, dopo
una gelata durata cinque secoli.
Il tema è la scuola, l’alfabetizzazione, ma
prima, per tutti, ospiti stranieri compresi, la ciotola di riso col
sugo di ovino e le zucchine bollite. Sono le donne che, uscite da un
buio assoluto, fattesi luce da sole, da quasi dieci anni sono le
protagoniste di una rinascita che ha visto venire e rapidamente
sparire dieci presidenti, travolti da una forza di popolo che le
donne hanno raddoppiato e dotato di superiore tenuta. Il tradimento
del cialtrone Gutierrez, che si voleva aquila ed era un pollo
spennacchiato delle multinazionali petrolifere
ibero-brasiliano-italo-statunitensi, aveva tagliato le gambe al
movimento, pareva averlo messo ai margini. Ma non resta ai margini a
lungo chi ha sviluppato conoscenza buona e coscienza giusta. Le
donne si alternano nelle richieste, nelle proposte, nel suggerimento
del metodo. Sono cariche dello specifico femminile, come non
potrebbe esserlo la più accesa delle conventicole ultrà nostrane, ma
superano quest’ultime, ci sembra, per complessità e globalità della
percezione delle contraddizioni: capitalismo=razzismo=maschilismo,
in quest’ordine. E in quest,’ordine vedono la lotta:”Prima dobbiamo
debellare il neoliberismo, matrice di tutte le frammentazioni e
opposizioni in seno al popolo, poi ce la vedremo con i nostri
uomini. Questa è la fase dell’unità”, ribadisce Blanca. E dunque,
per prima cosa, via
la base Usa di Manta, neoplasia imperial-terrorista nel
cuore del paese, come ha promesso Rafael Correa, appena strepitoso
vincitore all’80% del referendum sulla costituente per un Ecuador
da “Socialismo del XXI Secolo”.
Sono poche quelle che non hanno perso un pezzo
del proprio contesto di sangue nella fuga da un paese tanto ricco,
quanto ladrone, con l’80% sotto il livello della povertà, proprio
quegli 8 su 10 ecuadoriani che hanno fatto trionfare la costituente
bolivariana. Otto su dieci, sopravvissuti a ignoranza, esclusione e
fame, alla morte in mare di quei 108 “clandestini” annegati al
largo delle Galapagos, mentre vogavano verso chi li avrebbe mandati
a farsi macellare nelle sue guerre antiproletarie permanenti. Queste
donne consapevoli, affettuose e orgogliose, che mettono lettura e
scrittura a priorità assoluta, hanno una mappa con mille punti
rossi: le scuole – materne, asili, elementari, medie, superiori –
che pretenderanno Rafael costruisca e la Costituente imponga come
principio primo della vita nazionale. Mai più ignorare chi sei, da
dove vieni, dove vuoi andare, chi ti vuole fermare.
Bisogni primari: nutrire il corpo, per disporre
di tutte le sue forze; nutrire la mente, per indirizzare queste
forze nella direzione giusta, verso l’obiettivo necessario. Questi
raccontati sono appena due colori di un’iride che li contiene tutti,
salvo il nero dell’oblio e della morte e che sta chiudendo un
arcobaleno che va dalla Terra del Fuoco al cuore dei Carabi. Là dove
tutto è incominciato oltre mezzo secolo fa, là dove si guarda ancora
per scorgere la luce quando a volte sembra che faccia notte. E gli
insegnanti cubani sono già qui, sulle Ande e tra i pozzi funesti
dell’Amazzonia, a rispondere alle donne di Blanca. Con loro i medici
cubani, perché anche qui non vi sia più bambino che non abbia chi
gli ausculti il cuore. Si chiama “L’Asse del bene” e lo racconterò
nel prossimo documentario. C’è da imparare per tutti.
Verso
la Seconda Indipendenza
dell'America Latina
di Sergio Marinoni, Presidente Associazione Nazionale
d’Amicizia Italia-Cuba
Uno degli avvenimenti più importanti
dell'inizio di questo terzo millennio è stata la comparsa sulla
scena della politica mondiale di un nuovo attore: l'America Latina.
Questa parte del continente americano - che si
estende dal Río Bravo (al confine tra Messico e Stati Uniti) fino
alla Terra del Fuoco (nella parte più meridionale dell'Argentina) e
che comprende anche tutte le isole caraibiche – viene definita con
questo nome per comodità, ma il termine è inesatto perché non tiene
conto delle componenti indie, nere, mulatte, meticce e di una
piccola parte di origine asiatica che conformano l'insieme della
popolazione. In ogni caso,
la definizione America Latina
è comunemente accettata poiché questa parte del continente americano
è stata per diversi secoli praticamente tutta sotto il dominio
ispano-portoghese.
Attualmente l'America Latina, dopo secoli di
oppressione e di sfruttamento coloniali e neocoloniali, è la regione
del mondo dove con maggior forza sono stati accelerati i processi di
cambiamento politico, economico e sociale, facendo finire nella
polvere gli ipotetici sogni della “fine della storia” che alcuni
ideologi dell’imperialismo e del capitalismo neoliberista hanno
prospettato nel momento della caduta del socialismo europeo, agli
inizi degli anni ’90.
E questi cambiamenti, volti alla ricerca
dell'unità tra le nazioni latino-americane e a preservare una loro
identità, non sono sorti dal nulla, ma hanno le loro radici nel
pensiero e nell'azione di due grandi uomini latino-americani vissuti
nel secolo XIX, il venezuelano Simón Bolívar e il cubano José Martí.
Il più innovatore nella proposta istituzionale
è stato Simón Bolívar. Il Libertador, come veniva chiamato, nei
primi decenni dell'800 aveva proposto e cercato di mettere in
pratica la formazione di una Confederazione di Stati
Latino-americani come soluzione costituzionale per il consolidamento
dell’indipendenza e a garanzia del suo sviluppo.
José Martí, nella seconda metà dello stesso
secolo, ha ripreso il pensiero di Bolívar sull’unità
latino-americana e lo ha arricchito accentuando nel suo progetto l’antimperialismo
e mettendo in rilievo il carattere popolare della sua concezione
repubblicana. Martí ha definito "Nuestra América" la parte
centro-sud del continente per differenziarla dal "nord brutale che
ci disprezza". Ovviamente non si riferiva al popolo statunitense,
del quale aveva una grande stima, ma ai suoi governanti e al tipo di
sistema.
A partire dal trionfo della Rivoluzione cubana,
dal suo consolidamento, dalla sua resistenza e dalla sua crescita in
questi ormai quasi cinquant'anni, si è incominciato a intravedere la
possibilità reale di emancipazione e di progresso per i paesi
latino-americani e caraibici.
La
Rivoluzione Bolivariana in Venezuela e, successivamente, la vittoria del Movimento
al Socialismo in Bolivia hanno dato ulteriore impulso a questa
prospettiva.
Per mezzo di organismi regionali nei quali gli
Stati Uniti non sono presenti, come il Vertice dei Paesi
Ibero-Americani, il Vertice dei Presidenti della Comunità
Sudamericana delle Nazioni, il MERCOSUR (Mercato Comune del Sud), il
CARICOM (Mercato Comune dei Caraibi), l'ALADI (Associazione
Latino-americana di Integrazione), l'ALBA (Alternativa Bolivariana
per le Americhe) e i TCP (Trattati di Commercio tra i Popoli), è
stato iniziato un percorso attraverso il quale raggiungere la
completa integrazione del continente latino-americano.
Soprattutto l'ALBA propone un’integrazione
diversa, basata sulla solidarietà e sulla cooperazione tra i popoli
latino-americani, e focalizza la sua attenzione sulla lotta contro
la povertà e contro l’esclusione sociale. Mette in discussione
l’apologia e il culto del libero commercio e difende l’elaborazione
di un’agenda economica e sociale concepita e diretta dagli Stati
sovrani, senza l’influenza dei poteri stranieri delle multinazionali
e dei Governi neoliberisti.
Quello che l'ALBA intende creare è un vero
blocco centro-sud-americano a livello politico, economico, sociale e
culturale, proponendo un processo di integrazione a velocità
differenti, in modo che ogni paese possa assumere gli impegni che è
in grado di prendere.
Il ruolo dell'Europa, di fronte a questa nuova
realtà che si sta producendo, è quello di sviluppare una propria
politica indipendente da quella degli Stati Uniti, che non vedono di
buon occhio il sorgere di questa "seconda indipendenza"
latino-americana. Troppo spesso i paesi europei – e purtroppo
occorre sottolineare con l'Italia in prima fila – hanno condotto nei
confronti dell'America Latina una politica servile e subordinata ai
dettami nordamericani.
Cuba è uno degli esempi, forse il più
eclatante, di come la disinformazione - pilotata da stanziamenti di
decine di milioni di dollari all'anno del Governo statunitense,
l'ultimo nel 2006 è stato di 80 milioni di dollari – porti persone,
anche in buona fede, a recepire situazioni che nulla hanno a che
vedere con
la realtà. Anche la sinistra italiana dovrebbe fare una
seria riflessione su questo argomento.
E' necessario, pertanto, mettersi in relazione
con i paesi latino-americani per promuovere una vera cooperazione.
Questo deve avvenire su basi di reciproco rispetto e senza ingerenze
nelle loro politiche interne, lasciando da parte quel senso di
superiorità che gli Stati europei hanno sempre avuto nei confronti
dei paesi del Terzo Mondo, paesi che per centinaia di anni sono
stati saccheggiati prima dalle monarchie e poi dalle multinazionali
del Vecchio Continente. Nei loro confronti l'Europa ha un debito
inestimabile per le rapine e per i massacri compiuti nel corso dei
secoli.
La realizzazione del sogno bolivariano e
martiano della costruzione di un grande Stato formato da tutte le
nazioni dell'America Latina sarà utile per l'equilibrio del mondo e
servirà da contrappeso alle intenzioni di dominio, di sfruttamento e
di oppressione dell'imperialismo nordamericano.
Alternativa Bolivariana per le Americhe: motore d’integrazione su
basi socialiste.
di Marco Zoboli, Associazione Puntocritico
Il continente ispanoamericano evolve verso nuove frontiere. L’ondata
antimperialista capitanata dalla Rivoluzione Bolivariana del
Venezuela che ha raccolto il testimone tutt’altro che passivo della
rivoluzione socialista di Cuba, pervade il continente, seminando
trasformazioni sociali e politiche che, partendo dalla peculiarità
oggettiva di ogni singola realtà, accomuna le esperienze di nuova
democrazia sotto l’insegna dell’antimperialismo, del riscatto della
sovranità nazionale e della ricerca di un comune processo
d’integrazione continentale.
Chavez non ha semplicemente raccolto un testimone dal selciato, al
contrario lo ha impugnato a un’altezza leggermente diversa rispetto
la morsa ferma e costante del socialismo cubano. La simbiosi che
unisce l’esperienza cubana a quella bolivariana va oltre l’aspetto
meramente tattico; è una vera e propria unione d’intenti: tattici e
strategici. L’Alternativa Bolivariana per le Americhe e i Caraibi è
uno strumento politico-socio-economico finalizzato a traghettare il
continente dall’orbita d’influenza statunitense ad una propria,
endogena. E’ lo strumento che l’asse Cuba - Venezuela ha sfoderato
per condurre l’America Latina verso un’integrazione politica su basi
socialiste.
A distanza di tre anni dalla nascita, il processo d’integrazione è
avanzato velocemente coinvolgendo oltre al citato asse, la Bolivia
di Morales e del suo Movimento Al Socialismo, il Nicaragua
neosandinista, alcune piccole repubbliche caraibiche (l’isola di
Dominica, l’isola di San Vicente e Granadine, l’isola di Antigua e
Barbuda) e ci si attende a breve l’adesione dell’Ecuador che ha
recentemente voltato pagina con l’elezione di Rafael Correa, uscito
in questi giorni vincitore da un braccio di ferro con l’opposizione
parlamentare per l’insediamento di un’Assemblea Costituente che
dovrà entro un anno riscrivere la Costituzione della Repubblica. Il
referendum popolare che doveva approvare la nascita dell’Assemblea
Costituente è stato stravinto con l’82% dei suffragi in questi
giorni; la famiglia cresce.
Altri paesi diretti da governi di sinistra come il Brasile,
Argentina, Uruguay e (anche se con posizioni un po’ più distante) il
Cile, seppure non si riconoscono nel progetto dell’ALBA non lo
ostacolano nella sostanza, partecipando senza pregiudiziali a
progetti integrazionisti comuni sia in seno al Mercosur (nel quale è
entrato recentemente il Venezuela come membro permanente) sia
esterni a esso ma non per questo meno rilevanti, mi riferisco al
progetto di Telesur (emittente televisiva continentale voluta da
Chavez per controbilanciare l’egemonia della disinformazione dei
media in mano alla oligarchia) e Bancosur (Banca regionale promossa
per sovvenzionare progetti d’infrastrutture, imprese miste statali…,
nel quale dovrebbero confluire parte delle riserve monetarie dei
paesi partecipanti che al momento sono Venezuela, Bolivia,
Argentina, Uruguay, Ecuador e da notizia del 16 aprile anche il
Brasile).
Contemporaneamente, sul piano energetico il Venezuela all’interno e
all’esterno dell’ALBA infittisce le sue relazioni, allaccia rapporti
e cooperazioni bilaterali, fonda società miste di capitali statali
di natura estrattiva, di commercializzazione e di distribuzione.
Petrocaribe, Petrosur, Petroamerica sono gli strumenti per condurre
il continente a una propria sovranità sulle risorse energetiche,
alla propria autosufficienza; il gasdotto del sud è un progetto
colossale che allaccerà il Venezuela all’estremo sud dell’Argentina
con diramazioni verso la Bolivia e ai paesi che richiedono di farne
parte.
Sul piano delle nazionalizzazioni delle risorse energetiche ci sono
sviluppi: il 1° di maggio del 2006 la Bolivia ha nazionalizzato le
sue risorse gasifere, espropriando i giacimenti con l’intervento
diretto dell’esercito (Decreto Supremo Eroi del Chaco) a favore di
YPFB (Giacimenti Petroliferi Fiscali Boliviani), a un anno di
distanza, il 1° di maggio venturo è prevista una manifestazione
congiunta tra esercito e società civile in Venezuela che culminerà
con l’occupazione dei giacimenti della falda dell’Orinoco;
occupazione tutt’altro che simbolica dato che darà il via alla
nazionalizzazione degli impianti estrattivi che passeranno sotto il
controllo della PDVSA (Compagnia statale venezuelana).
Sul sociale è Cuba a fare la parte del leone, le “Missioni”
sanitarie ormai sono presenti in vari paesi, la “Missione Milagro”
per le cure oftamologiche ha oramai raggiunto buona parte di Nuestra
America, seminando risultati eccezionali: sono più di un milione e
mezzo i latinoamericani che ne hanno usufruito. La campagna di
alfabetizzazione “Yo si puedo”, è stata esportata con successo in
Bolivia sperimentata per la prima volta oltre che in lingua spagnola
anche in idiomi indios (Aymara e Quechua) e ora sta approdando in
Nicaragua e in zone del Salvador amministrate dal Farabundo Martì (FMLN).
Il continente procede verso l’integrazione a più velocità, ci sono
realtà più avanzate che procedono più velocemente di altre, ma
nessuna delle esperienze di nuova democrazia si estranea dal
processo in corso.
L’affossamento dell’ALCA e la sua sostituzione con Trattati di
Libero Commercio bilaterali sottoscritti dalle residue colonie
rimaste (Colombia, Perù, Paraguay); ha diffatto reso esecutivo lo
sfratto del capitalismo nordamericano dal subcontinente.
Dell’imperialismo statunitense rimangono le minacce militari, tra
cui il famigerato Plan Colombia, le basi disseminate per il
continente (Manta in Ecuador e quella in costruzione in Paraguay) e
le pressioni sempre più arroganti ma sempre meno credibili.
L’America Latina ha voltato pagina, molti analisti rifiutano di
vedere ciò che è palese per tutti, una certa sinistra italiana
sembra daltonica, vede tutto nero o tutto bianco; certo il rosso non
lo distingue in una fase in cui le trasformazioni in atto nel nostro
paese partono dal negazionismo di un’opzione socialista. L’America
Latina col suo presente e il suo futuro mette in discussione le
analisi alla base della nascita del PD. In Venezuela entro pochi
mesi nascerà un partito di governo unico, si chiamerà PSUV (Partito
Socialista Unito del Venezuela), non la sommatoria degli attuali
partiti ma la trasformazione degli stessi verso un soggetto che sia
all’altezza dei compiti che la rivoluzione bolivariana richiede.
Sono lontani i tempi in cui l’America accettò caravelle da uno
sconosciuto.
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