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Il bambino traduttore

di Leticia Martínez Hernández

 

Sonsonz è da un po’ che non gioca a calcio, e da tanti giorni non vede palle in porta nella quale tante volte si è stancato. Il 12 gennaio ha incrinato troppe cose nella sua vita, tra di loro, ci sono anche le ore dedicate a giocare al pallone. Quel tragico martedì gli ha tolto anche la tranquillità della casa. Adesso questo piccolo di soli 13 anni vive in un tendone di fronte al leggendario, e poi distrutto, Palazzo Nazionale.

È stato lì che Sonsonz ha conosciuto i medici cubani, in uno di quei giorni in cui gli costava aprire gli occhi nel mezzo di tanta disgrazia. Gli dissero che stavano vaccinando in quella piazza che è adesso casa sua, e non esitò a farsi notare col suo spagnolo appreso in Repubblica Domenicana. Da quel magico giorno non si allontana dai cubani. Ogni mattina li accompagna a visitare i malati. E mentre i dottori mettono le mani sugli afflitti, lui li aiuta a tradurre il dolore. Orgoglioso di sentirsi utile, il bambino non si stacca dalla sua camicia verde, quella col logo della Brigata Medica che lo trasforma in uno di loro.

Sonsonz dice di essere il traduttore dei medici cubani. Ieri, quando ci siamo conosciuti nell’Ospedale della Pace aiutava il dottor Guillermo Baute in Radiologia. Da un lato c’era la paziente haitiana, dall’altro il dottore colombiano laureato a Cuba, e vicino Sonsonz che stava traducendo le parole dal creolo allo spagnolo. Ci hanno raccontato che ha portato al mattino la sua mamma malata per farla visitare dai dottori, e che poi è rimasto lì. Ha anche aiutato ad attaccare un cartello con gli orari di visita alla porta. L’idea di attaccare anche un’immagine del Comandante Fidel è stata proprio sua: “Era una foto che avevo nel portafogli. L’ho voluta mettere lì per far stare Fidel anche nell’Ospedale della Pace. Volevo ringraziarlo per aver portato tante medicine ad Haiti, per averci aiutati e curati”.

E Sonsonz è davvero un bambino grato. Le scarpe e la maglia che indossa, l’accampamento nel quale vive la sua famiglia e il materasso sul quale dorme ogni notte sua madre, sono stati regali dei medici cubani. Con loro condivide anche i tre pasti al giorno. Adesso dice di voler diventare dottore, ma qui nella nostra Cuba. Ogni notte quando a sua madre si alza la febbre e non sa che fare vorrebbe che gli anni passassero per poterla aiutare.

Il bimbo racconta di essere vivo per miracolo. Il giorno in cui la terra tremò si trovava a casa dei vicini. Quando le cose cominciarono a vibrare violentemente, tutti cercarono di uscire allo stesso tempo, ma la porta si era chiusa. Spiega che tutte le case intorno crollarono, meno quella in cui si trovavano loro. Ieri ci ha portati in quella casa, forse proprio per vedere le nostre facce incredule. Gli abbiamo dovuto credere.

Nella notte del disastro dovette dormire solo in una strada vicino a casa, perché potette incontrare i propri familiari solo il giorno dopo. Assieme costruirono, con quattro pali e delle lenzuola vecchie, la loro “nuova casa”, nella piazza.

Sonsonz voleva diventare un calciatore, giocatore di baseball, e fotografo. Ma il terremoto del 12 gennaio lo unì a Cuba e ai suoi dottori. Oggi sogna un camice bianco, mentre aiuta a tradurre ed aspetta che la sua scuola riapra.