AVVENIMENTI
vola serena la farfalla sull’uragano impazzito
Intervista al prof. luciano vasapollo alla Televisione Bolivia tv
Da una parte
la Bolivia del MAS con Cuba e Venezuela nei processi di transizione
al socialismo e dall’altra la sinistra eurocentrica che si dissolve
nel consociativismo capitalista
intervistatore, direttore tv:
Buona sera amiche ed amici telespettatori. È un piacere ritrovarvi
negli studi dell’impresa statale della televisione Bolivia Tv[]
per dialogare, riflettere e per cercare di dare una lettura dei vari
fatti che sono avvenuti nella nostra società. Le ultime elezioni
governative del nostro Stato Plurinazionale hanno visto la presenza
di molti osservatori internazionali, tra cui alcuni colleghi
giornalisti e intellettuali di prestigio. Oggi ho il piacere di
presentarvi un professore italiano, Luciano Vasapollo. Ti ringrazio
per aver accettato l’invito a parlare della tua visione del processo
politico, economico, sociale e culturale che sta vivendo l’America
Latina e in particolare la Bolivia.
LUCIANO Vasapollo:
Molte grazie a voi. In primo luogo vorrei spiegare una cosa
importante: sono venuto qui come osservatore internazionale per le
elezioni da poco celebrate e ho svolto questo compito in modo
completamente neutrale ed obiettivo, così da verificare lo
svolgimento delle elezioni e di questo importante processo
democratico partecipativo. Sono stato intervistato, sempre da questa
Tv e altre tre reti televisive, alla fine della tornata elettorale.
In quell’occasione ho potuto affermare che, a mio parere, il
processo elettorale è stata una grande prova di democrazia reale e
compiuta che ha visto una notevole partecipazione popolare. A questo
proposito, vorrei ringraziare il popolo boliviano per come sta
costruendo e interpretando il processo democratico di base. In
Bolivia, infatti, come abbiamo potuto vedere da vicino esiste una
consolidata democrazia partecipativa. In Europa le democrazie
rappresentative non comprendono bene ciò che sta avvenendo qui o in
Venezuela. Possiamo affermare che la democrazia rappresentativa,
critica e non riconosce i valori della democrazia partecipativa,
senza neanche fare il minimo sforzo per capirla, per confrontarsi,
per imparare.
In questi
giorni ho potuto notare come l’intera popolazione abbia partecipato
al voto con grande tranquillità, maturità e coscienza. Non abbiamo
riscontrato alcun problema ma la volontà di essere collettivamente
protagonisti. Ovviamente quando sono usciti i primi risultati c’era
chi reagiva in modo contrariato e chi invece in modo gioioso, ma il
tutto nella massima serenità. Questa è una delle prove della
stabilità del processo democratico partecipativo che si consolida
nonostante una destra aggressiva ed eversiva.
Ora che non
sono più qui nelle vesti di osservatore internazionale, mi sento
libero di dire apertamente il mio orientamento ideologico. Sono un
intellettuale militante marxista e dirigente in Italia della Rete
dei Comunisti e appoggiamo sentitamente e responsabilmente questo
significativo processo rivoluzionario.
I:
Scusami l’interruzione. Tu sei direttore anche di due riviste. Puoi
parlarcene?
L.V.:
Sono professore di Economia applicata nella Facoltà di Filosofia,
all’Università “La Sapienza” di Roma; sono professore di questa
disciplina da più di 20 anni. Inoltre sono Direttore di due riviste.
La prima è Nuestra América che si occupa, appunto, di politica della
trasformazione in America Latina e fa parte della Rete in Difesa
dell’Umanità, ed è anche una rivista riconosciuta ufficialmente dal
Centro Studi Martiano dell’Avana. Il nostro proposito è quello di
riprendere e attualizzare sul piano politico e culturale la proposta
rivoluzionaria di Martí dell’indipendenza della Nuestra América,
un’idea molto simile a quella di Bolívar. Come ho potuto vedere da
vicino, lo stesso processo politico boliviano pone, al centro delle
sue questioni politiche, l’unità latinoamericana.
Abbiamo deciso
di lavorare a questo progetto perché il Latinoamerica rappresenta
qualcosa di molto particolare nello scenario politico mondiale.
Infatti, come molti sanno, in questi ultimi anni sta vivendo un
momento caratterizzato da grandi cambiamenti strutturali. Ho un
infinito rispetto per la Rivoluzione cubana che proprio quest’anno
ha compiuto i suoi primi 50 anni. Si può essere d’accordo o meno con
questo tipo di rivoluzioni, ma la dignità di un popolo, l’alto
livello raggiunto dalla sanità e dall’istruzione pubblica e la
solidarietà internazionale che Cuba porta avanti da moltissimi anni,
sono dati che non possiamo tralasciare o far finta che non esistano
e che sono conquiste della Rivoluzione ed esempio vivo per tutti gli
anticapitalisti.
Voglio
raccontarvi un aneddoto. Pochi giorni fa ho avuto un piccolo
problema di salute, tanto da recarmi all’Ospedale cubano Valle
Hermosa di Cochabamba, dove ho riscontrato ancora una volta
un’assoluta disponibilità e una grandissima preparazione nei medici.
Ci sono paesi che basano la propria economia sulla tecnologia per il
mercato e sul profitto; però ne esistono altri, come Cuba, in cui i
valori più importanti, quelli che fondano la società, sono
l’istruzione, il ruolo dell’uomo, la dignità e la salute, l’agire in
difesa dell’umanità.
Sono già più di dieci anni che
l’America Latina sta attraversando un processo molto complesso e
allo stesso tempo contraddittorio, che però fa sì che paesi come il
Venezuela, la Bolivia, l’Ecuador, Nicaragua, ora anche l’Uruguay e a
suo modo pure il Brasile, si interroghino e cerchino di arrivare ad
una completa unità latinoamericana. Pensiamo, ad esempio, al grande
progetto dell’ALBA[]
che non rientra affatto nelle regole del mercato internazionale,
dell’FMI o della Banca Mondiale. Attraverso l’ALBA si stanno
costruendo nuove relazioni economiche e sociali, grazie anche a
TelesSUR[],
a Petrocaribe[],
al Banco dell’ALBA e poi del Sur e all’idea di una moneta unica[]
per tutta l’area geopolitico-economica.
A me sembra che tutto ciò
realizzi le idee bolivariane e martiane che erano anche le stesse
del Che, ossia raggiungere l’indipendenza e la via socialista
latinoamericana. Questa è una grande terra o come diceva il
Comandante Guevara, è la Maiuscola America[],
non per la vastità dei suoi confini ma per la forza
dell’autodeterminazione popolare. Noi siamo molto attenti a questi
aspetti, a questi processi rivoluzionari, ai movimenti sindacali, di
base e di lotta che con la forza dell’organizzazione politica sanno
prendere e gestire il potere di classe.
La seconda è
una rivista di politiche economiche, Proteo, che fa capo al Centro
Studi CESTES, il Centro Studi delle Rappresentanze Sindacali di
Base, RdB, che si occupa di formazione e cultura di classe ed è
diretto da Rita Martufi.
I:
Questa lettura della situazione del continente sud americano perché
non viene approfondita anche dai partiti della sinistra europea?
Sappiamo, invece, che i movimenti sociali e gli intellettuali
militanti sono molto interessati a questi processi di cambiamento,
seppur avanzando delle critiche. Al contrario la struttura classica
dei partiti è molto scettica a proposito dei nuovi processi che
stanno avvenendo in America Latina. Come mai non riescono a
sviluppare una relazione teorica capace di creare una nuova visione
del mondo, dell’uomo e della società, ossia quello che stiamo
cercando di fare qui in Bolivia grazie anche al paradigma del Vivir
Bien, e in generale in molte altre parti dell’America Latina, al
concetto di Buen Vivir[]?
L.V.:
Proprio per questo prima mi sono definito un intellettuale organico
marxista. Si potrebbe parlare dell’America Latina in senso romantico
e sentimentale, ma non è questo l’approccio che noi vogliamo
adottare. Ad esempio moltissime persone in Europa amano Cuba, la
Bolivia, e, in generale, l’America Latina perché affascinati dai
luoghi naturali, dalla musica, dagli indigeni e dal modo di vivere.
Per noi le cose non stanno affatto così. In Latinoamerica il
conflitto tra capitale e lavoro è il punto cruciale in cui si
ritrovano più alte le tante contraddizioni del modo di produzione
capitalista, ovviamente in modo diverso da paese a paese. Perché i
partiti della sinistra europea non trattano l’argomento in modo
corretto? Quando parlano di Cuba affermano l’esistenza di uno Stato
dittatoriale, la stessa cosa vale per il Venezuela e la Bolivia i
cui processi politico-sociali vengono definiti nazional-populisti e
non democratici. Lo fanno perché ormai in Europa le distinzioni
politiche di fondo tra destra e sinistra sono quasi impercettibili.
Possiamo
certamente sostenere che la sinistra europea ha perso il suo
significato originario, ossia il punto di riferimento
anticapitalista da affermare con il conflitto attraverso la lotta di
classe.
Nel mondo ci
sono più di 4 miliardi di persone che soffrono la fame e vivono in
condizione di differenti livelli di povertà e poche centinaia di
individui che detengono una ricchezza uguale a quella di quei
quattro miliardi. La sinistra europea ritiene che questa condizione
possa essere risolta senza adottare misure radicali di
trasformazione anticapitalista, ossia attraverso un capitalismo a
carattere keynesiano, sociale e temperato e che la crisi strutturale
e sistemica si possa risolvere mantenendo sempre le leggi del valore
del capitale, dell’accumulazione e dei profitti per pochi. Questa
sinistra europea pensa che l’unico e ultimo orizzonte possibile per
l’umanità sia solo il capitalismo.
I partiti
della sinistra europea non hanno alcuna idea della trasformazione,
hanno abbandonato l’orizzonte del socialismo, le categorie del
materialismo dialettico e del materialismo storico. Sono un
intellettuale militante marxista, ritengo che la storia sia
semplicemente storia dei processi della lotta di classe e, in quanto
processo, è in continua trasformazione. La storia è un processo
dinamico, non lineare con rotture imposte dai rapporti di forza
delle soggettività in campo. Si può pensare che la storia
politico-sociale si basi, come la matematica, sulla logica astratta,
ma non è affatto così, perché stiamo parlando di un processo non
lineare e che ha in sé infiniti momenti di pause e accelerazioni, di
crisi e di ripresa su cui si giocano le sorti reali del conflitto
capitale-lavoro.
L’interpretazione storica della società da fare deve essere
effettuando i percorsi del movimento che distrugge e supera lo Stato
di cose presenti in chiave di lotta di classe. Non ho nessun
problema a parlare e a discutere di riforme strutturali o di momenti
tattici, ma rimangono per me pur sempre chiare le strade, gli
orizzonti e le visioni strategiche della costruzione del socialismo.
Scendiamo nel
concreto e vediamo negli anni cosa è successo in Europa e in
particolare in Italia.
Da noi è stata sempre molto forte
l’ideologia e la prassi marxista anche nell’impostazione gramsciana,
che oggi è attuale qui in America Latina. Questo grazie anche al
Partito Comunista Italiano, il più grande partito comunista
d’Occidente che, nel 1976 raggiunse il 34,4%[]
dell’elettorato e grazie al sindacato CGIL vicino al partito che
aveva una concreta visione e strategia di classe. Negli anni ‘70 ed
in seguito con l’avvento del neoliberismo, il PCI ha rinunciato
all’idea forte del comunismo e di forzare l’orizzonte della
transizione al socialismo, dando vita ad una nuova concezione
politica: l’accettazione del sistema capitalista in modo
consociativo, abolendo così dal suo programma politico la conquista
del socialismo attraverso la lotta di classe. Tutto ciò ha fatto sì
che i comunisti che erano la forza politicamente e culturalmente
egemone nella società e, che prima raggiungevano, come abbiamo
visto, anche il 35% dei voti nelle elezioni, attualmente contano a
mala pena il 3% dell’elettorato. Ora alcuni intellettuali che erano
marxisti e gramsciani militano o sono passati alla destra o alla
sinistra liberista moderata.
La visione di
classe del conflitto e quindi anche della cultura operaia, del mondo
del lavoro, è quindi diventata un lontano ricordo. Nella migliore
delle ipotesi si sviluppa una concezione di compatibilità
eurocentrica, ossia ciò che non si riesce a fare in Europa non si
potrà fare nel mondo e di conseguenza ciò che fa la sinistra europea
deve diventare un modello per il resto del mondo. Partendo da queste
premesse non si riuscirà mai a capire il processo politico
boliviano, che è un processo creativo e totalmente nuovo basato sui
movimenti sociali di base ma che pone al centro le dinamiche della
lotta di classe nei processi di transizione al socialismo.
I:
Perché l’Europa e i partiti di sinistra si sono trincerati in questa
visione? Poco tempo fa in Bolivia c’è stato un incontro di
intellettuali latinoamericani che affermavano chiaramente che la
Bolivia è un centro della trasformazione in cui si stanno
sviluppando strumenti nuovi. Questi strumenti servono per cercare di
capire che la struttura epistemologica sta producendo una profonda
rottura e la perdita di senso di alcuni concetti che non servono per
intendere questa realtà. Un esempio è la visione e il ruolo della
classe operaia che negli ultimi anni, in Bolivia, è cambiata
radicalmente. Questi intellettuali hanno discusso sul ruolo
fondamentale che stanno svolgendo i movimenti sociali, i veri
guardiani del processo di trasformazione. Come mai questo non viene
capito in Europa?
L.V.:
Non è che non viene capito, è che non si vuole capire. La politica è
lotta, è sacrificio; significa mettersi a disposizione del popolo e
avere coscienza di dover vivere momenti di forte contraddizione
anche nella tua vita personale, è vivere per la e nella continua
resistenza. Il problema della sinistra europea non è un problema di
tattica, perché se fosse questo si potrebbe discutere, affrontarla
la contraddizione nella tattica, indirizzarla e cambiarla. Il
problema è che la strategia complessiva del cambiamento radicale e
della transizione in grado di farci superare il capitalismo non
esiste più nelle diverse sinistre europee, poiché la politica è
diventata pratica di interessi giochi personali di potere, ossia
mera gestione del denaro, dei favori elettoralistici e dei posti
dirigenziali per il dominio sociale.
Quando le
imprese e la destra hanno cooptato la sinistra offrendogli di
detenere i luoghi di potere – creando così condizioni di favore
personale nella gestione della società del capitale – è iniziata, in
modo assai lenta, una visione differente da quella socialista
rivoluzionaria, per approdare alle compatibilità di gestione della
società capitalista con la concertazione e la pratica consociativa.
Stiamo parlando di una visione individualista e allo stesso tempo
collettiva poiché l’interesse personale si giustifica con un
cambiamento di strategia politica collettiva. In Europa non si
possono fare rivoluzioni e non sto assolutamente parlando di
rivoluzioni armate, ma di semplici processi di trasformazione dello
status quo.
In Europa non
si può pensare al socialismo come ad un modello economico sociale,
tantomeno possiamo lavorare al superamento del capitalismo. Siamo
costretti a vivere con questo ingiusto e guerrafondaio modello
economico e politico-sociale. La proposta degli esponenti della
sinistra è l’attuazione di un capitalismo più sociale, con una
redistribuzione della ricchezza più equa. Tali affermazioni
permettono loro di rimanere nei luoghi di potere, favorendo di
conseguenza il clientelismo e confermando il potere personale.
Questa è l’unica trasformazione iniziata già negli anni ’70, cioè la
sinistra come gestore del potere di classe dalla parte del capitale,
magari di quello cosiddetto “buono”.
I:
Quindi la sinistra europea propone una riproduzione capitalista del
sistema di privilegio, ma con alcune argomentazioni sociali.
L.V.:
Esatto, con argomenti sociali che però nella società capitalista si
perdono facilmente. È tutto iniziato proprio nel modo in cui hai
detto tu, quando il neoliberismo crea le condizioni, con la
complicità di cogestione assunta a modello dalla sinistra e dal
sindacato storico, dell’assenza di un’opposizione forte, può
intraprendere manovre politiche senza trovare nessun ostacolo, come
ad esempio, tagliare la spesa pubblica per la scuola e la sanità,
decurtare gli stipendi e portare avanti l’assurdità del lavoro
precario e della precarietà del vivere sociale. Sotto questi aspetti
la sinistra europea moderata e cosiddetta radicale si è comportata
nello stesso modo della destra. Dal 1990, in Italia, i governi di
centro-sinistra – non stiamo assolutamente parlando quindi solo dei
governi Berlusconi – sono stati i primi ad accettare anzi a proporre
e legiferare per il lavoro precario, la privatizzazione della
sanità, lo sviluppo dei fondi pensione e lo smantellamento della
scuola pubblica. Il processo neoliberista in Italia non lo ha
cominciato Berlusconi ma il governo Prodi negli anni ‘90. La Legge
Treu, che ha destabilizzato e destrutturato totalmente il mondo del
lavoro, è stata appunto approvata dal governo di centro-sinistra
dell’onorevole Prodi. La prima forma di privatizzazione
dell’istruzione universitaria è stata fatta dalla sinistra. In
Europa, l’Italia è stato punto di riferimento per gli altri paesi a
intraprendere questi percorsi liberisti e contro gli interessi dei
lavoratori.
Un altro dato
importante, a questo proposito, è il fatto che, sia in Francia che
in Spagna, così come in Italia, in pratica non esistono più i
partiti comunisti e ciò che rimane è nel migliore dei casi
riformista e compatibile con il sistema del capitale e stiamo
parlando di tre partiti che avevano una forza e un consenso popolare
molto ampio.
Tornando ai
processi latinoamericani, il problema della sinistra europea non
consiste nel fatto di non comprenderli, ma di non accettarli e
questo a causa della loro sporca coscienza che ha rinunciato alla
idea e alla pratica anticapitalista.
Ad esempio,
qui in Bolivia si sta dimostrando che un processo di trasformazione
delle dinamiche della transizione al socialismo che dieci anni fa
sembrava impossibile, sta piano piano diventando realtà.
Facciamo
invece un esempio italiano: settimane fa il nostro Parlamento ha
approvato una vergognosa legge, sconsiderata e opprimente
socialmente, non solo per l’Italia, ma per l’umanità intera: la
legge sulla privatizzazione dell’acqua. In Bolivia contro il
tentativo di privatizzare i beni comuni e in particolare l’acqua si
è formato un movimento sociale di base importantissimo, con una
forza di cambiamento incredibile. In Italia invece in pratica solo
una piccola componente sociale e il sindacalismo di base si è
opposto con forza, e ciò anche perché quando nasce un movimento, i
partiti della sinistra dapprima l’appoggiano quasi
incondizionatamente, ma quando il movimento acquisisce maggiore
importanza e visibilità viene fagocitato e strumentalizzato a fini
elettoralistici dalle strutture di partito. Questo fa sì che la
maggioranza delle persone si guarderà bene dal partecipare
nuovamente alla nascita e allo sviluppo di un movimento sociale e si
attivi per la politica di base.
Al contrario, qui i cocaleros[],
i minatori e gli operai hanno continuato a mantenere una certa
specificità nel processo rivoluzionario e un’autonomia che li ha
resi quasi imprescindibili, indispensabili per la qualità del
processo di trasformazione. Si sono dotati di uno strumento politico
proprio di confederazione dei movimenti sociali, come il MAS, che
anche se può avere qualche contraddizione interna, fa prevalere
l’aspetto più importante di questo processo e cioè che nessuna
struttura burocratica di partito gestisce e dirige i movimenti
popolari e sindacali di base. È il movimento sociale nelle sue
diverse componenti che sente la necessità di ricorrere a uno
strumento politico per darsi rappresentanza politica del blocco
sociale.
In Europa
questo non avviene. Per noi che facciamo parte dei movimenti e del
sindacato di base, è molto importante dare forza al processo
boliviano, perché pensiamo che la recente vittoria elettorale del
Presidente Evo Morales sia un ottimo risultato per tutto il processo
d’integrazione latinoamericana e di stimolo e di esempio per una
disperata sinistra eurocentrica.
Spero
vivamente che nel prossimo futuro questi avvenimenti diventino un
riferimento forte per i partiti della sinistra europea, perché
bisogna farla finita con la visione eurocentrica del mondo, retaggio
del colonialismo europeo e dell’attuale impostazione imperialista di
una Unione Europea così voluta proprio da una sinistra legata ai
centri di potere. La sinistra anche radicale e cosiddetta di
alternativa non può arrogarsi il diritto di insegnare qualcosa ai
movimenti sindacali, sociali e ai governi che operano per la
transizione socialista in America Latina. Non può insegnare nulla a
nessun ma può solo imparare, partendo dalla riattivazione del
conflitto nella lotta di classe. È importante sottolinearlo: bisogna
tornare alla pratica della lotta di classe e all’autodeterminazione
popolare.
I:
In Europa una delle caratteristiche dei partiti comunisti era la
formazione dei quadri. Nella realtà latinoamericana e in particolare
in quella boliviana, non è mai esistita – in termini classici – la
formazione dei quadri di partito, ma c’è sempre stata una forte
coscienza storica e culturale. Noi, dopo più di 500 anni di
colonialismo e neocolonialismo, siamo riusciti a scrivere la nostra
storia, la storia latinoamericana. È vero che si è solo all’inizio,
ma siamo consapevoli che questo processo, seppur cominciato da poco,
si sta già consolidando grazie anche a quelle armi intellettuali che
ci permettono di vedere le tante contraddizioni e difficoltà insite
nel processo di trasformazione.
L.V.:
È sempre un problema di relazione tra teoria e prassi. Il problema
dei partiti comunisti europei non è stato quello di aver portato
avanti le scuole di formazione – magari avessero continuato – ma
dopo gli anni ‘70 l’aver pensato di istituire scuole per formare
manager politici funzionari ben pagati, i quadri formati come
burocrati e non quadri politici d’organizzazione provenienti dai
movimenti sociali. La formazione è passata dalla lotta ideologica
alla creazione di quadri d’apparato consociativo dirigenziale. Era
diventata già da fine anni ’70 una scuola partitica di politicanti,
senza più ideologia e assolutamente di funzionar iato per gestire il
potere conto gli interessi dei lavoratori. Credo, a questo
proposito, che il MAS[]
e i movimenti sociali boliviani debbano istituire una scuola di
formazione ideologica che sia colonna vertebrale di organizzazione
ad ampi settori del MAS e che quindi fra i militanti riesca a
sviluppare una forte coscienza di classe. Questa scuola di
formazione non deve necessariamente essere di esclusiva impostazione
marxista ma di culture diverse ma tutte anticapitaliste, isolando ed
espellendo i personalismi dei politicanti e dei burocrati e non
riproducendoli a modello, come è avvenuto in Europa. Se in campo ci
sono solo i movimenti sociali senza una organizzazione con una
prospettiva ideologica, le cose saranno ancora più difficili, perché
i movimenti sono entità che operano su fasi congiunturali. Se
esistesse una coscienza di classe e una scuola di formazione
politica, il processo di trasformazione boliviano sarebbe quello più
importante di tutta l’area del cambiamento geopolitico
latinoamericano e non solo.
I:
Credo comunque che rispetto agli altri paesi noi abbiamo dei
vantaggi, ad esempio, le caratteristiche culturali. La visione
collettiva e comunitaria che i movimenti hanno adottato fanno sì che
la realizzazione individuale avvenga solo in funzione della
realizzazione collettiva. Oggi noi boliviani stiamo mettendo in
pratica una nuova dinamica sociale, ossia un nuovo modo di vita e di
pensiero. Da qui deriva il nostro vantaggio rispetto alla situazione
europea. Infatti in Europa è ancora fortemente radicato
l’individualismo. L’Io viene messo davanti a tutto e tutti, mentre
al contrario, qui poniamo al centro della società e della vita un
concetto più ampio e integrante: il Noi.
L.V.:
La visione individualista è determinata dalla competizione economica
globale del mercato. Quale è la grande novità del processo di
transizione che si sta vivendo in Bolivia? Si sono create le
condizioni per la contaminazione della cultura sindacale, operaia e
marxista, ma soprattutto delle culture contadine e indigene
originarie e quindi del socialismo comunitario. Voglio specificare:
il socialismo comunitario non è il socialismo marxista, però è
un’idea collettiva che lavora per l’integrazione di tutti gli
individui con modalità politico-economico-sociali che determinano
relazioni fuori mercato e di alternativa al capitalismo.
I:
Possiamo dire, quindi, che è un’idea “completa”, ossia che non ha
un’aspirazione meramente economica ma soprattutto organizzativa,
ambientale e perfino spirituale.
L.V.:
Oggi, ad esempio, il paradigma del Vivir Bien è centrale non solo
per la Bolivia ma per l’umanità intera. Come economista, è da
diversi anni che sto analizzando la crisi del sistema capitalista;
l’attuale crisi del capitale non è una crisi che risale a 1 o 2 anni
fa, al contrario perdura da 35 anni. Non è una crisi che danneggia
solo il settore finanziario o economico: è una crisi sistemica.
Stiamo subendo drammaticamente, a livello internazionale, una crisi
finanziaria, economica, ambientale, ecologica, alimentare,
climatica, di genere e dei diritti umani. Questo significa che in
discussione non c’è la qualità della vita di singoli individui o una
singola comunità o sistema paese o polo geoeconomico, ma la stessa
sopravvivenza dell’umanità.
Da diverso
tempo porto avanti uno studio sui movimenti sociali internazionali –
e a questo proposito vorrei citare il libro del Vicepresidente
Alvaro García Linera Sociología de los movimientos sociales. Questo
mi permette di dire che il superamento della crisi non avverrà
grazie all’adozione di un capitalismo dal volto più umano, ma ciò
avverrà solo grazie ad una forte trasformazione rivoluzionaria in
grado di collocare i diritti, non dell’uomo, ma dell’umanità al
centro di un pensiero politico.
Bisogna aver
rispetto delle popolazioni, della natura, e dei loro processi di
autodeterminazione e della loro spiritualità, in una pratica
politica che si ponga nella strategica del superamento del
capitalismo, e che quindi percorra le diverse strade del socialismo
nel e per il ventunesimo secolo, la quale può essere assunta a
riferimento per il futuro dell’umanità.
Questa è una
critica che io, da marxista, faccio agli altri intellettuali che si
muovono nelle e per le compatibilità di un capitalismo “buono e
verde”, pur definendosi ancora marxisti. Dobbiamo, a tutti i costi,
attualizzare la teoria marxista, in termini di rottura e
trasformazione concreta di sistema, nel contesto attuale e
differente nei vari paesi, perché se viene applicata come un dogma
non sarà in grado di risolvere l’attuale crisi. Il modo ideale per
uscirne è proprio quello che state attuando voi in Bolivia, ossia
con la contaminazione e con la mezcla tra culture differenti, così
da riuscire a pianificare la visione di un mondo diverso.
I:
Il Presidente Morales ha detto più volte che il mondo continuerà ad
esistere e resistere anche senza la presenza dell’essere umano, ma
l’uomo soccomberà senza le risorse che il pianeta custodisce. Il
processo boliviano sta contribuendo, a questo proposito, alla
creazione di una visione olistica e generale del problema. Però io
sono convinto, allo stesso tempo, che dobbiamo dare ascolto alle
critiche che arrivano dai movimenti e sindacati di base e dai suoi
intellettuali organici dell’Europa, qualora siano costruttive.
L.V.:
In primo luogo, bisogna dire che qualunque tipo di modello economico
deve essere subordinato alla politica. La politica dovrà avere
sempre un ruolo centrale e solo dopo verrà l’economia, poiché se
l’economia domina la politica – sto parlando di politica in senso
nobile e alto – il disastro sociale è assicurato. La politica ha il
dovere di occuparsi delle necessità della popolazione e
dell’umanità. Per me non è sufficiente affermare che questa crisi
farà crollare il modello economico e politico statunitense e quello
del G8. Bisogna pensare alle alternative possibili già iniziando a
ristrutturare dalla base tutti gli organismi internazionali. Ad
esempio l’ONU, in cui sono rappresentati circa 200 paesi e sono
convinto del fatto che tutti i paesi del mondo debbano partecipare e
decidere nella stessa maniera e con lo stesso ruolo contro le
logiche di dominio imperialista a varie sfumature.
Questo è il
futuro, non il contrario. A questo proposito voglio ricordare Chávez
quando, diversi anni fa, ha iniziato a parlare del Socialismo del
XXI secolo – anche se io preferisco chiamarlo Socialismo nel o per
il XXI secolo – come dell’unico modello possibile per una società
nuova e giusta, in cui poter istaurare differenti relazioni
internazionali. Ma per far sì che tutto ciò si realizzi bisogna
superare il modello capitalista che si basa sullo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo. Dobbiamo costruire una società socialista,
seppur con le dovute differenze da paese a paese. La Bolivia non è
il Venezuela, come il Venezuela non è Cuba; ogni paese ha le sue
caratteristiche specifiche che vanno rispettate e integrate nel
nuovo sistema economico e sociale. Ogni popolo deve raggiungere
l’autodeterminazione, al di fuori delle regole capitalistiche per
costruire la società degli uomini liberi ed uguali sul terreno
strategico della transizione socialista, ciò stanno facendo Cuba,
Venezuela e Bolivia.
I:
Ogni popolo ha le proprie dinamiche interne. Per concludere, puoi
dirci cosa ti riporterai, intellettualmente parlando, dalla visita
nel nostro paese? Quali sono le tue speranze?
L.V.:
Innanzitutto voglio dire che è da 32 anni che viaggio in America
Latina, però purtroppo questa è stata la mia prima volta in Bolivia.
Dico purtroppo perché mi sarebbe piaciuto da prima vivere
direttamente questa grande trasformazione politica. Sociale e
culturale sin dall’inizio. Mi sento molto coinvolto da questo
processo di transizione e proprio per questo vorrei tornare quanto
prima, perché studiarlo e analizzarlo dall’Europa è tutt’altra cosa
che viverlo.
Non ho mai
pensato di venire come una sorta di maestro che dà consigli, perché
è uno sconsiderato metodo che non mi appartiene; lavoro nel e per il
sindacato di base RdB, sono dirigente della Rete dei Comunisti e
sono e siamo qui per imparare, per ricevere linfa vitale da questi
movimenti sindacali e sociali, senza altresì voler importare modelli
ma nella consapevolezza di vivere di fatto nella quinta
internazionale socialista e della solidarietà.
Voglio
semplicemente ringraziare il popolo boliviano perché la rivoluzione
che sta portando avanti è fondamentale per tutta l’America Latina e
anche per noi europei. Non voglio perdere la speranza e visto che la
storia non è affatto lineare, nulla mi vieta di pensare che qualcosa
di simile possa avvenire anche altrove, anche nel cuore dell’impero.
Spero che proprio grazie all’esempio che ci state dando, le cose
possano cambiare anche in Europa.
Voglio
ringraziare infinitamente il Presidente Evo Morales, il
Vicepresidente Alvaro García Linera, il Governo e le popolazioni
originarie, contadine e indigene che sono parte fondamentale del
processo di transizione al socialismo, non attraverso una visione e
un approccio antropologico, “etnico” ma soprattutto con una pratica
politica a connotati di classe.
Molte persone
in Europa, della cosiddetta sinistra “estrema”, criticano Evo per
non aver ancora fatto tutto che deve essere fatto in Bolivia in
termini di trasformazione radicale. In parte ciò può essere vero, ma
altrettanto vero è che il Governo di Evo è al potere da soli 4 anni,
e in un lasso di tempo così breve non si possono risolvere i
problemi causati da 500 anni di colonialismo, tanto è già stato
fatto in termini di riforme strutturali anche a significativo
carattere antimperialista e anticapitalista. Sono processi molto
lunghi e faticosi.
Auguro ai
contadini, agli indigeni originari, ai mineros, agli operai, al
popolo boliviano di continuare a lottare, a resistere, a costruire
l’alternativa alla società del capitale, perché se esistono problemi
nella transizione bisogna risolverli. Qualsiasi processo al suo
interno ha delle contraddizioni, perché se così non fosse non si
potrebbe chiamare processo.
Il popolo del
lavoro e della rivoluzione boliviana deve imporre la propria
autodeterminazione e il mondo intero deve farsi carico di accettarla
e rispettarla.
Tutto ciò che
ho visto e sperimentato in queste meravigliose giornate boliviane mi
ha confermato l’idea che mi ero fatto in precedenza:
la leggerezza
della farfalla boliviana non solo esce indenne dall’uragano
capitalista, ma nel suo volare nell’orizzonte della transizione
socialista sconfigge il tumultuoso, caotico e agonizzante
guerrafondaio sistema del capitale. Vola la farfalla sull’uragano
impazzito!!
I:
Come diciamo noi boliviani: il presente è di lotta, ma il futuro è
nostro!
(Traduzione di
Violetta Nobili)
[]
ALBA: l’Alleanza Bolivariana per i popoli di Nuestra América è
un progetto politico, economico e sociale tra i paesi
latinoamericani; è stato promosso dal Venezuela e da Cuba in
alternativa all’ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe)
istituita dagli Stati Uniti. Attualmente ne fanno parte
Venezuela, Cuba, Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Honduras (il
governo golpista e fascista sta decidendo in questi giorni se
uscire dal patto), Dominica, Saint Vincent e Grenadine, Antigua
e Barbuda. [N.d.T.].
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