AVVENIMENTI
La vocazione golpista della
“Mezzaluna”. Bolivia: chi si nasconde dietro ai complotti per
rovesciare Evo Morales.
di
Andrea Necciai
La vittoria del SI al referendum
costituzionale di inizio anno ha confermato il sostegno della
maggioranza dei boliviani al progetto riformista dell’indio
Evo Morales e del suo governo. La nuova Costituzione ha
sancito - per la prima volta - come diritti fondamentali l’acqua, i
servizi di base, la salute, l’istruzione e le risorse fondamentali
dello Stato. Una novità non da poco, dal momento che tutti questi
diritti sono stati fino ad oggi considerati in Bolivia – e, in
generale, in tutto il continente latinoamericano – come semplici
merci da sottoporre alle regole della domanda e dell’offerta.
Dopo le dure lotte sostenute dagli
indios negli ultimi decenni contro l’ignoranza e il razzismo di
una società “bianca” arricchitasi grazie ad immense rendite
economico-finanziarie, ora finalmente “vengono riconosciute diverse
forme di economia, come quella pubblica e comunitaria e non solo
quella di mercato. Si garantiscono i diritti collettivi e storici
dei popoli originari (quechua ed aymaras), sterminati per 500 anni e
trattati come figli minori da governi che esercitavano la legge sui
luoghi dove da millenni i popoli indigeni avevano edificato cultura
e armonia”. *
Ma il presidente boliviano, che prima
del referendum aveva già incassato un altro importante successo
elettorale nell’agosto 2008, ottenendo il 63% dei consensi alla
riconferma del suo mandato, si trova ancora alle prese con le
velleità secessioniste delle ricche circoscrizioni orientali (la
cosiddetta “Mezzaluna”), i cui prefetti, spalleggiati
dall’oligarchia imprenditoriale, non solo si oppongono al nuovo
dettato costituzionale ma continuano a reclamare l’autonomia. Non a
caso nella Mezzaluna, macroregione comprendente i dipartimenti di
Tarija, Santa Cruz, Beni e Pando (situati a nord e a est del Paese),
si concentrano le maggiori ricchezze economiche (imprese e siti
produttivi) e grandi riserve energetiche e naturali (acqua, gas e
idrocarburi), da decenni oggetto di sfruttamento selvaggio da parte
dei governi corrotti e delle compagnie multinazionali.
Dal gennaio del 2006, anno in cui
Morales ha assunto l’incarico presidenziale, l’azione delle forze
dell’opposizione non si è affatto limitata alle critiche o
all’ostruzionismo politico, nella logica del confronto civile, ma è
stata spesso condotta con mezzi illegali e violenti. Grazie al
lavoro della magistratura boliviana, che sta indagando sul conto di
alcune organizzazioni paramilitari, è stata recentemente scoperta
una cospirazione per destabilizzare l’attuale governo in carica, con
la complicità di alcuni influenti “attori” internazionali.
Tutto ha inizio il 16 aprile quando in
un lussuoso hotel di Santa Cruz (nell’omonimo distretto) tre
sospetti malviventi sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con la
polizia locale. Qualche ora più tardi, nei magazzini della fiera
campionaria che si tiene della stessa città, la Fexpocruz, la
polizia scopriva un nascondiglio di armi ed esplosivi, impiegati con
ogni probabilità per compiere attentati.
A capo della cellula terrorista c’era
Eduardo Rozsa Flores, uno degli uomini morti nella retata
dell’hotel. Membro del partito ungherese neonazista “Jobbik”, Rozsa
prestò servizio nelle milizie croate durante la guerra nella ex
Iugoslavia, prima di essere assunto sotto falsa identità
dall’impresa COTAS (Cooperativa Telefonica di Santa Cruz), di
proprietà di vari dirigenti del Comitato Civico Pro Santa Cruz (uno
dei più accaniti gruppi separatisti) e dell’organizzazione razzista
Nación Camba.
Alcuni giorni dopo la sua morte, la
stampa rendeva pubblica un’intervista nella quale Rozsa dichiarava
che “il Consiglio Dipartimentale di Santa Cruz ha deciso la
creazione di un corpo di sicurezza regionale [milizia armata, ndr]”
e in un’altra aggiungeva “dichiareremo l’indipendenza e creeremo un
nuovo Paese!”. Secondo altre fonti, questo mercenario di origine
magiara avrebbe mantenuto strette relazioni con alti funzionari
della sede boliviana dell’ente newyorkese “Human Right Foundation” (HRF)
e con alcuni delegati dell’organizzazione di estrema destra “UnoAmérica”.
Di recentissima creazione la
UnoAmérica, formata da militari ultranazionalisti e da paramilitari
provenienti da El Salvador, Colombia, Argentina e Venezuela, riceve
sostanziosi finanziamenti dall’Agenzia Internazionale per lo
Sviluppo (USAID) e dal National Endowment of Democracy (NED), lo
stesso ente nordamericano che sostiene dal 2005 anche il Comitato
Civico Pro Santa Cruz. Secondo la studiosa Eva Golinger, dal 2002
USAID avrebbe destinato ben 97 milioni di dollari ai gruppi della
destra autonomista boliviana, per il finanziamento di programmi atti
a favorire la “decentralizzazione” (o meglio, la “balcanizzazione”)
del paese andino. Il presidente di UnoAmérica è Alejandro Peña
Esclusa, un politico venezuelano antichavista che alle ultime
elezioni politiche tenutesi nel suo paese ha ottenuto 2.424 voti,
pari allo 0,04%.
Sul conto della HRF, conosciuta per i
suoi legami con la CIA, si può osservare come dal 2005 (anno della
fondazione) questo ente “benefico” abbia cominciato ad interessarsi
seriamente alla realtà sociale (e politica) latinoamericana tanto da
creare nuove filiali in Bolivia (2007), Ecuador (2008) e
prossimamente, secondo quanto ammesso dagli stessi dirigenti, anche
in Nicaragua.
Solo pochi mesi fa, l’interferenza
degli Usa negli affari interni della Bolivia e la loro complicità
nel fomentare la secessione dei dipartimenti “ribelli” aveva indotto
il governo di La Paz ad espellere dal paese l’ambasciatore
statunitense Philip Goldberg, un vero e proprio esperto di
“balcanizzazione” avendo lavorato dal 1994 al 1996 in Kosovo.
Evidentemente, buttare giù il governo di Evo Morales non è solo
l’obbiettivo dell’oligarchia della “Mezzaluna”.
Note:
* “Ecuador e Bolivia: la natura nella Costituzione” di Giuseppe De
Marzo, in “Latinoamerica” n°105 (04/2008).
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