C
 
UBAnews
 
rRIVISTA TELEMATICA MENSILE A CURA DI GIOIA MINUTI
NARRATIVA - LIBRI

 

 

 

Dulce María Loynaz, come una goccia d’acqua 

di GUSTAVO B. ESTORINO  - speciale per SiporCuba

 

“Un poeta è qualcuno che vede al di là del mondo che lo circonda,  più addentro del mondo interno e inoltre deve unire a queste due condizioni una terza più difficile: far vedere quello che lui vede”.

Così definiva essere poeta  Dulce María Loynaz.  Così fu lei. 

La prima donna latinoamericana che ha vinto il  Premio Miguel de Cervantes è un mito per i cubani, per la sua opera e per l’interesse che suscita la sua vita enigmatica.

Nacque all’Avana nel 1902 e la sua passione per la poesia e la cubanità  iniziò sin dalla culla, per suo padre, il generale dell’esercito liberatore  Enrique Loynaz del Castillo, compositore delle parole dell’Inno degli Invasori, assieme all’amore per la Patria. Sua madre  Doña María de las Mercedes Muñoz Sañudo, era appassionata al bel canto, la pittura e il pianoforte, il piacere della lettura e le lettere.

A 17 anni irruppe nel campo culturale e artistico dell’Isola, con la pubblicazione nel quotidiano La Nacion delle sue prime due poesie,

Invierno de almas” e “Vesperal”.

Pochi mesi dopo partì per gli Stati Uniti, compiendo una serie di viaggi per tutto il mondo. Ritornata a Cuba s’iscrive alla facoltà di Diritto Civile dell’Università dell’Avana e nel 1927, a 24, anni si laurea ed esercita la professione sino al 1961, ma solo per affari della famiglia.

Quando le domandavano perchè non esercitava con maggior ampiezza, rispondeva che e la poesia  e la letteratura

l’assorbivano totalmente e che lei poneva la sua volontà e tutta la sua forza in questo campo.

Gli scritti della giovane stupirono gli intellettuali cubani e gli stranieri quando, negli anni ’20, scrisse “Versos” e iniziò la redazione di un romanzo, “Jardín”, e in occasione di un soggiorno in Egitto nel 1929, pubblicò Carta d’Amore al Re Tut-Ank-Amen. Il mondo cominciava a conoscere e ad apprezzare il suo raffinato lirismo. Importanti intellettuali frequentavano casa sua nel Vedano, trasformandola in un centro indimenticabile della vita culturale.

Le serate  organizzate negli anni ‘30 del XX secolo erano vivacizzate dalla presenza di Federico García Lorca, Emilio Ballagas, Alejo Carpentier, Juan Ramón Jiménez, Rafael Marquina, Carmen Conde, e molti altri.

Nel  1937, dopo un viaggio in  Messico, publica  Canto a la mujer estéril e l’anno dopo pone tra le mani dei lettori, per la prima volta a Cuba, l’antologia di poesie “Versos”.

Negli anni ‘40 la penna di  Dulce María è rispettata in tutta l’America Latina. I criitci considerano la sua poesia “forte e delicata, intensa e non retorica, che denuda le parole e l’anima, scritta con la sensibilità della carne viva...” 

“Ultimos días de una casa” e “Un verano en Tenerife” sono due opere scritte in Spagna nel 1958: “Il meglio che ho scritto”, dice di quest’ultimo romanzo che è la storia del suo soggiorno nelle Isole Canarie.  Con la piena maturità intellettuale e nel momento di maggior successo professionale smette di scrivere poesie, alla fine degli anni ‘50 e agli inizi dei ‘60 rompe i contratti editoriali.  Dopo il trionfo della Rivoluzione, nel 1959, il marito, il giornalista della Canarie Pedro Alvarez Caña, abbandona Cuba e non ritorna nella sua Patria adottiva sino al 1974, per morire.

Dulce Maria vive con dolore e amarezza l’assenza di Pablo che era il suo ispiratore nella cultura e l’arte e questo motiva il suo ritorno alla clausura volontaria nella quel aveva già vissuto.

Da quel momento sospende i viaggi all’estero e rifiuta d’apparire in pubblico; solamente presta attenzione alle attività relazionate con l’Accademia Cubana della Lingua.  In quel lungo periodo di ritiro riprende alcune idee che sono il suo sogno: scrivere sulle gesta contro la colonia alle quali aveva partecipato suo padre, aiutante del luogotenente generale  Antonio Maceo.

Dopo la morte di suo padre, nel 1963, scopre migliaia di pagine disordinate e mai concluse di Memorias de la guerra, volume con cui il generale Enrique Loynaz del Castillo tentava di raccontare le gesta dell’epopea indipendentista.

Dulce María realizza quel compito per circa ventanni: copia, riordina, controlla o organizza tutta la biografia esistente della guerra del 1895 e infine si pubblica a L’Avana, nel 1985, il libro firmato da suo padre.

Dopo trentanni passati a copiare e annotare i fatti più importanti avvenuti nel quartiere dove viveva, si decide a pubblicare  Historia de El Vedado, ma la graduale perdita della vista le impedisce di terminare l’opera.

Il suo amore e la passione per le lettere però non scompaiono e come riconoscimento di tutta la sua opera letteraria, la Reale Accademia della Lingua Spagnola le concede il Premio Cervantes.

“Unire il nome di Cervantes al mio, in qualsiasi modo, è tanto grande per me che non saprei che fare per meritarlo, nè che dire per esprimerlo”.  Scrisse queste parole quando ricevette nel 1993 dalle mani del re Juan Carlos questo riconoscimento.

Le motivazioni furono: “Il suo dominio magistrale della lingua di Manco de Lepanto, il potere di sintesi, la semplicità e la sobrietà nell’espressione lirica, la chiarezza e la musica del linguaggio”, presenti in tutta la sua opera letteraria.

Per via della vista così debilitata e della sua età avanzata, non lesse il suo discorso che con tutta la lucidità aveva scritto per l’occasione e che il suo amico, lo scrittore cubano Lisandro Otero, lesse per lei. Questa donna speciale meritava d’essere, e lo fu, membro dell’Accademia Nazionale di Arti e Lettere sin dal 1951; della Accademia Cubana della Lingua dal 1959 e della Real Accademia Spagnola della Lingua dal 1968 e inoltre Premio Nazionale di letteratura del 1987, insignita con l’Ordine Felix Varela del 1991 e Premio della Critica del 1991. 

Alla porta di casa sua andarono numerose personalità  per offrirle, il 15 aprile del 1997, un omaggio preparato dall’ambasciata di Spagna, ma per via del suo fragile stato di salute, Dulce Maria apparve per pochi istanti ai visitanti e fu la sua ultima apparizione.

Pochi giorni dopo, il 27 aprile, morì questa donna infaticabile che ha dedicato tutta la sua opera alla conferma di un’autentica poesia e alla difesa della cultura cubana.

La mistica, la magia e l’enigma che l’avvolgono hanno stimolato critici e studiosi a continuare nelle ricerche sulla sua opera, tentando di scoprire nuove sfumature in un’esistenza piena di mistero e d’aneddoti.

Ai giovani consigliava: “Non abbiate fretta di pubblicare... Lasciate che la frutta maturi sul ramo, perchè se si anticipa, poi le cose non vanno bene, perchè la gioventù è impaziente e crede che non avrà abbastanza tempo (…) Lasciate maturare la frutta sull’albero perchè abbia più sapore”. E così e avvenuto con la sua opera.

Ha scritto: “Il saggio vede un mondo in una goccia d’acqua; il poeta vede il cielo e gli altri vedono solo la goccia d’acqua”.

Dulce María, fu questo: una goccia d’acqua  chiara e semplice, visse in silenzio e diede frutti silenziosamente.

Il suo cuore palpitava tra Cuba, la sua terra e le isole Canarie, quelle del suo miglior compagno di vita, dove si basano le sue eccellenti poesie su queste isole.  In una poesia dedicata a Cuba fa una richiesta per l’eternità: “Isola mia, isola fragrante, fiore d’Isola, tienimi sempre, cullami sempre, dimentica una per una tutte le mie fughe e riservami l’ultima sotto un poco di sabbia soleggiata... sulla riva del golfo dove tutti gli anni i cicloni fanno il loro misterioso nido”.  

Lavorò senza tregua e senza interesse, come si legge in suo verso: “Ho aspettato un secolo senza aspettare niente”.

Ed ebbe la felice ricompensa d’una vita dedicata alla creazione letteraria e culturale, di vivere 95 anni ben vissuti, creando per gli altri e per se stessa.

In questo modo è diventata una figura importante nella cultura cubana, ispanica e mondiale. Ma è l’umiltà uno degli elementi personali essenziali di questa donna: un’umiltà che si riflette nei suoi versi: “Il mondo intero si è svuotato, lasciato dagli uomini che si sono dimenticati di portarmi con sè. Sono sola. E domani, quando mancherà il  mio verso timido, nessuno saprà che qualche volta io sono stata  tra loro”. (Traduzione Gioia Minuti)