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rRIVISTA TELEMATICA MENSILE A CURA DI GIOIA MINUTI
NARRATIVA - LIBRI

 

 

LE POESIE DI JOSÉ MARTÍ

 

Presentiamo nell’anniversario della morte dell’Apostolo di Cuba, avvenuta il 19 maggio del 1895 a Dos Ríos in battaglia, alcune sue poesie...

 

(traduzione di GIOIA MINUTI)

 

LA EDAD DE ORO

 

LE SCARPETTE ROSA

 

C’è un bel sole, onde di schiuma

e sabbia fine e Pilar

vuole andare a sfoggiare

il suo cappellino con la piuma

 

“Guarda che bimba divina”

grida il padre e poi la bacia

“Vai libera passerottina

e riportami la sabbiolina!” 

 

“Io vado con la mia bambina”

Dice la mamma premurosa.

“Ma non macchiare con la sabbia

le tue scarpettine rosa!”

 

Andarono nel giardino,

nel vialetto con il tiglio,

la mamma colse una rosa

e Pilar scelse un bel giglio.

 

Lei è pronta per il gioco

con cerchio, secchio e paletta.

Il secchio è color violetta

e il cerchio è color del fuoco.

 

Vengono a vederle passare,

nessuno le lascia partire.

La mamma si mette a ridere

ma un vecchio si mette a piangere.

 

L’aria fresca spettina

Pilar che viene e va

e spiritosa domanda “Mamà!

ma tu lo sai chi è una regina?”

 

E se torneranno di sera

dalla riva del mare,

per la mamma e per Pilar

papà il calesse manderà.

 

La spiaggia è proprio bella.

Tutto il mondo si incontra lì.

Porta gli occhiali la nonna

della francesina Magalì

 

C’è Alberto il militare

che ha guidato la processione

con il tricorno e il bastone

e ha spinto una barca nel mare.

 

Che cattiva Maddalena

con i suoi nastri e nastrini

che sotterra quella povera

bambola senza i piedini!

 

Conversano là sui cuscini

sedute con i cavalieri

le signore come fiori

all’ombra degli ombrellini.

 

Però con quel modo di fare 

è tanto serio e triste il mare.

È più allegro laggiù,là avanti, 

dove vanno tutti quanti!

 

Si dice che il mare canta    

meglio laggiù, nel popolare.

e che la sabbia è più bianca

dove le bimbe sole possono stare.

 

Pilar corre dalla sua Mamà:

“Mamà, io sarò buona, tanto buona,

Lasciami andare sola sulla riva

Laggiù dove mi vedi, un pò più in là...”

 

“Questa bambina capricciosa!

Tutti i giorni mi fa arrabbiare!

Vai, ma sta attenta a non sporcare

quelle tue scarpettine rosa!”

 

Le giunge ai piedi la schiuma.

Gridano allegre tutte e due. 

Se ne va dicendo “Addio!”  

Quella con cappellino con la piuma.

 

Va laggiù molto lontano

dove l’acqua è più benefica,

dove si siedono i poveri

dove si siedono i vecchi.

 

Andò la bambina a giocare,

la spuma bianca calò

e passò il tempo e passò

un aquila sopra il mare. 

 

E mentre il sole tramontava

dietro la duna dorata

giunse zitto un cappellino

che sulla sabbia camminava. 

 

Fatica tanto, fa fatica

a camminare... ma che cos’ha

Pilar che cammina così, cos’ha

che viene a testa bassa sino qua?

 

Lo sa bene la bella Mamà

Perchè fatica tanto ad andare:

“Le tue scarpette rosa Pilar?

Dove le hai messe? Dimmelo già!”

 

“Ahi cattiva! ma dove saranno?

Dimmi dove, Pilar!” “Signora”

Dice una donna piangendo,

“Sono qui! Guardi! Qui stanno!”

 

“Io ho una bimba malata 

che piange nella stanza oscura

e la porto sulla riva del mare 

a vedere il sole, a riposare.

 

Ieri notte sognò e sognò

con il cielo e udì un canto.

mi ha fatto paura, ne ho pianto

l’ho portata e s’addormentò.

 

Con quei minuti braccini 

stava come abbracciando

e io guardando e guardando

quei suoi scalzi piedini. 

 

Mi giunse vicino la schiuma,

alzai gli occhi e vidi

questa bambina davanti a me,

col suo cappellino con la piuma. 

 

“Sembra proprio come dipinta

la tua bambina. Sembra finta.

Vuole giocare?” “Volesse!” 

“Perchè non ha le scarpette?”

 

La guardò, le prese le manine,

i freddi piedini le toccò.

“Oh, prendi  le mie scarpine!

Io ne ho tante! Troppe ne ho!”

  

“Non so bene bella signora

Che cosa è successo allora.

Su quei nudi piedini le pose

quelle scarpette come due rose.”

 

 

Si videro apparire i fazzoletti

Di una russa e di un’inglese

e la nonna di Magalí

si tolse gli occhiali lì per lì. 

 

La Mamà aperse le braccia

e strinse al petto Pilar.

Prese la giacca sciupata

senza nastri, malandata.

 

Tutto lo vuole sapere

sulla malata la Mamà.

Non vuole sapere che piange

quella donna per la povertà 

 

“Sì Pilar, daglielo e anche quello! 

Il tuo mantello, il tuo anello!”

Le diede il denaro, ogni cosa,

un bacio e poi anche la rosa. 

 

Tornano zitte e stanche

alla casa col giardino

Pilar sta seduta sul cuscino

alla destra delle panche.       

 

E dice una bella farfalla

che vide dalla tuberosa

custodire sotto una palla

di vetro le scarpettine rosa.

 

 

LA PERLA DELLA MORA

 

Una mora di Tripoli aveva

una perla rosa, una gran perla

ma un giorno la gettò con sdegno al mare

“Sempre la stessa! Sono stanca di vederla!”

 

Pochi anni dopo là sulla rocca

di Tripoli la gente piange nel vederla.

La mora impazzita chiede al mare

“O mare, o mare ridammi la mia perla!” 

 

 

I DUE PRINCIPI

 

Il palazzo è in grave lutto

e sul trono piange il re.

La regina sta piangendo

dove nessuno la può vedere.

In fazzoletti di tela fina

piangono il re e la regina.

I signori del palazzo

stanno piangendo anche loro. 

I cavalli portano neri

pennacchi come le briglie.

I cavalli non hanno mangiato

perchè non vogliono mangiare.

L’alloro del grande cortile

è restato coi rami spogli

perchè al funerale tutti

portavano corone di foglie.

Il figlio del re è morto.

È morto il figlio del re.

 

Tra i boschi, là sul monte

ha la sua casa il pastore.

Sua moglie sta chiedendo

“Ma perchè brilla oggi il sole?”

Le pecore a testa china

vanno tutte vicino alla porta.

È una cassa lunga e profonda

che sta foderando il pastore.

Entra ed esce un cane triste

e canta là dentro una voce

“Passerotto io sto impazzendo”

portami dove lui è volato!”

Il pastore piangendo

prende la pala e il piccone,

apre una fossa nel suolo

e vi getta dentro un fiore.

Il pastore non ha più suo figlio:

è morto il figlio del pastore.

 

Da ISMAELILLO

 

IL PRINCIPE NANO  

 

Per un principe nano

si fa questa festa.

Ha i riccioli biondi,

morbidi riccioli

che  sulle spalle bianche

lunghi cadono.

I suoi occhi sembrano

stelle scure,

volano, brillano e palpitano,

mandano lampi.

Lui per me è corona

cuscino, sperone.

La mia mano che così imbriglia

cavalli e iene

va, mansueta e obbediente

dove lui la conduce.

Se muove un ciglio io temo

e se si arrabbia,

come un viso di donna

il mio impallidisce.

Il suo sangue anima

le mie povere vene.

Col suo piacere il mio sangue

si vivifica o si asciuga

Per un principe nano

si fa questa festa.

 

Venga mio cavaliere

per questo sentiero!

Entri mio tiranno

che qui c’è una grotta!

Quando ai miei occhi

la sua immagine giunge

è come se in un oscuro antro

una pallida stella

con fulgore di opale

tutto lo illuminasse.

Al suo passo l’ombra

svanisce in sfumature,

come quando il sole ferisce

le nubi oscure.

Eccomi già armato

per la battaglia!

Il principe nano vuole

che io torni a combattere:

lui per me è corona

cuscino, sperone!

E come il sole trasforma le nubi oscure

in bande colorate

l’ombra svanisce. 

Lui, toccandola,  ricama

sulle spesse onde

i miei colori di guerra,

rosso e violetta.

Cosa vuole il mio padrone?

Che io viva di nuovo?

Venga mio cavaliere

su questo sentiero!

Entri mio tiranno

che qui c’è una grotta!

Lasciate che la vita

a lui, a lui la offra.

Per un principe nano

si fa questa festa.

 

Da VERSI LIBERI

 

IL PADRE SVIZZERO

 

Little Rock. (Arkansas) Iº settembre.

 

La notte di mercoledì, vicino a Parigi, nella contea di Logan, uno svizzero, Edward Schwerzmann, ha portato i suoi tre bambini - uno di 18 mesi e gli altri due di quattro e cinque anni - al bordo di un pozzo, li ha gettati dentro e poi si è gettato a sua volta.  Dicono che ha agito in un momento di pazzia.

 

Dicono che uno svizzero con la chioma bionda,

con gli occhi secchi e concavi, guardando

con desolato amore i suoi tre figli

gli baciò i piedi, le mani delicate,

secche, malate, gialle mani,

e rapido, tremendo, con la rabbia

d’una tigre che le rubano il suo cucciolo

gettò quei tre e poi gettò se stesso

nel fondo pozzo e li rubò alla vita!

Dicono che il bosco illuminò radiante

di luce rossastra e che alla bocca

del pozzo oscuro, sciolti, i suoi capelli

furono corona di fiamme, che al monarca

doloroso, all’umano, solo al bordo

dell’antro mortale cinge le tempie.

La mano vizza come un tronco secco

contro l’ossuto petto, che le unghie

han graffiato e i figli muti

attaccati a quel braccio, come in una notte

di tempesta gli uccelli dentro il nido.

L’anima a Dio e gli occhi alla foresta

Lo svizzero sfidava il cielo e attorno

sembrava che la terra diffondesse 

luce d’eroe e che il regno dell’ombra

rabbrividisse per la morte di un gigante.

 

Padre sublime, spirito supremo,

che per salvare le spalle delicate

dei figlioletti dalla dura fatica

di una vita senza fede, nè patria, torva

vita senza un fine sicuro e solco aperto,

sulla sua schiena colossale pose

l’onere del crimine terribile! 

Tremavano gli alberi e sul suo petto

ossuto quei sei occhi spaventati,

di quei pallidi bimbi, le sei stelle

che guidavano il padre, illuminate

sin dal regno del crimine sembravano! 

Vai bravo! Vai gigante! Vai amoroso!

Pazzo! I velenosi rovi già calpesta,

che rodono come tossici le piante,

in quel regno di criminali, oscuro,

dove camminano senza tregua gli assassini.

Vai che le sei stelle luminose

Ti seguiranno e guideranno, e aiuto

saranno per le tue spalle, come se avessero

bevuto il vino amaro della vita. 

 

 

Da PER LO STRANIERO

(a proposito di annessione)

 

 

Un foglio di carta dopo l’altro consumo,

con tratti, consigli, ire, parole taglienti

che sembrano spade. Quel che scrivo

per compassione lo cancello, perchè il crimine,

quel crimine, lo compiono i miei stessi fratelli.

Fuggo da me stesso, tremo al sole e vorrei

sapere dove il topo fa la tana,

dove il serpente nasconde le sue squame,

dove i traditori gettano il loro carico

e dove non c’è onore, solo cenere:

là, la solamente io potrei dire

quel che dicono - e son vivi!-  che la mia Patria

pensa di unirsi al barbaro straniero!

 

Io tacerò, tacerò! Che nessuno

sappia che vivo, che la mia Patria mai

sappia che solo muoio per lei.

Se mi chiamano andrò, io solo vivo

perchè bramo servirla e morendo

la servo meglio che annusando

il modo di porla dello straniero ai piedi!  

 

Da VERSOS SENCILLOS

 

Io sono un uomo sincero

di dove cresce la palma

e prima di morire vorrei

trarre i miei versi dall’anima.

 

Io vengo da ogni parte

e in ogni luogo vado,

sono arte tra le arti

e monte tra le montagne.

 

Io conosco i nomi strani

delle erbe e dei fiori

e gli inganni dei mortali

e i sublimi dolori.

 

Ho visto nella notte scura

piovere sopra il mio capo

raggi di luce pura

di divina bellezza

 

Le ali ho visto nascere 

sulle spalle di donne belle 

e salire dalle macerie

volando le farfalle.

 

Ho visto vivere un uomo

con un pugnale al costato

che non ha mai detto il nome

di colei che lo ha ammazzato.

 

Rapida come un riflesso

due volte ho visto l’anima, due:

quando è morto mio padre

e quando lei mi ha detto addio.

 

Ho tremato una volta al cancello

all’entrata della vigna

quando una perfida ape

punse la fronte di mia figlia 

 

Ho gioito una volta della sorte

che mi fece felice, vedendo

che la sentenza della mia morte

il sindaco la leggeva piangendo.

 

Odo un sospiro che attraversa

la terra  il mare, ma

non è un sospiro, è che

mio figlio si sta per svegliare.

 

Se mi dicono “Dal gioielliere 

scegli il miglior gioiello”

io scelgo un amico sincero

e metto a lato l’amore.

 

Ho visto un’aquila ferita

volare nell’azzurro sereno

e morire nella sua tana

la vipera col suo veleno

 

So bene che quando il mondo

cede livido al riposo

sopra il silenzio profondo

mormora il ruscello sinuoso.

 

Ho messo la mano audace,

dall’orrore e dal giubilo vinta,

su quella stella già spenta

che cadde davanti alla porta.

 

Nel mio petto coraggioso occulto

la pena che mi ferisce,

figlio di un popolo schiavo

vive per lui e zitto perisce.

 

Tutto è bello e costante,

tutto è musica e ragione

e tutto è come il diamante:

prima che luce è carbone.

 

Io so che lo sciocco si interra

con gran lusso e gran pianto.

che non c’è frutta sulla terra

come quella del camposanto.

 

Taccio e capisco e mi tolgo

la pompa del rimatore

e appendo all’albero marcio

il mio camice da dottore.

 

 

IX

 

 

LA NIÑA DE GUATEMALA

 

 

Voglio all’ombra di un’ala

raccontare un racconto in fiore.

La giovanetta del Guatemala,

quella che morì per amore.

 

C’erano corone di  gigli

e cuscini di fior di reseda

e gelsomini... La seppellimmo

in una cassa foderata di seta.

 

Lei gli aveva regalato

un cuscinetto profumato.

Lui ritornò già sposato

e lei morì per amore.  

 

Trasportano la sua cassa

vescovi e ambasciatori

e il popolo segue in massa

con le mani piene di fiori 

 

Lei per poterlo vedere

salì fino al belvedere

lui ritornò con la sposa

e lei morì per amore.

 

Come bronzo incandescente

fu quel bacio dell’addio

su quella  fronte, la fronte

che amavo di più io.

 

Di sera entrò dentro il fiume

e la tolse già morta il dottore

Dicono che è morta di freddo

ma io so che morì per amore. 

 

Lì nella cripta gelata

la misero sopra due panche.

Baciai la sua mano affilata,

baciai le sue scarpine bianche.

 

Stavo là zitto e al tramonto

mi chiamò il seppellitore.

Io non ho visto mai più 

colei che è morta per amore.

 

 

XXIII

 

Io voglio lasciare il mondo

uscendo dalla porta naturale

sopra un carro di foglie verdi,

al cimitero mi devono portare.

 

Non mi pongano nel buio

a morire come un traditore.

Io sono buono e da buono

voglio morire con il viso al sole.

 

XXIX

 

Per legge l’immagine del re

si stampa sulla carta dello stato.

Il ragazzo è stato fucilato

dai fucili dello stesso re.

 

Festeggiare un santo è legge

del re e nella festa santa

La sorella del ragazzo canta

davanti all’immagine del re.

 

 

XXXII

 

In quell’oscuro stradone

con la nebbia dove passeggio

alzo gli occhi e occhieggio

la chiesa eretta al cantone.

 

Sarà un mistero? Sarà

rivelazione e potere?

Sarà, ginocchio, un dovere

il prostrarsi? Che sarà?  

 

Trema la sera: nella vigna

il verme morde il germoglio

stride chiamando l’autunno

la cicala sciocca e vana.

 

I due stridono: attento ai due

alzo gli occhi e vedo che

la chiesa dello stradone

ha l’immagine d’un gufo.  

 

 

XXXV

 

Che importa se il tuo pugnale

sta piantato nella mia schiena?

Io ho i miei versi che sono

più forti del tuo pugnale!

 

Che importa se questo dolore

asciuga il mare e il cielo oscura.

Il verso, dolce frescura

nasce alato dal dolore!

 

 

 

XXXVI

 

Lo so: dalla carne si può

far nascere un fiore, si può

con il potere dell’amore

creare un cielo: un bambino!

 

Dalla carne nascono però

anche lo scorpione e anche 

il verme della rosa

e la civetta spaventosa.

 

XXXIX

 

Coltivo una rosa bianca

in luglio come in gennaio

per un amico sincero

che mi porge la mano franca

e per chi crudele mi strappa

questo cuore con cui io vivo

nè cardo nè ortiche coltivo:

coltivo una rosa bianca.

 

XL

 

Dipinge il mio amico pittore 

i suoi angeloni dorati

sulle nubi inginocchiati

con intorno tanti soli.

 

Dipingi per me coi pennelli

quegli angioletti impauriti

che mi portarono, pietosi

due mazzi di garofani fioriti.