STORIA
Robert Kennedy sospettava di quella banda cubana, della CIA e della
Mafia
GABRIEL
MOLINA
I
sospetti di Robert Kennedy rivelati di recente a proposito della
partecipazione delle bande di origine cubana e italiana al servizio
della CIA, nell’assassinio di suo fratello John, gettano nuova luce
sulla protezione che la famiglia Bush offre al terrorista Luis
Posada Carriles.
Il
quotidiano Chicago Tribune ha appena rivelato che Robert F.
Kennedy aveva cominciato ad investigare sin dal primo momento, il
22 novembre del 1963, e che sospettava che l’assassinio del
Presidente era stata una cospirazione di questi gruppi, poiché lui
stesso conosceva meglio di tutti le motivazioni che li muovevano,
dato che aveva lavorato con loro per sconfiggere Fidel Castro e
affogare la Rivoluzione cubana, dopo il fallimento di Playa Girón,
nella Baia dei Porci.
DOVEVA
AVVENIRE IN SILENZIO
Le
rivelazioni si leggono in un articolo di domenica 13 maggio, scritto
dallo scrittore David Talbot, a proposito del suo libro “Brothers:
The Hidden History of the Kennedy Years”, appena pubblicato dalla
famosa editrice “Simon and Schuster”.
Robert
Kennedy aveva saputo che a Washington era meglio stare zitti quando
si lavorava a qualcosa d’importante e per questo non aveva mai
toccato l’argomento per vari anni, sostenendo in pubblico che nulla
avrebbe mai fatto ritornare in vita suo fratello, ma in realtà dallo
stesso giorno dell’assassinio è possibile seguire una pista della
sua investigazione, che cominciò immediatamente.
Con una
serie frenetica di telefonate per costruire la trama del crimine,
l’allora Segretario di Giustizia aveva concluso che il filo della
tela si dipanava ben lontano dall’ex marinaio Lee Harvey Oswald, che
era già stato arrestato.
Egli
divenne segretamente il primo e il più importante teorico della
cospirazione assassina. Le fonti della CIA cominciarono a
disseminare la propria visione cospirativa dalle prime ore del
crimine con una messa a fuoco sulla defezione di Oswald verso
l’Unione Sovietica e il presunto sostegno di Fidel Castro a un
gruppo segretamente organizzato dalla CIA con il codice segreto
AMSPEN, sostiene Talbot.
La
detta Direzione Studentesca diffuse una registrazione nella quale si
diceva quello che avevano fatto a Oswald, difendendo il leader
cubano a New Orleans. Si sostentava che il presunto assassino aveva
vincoli con il Comitato del Giusto Tratto per Cuba.
Robert
Kennedy però non credette mai che l’omicidio fosse un complotto
comunista. Lui guardava nella direzione opposta, mettendo a fuoco i
suoi sospetti sulle operazioni segrete anti Castro della CIA nel
torbido e basso mondo nel quale aveva navigato come uomo di punta,
per suo fratello, a proposito del tema Cuba.
Ironicamente, i sospetti di Robert nacquero perchè lui aveva svolto
la parte del lavoro che gli era toccata: cioè provocare la caduta di
Fidel Castro.
Svolgendo quel compito che gli aveva assegnato il presidente John
Kennedy dopo la fallita invasione, egli aveva conosciuto la cloaca
degli intrighi formata da elementi che partecipavano a tutti i
complotti per assassinare il Presidente di Cuba.
Lo
colpi soprattutto il piano organizzato dalla CIA con la banda cubana
e i capi mafiosi italo-americani John Rossellli, Sam Giancana e
Santos Trafficante.
Robert
Kennedy aveva perseguito accanitamente questi e altri padrini nei
primi anni cinquanta come consigliere del Comitato Speciale del
Congresso, che investigava il crimine organizzato e nei suoi anni
come Segretario di Giustizia del governo di suo fratello.
Inoltre
sapeva che i tre gruppi odiavano e definivano traditori i Kennedy
per il fallimento di Baia dei Porci, nel 1961 e la crisi dei missili
nel 1962.
IL
SOSPETTO E SINISTRO MONDO DI MIAMI
Nel
sinistro mondo di spie, di bande e di terroristi cubani di Miami,
Robert Kennedy accumulò rapidamente prove sui propri sospetti, da
quel 22 novembre e negli anni successivi, sino al suo stesso
assassinio, il 5 giugno del 1968. Egli riuscì a riunire un
impressionante gruppo di prove che avallavano le sue motivazioni.
Le
prove più recenti apparse e rese evidenti anche dalle
testimonianze nel Congresso sono documenti del governo già non più
segreti , avallate dalla confessione-rivelazione della presunta
spia, morta solo quattro mesi fa, Howard Hunt. L’organizzatore
degli “idraulici del Watergate” ha ammesso nel suo libro postumo
“American Spy”, che la Compagnia poteva essere coinvolta
nell’assassinio presidenziale. In una nota manoscritta e in una
registrazione lasciata poco prima della morte, Hunt ammette che nel
1963 aveva partecipato a una riunione dei membri della CIA, in una
casa di sicurezza di Miami, dove si era discusso un attentato contro
il Presidente Kennedy.
LA
MAFIA Di CHICAGO E QUELLA DI MIAMI
La
notte dell’omicidio, Robert Kennedy telefono a Chicago a Julius
Draznin, che è un esperto in corruzione dei sindacati, per
chiedergli se sapeva nulla di una possibile connessione a Dallas con
la Mafia.
Inoltre
chiamò il suo investigatore stella della segretaria di Giustizia,
Wiliam Sheridan, che era a Nashville in attesa del processo contro
l’antica nemesi di Robert, il dirigente dei camionisti Jimmy Hoffa.
Se
Kennedy aveva dei dubbi sulla partecipazione della Mafia
all’assassinio del presidente li dissipò due giorni dopo, quando
Jack Ruby sparò contro Oswald nella cantina del commissariato
dov’era detenuto il presunto assassino di suo Fratello.
Sheridan gli fornì rapidamente le prove che Ruby era stato pagato a
Chicago da un socio vicino ad Hoffa, Allen M. Dorfman, capo
consigliere del fondo di ritiro dei camionisti e figliastro di Paul
Dorfman, dirigente del lavoro e vincolo principale con la Mafia di
Chicago.
Pochi
giorni dopo Draznin, un uomo di Kennedy dell’antico feudo di Al
Capone, apportò altre prove con una relazione basata sui vincoli di
Ruby con la Mafia. Quando gli portarono l’elenco delle chiamate di
Ruby nei giorni dell’omicidio, Robert disse al suo aiutante Frank
Mankiewicz che la lista sembrava : “Un duplicato di quelle della
gente che io chiamavo per testimoniare davanti al Comitato che
investigava il crimine organizzato”. A proposito della CIA, Robert
sapeva che il direttore John McCone, non la controllava. Richard
Helms era quello che guidava l’agenzia, aveva commentato con un suo
aiutante, John Seigenthaler.
Il
giorno 22 ebbe una conversazione rivelatrice con Enrique Ruiz
Williams, un amico, veterano dell’invasione di Baia dei Porci e lo
meravigliò dicendogli: “Uno dei tuoi colleghi lo ha fatto! La CIA e
i gruppi cubani nemici di Castro stavano cercando di collegare
l’assassinio con il regime dell’Avana”. Per William era chiaro che
Robert Kennedy non accettava quella versione perchè prove recenti
suggerivano, ha annotato Talbot, che Robert aveva sentito il nome di
Oswald molto tempo prima che apparisse in tutti i media del mondo e
vincolava quell’uomo con la guerra sotterranea del governo
nordamericano contro Cuba. Con il suo arresto a Dallas, Kennedy
apparentemente comprese che la campagna clandestina contro Castro
era diventata un boomerang contro suo fratello.
I
membri della famiglia e anche intimi amici dissero che alla fine di
quella settimana dell’attentato, Robert cavillava sulla morte di suo
fratello e diceva che John era stato vittima di un poderoso
complotto che era cresciuto al margine di una delle operazioni
segrete contro Castro.
Non si
poteva fare niente a quel punto, diceva, e la giustizia doveva
aspettare che lui potesse andare nella Casa Bianca.
Per
anni Kennedy offerse materiali di routine alla Relazione Warren e
alla teoria del tiratore unico, ma in privato continuò a lavorare
accuratamente per chiarire la morte di suo fratello, preparandosi a
riaprire il caso quando avesse il potere per farlo.
Lasciò
il Dipartimento di Giustizia nel 1964 e fu eletto nel Senato per New
York. Poi andò in Messico dove cercò informazioni su un misterioso
viaggio di Oswald nel settembre del 1963, due mesi prima del
crimine.
Mankiewicz e lui giunsero alla conclusione che probabilmente si er
trattato di un complotto che aveva vincolato la Mafia, gli esiliati
cubani e la stessa CIA. Nel marzo del 1968, durante la sua campagna
come candidato alla presidenza, partecipò a un tumultuoso incontro
con gli studenti a Nortridge, in California, che gli chiesero chi
aveva ucciso il presidente e che si aprissero gli archivi.
Robert
sapeva che se avesse parlato, il tema avrebbe dominato la campagna
invece di altri importanti come il Vietnam o la segregazione
razziale nel paese. ma egli parlava sempre con gli studenti con
sorprendente sincerità e lasciò stupefatto Mankiewicz rispondendo
che, senza dubbio, avrebbe riaperto il caso. “Nessuno è più
interessato di me”, disse.
ANCORA E SEMPRE LA CIA
E forse
aveva firmato la sua sentenza di morte. Due mesi dopo lo uccisero.
Recentemente è stato stabilito che un gruppo di ufficiali della CIA,
sospettati d’aver assassinato il presidente, era presente, al di
fuori delle funzioni di lavoro, nell’hotel dove fu assassinato
Robert, il candidato che sicuramente sarebbe stato eletto
presidente.
Quando
si ricorda che George Bush padre è stato l’ufficiale incaricato del
lavoro sporco contro Cuba per molto tempo: quando si ricorda che
Bush padre era vice presidente durante l’epoca dello scandaloso
traffico di armi contro droga in centro America; di quel che sa e
nasconde il terrorista ed evaso assassino confesso; quando si
ricordano tanti altri inconfessabili crimini della banda CIA GATE,
si comprende meglio perchè Luis Posada Carriles - anche lui
sospettato per l’assassinio del presidente Kennedy e che quel
giorno era a Dallas, come segnala una relazione del Congresso che ha
svolto le investigazioni - possa ricattare Gorge W. Bush figlio.
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