CUBAOGGI


EDITORIALE DI RADIO CITTA' APERTA

 


 

 
 
 

NON VOGLIAMO MORIRE INGRAIANI
Editoriale di Radio Città Aperta 12 Maggio 2004


  
 Le dichiarazioni su Cuba rilasciate da Pietro Ingrao al Corriere della Sera, dichiarazioni piuttosto banali, hanno dissipato in poche battute le parole per cui avevamo guardato con rispetto a Pietro Ingrao lo scorso anno. Commentando l’invasione dell’Iraq, Ingrao aveva detto che “la resistenza contro l’occupazione è la prima condizione per la pace”. Parole chiare, una volta tanto, che avevano avuto una funzione pedagogica positiva verso le migliaia di giovani che si stavano battendo in tutta Italia contro una guerra illegale e coloniale. Ma le cose dette su Cuba al Corriere della Sera nella cornice di un congresso – quello del Partito della Sinistra Europea – che gli aveva dedicato una vera ovazione, ci hanno restituito l’Ingrao di sempre. Non una parola sulla minaccia ormai reale di un’aggressione statunitense contro Cuba ma banalità sulle spiagge e i bagnini di Stato a Cuba, banalità che dovrebbero portarci a dire di non doverci più opporre alla privatizzazione dei litorali come invece fanno giustamente tanti compagni sinistra nelle varie amministrazioni locali.

 Pietro Ingrao è tornato così ad essere un “leader morale” della sinistra verso cui molti hanno sempre mostrato una indulgenza mal riposta e superiore alla qualità del personaggio.  Lo fecero i fondatori del Manifesto, abbandonati da Ingrao quando il PCI decise la loro espulsione. Lo fecero migliaia di militanti della sinistra del PCI, che vedevano in lui una opposizione al compromesso storico che non si è mai manifestata come tale. Lo ha fatto per anni il quotidiano Il Manifesto, che lo ha intervistato ossessivamente e sistematicamente per anni anche quando Ingrao non aveva nulla di importante da dire al popolo della sinistra. Lo hanno fatto i militanti che diedero vita a Rifondazione Comunista mentre Ingrao rimaneva dentro il PDS scaturito dalla svolta della Bolognina e dall’ultimo congresso del PCI.

 Ma c’è un altro fattore che ci porta a dire pubblicamente che noi, militanti nomadi o semplici attivisti di una sinistra antagonista che si rivendica ancora come tale, “non vogliamo morire ingraiani”. E’ la coincidenza quasi ossessiva con cui giornali e opinionisti ci dicono che, ogni svolta liquidazionista del nostro patrimonio storico e politico viene benedetta da “padri nobili della sinistra” come Pietro Ingrao e Vittorio Foa, due personalità agite strumentalmente come “vecchi innovatori” contro giovani conservatori. Quali sono i risultati positivi per la sinistra italiana che Ingrao o Foa possono rivendicare come propri? A ben guardare non ce n’è uno che abbia retto alla realtà dei fatti né ai grandi cambiamenti invocati come “madri di tutte le svolte”.

 La nostra storia, dentro la sinistra italiana, è storia diversa da quella di Pietro Ingrao e con la sua non si è mai incontrata. Forse per questo ha retto al tempo, alla crisi della sinistra e al politicismo dominante. Il patrimonio storico del movimento operaio continuiamo a sentirlo ancora come nostro e guardiamo ai fallimenti delle suggestioni dell’iconoclastia di sinistra non solo con distacco ma con la pretesa di costruire ad essa ipotesi alternative. Se qualcuno volesse appiopparci come padri storici Pietro Ingrao e Vittorio Foa dichiariamo apertamente di volerci considerare volentieri orfani. La nostra è un’altra storia, un altro approccio, un’altra prospettiva nella lotta per la trasformazione sociale, una prospettiva che affonda le radici nella storia del movimento di classe in Italia e nel mondo, Cuba inclusa. E’ in questa prospettiva che non abbiamo mollato e non intendiamo mollare sul piano della lotta politica, sindacale, culturale anticapitalista ed è in questa prospettiva che ci auguriamo di poter vedere e costruire presto una sinistra in Italia e in Europa che non abbia voglia di “morire ingraiana”.  
 

 

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