Dopo il 3 gennaio del 1961, data in cui gli Stati Uniti decidono di interrompere
le relazioni diplomatiche con Cuba, il "Che" sottoscrive gli accordi
di scambio con l'Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti. Secondo la
testimonianza del professore di matematica Salvador Vilaseca (ambasciatore
dell'Avana a Roma negli anni Settanta), che lo accompagna nei primi viaggi
all'estero, Guevara gli chiede di impartirgli lezioni di algebra superiore,
geometria analitica, calcolo differenziale e integrale fin dal primo incarico di
presidente del Banco nacional ("Quelle lezioni durarono cinque anni, fino
al marzo del 1965. Facevamo lezione due volte alla settimana, secondo una rigida
disciplina").
Il "comandante del fronte occidentale" della rivoluzione deve
trasformarsi rapidamente in economista e in ministro consapevole delle sue
scelte: promuove nel suo ministero un seminario sul "Capitale" di
Carlo Marx e studia i problemi di organizzazione del lavoro e di politica
economica. Le discussioni con i funzionari del ministero dell'industria
diventano una fucina di proposte e di riflessioni di carattere teorico.
Nel 1962 il piano approvato dal ministro dell'Industria prevede il raddoppio -
entro il 1965 - della produzione di elettricità, cemento, acciaio in
collaborazione con gli investimenti e i tecnici specializzati che arrivano dalla
Repubblica democratica tedesca e dalla Polonia. L'obiettivo è
l'industrializzazione a tappe forzate dell'isola: per organizzare la
mobilitazione popolare durante le giornate festive del sabato o fuori dai
consueti orari di lavoro, vengono costituite anche le Brigate del lavoro
volontario. Quelle Brigate - secondo il "Che" - hanno un carattere
pedagogico, oltre che costituire una risorsa in più per raggiungere gli
obiettivi economici che sono stati fissati con la sua supervisione. Lui è il
primo a dare l'esempio, lavorando nei campi e nelle industrie nei giorni
festivi.
Ma la doccia fredda giunge nel 1963. Guevara intuisce che il meccanismo della
centralizzazione non favorisce i piani produttivi di settore. Sferra un duro
attacco ai primi segnali di burocratismo che si stanno insinuando
nell'organizzazione economica e politica della rivoluzione e cerca di modificare
il sistema di pianificazione. I dati economici del 1963 mettono sotto accusa
proprio l'operato del ministero dell'industria: dal 1961 in poi gli investimenti
nel settore industriale erano stati pari a 850 milioni di dollari l'anno, ma con
scarsi risultati; gli investimenti crescevano, mentre la produzione calava.
Sottostima dell'agricoltura tradizionale e della canna da zucchero,
impreparazione dei tecnici cubani a seguire le nuove direttive, mancanza di
quadri amministrativi (gran parte dei funzionari statali avevano abbandonato
Cuba dopo il 1959), riconversione del commercio estero in direzione dei paesi
socialisti contribuiscono a far impazzire il quadro delle compatibilità
economiche.
I sogni economici di Guevara su una rapida industrializzazione del paese sfumano
rapidamente e l'isola inizia ad adottare la "libreta", il rigido
sistema di razionamento individuale dei beni di prima necessità. Si tratta di
uno shock per l'intera popolazione e per chi guida la rivoluzione.
In quel cruciale 1963 si apre una discussione infuocata al vertice del governo.
Vi contribuiscono anche due economisti europei, presenti a L'Avana come
consulenti: Ernest Mandel e Charles Bettelheim. Il primo sostiene le posizioni
di Guevara, il secondo è d'accordo con quanti chiedono una rapida correzione di
rotta (soprattutto Carlos Rafael Rodríguez, dirigente del Partito socialista
popolare e raffinato intellettuale, in quel momento responsabile delle politiche
agricole). La sterzata si verifica il 19 agosto 1963: un documento del governo
stabilisce che l'agricoltura e la canna da zucchero devono tornare il fulcro
dell'economia dell'isola; i processi di industrializzazione dovranno essere
realizzati nel corso dei dieci anni seguenti e a ritmi meno frenetici.
Guevara viene criticato per aver introdotto un sistema eccessivamente rigido di
pianificazione all'interno dell'organizzazione dell'industria di Stato. Si
contrappongono due ipotesi: quella del "Che", favorevole a un
"bilancio unificato" del settore industriale, e quella del
"calcolo economico" adottato in agricoltura dall'Istituto nazionale
per la riforma agraria. Finisce per prevalere la seconda. Schematizzando quel
confronto, le imprese centralizzate che fanno capo alle direttive del ministro
dell'industria ricevono un finanziamento finalizzato non alla redditività ma al
raggiungimento degli obiettivi del piano di settore o della singola attività
produttiva, mentre quelle che non fanno riferimento al ministero dell'industria
godono di un'autonomia contabile e di una personalità giuridica. Guevara è nel
mirino delle critiche per aver favorito la prima soluzione.
Il ministro dell'industria replica agli attacchi negando che in una società in
transizione sia applicabile la "legge del valore" o quella del
"calcolo economico": sostiene che in un'economia che si avvia verso
una forma di organizzazione socialista non ci si può appellare alle leggi del
mercato, perché ogni operazione produttiva, ogni scambio tra un settore statale
e l'altro devono richiamarsi a una politica di piano. Legge del valore e
pianificazione - argomenta Guevara - non possono coesistere. La discussione
cubana di quel periodo ruota intorno all'interpretazione più autentica del
pensiero di Carlo Marx, secondo il quale il valore di scambio di una merce è
determinato dalla quantità di lavoro in esso incorporato: ogni aumento della
quantità di lavoro necessario per la sua produzione deve aumentarne il valore;
viceversa, ogni diminuzione deve a sua volta diminuirne il valore.
Si intuisce come questa querelle teorica e pratica abbia nella fase che sta
vivendo Cuba una grande importanza per una società in transizione. Si tratta di
decidere i parametri di produttività, redditività, valore delle merci,
politica dei prezzi e dei salari.
Il ministero dell'industria, in conseguenza di quell'acceso dibattito che è un
vero e proprio scontro tra due linee politiche e di indirizzo economico, perde
il totale controllo delle attività produttive. Castro cerca di mantenersi
neutrale in quel contrasto che vede Carlos Rafael Rodríguez contrapporsi a
Guevara e alla fine vincere il braccio di ferro sulle scelte economiche. Ma è
ora che si precisa la posizione politica del "Che", che inizia a
individuare nella soggettività individuale e nella "coscienza
rivoluzionaria" una variabile esterna all'economia.
Di qui il dibattito sugli incentivi "materiali" o "morali"
che la rivoluzione deve adottare per far crescere la produzione e la
partecipazione al lavoro. Il ministro dell'industria è convinto che la risorsa
più importante a cui il processo di transizione a Cuba può attingere sia un
coinvolgimento pieno delle individualità nelle scelte politiche ed economiche.
Non nega l'utilitità degli incentivi "materiali" (a più lavoro
devono corrispondere più salario e più possibilità di acquisto di beni),
accusa però chi li idolatra di puntare solo al consumo come fattore di
mobilitazione collettiva. "Lottiamo contro la miseria, ma al tempo stesso
contro l'alienazione. Se il comunismo non si occupa dei fatti di coscienza,
potrà essere un metodo di distribuzione ma non sarà mai una morale
rivoluzionaria", ama ripetere in quel periodo.
Queste posizioni, oltre che rappresentare il livello teorico più alto raggiunto
da Guevara, ripropongono una discussione sui paesi del "socialismo
reale" dell'Est europeo: se ci si limita ad intervenire sulle forme di
distribuzione e di accumulazione economica dice il ministro, saranno inevitabili
involuzione burocratica e inefficienza e si creerà una frattura tra consenso
sociale e gestione del potere politico. L'esperienza del ministro dell'industria
dell'Avana rimette al centro della sua riflessione la critica del lavoro, della
produzione, dell'alienazione individuale e collettiva con una buona dose di
modernità e di anticipo rispetto alla crisi successiva del socialismo made in
Mosca. E' l'"uomo nuovo" quello che interessa a Guevara.
Quella repentina svolta in politica economica che viene adottata da Cuba
costituisce la prima sconfitta politica del "Che". Deve prendere atto
che un paese sottosviluppato non può eliminare i suoi handicap attraverso un
processo forzato di industrializzazione. I rapporti con l'Unione Sovietica e i
suoi satelliti diventano inevitabili per sopravvivere anche al "blocco
economico" che nel 1962 viene decretato in modo unilaterale dal governo di
Washington.
Subisce così una battuta d'arresto la via della possibile indipendenza
economica, primo passo per quella politica, che è stata teorizzata da Guevara.
Il ministro dell'industria replica a questa cocente sconfitta misurandosi a
tutto campo con i problemi dell'economia e negando che solo le leggi economiche
debbano dare il passo della costruzione di una nuova società. Ecco che prendono
quota le sue teorie sulla "coscienza rivoluzionaria" come risorsa
indispensabile per piegare le costrizioni dell'economia, sugli "incentivi
morali" da preferire a quelli materiali per evitare che sia solo la
promessa di maggiori consumi a costituire la leva della mobilitazione
collettiva.
Il "Che" precisa la sua posizione, che poi lo porterà in rotta di
collisione con il modello sovietico: il socialismo non può limitarsi a cambiare
le forme di distribuzione e di accumulazione economica; la politica deve
intervenire laddove l'economia è solo freddo calcolo. Nei seminari che si
svolgono nel suo ministero e che lo vedono protagonista pronuncia due frasi clou
che servono a comprendere il suo pensiero di quel periodo: "Lottiamo contro
la miseria, ma al tempo stesso contro l'alienazione", "Se il comunismo
non si occupa dei fatti di coscienza, potrà essere un metodo di distribuzione
ma non sarà mai una morale rivoluzionaria".
Prende corpo una "teoria sociale" della rivoluzione, che alcuni
studiosi di Guevara hanno definito "umanista": "l'uomo
nuovo", non le leggi dell'economia e del mercato, è al centro delle sue
preoccupazioni nella correzione della malattia economicista che ha minato tutte
le esperienze post-rivoluzionarie. Su impulso del ministro dell'industria si
sviluppano ulteriormente le Brigate di lavoro volontario, che intervengono sul
fabbisogno di abitazioni, sulla costruzione dei servizi sociali, sulla
produzione dei singoli comparti economici.
Attraverso la predilezione della politica sull'economia il "Che" cerca
di ottenere la più vasta adesione sociale ai programmi del suo ministero e a
quelli del governo. Grande assente dal dibattito sull'economia in questa fase è
Fidel Castro. Sulla base dei documenti dell'epoca è difficile formulare
un'ipotesi su quale fosse la soluzione più gradita al "comandante en jefe".
E' probabile che abbia deciso di non scendere in campo con il peso della sua
autorità per non contribuire alla sconfitta del suo amico Guevara. Ma per chi
conosce l'ossessione con cui Castro ha sempre indirizzato tutte le scelte
economiche di Cuba risulta difficile pensare che non avesse una propria idea sul
cammino da intraprendere. Quando - nel corso del 1964 - si decide a L'Avana di
spezzettare il ministero dell'industria in più ministeri (quello dell'industria
dello zucchero, quello dell'industria alimentare) depotenziandone ruolo e
obiettivi, Castro deve quantomeno aver avallato, se non favorito, quella scelta.
Tra il 1963 e il 1964 il "Che", forse consapevole della sconfitta a
cui va incontro nella politica interna, effettua altri importanti viaggi
all'estero: Algeria, Ginevra (Conferenza su Commercio e Sviluppo promossa dalle
Nazioni Unite), Unione Sovietica, New York (Assemblea generale dell'Onu).
Il 12 marzo 1965 Guevara dà forma definitiva alla riflessione maturata nel
fuoco degli eventi e nel ruolo di uomo di governo con il saggio "Il
socialismo e l'uomo a Cuba", pubblicato dal settimanale "Marcha"
di Montevideo mentre l'autore si trova in viaggio tra Africa e Cina. Lì sono
annotate, quasi sotto forma di un testam
ento politico, le cose che non gli
piacciono della nuova Cuba e le possibili correzioni che ritiene indispensabili
per uscire dalle secche.
Si tratta di un testo che segnala i rischi di burocratismo della rivoluzione
cubana e che conferma la sua incrollabile fiducia nelle coscienze individuali e
collettive, oltre che in un'etica rivoluzionaria. Il 14 marzo 1965 appare per
l'ultima volta all'aeroporto dell'Avana di ritorno da Algeri, dove il 24
febbraio - nel corso di un seminario economico internazionale - pronuncia un
discorso sullo "scambio ineguale" che manda su tutte le furie la
delegazione sovietica ("Come si può parlare di 'reciproca utilità',
quando si vendono ai prezzi del mercato mondiale le materie prime che costano
sudore e patimenti senza limiti ai paesi arretrati, e si comprano ai prezzi del
mercato mondiale le macchine prodotte dalle grandi fabbriche automatizzate di
adesso? Se stabiliremo questo tipo di relazione tra i due gruppi di nazioni,
dobbiamo convenire che i paesi socialisti sono, in un certo modo, complici dello
sfruttamento imperialista").
Ad attenderlo all'Aeroporto José Martì ci sono Fidel Castro, Carlos Rafael
Rodríguez e Osvaldo Dorticos, in quel momento presidente della Repubblica di
Cuba, sua moglie Aleida. Secondo alcune testimonianze, Castro e Guevara
trascorrono le successive quarantott'ore in una casa di Cojimar, una località
sul mare diventata famosa perché era stata frequentata a lungo da Ernest
Hemingway nel corso della sua ventennale anche se alterna presenza sull'isola.
Nessuno sa cosa si siano detti. Ma è probabile che in quel colloquio il
"Che" abbia comunicato la decisione di voler lasciare L'Avana, o che
quell'intento si sia rivelato indispensabile per ricucire i rapporti di buona
amicizia con i sovietici che avevano protestato presso il governo cubano per il
discorso svolto da Guevara ad Algeri.
Tutti gli scritti e i discorsi di Guevara che vanno dal 1961 al 1964 danno conto
della violenta contraddizione apertasi a Cuba. Da una parte c'è la Realpolitik
di chi guarda ai modelli sovietici e dell'Est (introdotti proprio dal
"Che", anche se poi ne prenderà le distanze), dall'altra c'è chi
strenuamente cerca di non arrendersi a quella sola alternativa e di far
procedere la rivoluzione cubana con la propria testa e sulle proprie gambe.
E' il caso esemplare di un'esperienza che ci consegna il dramma di tutte le
rivoluzioni moderne, strette tra l'inevitabile trasformazione in potere e la
voglia di non disperdere l'iniziale spinta utopica e di liberazione. Dopo
l'apparizione all'aeroporto, la scomparsa di Guevara da L'Avana scatena una
ridda di ipotesi. E' stato arrestato? E' vittima della prima "purga
staliniana" della giovane rivoluzione? Il 28 settembre 1965, in un discorso
pubblico, Castro accenna alle polemiche: "Parleremo al popolo del compagno
Ernesto Guevara. I nemici hanno messo in giro molte illazioni e molte voci, voci
a volte confuse, a volte tendenti a confondere, a insinuare. Noi presto
leggeremo un documento che spiegherà la sua assenza in questi mesi".
Il 3 ottobre dello stesso anno, nel presentare il comitato centrale del Partito
comunista cubano, che si costituisce solo in quella fase raccogliendo la
confluenza di tutti i movimenti che hanno contribuito alla rivoluzione e che si
erano già riconosciuti in un'unica organizzazione, Castro è obbligato a
tornare sull'argomento: "C'è un vuoto tra noi, di una persona che possiede
come nessun altro tutti i meriti e le virtù necessarie per appartenervi.
Su questo il nemico ha potuto formulare mille congetture, ha cercato di
confondere le acque, di seminare zizzania, dubbi: siccome era necessario
pazientare, abbiamo pazientato. Di modo che gli interpreti, gli specialisti di
questioni cubane, le macchine elettroniche hanno lavorato senza tregua per far
luce su questo mistero. Se Ernesto Guevara era stato vittima di un'epurazione,
se era ammalato, se aveva avuto delle divergenze e cose analoghe.
I nemici calunniano: in un regime comunista, tenebroso, terribile, gli uomini
scompaiono senza lasciar traccia, indizi. Noi replicammo, dicendo che avremmo
parlato a tempo debito perché esistevano dei motivi per aspettare a
farlo".
Castro conclude quel discorso leggendo la lettera con cui il "Che" si
era congedato da Cuba e annunciava il suo impegno rivoluzionario in altre terre
del mondo. A Cuba, dopo la vittoria della rivoluzione, iniziano ad arrivare
gruppi di guerriglieri dagli altri paesi latinoamericani. Quanto è accaduto
sull'isola più grande delle Antille viene ritenuto da molti un esempio da
imitare.
Nicaraguensi e panamensi sono i primi ad addestrarsi nelle campagne cubane,
mentre Fidel Castro fa sapere che avrebbe proibito che dall'Avana partissero
spedizioni guerrigliere. Nelle sue dichiarazioni pubbliche - soprattutto in
risposta alle critiche che gli giungono dagli Stati Uniti - si limita ad
affermare che il nuovo governo cubano ospita molti esiliati politici dei regimi
totalitari del continente come atto di solidarietà.
Anche Guevara, agli inizi del 1959, è su quelle posizioni. "Siamo
esportatori dell'idea di rivoluzione, ma non cerchiamo di essere esportatori di
rivoluzioni. La rivoluzione dev'essere combattuta dal popolo del paese
presieduto dal governo tirannico insieme alla gente che lo subisce. Noi siamo
solo l'esempio", dichiara alla televisione cubana il 18 aprile. Proprio in
quel mese Castro si reca in visita negli Stati Uniti per ammorbidire i toni
della polemica con Washington e rassicurare l'establishment della Casa Bianca
sulle intenzioni della rivoluzione cubana. Il viaggio riesce a raggiungere il
suo obiettivo e il presidente Dwight David Eisenhower tira una respiro di
sollievo.
Nel 1960 - a iniziare dalla riforma agraria - giungono le prime
nazionalizzazioni decise da L'Avana, a cui Washington reagisce con ritorsioni
economiche e rescindendo i contratti di fornitura del petrolio. In rapida
successione vengono nazionalizzate le raffinerie americane Texaco e Esso, la
britannica Shell. Poi, le grandi piantagioni di zucchero.
Nel settembre dello stesso anno Castro stila la Dichiarazione dell'Avana nella
quale si fissa il ruolo di Cuba in America Latina: l'isola si schiera a fianco
degli oppressi e degli sfruttati dal capitalismo e dall'imperialismo. Nel 1961
si avvia la "campagna di alfabetizzazione" che rafforza il consenso
popolare nei confronti della rivoluzione: migliaia di studenti si dirigono in
ogni angolo dell'isola per sconfiggere la piaga dell'analfabetismo.
Il 3 gennaio si interrompono le relazioni tra Stati Uniti e Cuba. La rivoluzione
corre verso la sua scelta socialista. Washington inizia a pensare che la
rivoluzione cubana vada isolata economicamente e politicamente. Il totale
embargo economico viene messo in opera unilateralmente dal governo americano nel
1962.
Il primo episodio di "internazionalismo" che investe Cuba si verifica
il 17 gennaio 1961. Viene assassinato in carcere Patrice Lubumba, primo ministro
del Congo, reo di aver chiesto aiuti militari all'Unione Sovietica per bloccare
la secessione del Katanga. E' deposto dal capo militare Joseph Mobutu. A
L'Avana, quando giunge la notizia della morte di Lubumba, si decide di
proclamare tre giorni di lutto nazionale.
L'isola è tradizionalmente sensibile a quanto accade nel continente nero: i
cubani si sentono afro-latinoamericani per le contaminazioni che la loro cultura
ha subito nel corso dei secoli, dopo l'arrivo degli schiavi provenienti
dall'Africa che servivano alla coltivazione dello zucchero. Intanto gruppi
guerriglieri che inneggiano a Cuba si organizzano in Guatemala, Venezuela e
Perù, mentre gli echi della rivoluzione algerina (Algeri diventa indipendente
dalla Francia nel 1962) si diffondono in altri paesi africani.
Il 17 febbraio 1961 gli Stati Uniti danno l'ok al tentativo (che fallisce ben
presto) di invasione di Playa Girón che ha per protagonisti molti cubani
trasferitisi in Florida. Il via libera viene dal presidente John Fitzgerald
Kennedy, eletto alla Casa Bianca poche settimane prima.
Il 16 aprile, alla vigilia della tentata invasione e per la prima volta, mentre
si svolgono i funerali dei cittadini dell'Avana uccisi nel corso di un raid
aereo statunitense sulla capitale Castro parla della natura socialista della
rivoluzione cubana. "Non accettano che abbiamo fatto una rivoluzione
socialista sotto il loro naso", dice di fronte a una folla assiepata
davanti al cimitero Colón della capitale. La tentata invasione viene sventata:
il comando delle operazioni a Playa Girón è assunto direttamente da Castro,
mentre Guevara va ad assumere la direzione dell'esercito nella zona di Pinar del
Rio.
I prigionieri catturati dai cubani verranno restituiti agli americani in cambio
di un ingente quantitativo di medicinali. La rivoluzione ci tiene alle sue
simbologie: Davide irride al gigante Golia. La rapida sequenza di avvenimenti
serve per riassumere il contesto in cui a L'Avana cresce l'interesse per la
politica estera. Il 9 aprile Guevara pubblica il primo testo in cui abbozza le
sue idee internazionaliste, "Cuba, eccezione storica o avanguardia nella
lotta anticolonialista?". Il ministro dell'industria sostiene in quello
scritto che l'isola dei "barbudos" non è affatto un'eccezione, ma
semplicemente il primo paese latinoamericano a mettere in discussione la
dipendenza economica dagli Stati Uniti.
Il "Che" suggerisce il metodo della "lotta armata contro
l'imperialismo". Ma diventa molto prudente, quando ad agosto interviene a
Punta del Este, in Uruguay, al vertice economico dei paesi dell'Organizzazione
degli Stati americani: "Non possiamo fare a meno di esportare un esempio,
perché l'esempio è qualcosa di spirituale che travalica le frontiere. Diamo
invece la garanzia che non esporteremo la rivoluzione. Diamo la garanzia che da
Cuba non si muoverà un fucile per andare a combattere in qualche altro paese
d'America".
Guevara, nello stesso vertice di Punta del Este, ha un incontro a quattr'occhi
con Richard Goodwin, portavoce personale del presidente Kennedy. Nel corso del
colloquio - che è stato rivelato solo moltissimi anni dopo nella biografia
scritta da Jon Lee Anderson e avvalorato da fonti ufficiali cubane - il ministro
dell'industria, su mandato di Castro, cerca di convincere l'esponente americano
a una sorta di mediazione: Cuba non vuole rinunciare alle caratteristiche della
sua rivoluzione, ma non ha intenzione di entrare in rotta di collisione con gli
Stati Uniti e di esportare fuori dai suoi confini il proprio esperimento
politico.
La proposta è tutto sommato un buon vicinato in cui rispettare le reciproche
convinzioni politiche. Goodwin, il 22 agosto, redige un rapporto indirizzato al
presidente Kennedy: Guevara, a suo dire, avrebbe ringraziato gli americani per
la tentata invasione di Playa Girón, perché aveva permesso il consolidamento
della rivoluzione cubana oltre ogni aspettativa; e avrebbe anche rivelato, in un
colloquio tutto sommato distensivo, le preoccupazioni della leadership cubana
per le difficoltà economiche che si vivevano all'interno dell'isola.
Il diplomatico suggerisce al suo presidente una linea opposta a quella auspicata
dal "Che" e da Castro: è il momento buono per stringere Cuba nel
cerchio dell'embargo economico e dell'isolamento politico. Quell'episodio
dimostra qual è in quel momento la linea di condotta del governo dell'Avana.
Forse Castro e il gruppo dirigente cubano scelgono solo progressivamente
l'alleanza con Mosca per intelligenza tattica e perché non ci sono alternative
per consolidare e istituzionalizzare la rivoluzione, eppure non c'è dubbio sul
fatto che l'intransigenza di Washington finisce per rompere tutti i ponti del
dialogo.
Guevara, dall'Uruguay, volerà nei giorni successivi in Brasile e Argentina per
incontri riservati con gli esponenti dei due governi. In entrambi i casi la sua
sola presenza in quei due paesi provoca la reazione dei militari che spodestano
coloro che hanno deciso di ricevere il ministro dell'industria di Cuba (Janio
Quadros, presidente del Brasile; Arturo Frondizi, presidente dell'Argentina).
La "crisi dei missili" dell'ottobre 1962 imprime un'ulteriore svolta
alla politica cubana. Il 14 ottobre un aereo spia americano fotografa una serie
di basi missilistiche costruite sull'isola dai sovietici per installarvi ordigni
nucleari.
La richiesta è stata avanzata da Castro che teme nuovi tentativi di aggressione
da parte degli Stati Uniti e accettata da Nikita Krusciov (a Mosca, a firmare il
trattato militare, viene inviato Raul Castro). Kennedy, annunciando una manovra
navale intorno all'isola, dà l'ultimatum ai sovietici: quelle operazioni vanno
sospese, pena un conflitto armato. Mosca si piega senza neppure consultare
Castro sulla decisione finale. Momenti di tensione si vivono in tutto il mondo.
Si teme un conflitto dagli esiti imprevedibili tra Usa e Urss.
A iniziare dal 1962, prima dell'esito della "crisi dei missili",
Guevara forma un gruppo che lavora a sostenere i movimenti rivoluzionari
dell'America Latina. A coordinarlo è Manuel Piñeiro Losada, chiamato da tutti
"Barba Roja". Quando Krusciov è costretto dalle minacce militari
americane a bloccare l'installazione dei missili con testata nucleare a Cuba,
quel gruppo intravede la possibilità di mettere in pratica una strategia
autonoma dall'Unione Sovietica.
"Io non posso ammettere - dice Fidel in un discorso a L'Avana, dopo la
conclusione della crisi - che Krusciov abbia accettato di ritirare i missili
senza il minimo accenno a un minimo accordo con il governo cubano. Noi non siamo
un satellite. Krusciov vuole la pace e anche noi la vogliamo.
Ma nessuno ha il diritto di calpestare la nostra sovranità". Per le strade
di Cuba si ascolta uno slogan irriverente per i sovietici che risveglia
l'orgoglio nazionale: "Nikita, mariquita, lo que se da non se quita!"
(Nikita, pederastra, quel che si è dato non si porta via!). Guevara critica la
scelta sovietica, mentre Cuba chiede che gli Stati Uniti - come condizione del
ritiro dei missili sovietici - revochino il blocco economico verso l'isola.
La fase più acuta dei contrasti tra Cuba e Urss viene in parte ricomposta nel
novembre del 1962, quando sull'isola giunge Anastas Mikoyan. La visita ufficiale
dura ben ventiquattro giorni e sarà seguita l'anno successivo da un viaggio di
Fidel a Mosca. Ma quelle tensioni forse hanno un'influenza sulle decisioni
successive di Guevara che può aver trovato il consenso di Castro.
Il contrasto con i sovietici è in quella fase strategico, non solo riferito
alla "crisi dei missili". Fin dalla vittoria della loro rivoluzione i
cubani polemizzano con i partiti comunisti dell'America Latina: a loro dire,
proprio quanto è accaduto a L'Avana con il Movimento 26 luglio dimostra che il
continente può essere percorso da altre rivoluzioni a condizione che i partiti
comunisti appoggino i movimenti di guerriglia e quanti agiscono fuori (e spesso
in contrasto) dalle forze tradizionali della sinistra.
Sotto accusa - seppure in modo un po' celato - è la strategia del dialogo tra i
partiti comunisti che si riconoscono nella politica di Mosca e le borghesie
nazionali dei diversi paesi. Più in generale, è nel mirino la politica di
"coesistenza" pacifica tra Usa e Urss che - senza alternative in
Europa - si dimostra deleteria per i movimenti di liberazione del Terzo Mondo.
Guevara si trova tra il 1962 e il 1965 in una bizzarra situazione. E' stato lui
che ha influenzato molte delle scelte filosovietiche di Cuba e che ha portato a
L'Avana i primi consiglieri economici dell'Est, eppure le sue teorie sullo
sviluppo economico e la pianificazione dell'economia iniziano a essere messe in
minoranza mentre svolge l'incarico di ministro dell'industria.
E' lui il primo che scorge i pericoli di burocratismo insiti nel modello
sovietico importato a Cuba e che tenta di prenderne le distanze. La "crisi
di ottobre" può avergli insinuato il dubbio che anche la politica estera
dei sovietici si rivela una gabbia per l'esperienza rivoluzionaria cubana. Di
qui la scelta di un'altra strategia da sperimentare in altri paesi dell'America
Latina e del Terzo Mondo. Molto probabilmente in quella fase Guevara intuisce
che una chance per Cuba sta nella capacità di estendere la rivoluzione in
America Latina, per evitare che L'Avana passi dalla dipendenza dagli Stati Uniti
a quella dall'Unione Sovietica (sta qui l'accordo con Castro?).
Si spiega così la sua frenetica attività tra il 1962 e il 1965 per coordinare
l'attività dei movimenti guerriglieri nel resto del continente (punta
innanzitutto a preparare un gruppo che possa far scoccare la scintilla in
Argentina e fa capire che potrebbe unirsi ben presto a quei combattenti sul
terreno di battaglia).
Ecco perché può aver trovato l'assenso di Castro quando, nel 1965, gli
comunica la decisione di voler lasciare l'isola per altre cause rivoluzionarie.
Del resto, come vedremo, i contrasti tra L'Avana e Mosca proseguono con alti e
bassi fino a poco dopo la morte di Guevara. Del ristretto gruppo dei
collaboratori del "Che" fa parte anche Tamara Bunke, conosciuta da
Guevara a Berlino nel 1960 nel corso del suo viaggio nei paesi comunisti: gli
faceva da interprete nel corso degli incontri con le autorità della Repubblica
democratica tedesca (Rdt).
La donna è figlia di ebrei comunisti che erano sfuggiti al nazismo trovando
rifugio in Argentina. Aveva fatto ritorno in patria quando era stata fondata la
Rdt. Sei mesi dopo quell'incontro a Berlino, la Bunke va a vivere a Cuba e
lavora nel gruppo di collaboratori del "Che" (è molto probabile che
fosse anche una informatrice della Stasi, i servizi segreti della Repubblica
democratica tedesca). E' lei che viaggiando in alcuni paesi latinoamericani
informa Guevara sulle possibilità di organizzazione di movimenti rivoluzionari.
Il ministro dell'industria deve però stemperare i suoi entusiasmi quando si
reca per la seconda volta a Mosca nel novembre 1964. Vede confermate le
divergenze strategiche con i sovietici: dai colloqui riceve l'impressione che i
dirigenti di quel partito comunista non aiuteranno la strategia rivoluzionaria
per l'America Latina che si sta mettendo a punto a L'Avana. Anzi, a Mosca si
sospetta che il "Che" abbia simpatie per le posizioni dei comunisti
cinesi, che polemizzano con l'Urss proprio sulla strategia della
"coesistenza pacifica" con gli Stati Uniti (in quel momento la
frattura tra Mosca e Pechino è verticale e si riflette sul movimento comunista
internazionale che si divide tra le due opzioni).
Mao Tse Tung, nel pieno della rivoluzione culturale cinese, insiste nel dire che
la guerra con l'imperialismo è la tendenza naturale della storia. A L'Avana, di
rimbalzo, chi non è d'accordo con Guevara lo accusa di essere
"trotzkista" e "maoista".
Alle spalle, intanto, ci sono le sconfitte dei gruppi rivoluzionari in Argentina
e Perù: vengono uccisi molti amici del "Che" e scompare in Argentina
senza lasciare tracce di sé Jorge Ricardo Masetti (si suicida?), un argentino
che aveva contribuito a organizzare a L'Avana l'agenzia di stampa "Prensa
latina" e che stava preparando il terreno nel paese natale con altri
guerriglieri per un possibile arrivo del ministro dell'industria di Cuba.
L'11 dicembre 1964 Guevara si reca a New York per rappresentare Cuba
all'Assemblea generale delle nazioni unite. Nel suo discorso condanna duramente
la politica imperialista degli Stati Uniti e inneggia alle lotte di liberazione
in America Latina, Asia (da alcuni mesi gli americani sono intervenuti
direttamente in Vietnam contro i comunisti di Ho Chi Minh) e Africa.
Nelle sue parole un posto di rilievo lo occupa la vicenda del Congo, dove le
forze progressiste cercano di resistere al colpo di Stato di Mobutu. In quelle
giornate passate a New York Guevara incontra il leader dei neri americani
Malcolm X di ritorno dall'Africa e dal Medio Oriente. I due discutono proprio
della situazione del Congo.
Dagli Stati Uniti il "Che" parte in un viaggio che durerà tre mesi:
Africa, Cina, Parigi, Praga, Irlanda. Sessanta giorni li trascorre
ininterrottamente in Africa e Medio Oriente: Congo, Guinea, Ghana, Algeria,
Egitto, Angola. Per Guevara "l'Africa è uno dei più importanti campi di
battaglia contro tutte le forme di sfruttamento esistenti nel mondo, contro
l'imperialismo, il colonialismo e il neocolonialismo". In quelle settimane
matura la decisione di partecipare in prima persona al conflitto che si sta
svolgendo in Congo. Nel viaggio a Pechino cerca di smussare la diffidenza cinese
nei confronti di Cuba e riscontra l'interesse della Cina per quanto sta
accadendo in Africa.
I primi incontri con i rivoluzionari congolesi sono deludenti. Guevara rimane
ben impressionato solo da Laurent Kabila, un giovane di venticinque anni che ha
il grado di comandante. Con lui si trova politicamente in sintonia nel
considerare il Congo un "problema mondiale": una vittoria delle forze
progressiste avrebbe avuto ripercussioni sull'intero continente africano. In
Congo ormai da tre mesi, non riuscirà a incontrarlo e l'episodio contribuirà
al suo progressivo scoraggiamento. Il 25 febbraio il "Che" svolge il
suo discorso al Secondo seminario economico di solidarietà afroasiatica che gli
vale la definitiva scomunica di Mosca e i rimbrotti di Castro quando fa ritorno
a L'Avana.
Con l'accordo di Castro, Guevara mette a punto la sua partenza per il Congo, nel
quale dovrà guidare un gruppo di guerriglieri cubani che da qualche tempo si
stanno addestrando per questa missione. Quanto accade nei mesi successivi è
annotato scrupolosamente nei diari di Guevara, ma la loro versione integrale non
è mai stata pubblicata. Dalle pagine che sono state rese note si apprende come
il dirigente della rivoluzione cubana rimanga sempre più deluso dalla
situazione congolese e dai movimenti di quel paese che lottano per
l'indipendenza.
La missione si rivela un'amara sconfitta politica e militare, nonostante i
contatti e gli aiuti che vengono da Cuba. Le difficoltà logistiche e militari
prendono il sopravvento, la rivalità tra Cina e Urss finisce per paralizzare i
movimenti guerriglieri fino a rendere del tutto marginale la presenza di Guevara
sul campo di battaglia. Il "Che" si rende conto (lo scrive nei suoi
diari) dell'inutilità di permanere a oltranza in quel paese. A fine novembre
abbandona il Congo. Il 25 di quello stesso mese Joseph Mobutu, capo delle forze
armate, si insedia al potere stroncando ogni ipotesi rivoluzionaria. Il suo
regime crolla solo nella primavera del 1997.
Prima di partire per l'Africa il "Che" scrive alcune lettere che hanno
il sapore dell'addio: una è per Castro, una è per i genitori, una è per i
figli. Ad Aleida lascia un nastro registrato in cui recita alcune poesie d'amore
di Pablo Neruda. Il 15 aprile, mentre è già in viaggio per l'Africa, la
rivista delle forze armate "Verde olivo" pubblica un saggio di Guevara
dal titolo "Il socialismo e l'uomo a Cuba", nel quale sono fissate le
idee di politica interna e di politica estera del ministro dell'industria che
sta per abbandonare tutti i suoi incarichi dirigenti a L'Avana.
L'assenza del "Che" a Cuba scatena una ridda di voci e di
preoccupazioni. Il 20 aprile Castro si limita a commentare che Guevara sta bene
e si trova "dove è più utile alla rivoluzione". In molti pensano che
possa essere stato arrestato e rinchiuso in un carcere a causa delle sue
posizioni politiche, che probabilmente divergono da quelle di Castro e del
gruppo dirigente cubano.
Anche la madre Celia è preoccupatissima per la sorte del figlio, mentre le sue
condizioni di salute si aggravano: gli scrive chiedendo di incontrarlo. Muore
senza che venga esaudito il suo ultimo desiderio (il padre, Guevara Lynch,
morirà a L'Avana molti anni dopo, nel 1987). Solo nell'ottobre del 1965 Fidel
rende pubblica la lettera con cui Guevara gli ha comunicato la decisione di
lasciare l'isola.
Dopo la sconfitta in Congo, il "Che" si rende conto che non può
tornare a occupare i suoi ruoli di responsabilità a L'Avana. La notizia di
lasciare per sempre l'isola è stata resa ufficiale e lui medita una nuova
destinazione di lotta in un paese dell'America Latina. Del suo destino si occupa
la rete dei servizi cubani alle dipendenze di "Barba Roja" Piñeiro,
che lo assiste in un rifugio provvisorio in Tanzania dove viene raggiunto nel
gennaio 1966 dalla moglie Aleida.
In quei mesi Guevara inizia a scrivere un libro sulla sua esperienza in Congo e
riprende il progetto di stendere in forma compiuta i suoi appunti filosofici e
economici. Da L'Avana arriva la decisione che il "Che" deve recarsi a
Praga, considerato un rifugio molto più sicuro della Tanzania. In quelle
settimane Fidel Castro insiste per riaverlo a Cuba, anche se la politica della
rivoluzione ha nuovamente smussato le incomprensioni con l'Unione Sovietica
mentre la presenza dell'ex ministro dell'industria avrebbe potuto riaccenderle.
Guevara accetta, a condizione che il suo ritorno rimanga del tutto segreto. La
richiesta viene esaudita. Nel maggio 1965 e nel gennaio 1966 (in quel periodo si
svolge la Prima conferenza tricontinentale dei movimenti di liberazione di Asia,
Africa e America Latina) Castro rilancia le sue critiche nei confronti della
"coesistenza pacifica" praticata da Usa e Urss. Con un pizzico di
polemica, il 1966 viene dichiarato a Cuba "anno della solidarietà":
la rivoluzione si impegna a sostenere tutte le cause dei popoli oppressi.
Fidel sfrutta sapientemente anche le divergenze tra Mosca e Pechino per lanciare
l'idea di un terzo polo del movimento comunista internazionale: L'Avana, secondo
le sue intenzioni, può diventare il punto di riferimento dei popoli del Terzo
Mondo. Queste mosse di Castro sono tattiche, o sui suoi proclami pesa il
riavvicinamento con il "Che"?
Guevara, che è rientrato a Cuba in incognito, cerca di mettere a punto una
spedizione rivoluzionaria in America Latina. La scelta si concentra sulla
Bolivia, dove i militari hanno deposto il presidente Victor Paz Estenssoro. Per
quella soluzione opera direttamente Castro, che la ritiene la più opportuna per
dare il via a un "foco" guerrigliero che potrebbe estendersi fino ad
Argentina, Venezuela e Colombia: per questo incontra ripetutamente Mario Monje,
segretario del Partito comunista boliviano, che si dimostra però scettico sulla
possibilità che Guevara vada con i suoi guerriglieri in Bolivia.
L'idea che si fa strada nel "Che" è quella di "creare due, tre,
molti Vietnam". Il suo quartier generale per i preparativi del
trasferimento in Bolivia diventa la zona di Pinar del Rio, la punta occidentale
dell'isola. Con lui ci sono alcuni uomini che lo hanno accompagnato sulla Sierra
Maestra negli anni della guerriglia cubana e seguito perfino in Congo: Harry
Villegas (da tutti chiamato "Pombo"), Carlos Coello, José Maria
Tamajo, Octavio de la Concepción, Israel Reyes Zayas.
Si aggiungono al gruppo i boliviani Coco e Inti Peredo (che hanno abbandonato in
dissenso il partito comunista del paese d'origine), Vesquez Viana. Tamara Bunke
sta già operando in incognito dai primi mesi del 1966 a La Paz, dove è
riuscita a ottenere un lavoro e la cittadinanza grazie a un matrimonio di
convenienza. La raggiunge molto presto Tamajo, che ha il compito di preparare le
condizioni logistiche per l'insediamento dei guerriglieri.
Nel Partito comunista boliviano la prospettiva dell'arrivo dei combattenti
cubani acutizza le divisioni tra filocinesi e filosovietici: sono i primi i più
convinti della necessità di appoggiare la guerriglia, anche se il
"Che" rifiuta di schierarsi con gli uni o con gli altri. Dei contatti
con i comunisti boliviani si occupa in una seconda fase Regis Debray, giovane
intellettuale francese entrato nelle grazie di Castro e soprattutto del
"Che".
La zona prescelta da Guevara in Bolivia è in un primo momento l'Alto Beni, dove
- secondo le informazioni che ha ricevuto - potrebbe contare sull'aiuto dei
contadini e su una vegetazione che avrebbe favorito i movimenti clandestini dei
suoi uomini. Poi, su consiglio di Monje, sceglie la zona di Nacahuasu.
I rapporti tra l'ex ministro dell'industria di Cuba e i comunisti boliviani si
deteriorano già nel settembre del 1966, mentre sono allo studio i preparativi
della missione: non c'è convinzione rispetto all'avvio dell'insurrezione e il
partito vuole controllare ogni mossa di quello che può accadere sul campo di
battaglia. Guevara reagisce cercando di ottenere l'appoggio sia di Mosca che di
Pechino (tenta di convincere Monje a recarsi in Unione Sovietica; invia una
lettera personale a Chu En Lai, il prestigioso ministro degli esteri cinese che
ha conosciuto nel suo viaggio a Pechino).
Il "Che" giunge a La Paz il 3 novembre 1966, dopo un viaggio
lunghissimo: Parigi, Mosca, Praga, Madrid, San Paolo. Sul suo passaporto reca il
nome di un cittadino uruguaiano: Adolfo Mena González che avrebbe il compito
ufficiale di stendere un rapporto sulla situazione socio-economica della Bolivia
su richiesta dell'Organizzazione degli Stati americani. Prima di partire è
andato a salutare i figli (Aleidita, Camilo, Celia e Ernesto avuti da Aleida
March e Hildita avuta da Hilda Gadea) fingendosi Ramón, un amico di loro padre
(il trucco lo ha invecchiato e gli ha prodotto una incipiente calvizie).
Nelle settimane precedenti - presentato da Castro ad altri dirigenti in
occasione di un ristretto ricevimento - è riuscito a non farsi riconoscere
neppure dagli amici più stretti. Le ultime ore a L'Avana le ha passate con sua
moglie Aleida e con Castro.
Quando Guevara incontra Monje in Bolivia, il 31 dicembre 1966, il dissidio si
rivela non ricomponibile: il segretario dei comunisti boliviani chiede la
direzione politica dell'attività guerrigliera, proponendo una miscela tra
iniziative legali e illegali.
In pratica vuole il controllo politico delle azioni del gruppo al comando del
"Che": una richiesta inaccettabile. Questa frattura costituisce un
primo handicap per la guerriglia: ne accentua l'isolamento e le impedisce di
lavorare alla più ampia unità del fronte della sinistra boliviana. Il gruppo
di guerriglieri resta composto da sedici cubani, trenta boliviani, due argentini
e tre peruviani.
Castro scrive a Guevara: "Si è completata l'équipe cubana con successo;
il morale della gente è buono e ci sono solo piccoli problemi. I boliviani
vanno bene, anche se sono pochi. L'attitudine di Monje può da un lato ritardare
lo sviluppo dell'azione, ma contribuire dall'altro a liberarmi da eccessivi
compromessi politici".
Tutte le fasi di ciò che accade in Bolivia - dal 7 novembre 1966 al 7 ottobre
1967 - sono raccolte scrupolosamente nel "Diario" di Guevara. Il primo
scontro con l'esercito si svolge il 23 marzo 1967, a nord di Camiri, nella zona
di Nancahuazu: il conflitto a fuoco è casuale, una pattuglia di militari viene
chiamata sul luogo a causa di alcuni movimenti sospetti.
I piani del "Che" non prevedono che le autorità boliviane vengano a
conoscenza così presto delle sue mosse: avrebbe voluto preparare le condizioni
dello scontro per altri nove mesi.
Come mai si verifica quell'incidente? Errori logistici di sicuro, ma è anche
probabile che nel gruppo vicino ai guerriglieri ci sia qualche delatore. Ormai
il governo di La Paz è a conoscenza che un gruppo gerrigliero è presente sul
suo territorio: non sa che è agli ordini di Guevara. La prima misura che si
adotta nella capitale boliviana è quella di mettere fuori legge il Partito
comunista (il provvedimento è datato 11 aprile). Guevara, amaramente, annota
nel suo diario che "la base contadina non si sviluppa" e che "le
malattie hanno minato la salute di alcuni compagni".
Il gruppo guerrigliero - a cui si sono uniti nel frattempo Regis Debray, il
pittore argentino Roberto Bustos, il fotografo cileno George Roth - cerca di
raggiungere una zona più sicura. Ma a Muyupampa, il 20 aprile, vengono
arrestati Debray e Bustos. Quest'ultimo - dopo alcune settimane di carcere -
rivela i piani della guerriglia e disegna gli identikit dei suoi protagonisti.
Anche Debray, sotto tortura, finisce per parlare ("Debray ha parlato più
del necessario", scrive il "Che" nel riepilogo del suo
"Diario" nel mese di aprile).
Altri scontri con l'esercito si verificano a maggio. Guevara prende nota che non
ci sono contatti con La Paz e che il reclutamento dei contadini non fa un passo
in avanti. Nella capitale il governo decide di decretare lo stato d'assedio e di
arrestare molti esponenti della sinistra. I consiglieri statunitensi -
prontamente giunti in Bolivia - iniziano l'addestramento di reparti speciali
anti-guerriglia.
Il successo più importante per gli uomini di Guevara si verifica il 7 luglio,
quando occupano la città di Samijpata, che taglia in due la Bolivia lungo la
strada che unisce Cochabamba a Santa Cruz.
La controffensiva dell'esercito non si fa attendere e la zona viene
riconquistata. Da quel momento in poi isolamento e scoramento vincono sulle
possibilità di organizzare l'insurrezione. Il gruppo si è intanto diviso in
due. Quello di cui fa parte Tania Bunke viene individuato e sterminato il 31
agosto a Vado del Yeso.
Guevara ne ha notizia dalla radio boliviana, ma spera in una montatura e nel
possibile ricongiungimento. Nel "Diario" vengono intanto appuntati i
sintomi della disgregazione del manipolo guerrigliero che inizia a vagare sulle
montagne boliviane senza un piano preciso.
Le comunicazioni con L'Avana sono difficili. Il "Che" riceve dei
messaggi in codice ascoltando le trasmissioni di "Radio Avana" con la
sua radio da campo. Castro, quando ha potuto comunicare con lui, lo ha sempre
rassicurato sulla rete di rapporti politici che si sta tessendo a Cuba per non
lasciarlo isolato.
Resta il fatto che il quartier generale cubano non fa granché per tirare fuori
Guevara dal labirinto boliviano: non si organizza una spedizione ad hoc, mentre
dalla Bolivia giungono notizie sempre più preoccupanti sulla sorte di quel
manipolo di guerriglieri. Non manca certo la solidarietà politica, è però
assente quella militare e logistica.
Il 10 agosto 1967 - a riprova che Cuba sostiene il tentativo di Guevara - Castro
conclude a L'Avana, presso il cinema Chaplin, la prima conferenza
dell'Organizzazione di solidarietà latinoamericana: il suo discorso è di pieno
appoggio alle guerriglie del continente e di critica rispetto alle prudenze
dell'Unione Sovietica.
Il "Che" ha indirizzato a quella conferenza un messaggio - attraverso
le pagine della rivista "Tricontinental" nel suo numero di aprile - in
cui ripropone la sua idea di creare "due, tre, molti Vietnam". Quella
conferenza non piace ai movimenti rivoluzionari che si riconoscono nelle
posizioni dell'Unione Sovietica. Ed è probabile che il Kgb, il servizio segreto
sovietico, abbia concorso dopo quest'episodio ad accrescere l'isolamento del
"Che" in Bolivia (Tania Bunke aveva il compito di sorvegliare le sue
mosse e di tenere informato il Cremlino?).
Il 7 ottobre, nell'ultima pagina del "Diario", Guevara scrive:
"Si compiono undici mesi dall'inaugurazione della guerriglia. Giornata
senza complicazioni, bucolica... ci rendiamo conto che siamo a circa una lega da
Higuera". E' un appunto che si rivela del tutto inconsapevole di quello che
sta per accadere.
Una vecchia contadina ha scoperto accidentalmente i guerriglieri, che cercano di
comprare il suo silenzio con cinquanta pesos. "Ma ci sono poche speranze
che mantenga il silenzio", si legge nel "Diario". Il giorno dopo,
presso la Quebrada del Yuro, i diciassette uomini superstiti dell'iniziale
gruppo di guerriglieri che ha iniziato l'avventura boliviana con il
"Che" vengono sorpresi da cinque battaglioni di ranger.
Sei muoiono nello scontro, otto riescono a fuggire, tre sono fatti prigionieri.
Tra loro, ferito, c'è lo stesso Guevara, che rivela la sua identità e viene
trasportato nel villaggio di La Higuera, distante otto chilometri. I prigionieri
vengono rinchiusi in una scuola.
Il "Che" è ripetutamente interrogato. Si rifiuta di rispondere alle
domande. I militari sono al comando di Andrés Selich e di Miguel Ayaroa. Il 9
ottobre giunge sul luogo il cubano Felix Ismael Rodríguez Mendigutia, che è
entrato a far parte della Cia e tenta inutilmente di far parlare il prigioniero.
In mattinata, da La Paz giunge l'ordine di ammazzare Guevara: a prendere la
decisione hanno provveduto il presidente boliviano Barrientos e i funzionari dei
servizi segreti americani che sono in perenne collegamento con Washington.
A sparare i colpi mortali ci pensa il militare Mario Teran (gli assassini di
Guevara moriranno tutti in circostanze misteriose negli anni successivi). Si
chiudono in questo modo trentanove anni vissuti intensamente.
Il cadavere - trasportato fin lì con un elicottero - viene esposto all'ospedale
Signore di Malta su un tavolaccio a fotografi, tv e giornalisti. Il
"Che" ha gli occhi aperti, la divisa sbottonata. Il suo corpo viene
sepolto di nascosto in un angolo della località di Vallegrande, a
duecentoquaranta chilometri a est di Santa Cruz (nel 1996 il governo boliviano
ha autorizzato le ricerche in prossimità di un aeroporto per ritrovarne i
resti).
Le mani vengono tagliate e fatte arrivare a Cuba, affinché L'Avana prenda atto
che Guevara è davvero morto. Il 15 ottobre, in un discorso televisivo, Castro
conferma a tutto il mondo la morte del "Che". Il 18 ottobre, nella
Piazza della rivoluzione, si svolge la "veglia funebre" in memoria di
quello che viene ribattezzato "il guerrigliero eroico". Vi partecipa
una folla immensa e commossa.
Cosa accadde ai superstiti? La versione più attendibile è quella di Harry
Villegas, alias Pombo, che è stato accanto a Guevara dal 1957 al 1967. Del
gruppo guerrigliero si salvano tre cubani: lui, Dariel Alarcon (Benigno),
Leonardo Tamayo (Urbano). Ci riescono perché proprio il "Che" li
aveva convinti per motivi strategici a separarsi dal suo gruppo. La notizia
dell'arresto del loro leader l'apprendono dalla radio.
E' un dettaglio a confermare l'accaduto ("Parlavano delle calzature, di due
paia di calzini: il "Che" ne usava sempre due paia, perché aveva la
pelle molto sensibile e così la proteggeva"). Amarezza e sorpresa lasciano
subito il posto al lucido tentativo di sottrarsi all'esercito boliviano e agli
agenti della Cia. Scontri a fuoco con i militari, clandestinità, altri compagni
ammazzati costellano la rottura dell'accerchiamento.
Solo nel gennaio del 1968 i superstiti (aiutati da ciò che resta della rete
guerrigliera e da qualche componente del Partito comunista boliviano) riescono a
giungere a La Paz da Cochabamba a bordo di un camion di fortuna. Da lì parte la
loro marcia forzata verso il confine con il Cile, dove giungono il 15 febbraio.
Falliti i contatti con Perù e Ecuador per un rapido rimpatrio, i tre devono
iniziare un vero e proprio giro del mondo per tornare a Cuba. Prima l'Isola di
Pasqua, poi Tahiti, Numea (isoletta del Pacifico), Sri Lanka, Addis Abeba,
Parigi, Mosca e finalmente L'Avana, dove il 6 marzo trovano Fidel Castro ad
aspettarli all'aeroporto.
Anche le pagine del "Diario" di Guevara arrivano a Cuba in modo
rocambolesco, grazie soprattutto a Salvador Allende, leader socialista cileno
(è lui ad accogliere i tre cubani superstiti in Cile e ad avviarli verso
Tahiti). Una prima versione viene pubblicata sulla rivista cilena "Punto
Final" alla fine di gennaio 1968. I microfilm del "Diario"
giungono a L'Avana nel mese di marzo.
Il primo luglio esce nelle librerie cubane la prima edizione stampata del
"Diario" con un'introduzione di Castro (mancano solo poche pagine che
saranno reintegrate molti anni dopo). Quel libro diventa un bestseller in tutto
il mondo.
Il 28 gennaio 1968 c'è un episodio che è una specie di ondalunga del dissidio
che ha contrapposto per qualche tempo Cuba all'Unione Sovietica. Il comitato
centrale del Partito comunista cubano espelle Aníbal Escalante e altri nove
dirigenti dell'ex Partito socialista popolare (il vecchio partito comunista
pre-rivoluzione) con l'accusa di aver organizzato una "microfrazione"
legata alle direttive di Mosca.
Nella polemica viene coinvolto anche lo staff dell'ambasciata sovietica a
L'Avana. La rottura tra Cuba e Urss è totale e i "barbudos" sembrano
ricercare l'originalità dei primi anni della rivoluzione che hanno via via
perduto. Ma ad agosto, mentre i carri armati di Mosca hanno invaso Praga, giunge
inaspettata un'ulteriore correzione di rotta.
Castro, in un solenne discorso, difende quella scelta dell'Unione Sovietica
piegandola alle esigenze di Cuba: "Noi accettiamo l'amara necessità che ha
reso inevitabile l'impiego della forza in Cecoslovacchia, ma abbiamo il diritto
di esigere che si prenda una posizione coerente in tutte le altre questioni che
riguardano il movimento rivoluzionario nel mondo". Fidel teme di restare
solo sulla scacchiere internazionale e in balia degli Stati Uniti? La morte di
Guevara chiude il ciclo delle speranze di estendere la rivoluzione in America
Latina e di costituire un terzo polo (rivoluzionario e non allineato alle grandi
potenze) nello scenario mondiale. Quel discorso di Castro segna un passaggio di
fase.
Nonostante negli ultimi anni si sia riacceso un interesse per la ricerca
storiografica intorno a Guevara e sia ripartito un dibattito intorno a un
personaggio che somiglia a un puzzle (i suoi scritti sono disponibili in nuove
edizioni), non è possibile ritenere esaurite le fonti che possono aiutare un
giudizio e un'interpretazione definitivi. Nei cassetti dei servizi segreti di
Mosca, Washington e L'Avana sono ancora rinchiusi troppi documenti che
riguardano il "Che" e i suoi disperati tentativi rivoluzionari in
Congo e Bolivia.
Non è stata ricostruita nei dettagli la sua esperienza di ministro e di uomo di
Stato a Cuba. Sui suoi rapporti con Castro sono state avanzate delle ipotesi non
suffragate da documenti e testimonianze (o pieno accordo o totale conflitto
sull'evoluzione della rivoluzione cubana).
Non sono stati pubblicati integralmente neppure tutti i suoi scritti: sul diario
del Congo, sugli appunti filosofici e economici grava ancora il veto del
Consiglio di Stato cubano, mentre su qualche scritto giovanile vegliano la
moglie Aleida e i suoi figli che vivono a L'Avana. Il boom editoriale che
circonda il personaggio non ha esaurito affatto l'indagine e il confronto sulle
interpretazioni possibili e su alcuni passaggi della sua biografia umana e
intellettuale.
E poi la rivoluzione cubana e Fidel Castro non hanno abdicato: stanno cercando
in questi anni Novanta nuove vie per convivere con un mondo del tutto cambiato
rispetto al 1959 e ai tre decenni successivi. Il "Che" fa parte della
storia, ma su di lui, Cuba e Castro si fa fatica a far prevalere il distacco
storico. Sta qui - nella ricerca che continua - una delle attualità di questo
argentino inafferrabile che il caso ha portato a Cuba e poi a girare per i
diversi continenti come messaggero e diplomatico del Terzo Mondo, nel tentativo
di rendere più giusto un pianeta diseguale in anni irripetibili per ansie e
propositi di liberazione.
L'America Latina e l'Africa contemporanee, nelle loro drammatiche
contraddizioni, non sono molto distanti da quelle del decennio Sessanta. Se c'è
una lezione da trarre dalla vita di Guevara, forse consiste nella sua capacità
di mettersi in discussione continuamente, senza adagiarsi in presunte certezze e
nel richiamo finanche ossessivo alla situazione di degrado del Terzo Mondo.
La sua voglia di conoscere e di fare non si è mai fermata. La sua coerenza
morale e etica ha spesso sfiorato la testardaggine, ma è stata una bussola
inossidabile di riferimento. I giovanissimi che in tutto il mondo indossano le
magliette con il suo volto stampato non sanno granché dei suoi trentanove anni
di vita. Intuiscono semplicemente la forza di un simbolo ribelle in cui
riconoscersi. Di simboli, miti e totem è cosparsa anche l'era di Internet, fax
e satelliti. Non sempre si tratta di cattivi maestri.
Gli anni trascorsi dalla famiglia Guevara a Alta Gracia sono ricostruiti nel
libro di Stefano Sieni "L'altra faccia del Che. Il mito "bambino"
(Casa editrice Le Lettere, 1996 Firenze). Il periodo va dal 1932 al 1943.
L'autore ha incontrato gli amici d'infanzia del "Che" che hanno
seguito come un'eco lontana le sue gesta prima di guerrigliero, poi di ministro
e uomo di Stato e poi ancora di guerrigliero in Congo e Bolivia.
Dalle parole dei compagni di giochi e di scuola viene fuori il ritratto di un
ragazzino malato e testardo, allevato in una casa piena di libri e di
visitatori, generoso e allegro, con un particolare attaccamento per la madre. In
questo libro si possono leggere alcuni episodi inediti sulla vita di Ernesto
Guevara.
La Guerra civile spagnola si svolge dal 1936 al 1939. Il 18 luglio 1936 scoppia
una rivolta militare contro il governo del Fronte popolare di Largo Caballero. A
guidarla è il generale Francisco Franco che per combattere la sinistra fa
affidamento sui settori monarchici e cattolici, ma soprattutto sulla Falange
fascista fondata nel 1933 da José Antonio Primo de Rivera.
I rivoltosi sono appoggiati sul piano militare da Germania, Italia e Portogallo.
Il governo repubblicano ottiene l'aiuto della Francia e dell'Unione Sovietica,
mentre giungono in Spagna "brigate internazionali" formate da
militanti comunisti, socialisti e anarchici (60.000 uomini).
Franco conquista Madrid nel 1939. Il suo governo viene riconosciuto da Francia,
Inghilterra e Stati Uniti. Il bilancio della Guerra civile spagnola è di un
milione di morti.
Alberto Granado è nato a Cordoba, Argentina, nel 1922. Dal 1961 vive a L'Avana
dove lavora come biologo in un centro di ricerche sui problemi dell'agricoltura.
A volerlo a Cuba è stato proprio Ernesto Guevara che chiese a tutti i suoi
migliori amici di dividere con lui l'avventura rivoluzionaria. A cementare
l'amicizia tra i due ci aveva pensato il viaggio in moto per l'America Latina
iniziato alla fine del 1951. Granado ha raccolto i suoi ricordi di allora nel
libro di memorie "Con el Che por Sudamerica".
"L'ultima volta che ho visto il 'Che' - racconta - è stato a Santiago di
Cuba nel 1965. Stavo tenendo una lezione all'università e lo vidi entrare
nell'aula con la sua nuova moglie, Aleida March. Gli chiesi il motivo della sua
visita, ma rispose solo con un cenno. Lo invitai a mangiare in una pizzeria che
si chiamava Fontana di Trevi. Parlammo con la solita amicizia di sempre. Infine
mi salutò dicendo che aveva lasciato due libri per me a L'Avana. Non sapevo che
si trattava di un addio".
Il colonnello Juan Domingo Perón (nato a Lobos nel 1895) giunge al potere nel
1946: viene eletto presidente della Repubblica e comincia ad applicare su larga
scala una politica nazionalistica. Le sue riforme demagogiche gli assicurano un
largo sostegno popolare, ma provocano inflazione e contrasti con la Chiesa a
causa della decisione di rendere legali i matrimoni civili.
Nel 1945 sposa Eva Duarte, annunciatrice radiofonica, che diventerà famosissima
al suo fianco (muore il 26 luglio 1952). Nel 1947 Perón pronuncia la
"Dichiarazione d'indipendenza economica" che presuppone la fine del
predominio statunitense sullo sviluppo del paese. Nel 1951 la sua politica è
travolta dalla crisi: l'Europa, dopo la Seconda guerra mondiale, è in ripresa e
riduce sensibilmente la domanda di prodotti alimentari agricoli. Perón riesce
ugualmente a farsi confermare alla presidenza.
Nel 1955 un golpe militare rovescia la sua leadership: una parte dell'esercito
è con lui, gli operai organizzati dai sindacati sono pronti a battersi e
chiedono le armi, ma il presidente preferisce scegliere l'esilio. Il 12 ottobre
1973 viene rieletto presidente per la terza volta. Alla vicepresidenza è
chiamata la moglie di allora, Isabel Martinez. Anche questa volta critica
"gli imperialismi americano e sovietico", proponendo un'alleanza tra i
paesi sottosviluppati.
Muore l'1 luglio 1974. E' il personaggio di questo secolo che ha maggiormente
influito sulla politica e la società argentina: per trent'anni la vita di quel
paese ha ruotato intorno alle sue idee e alle sue iniziative che rappresentano
una forma ambigua di nazionalismo tipicamente latinoamericano.
Pablo Neruda, nato in Cile nel 1904, è
considerato il più grande poeta latinoamericano di questo secolo. Tra le sue
opere ricordiamo "Venti poemi d'amore e una canzone disperata",
"Canto generale", "Cento sonetti d'amore". Il poeta, nei cui
versi l'amore occupa sempre un posto centrale, ricevette il premio Nobel per la
letteratura nel 1972. E' morto nel 1973, poco dopo il colpo di Stato militare
che nel settembre di quell'anno destituì con la forza il presidente socialista
Salvador Allende. La sua sensibilità non ha retto di fronte alla dittatura che
si stava impadronendo del Cile. Aveva sempre preso posizione a favore delle
cause progressiste dei movimenti dell'America Latina.
Josè Carlos Mariategui nasce a Moquegua, Perù, nel 1894 e muore a Lima nel
1930. Nonostante la sua breve vita, viene considerato il teorico marxista più
importante che abbia avuto l'America Latina. I suoi biografi ne sottolineano la
capacità critica e non dogmatica. Giornalista, ideatore di riviste ("Nuestra
Epoca", "La Razón", "Amauta") e di una casa editrice
(Minerva), fondatore del Partito socialista peruviano e della Confederazione
generale dei lavoratori del Perù, narratore e autore di opere teatrali,
Mariategui è stato un lucido interprete della realtà politica e culturale del
suo tempo.
Nel 1919 inizia un viaggio in Europa che lo porta in Francia, Spagna e Italia.
Proprio in Italia diventa amico di Antonio Gramsci e partecipa nel 1921 alla
fondazione del Partito comunista d'Italia a Livorno. Nei suoi articoli sulla
situazione italiana descrive il fascismo che sta per prendere il potere.
Tra le sue opere tradotte in italiano: "Lettere dall'Italia e altri
scritti" (Editori Riuniti, 1973), "Il romanzo e la vita" (Marietti,
1990), "Difesa del marxismo" (Fahrenheit, 1996).
Il governo di sinistra guidato da Jacobo Arbenz in Guatemala dura dal 1949 al
1954. Arbenz avvia una politica economica progressista e espropria la United
States Fruit Company, ma viene rovesciato da un colpo di Stato con l'appoggio
degli Stati Uniti. Il colonnello Castillo Armas, il suo successore, viene
assassinato nel 1957. Nel corso dell'esperimento progressista in Guatemala dei
primi anni Cinquanta erano giunti in quel paese molti militanti della sinistra
latinoamericana.
Hilda Gadea, prima moglie di Ernesto Guevara, ha raccolto le sue memorie nel
libro "I miei anni con il Che" (Erre emme, 1995). Nata in Perù,
laureatasi all'Università di Lima, è costretta all'esilio in Guatemala per
aver aderito alla corrente di sinistra dell'Apra (un partito schierato su
posizioni progressiste e di opposizione). "Non esisti più fisicamente,
Ernesto 'Che' Guevara, ma rimane il tuo esempio, la tua opera, i princìpi per i
quali sei caduto. Sarai sempre presente nelle nostre lotte", ha scritto in
una delle sue note del febbraio 1968.
John Fitzgerald Kennedy nasce il 29 maggio 1917 a Brooklyn, Massachusetts. Nel
1937 viene nominato ambasciatore a Londra. Dal 1940 al 1945 partecipa alla
Seconda guerra mondiale come volontario in Marina. Nel 1946 viene eletto
rappresentante del Partito democratico alla Camera dei deputati per l'XI
distretto del Massachusetts. Nel 1952 viene eletto senatore per il distretto di
Boston. Negli anni successivi svolge un'attiva opposizione contro le politiche
conservatrici del Partito repubblicano del presidente Eisenhower.
Nel 1960 vince le elezioni presidenziali sull'onda di una politica rinnovatrice
e antirazzista a favore dei diritti civili per i cittadini dalla pelle nera. La
sua presidenza elabora la teoria della "nuova frontiera" : il rilancio
dell'egemonia di Washington sul mondo, seppure caratterizzata da valori
progressisti. Ma sarà proprio lui a intestardirsi nella politica contro Cuba e
Vietnam. Kennedy viene ucciso a Dallas il 23 novembre 1964 a bordo della sua
auto presidenziale mentre sta percorrendo le vie della città nel corso di una
visita ufficiale. Sugli esecutori e i mandanti di quell'assassinio resta un
alone di fitto mistero.
Nikita Krusciov nasce il 17 aprile 1894 a Kalinovka. Nel 1918 aderisce al
Partito comunista sovietico (Pcus). Nel 1932 è nominato segretario
dell'organizzazione del partito a Mosca. Sette anni dopo entra a far parte del
Politburo, organo supremo del Pcus. Tra il 1941 e il 1943 partecipa alla Seconda
guerra mondiale sul fronte di Stalingrado e di Voronej. Nel 1953, quindici
giorni dopo la morte di Stalin, diventa primo segretario del Pcus.
Il 25 febbraio 1956 legge il "rapporto segreto" al XX Congresso del
Partito comunista in cui denuncia i guasti politici e repressivi provocati dallo
stalinismo. Nel novembre dello stesso anno decide di inviare le truppe del Patto
di Varsavia in Ungheria per reprimere la rivolta contro il governo comunista di
quel paese. La sua gestione dell'Unione Sovietica è improntata all'idea di una
possibile riforma del socialismo e a quella del superamento del gap economico
che divideva Mosca dagli Stati Uniti e dagli altri paesi capitalistici.
Il 15 ottobre 1964 l'agenzia di stampa "Tass" annuncia che Krusciov ha
dato le dimissioni "per ragioni di salute" e che è sostituito da
Leonid Breznev alla segreteria del partito. Muore a Mosca, totalmente isolato,
nel 1971.
Willy Brandt, leader storico dei socialdemocratici della Germania Ovest, nasce
il 18 dicembre 1913 a Lubecca. E' stato colui che con più tenacia ha perseguito
l'obiettivo del dialogo tra Ovest e Est (la cosiddetta "Ostpolitik")
negli anni caratterizzati dalla "guerra fredda" che dominava la scena
mondiale del secondo dopoguerra. Brandt ha ricoperto il ruolo di presidente
della Spd (il partito socialdemocratico) a partire dal 1964 fino al marzo 1987 e
quello di Cancelliere dal 21 ottobre 1969 fino al 1974. Dal 1957 al 1964 ha
rivestito la carica di borgomastro a Berlino. Nel 1971 gli è stato assegnato il
premio Nobel per la pace. Muore nel 1992, dopo che si è realizzato il sogno
della sua vita: la riunificazione tedesca sancita nel 1990, dopo la caduta del
Muro di Berlino avvenuta nel 1989.
Angelo Giuseppe Roncalli nasce il 25 novembre 1881 a Sotto il Monte (Bergamo).
Viene ordinato sacerdote il 10 agosto 1904. Nel 1934 gli viene assegnata la
delegazione apostolica di Turchia e Grecia. Nel dicembre 1944 diventa Nunzio
apostolico a Parigi. Nel 1946 viene nominato osservatore della Santa Sede all'Unesco.
Diventa cardinale nel 1953. Il 28 ottobre 1958, alle ore 17, viene eletto Papa e
assume il nome di Giovanni XXIII succedendo a Pio XII. Il 25 gennaio 1959
annuncia la celebrazione del Concilio ecumenico che si apre l'11 ottobre 1962.
Le sue encicliche "Mater et Magistra" e "Pacem in terris"
segnalano il bisogno di rinnovamento della Chiesa cattolica. L'ultima disegna i
compiti ecclesiastici in un mondo moderno dilaniato dalle guerre e dalle
tensioni tra paesi del Sud e del Nord. Giovanni XXIII muore il 6 giugno 1963. Il
suo è stato un breve pontificato che ha però lasciato un segno indelebile
nella Chiesa di Roma.
Nguyen Sinh Cung, detto Ho Chi Minh, nasce il 19 maggio 1890. Nel 1917 si
trasferisce a Parigi, dopo aver vissuto negli Stati Uniti e in Inghilterra. Nel
1920 partecipa alla fondazione del Partito comunista francese. Tre anni dopo si
reca a Mosca, dove si stabilisce fino al 1924. Nel 1930, a Hong Kong, fonda il
Partito comunista indocinese e negli anni successivi segue da vicino le vicende
della rivoluzione cinese. Nel 1945 viene eletto presidente del governo della
neonata Repubblica democratica vietnamita.
L'anno dopo risulta primo nelle elezioni alla presidenza della Repubblica. Nel
1947 divampa il conflitto con la Francia che vuole riconquistare quei territori:
la guerra si conclude solo nel 1954 con la decisione di dividere il Vietnam in
due zone (Sud e Nord). Il processo di unificazione del paese che doveva
terminare nel 1956 viene più volte rinviato con la motivazione del
"pericolo comunista" rappresentato da una possibile presidenza di Ho
Chi Minh.
Il 7 febbraio 1965 si svolgono i primi bombardamenti di aerei statunitensi sul
Vietnam del Nord. La guerra dura fino al novembre 1968. Ho Chi Minh muore il 6
giugno 1969, dopo aver contribuito alla riunificazione del Vietnam e alla
sconfitta dell'interventismo di Washington.
Mao Tse Tung, il leader della rivoluzione cinese del 1949, è nato nel villaggio
di Shao Shan nel 1893. Nel 1918, diplomatosi, si reca a Pechino dove frequenta
alcuni corsi universitari e lavora alla biblioteca dell'università. E' lì che
incontra Li Ta-chao, l'economista che per primo diffonde il pensiero marxista in
Cina, e Ch'en Tu-hsiu, che sarà per sei anni il segretario del Partito
comunista cinese (Pcc). Nel 1921 è tra gli appena dodici partecipanti al primo
congresso del Pcc. Tra il 1934 e il 1935 partecipa alla "Lunga marcia"
che dà inizio alla rivoluzione cinese. Proprio in quel periodo viene eletto
presidente del partito. Agli inizi degli anni Quaranta guida la rivolta contro
l'occupazione giapponese della Cina.
Tra il 1946 e il 1947 dirige la lotta dei comunisti contro i nazionalisti che
chiedono la semplice evacuazione degli occupanti dal paese. Il primo luglio del
1949 annuncia che i comunisti hanno conquistato la Cina. Il primo ottobre viene
fondata la Repubblica popolare cinese.
Nel 1954 viene eletto presidente della Repubblica. Nel 1958 lascia questo
incarico per dedicarsi esclusivamente alla direzione del partito. Nei primi anni
Sessanta - con la parola d'ordine "sparare sul quartier generale " -
lancia e gestisce la "rivoluzione culturale" contro i pericoli di
burocratizzazione del partito e dello Stato. Mao Tse Tung muore a Pechino nel
1976.
La guerra di Corea dura dal 1950 al 1953. Gli Stati Uniti intervengono
direttamente nel conflitto che alla fine vede la divisione del paese in un Nord
guidato dalle forze comuniste fedeli al leader Kim Il Sung e in un Sud
filostatunitense. Questo conflitto estende a Oriente la penetrazione delle
posizioni comuniste e acquista il sapore di una lotta per l'autodeterminazione
politica bloccata da un intervento straniero.
Cuba è stata "scoperta" da Cristoforo Colombo nel corso del suo primo
viaggio verso le Americhe del 1492. La colonizzazione spagnola fece strage di
"siboneys" e "tainos", le due popolazioni indigene che
abitavano l'isola e che non superavano le 200.000 unità. A guidare la loro
resistenza fu un capo ribelle di nome Hatuey, che venne bruciato vivo come si
faceva un tempo con le streghe e gli "infedeli" perché non aveva
voluto convertirsi alla religione cattolica: una piccola statua lo ricorda nella
piazza centrale di Baracoa, la prima città fondata dagli spagnoli, e luogo dove
arrivò Colombo per la prima volta. La conquista definitiva dell'isola si deve a
Diego Velázquez, che nel 1510 partendo da Baracoa esplorò ogni palmo di quel
territorio e piegò con la forza la resistenza degli indios.
Dopo la metà del 1500, L'Avana diventa uno dei più grandi porti del mondo, ma
anche ritrovo di scorribande di pirati e contrabbandieri francesi, inglesi e
olandesi che cercano di dare l'assalto alla flotta spagnola. La collocazione
geografica è ideale per fare sosta durante la traversata verso le Americhe. Si
spiega così il fatto che il simbolo di Cuba finisca per diventare una
"chiave", la chiave d'accesso da un punto all'altro del continente
americano.
Di pari passo con la conquista da parte spagnola, procede lo sfruttamento delle
risorse naturali. Già nel 1614 inizia la coltivazione su grande scala del
tabacco, tra le principali ricchezze naturali di Cuba, grazie anche alla
particolare temperatura e umidità dell'isola. Presto diventerà un prodotto
pregiato in tutto il mercato europeo.
E' intorno alla coltivazione del tabacco e della canna da zucchero che si
formano i primi insediamenti stabili di immigrati, che nel Settecento daranno
origine alla borghesia "creola" (la prima generazione figlia di
immigrati, ma nata sull'isola). Nel 1762, per quasi un anno, L'Avana viene
conquistata dagli inglesi che non riusciranno però a prendere possesso delle
altre città dell'isola.
Nonostante la sua breve durata, la presenza inglese rivoluziona l'economia
cubana. I modelli economici che vengono da quell'isola europea sono molto più
avanzati di quelli di origine spagnola.
Via via che si sviluppa il commercio via mare, prende corpo la tratta degli
schiavi. Dall'Africa - soprattutto dalla Nigeria - vengono trasportati a Cuba
migliaia e migliaia di persone di pelle nera. Proprio nel 1763, mentre sta per
finire il dominio dell'Inghilterra su L'Avana, si assiste all'exploit della
produzione di zucchero, che diventa virtù e dannazione di quest'isola.
Nel 1827 dei 700.000 abitanti dell'isola il 56 per cento è costituito da neri e
schiavi. Questa percentuale spiega la non partecipazione di Cuba alla guerra di
indipendenza dalla Spagna che infiamma l'America Latina nel corso del XIX
secolo: la borghesia creola teme che senza la protezione di Madrid saranno i
neri a prendere il potere.
Ma c'è pure chi - nella stessa borghesia nazionale - inizia a guardare alla
prospettiva di una possibile annessione di Cuba agli Stati Uniti. La tentazione
di far cadere l'isola sotto l'egemonia statunitense si era del resto già
realizzata nel 1823 con la "dottrina Monroe" (prende questo nome
dall'omonimo presidente del nuovo Stato confederato) che recitava più o meno
così: "L'America agli americani e Cuba prima o poi agli americani".
Quando nel 1841 la popolazione residente nell'isola raggiunge un milione di
unità, la percentuale dei neri sale al 58 per cento. Lo sviluppo dell'industria
dello zucchero è inarrestabile e nei suoi riflessi sociali dà avvio alla
singolare contaminazione tra cultura bianca e cultura nera. Nel 1837, prima che
in qualsiasi paese dell'America Latina e prima che nella stessa Spagna, viene
costruito un tratto di ferrovia su rotaia: collegherà L'Avana a Bejucal.
La guerra d'indipendenza dura ben trent'anni e si avvia nel 1868, quando il
ricco proprietario terriero Carlos Manuel de Cespedes mette in libertà i suoi
schiavi e suona la campana della sua azienda al grido di "Viva Cuba
libera", di fronte a migliaia di cittadini che condividono il proposito di
fare dell'isola una nazione pienamente indipendente. Il 24 febbraio 1895 inizia
la fase finale della guerra d'indipendenza organizzata e diretta da José Martì
che riunifica tutte le componenti del nazionalismo cubano intorno al Partito
rivoluzionario.
Il 10 dicembre 1898 viene firmato un trattato di pace tra Spagna e "mambises"
(erano chiamati così i combattenti per l'indipendenza). A mediare tra i due
contendenti nella fase terminale della guerra ci avevano pensato gli Stati
Uniti. Lo zampino di Washington è ben visibile nell'"Emendamento Platt"
(dal nome del senatore proponente) che accompagna la sigla della pace:
"Cuba acconsente che gli Usa si riservino e mantengano il diritto di
intervento per la conservazione dell'indipendenza cubana e il mantenimento di un
governo solido".
Quell'emendamento prevede anche che l'isola non possa firmare trattati o
prestiti internazionali senza la previa autorizzazione di Washington. Veniva
concesso agli Stati Uniti anche l'usufrutto della base militare di Guantanamo su
territorio cubano (ancora attualmente occupata da truppe statunitensi, ma che
dovrebbe essere restituita allo Stato cubano nel 1999). L'"Emendamento
Platt" verrà addirittura inserito come norma nella prima Costituzione di
Cuba nazione indipendente (di qui la definizione di quel periodo come "pseudo
Repubblica").
Nel 1906 si verifica il primo sbarco militare da parte degli Stati Uniti per
sedare alcune rivolte popolari che rischiano di mandare in fumo gli interessi
americani presenti a Cuba. L'influenza di Washington diventa via via più
ossessiva, mentre migliaia di cittadini statunitensi decidono di trasferirsi
sull'isola.
Nel 1925 viene fondato il Partito comunista cubano. Tra i suoi animatori c'è
Julio Antonio Mella, figura di spicco nella sinistra latinoamericana, dirigente
del movimento studentesco dell'Avana. Per lui, il primo obiettivo è raggiungere
un'effettiva unità razziale tra bianchi e neri come rifondazione dell'idea di
una comune nazionalità cubana.
In quegli anni è al potere Gerardo Machado, ribattezzato il "Mussolini
tropicale", che fa arrestare Mella nello stesso 1925. Quest'ultimo inizia
in carcere uno sciopero della fame che costringe le autorità a liberarlo sotto
la pressione dell'indignazione popolare. E' in quel momento che Mella decide di
partire alla volta del Messico, dove conduce la sua vita di esiliato accanto a
Tina Modotti, fotografa di prestigio e di nazionalità italiana. Verrà ucciso a
Città del Messico il 10 gennaio del 1929 da due sicari prezzolati dal regime
cubano.
La lotta contro Machado si conclude nel 1933. Scioperi e manifestazioni
quotidiane fanno da scenario al crescere dell'opposizione. La notte del 12
agosto il dittatore riesce ad abbandonare l'isola con cinque casseforti ricolme
d'oro e a stabilirsi a Nassau, nelle Bahamas. Dopo la rivolta, viene eletto
presidente Grau San Martín, un professore dalle idee progressiste
dell'Università dell'Avana.
Tra i primi obiettivi del suo governo c'è quello della nazionalizzazione
dell'energia elettrica che veniva gestita da una società statunitense. Le
reazioni della destra - e di Washington che decise di non riconoscere la
legittimità della presidenza di Grau San Martín - non si fanno attendere e gli
Stati Uniti giungono alla decisione di boicottare l'economia dell'isola.
E' in questo periodo che scala la vetta della popolarità Fulgencio Batista, un
sergente dell'esercito ben visto da Washington e dalla destra cubana. Il 15
gennaio 1934 si fa promotore di un golpe di palazzo, che porta alla presidenza
Carlos Mendieta. A tessere i fili del potere è però lo stesso Batista, che in
coincidenza con la Seconda guerra mondiale vede rafforzato il suo potere grazie
all'aumento del prezzo dello zucchero sul mercato mondiale.
Dal 1946 al 1952 la corruzione mina la società politica cubana: omicidi e
ruberie sono all'ordine del giorno. Le elezioni presidenziali previste nel 1952
non si svolgono. Batista prende il potere nella notte del 10 marzo, questa volta
con un vero e proprio golpe. L'unica resistenza di un'opposizione divisa si
verifica nell'Università dell'Avana, dove scontri tra polizia e studenti
accompagnano i primi giorni del golpe. Il 14 marzo l'Università viene chiusa.
Nel 1953, anno del centenario della nascita di Martì, si avvia il primo
focolaio rivoluzionario anti-Batista. Il 26 luglio di quell'anno un gruppo di
giovani raccolto intorno al giovane avvocato Fidel Castro dà l'assalto alla
caserma Moncada di Santiago di Cuba, approfittando dei festeggiamenti del
carnevale per confondersi tra la folla (di qui il nome Movimento 26 luglio). Un
secondo manipolo di militanti - guidati da Abel Santamaria - ha il compito di
conquistare un ospedale. Raul Castro, fratello minore di Fidel, deve
impossessarsi del tribunale di Santiago. Gli attacchi falliscono i loro
obiettivi. Fidel Castro e pochi altri riescono a fuggire sulle montagne, dove
verranno catturati.
Castro prepara da solo la sua autodifesa (che pronuncerà in tribunale nel corso
del processo contro di lui e i militanti del Movimento 26 luglio), diventata
famosa col titolo di "La storia mi assolverà". I sopravvissuti
dell'assalto alla caserma Moncada verranno condannati al carcere e detenuti
nell'Isla de Pinos (oggi chiamata Isola della gioventù) dove era stato
rinchiuso anche José Martì, ma nel 1955 verranno liberati grazie a
un'amnistia. I militanti del Movimento 26 luglio partono subito per l'esilio in
Messico, dove iniziano a riorganizzare i loro progetti insurrezionali (Fidel
Castro va anche negli Stati Uniti a raccogliere fondi presso gli emigrati
cubani).
L'organizzazione e l'addestramento in territorio messicano di quel manipolo di
cubani dura più di un anno. Al gruppo originario si aggiunge il giovane medico
argentino Ernesto Guevara. Fidel Castro acquista da una coppia di statunitensi
lo yacht Granma per preparare lo sbarco e il ritorno a Cuba (in teoria avrebbe
potuto trasportare solo 20 persone, finirà per imbarcarne 82).
A Santiago il Movimento 26 luglio, guidato da Frank Pais, si dà l'obiettivo di
organizzare l'insurrezione per il 30 novembre del 1956, in contemporanea col
previsto arrivo del Granma. Ma lo yacht sbaglia rotta, trova mal tempo e arriva
sulle coste dell'isola solo il 2 dicembre, e in un punto molto distante dal
luogo stabilito. Il Granma, inoltre, viene avvistato da una nave da guerra: è
una carneficina. Dopo aver camminato per tre giorni, i superstiti militanti del
Movimento 26 luglio vengono sorpresi dall'esercito nella località di Alegría
de Pio.
Erano arrivati a Cuba in 82, ma quando il 19 dicembre Fidel Castro riesce a
radunare i sopravvissuti, può contare solo su 12 uomini. Tra i superstiti c'è
anche un italiano, Gino Doné Paro.
Sulle montagne della Sierra Maestra il manipolo si riorganizza in cerca della
rivincita che arriverà alla fine del 1958, dopo tre anni di guerriglia. Il
primo gennaio del '59 i "barbudos" (chiamati così per le lunghe barbe
che si erano fatti crescere sulla Sierra) fanno il loro ingresso a L'Avana con
alla testa Ernesto "Che" Guevara e Camilo Cienfuegos. Il dittatore
Fulgencio Batista riesce a fuggire. Castro giunge nella capitale dopo aver
attraversato tutta l'isola.
Nel 1961 Fidel Castro annuncia che "la rivoluzione cubana è una
rivoluzione socialista". Si stringono i rapporti con l'Unione Sovietica e i
paesi socialisti dell'Est. Gli Stati Uniti decretano il blocco economico
unilaterale contro l'isola e finanziano la tentata (e fallita) invasione di
Playa Girón. Nel 1962 scoppia la "crisi dei missili": Washington
minaccia un intervento armato contro l'isola se i sovietici non sospenderanno
l'installazione di missili nucleari sul territorio cubano.
1989 e 1990 sono altre date storiche per Cuba. La caduta del Muro di Berlino e
la dissoluzione prima dei paesi dell'Est del "socialismo reale" e poi
della stessa Unione Sovietica lasciano sola l'isola nello scacchiere mondiale.
L'Avana avvia il "período especial" fatto di terribili restrizioni
economiche, apertura all'economia mista e alle joint-ventures, ristrutturazione
dell'infrastruttura industriale e delle tecnologie. L'isola cerca di reinserirsi
nella nuova realtà internazionale senza rinunciare alla peculiarità della sua
storia che ha prodotto un atipico Stato sociale.
Ma gli Stati Uniti, prima con la Legge Torricelli e poi con la Legge
Helms-Burton, stringono ancora di più il cappio del blocco economico,
provocando la reazione di condanna di America Latina, Europa, Vaticano, Canada e
paesi asiatici. L'assemblea delle Nazioni Unite ha più volte condannato negli
ultimi anni la politica unilaterale di Washington nei confronti dell'Avana.
Il 13 agosto 1926 Lina Ruz e Angel Castro Argo, proprietario terriero del podere
Manacas a Biran (nella zona orientale di Cuba), mettono al mondo Fidel Castro
Ruz. Nel settembre 1942 entra nel collegio Belen gestito dai gesuiti a L'Avana,
dove si diploma nel 1945. In quell'anno si iscrive alla facoltà di
giurisprudenza dell'Università della capitale cubana. Nel 1947 aderisce al
Partito ortodosso. Nello stesso anno partecipa a una spedizione rivoluzionaria a
Santo Domingo - che però fallisce - con l'obiettivo di liberare l'isola dal
dittatore Trujillo. Nel 1952 è candidato alle elezioni politiche per il Partito
ortodosso, ma il 10 marzo il putsch del sergente Fulgencio Batista annulla la
competizione elettorale. Dopo il golpe, Castro - con Abel e Haydé Santamaría,
Elda Pérez, Melba Hernández, Frank Pais e Celia Sánchez - inizia a meditare
sulla necessità di intraprendere la lotta armata.
Il 26 luglio 1953 è la data che avvia la rivoluzione cubana. Centocinquanta
militanti del Movimento 26 luglio decidono di dare l'assalto alla caserma
Moncada di Santiago di Cuba: si richiamano alla "generazione del
centenario", quella che festeggia i cento anni dalla nascita di José
Martí (eroe e teorico della lotta di indipendenza contro il colonialismo
spagnolo).
L'iniziativa fallisce. Processato e arrestato, Castro viene liberato solo grazie
a un'amnistia il 2 maggio 1955. Riorganizza il suo movimento in Messico e nel
novembre 1956 ritorna a Cuba con ottantadue uomini a bordo dello yacht Granma
per intraprendere la lotta rivoluzionaria. Il 15 febbraio 1959 viene nominato
primo ministro. Attualmente occupa le cariche di segretario del Partito
comunista cubano e di presidente del Consiglio dei ministri.
Dirigente del Movimento 26 luglio a Santiago di Cuba. Ha il compito di
coordinare l'insurrezione della città in concomitanza con lo sbarco del Granma
nel novembre 1956, ma la rivolta inizia quando Fidel Castro e i suoi uomini non
sono ancora giunti sull'isola. Viene ucciso il 30 luglio 1957 nel Callejón del
Muro di Santiago dal capo della polizia della città, il colonnello José Salas.
Il giorno dopo un immenso numero di donne si concentra nel centro della città
per protestare: facendo finta di andare a fare la spesa, si raccolgono nella
piazza principale nel momento in cui doveva essere ricevuto ufficialmente Ealrl
Smith, ambasciatore degli Stati Uniti a Cuba.
C'è un italiano sull'imbarcazione che il 2 dicembre 1956 sbarca sulle coste
cubane per dare il via all'insurrezione contro il governo di Fulgencio Batista.
Si tratta di Gino Doné Paro, nato a Monastier, in provincia di Treviso, il 18
maggio 1924. E' un ex partigiano emigrato a Cuba dopo aver partecipato alla
Resistenza contro il fascismo. Nel 1951 lavora come carpentiere alla costruzione
della Plaza civica. Nel 1954 aderisce al Movimento 26 luglio, poi si reca in
Messico nel 1955 per unirsi al drappello di rivoluzionari guidato da Fidel
Castro. Sul Granma ha il grado di tenente. Dopo le disavventure logistiche della
spedizione e lo scontro a fuoco con l'esercito, l'italiano riesce a salvarsi e a
raggiungere la città di Trinidad. Lascia Cuba nel 1957. Attualmente vive negli
Stati Uniti, ma ha conservato forti legami con la rivoluzione cubana.
Camilo Cienfuegos nasce a L'Avana nel 1932 da una famiglia di modeste condizioni
economiche. Emigra giovanissimo negli Stati Uniti. E' tra i dodici comandanti
della rivoluzione cubana che dirigono l'insurrezione contro il governo di
Fulgencio Batista. Muore nella notte del 28 ottobre 1959 durante un violento
nubifragio, mentre a bordo di un aereo Cesna cerca di far ritorno a L'Avana. Si
era recato a Camaguey per ottenere la resa della guarnigione guidata dal
comandante della rivoluzione Hubert Matos che accusava Fidel Castro di essere
diventato ostaggio dei comunisti. Il suo corpo e i resti dell'aereo non sono mai
stati recuperati. Ancora oggi, ogni 28 ottobre gli studenti delle scuole cubane
portano fiori lungo le spiagge dell'isola per ricordare Cienfuegos.
Raul Castro è il fratello minore di Fidel (gli altri, in ordine di età, sono
Ramón, Juanna e Emma). Dopo essere stato nominato comandante del fronte
orientale nel corso della rivoluzione, attualmente occupa il ruolo di ministro
delle forze armate e di vicesegretario del Partito comunista cubano. Da giovane
studente è stato iscritto alla gioventù comunista e espulso dall'Università
dell'Avana a causa delle sue idee politiche. Ha preso parte all'assalto alla
caserma Moncada di Santiago di Cuba nel 1953 e allo sbarco del Granma nel 1956.
Nel corso degli anni Sessanta e Settanta è stato tra i dirigenti cubani più
vicini alle posizioni dell'Unione Sovietica.
Regis Debray è nato a Parigi il 2 settembre 1940. A conclusione della
drammatica avventura vissuta in Bolivia con Ernesto Guevara, dopo quattro anni
di reclusione e di torture viene liberato dalle carceri di La Paz grazie
all'intervento diretto del presidente Charles De Gaulle. Negli anni Ottanta ha
fatto parte del gruppo di collaboratori del presidente della Repubblica francese
François Mitterrand. Le sue memorie sulla spedizione boliviana del
"Che" sono raccolte nel libro "La guerriglia del Che" (Feltrinelli,
1974). Dopo aver contribuito alle teorizzazioni sulla necessità della
guerriglia negli anni Sessanta in America Latina, col tempo ha assunto posizioni
molto critiche nei confronti della rivoluzione cubana.
Il filosofo e la scrittrice francesi visitano Cuba nel 1960. Sartre scrive le
sue impressioni sulla giovane rivoluzione cubana in alcuni articoli che vengono
raccolti con il titolo "Uragano sullo zucchero". I suoi giudizi sono
positivi su quanto è accaduto a L'Avana: Sartre trova nella rivoluzione cubana
la conferma che all'inizio del decennio Sessanta la liberazione del Terzo Mondo
dal colonialismo e da antiche forme di oppressione economica è una questione di
urgentissima attualità che può rinnovare anche l'azione e la cultura dei
tradizionali partiti comunisti.
Carlos Rafael Rodríguez è tra dirigenti storici del Partito socialista
popolare (il partito comunista prima della rivoluzione cubana). Per molti anni
ha ricoperto incarichi di prima responsabilità all'interno del governo
dell'Avana. Tradizionalmente si è sempre schierato sulle posizioni
filosovietiche presenti nel gruppo dirigente cubano. All'inizio della guerriglia
guidata da Fidel Castro ha dissentito sui metodi di lotta del Movimento 26
luglio. Nel 1940 - in nome dell'emergenza dell'unità antifascista contro quanto
stava accadendo in Europa - era entrato a far parte del governo filo-Batista a
nome del Partito socialista popolare.
Il 17 marzo 1960 il presidente degli Stati Uniti Eisenhower annuncia che
Washington non avrebbe più acquistato lo zucchero di Cuba se sull'isola fosse
proseguita la nazionalizzazione delle industrie. E' il primo atto di rottura tra
i due paesi. Il blocco economico generalizzato degli Stati Unii nei confronti di
Cuba entra pienamente in vigore nel 1962. Nel 1992, trent'anni dopo, il
Congresso americano approva la Legge Torricelli che inasprisce ancora di più le
misure di isolamento economico nei confronti di Cuba. Nel 1996 viene approvata
anche la Legge Helms-Burton, che cerca di internazionalizzare gli effetti del
blocco economico nei confronti dell'isola, nonostante che nel corso degli anni
Novanta l'assemblea degli Stati Uniti abbia più volte stigmatizzato la scelta
della Casa Bianca.
La residenza del grande scrittore americano Ernest Hemingway è stata fissata
per oltre vent'anni a Cuba, presso la sua villa denominata Finca Vigia, nel
paesino di San Francisco de Paula nei pressi dell'Avana. Hemingway ha seguito
con simpatia l'evoluzione della guerriglia cubana e la sua vittoria, anche se ha
incontrato solo una volta Fidel Castro, nel 1960. Il racconto della vita cubana
e della permanenza di questo scrittore sull'isola è contenuto nel libro di
Norberto Fuentes "Hemingway a Cuba" (Gamberetti, 1996). L'Avana è
idealmente percorsa da un itinerario hemingweiano: l'Hotel Ambos Mundos, il bar
Floridita, il ristorante la Bodeguita del medio sono tutti luoghi frequentati a
suo tempo dallo scrittore.
E' il primo presidente degli Stati Uniti
(resta in carica dal 1953 al 1960) a affrontare i rapporti tra Washington e la
rivoluzione cubana. Eisenhower, esponente del Partito repubblicano, aveva avuto
un ruolo di primo piano come generale delle forze armate statunitensi nel corso
della Seconda guerra mondiale. La sua amministrazione sceglie, dopo qualche
tentennamento, la linea dura contro il pericolo comunista rappresentato da Fidel
Castro in America Latina. La nuova politica della Casa Bianca in quel periodo è
diretta dal segretario di Stato John Foster Dulles che si pone l'obiettivo di
sgretolare il campo comunista che guarda all'Unione Sovietica e di liberare i
popoli "sottoposti al comunismo".
Il movimento comunista internazionale si divide nel 1960. La polemica scoppia
tra Pechino e Mosca e riguarda il ruolo della rivoluzione nei paesi del Terzo
Mondo e in quelli sottosviluppati. La Cina, sotto la guida di Mao Tse Tung,
critica la politica di "coesistenza pacifica" che ispira l'Unione
Sovietica, ritenendo che la tendenza generale del mondo sia quella della guerra
- non solo metaforica - tra imperialismo e comunismo. Questa polemica finisce
per riflettersi sulle strategie dei diversi partiti comunisti e dei movimenti di
liberazione di tutto il mondo, che iniziano a dividersi tra "filosovietici"
e "filocomunisti". Il conflitto ideologico raggiunge anche l'America
Latina.
Patrice LumumbaNato nel 1925, muore assassinato nel 1961 mentre cerca di
rifugiarsi a Stanleyville. Come dirigente del Movimento nazionale che si batte
per l'indipendenza del Congo, nel 1960 aveva chiesto l'intervento delle Nazioni
Unite contro l'azione repressiva scatenata dalle truppe belghe di occupazione.
Dopo la sua morte, prende il potere Joseph Mobutu che instaura una dittatura che
crolla solo nel corso del 1997. Mobutu cambierà anche il nome del paese,
denominandolo Zaire.
La "crisi dei missili" del 1962 fu ricostruita in dettaglio da Saverio
Tutino nel libro "L'ottobre cubano" (Einaudi, 1968). Tutino, in quel
momento corrispondente de "L'Unità" all'Avana, racconta il clima e i
fatti di quei giorni ora per ora. Dal suo libro si può capire come il mondo
abbia rischiato nel corso di quella crisi una terza guerra mondiale. L'autore,
nato a Milano nel 1923, ha partecipato alla guerra partigiana in Italia come
commissario di una brigata garibaldina in Piemonte. Ha vissuto a lungo
all'estero come corrispondente de "L'Unità", prima in Francia e poi a
Cuba. E' il massimo esperto italiano di questioni cubane.
Anastas MikoyanPrimo ministro dell'Unione Sovietica nei primi anni Sessanta,
giunge a Cuba nel novembre 1962. La visita ufficiale dura ventiquattro giorni e
serve a ricomporre i contrasti tra L'Avana e Mosca dopo l'esito della
"crisi di ottobre". Mikoyan ha il mandato di sottoscrivere nuovi
accordi economici tra i due paesi e di smussare la protesta dell'Avana, che non
era stata interpellata sull'accordo raggiunto con gli Stati Uniti sulla non
installazione dei missili sovietici a Cuba. L'anno successivo quell'atto
distensivo viene seguito da un viaggio di Fidel Castro in Unione Sovietica.
Laurent Kabila ha guidato nel 1997 il movimento di lotta che ha fatto crollare
il regime di Joseph Mobutu in Zaire. E' nato a Moba sul Lago Tanganyka nel 1941.
Laureato in filosofia politica nella Germania dell'Est, nel 1960, ancora
giovanissimo, viene eletto nel primo parlamento del Congo indipendente nelle
liste del partito di Patrice Lumumba. Nel 1964 incontra il "Che", che
di lui scrive: "E' un uomo attratto più dalle donne e dal whisky che dal
fronte della lotta". Sconfitto il tentativo rivoluzionario a cui partecipa
anche Ernesto Guevara, va in esilio prima in Tanzania e poi in Uganda. Nel 1967
fonda il Partito rivoluzionario del progresso. Nel 1984 le sue truppe
conquistano la piccola città di Moba, ma poi vengono costrette a ripararsi in
Tanzania. Non demorde e costringe il regime di Mobutu alla capitolazione dopo
una guerriglia durata, con fasi alterne, più di trent'anni.
L'odissea del ritorno in patria dei cubani superstiti è raccontata da Harry
Villegas ("Pombo") nel libro "Un uomo della guerriglia del
Che" (Erre emme, 1996) e da Dariel Alarcón Ramírez ("Benigno")
nel volume "La rivoluzione interrotta" (Editori Riuniti, 1996). Pombo
e Benigno presentano due tesi differenti sugli aiuti forniti da Cuba
all'iniziativa di Ernesto Guevara in Bolivia e sullo sviluppo di altre
guerriglie in America Latina. Si tratta della testimonianza di due protagonisti
che hanno lottato a fianco del "Che" in Africa e Bolivia.
testimonianze