STORIA


JOSÉ MARTÍ
 

 

 

Cultivo la rosa blanca
En junio como en enero
Cultivo la rosa blanca
En junio como en enero
Para el amigo sincero
Que me da su mano franca...


 

 

José Martì è nato all'Avana nel 1853 da umili genitori spagnoli trasferitisi a Cuba.
All'età di  17 anni fu esiliato in Spagna per la sua opposizione al regime coloniale. Quì pubblicò un opuscolo che esponeva gli orrori della repressione politica a Cuba che egli stesso aveva sperimentato. Dopo aver conseguito la  laurea alla Università di Saragozza si stabilì a Città del Messico dove iniziò la sua carriera letteraria. Le sue critiche contro  al  regime inseritosi dopo un golpe lo costrette a partire per il Guatemala, ma gli abusi del governo locale lo portarono ad abbandonare pure quel paese.

Nel 1878 rientrò in Cuba grazie ad un'amnistia generale ma avendo cospirato contro le autorità spagnole fu di nuovo esiliato. Rientrato in Spagna si spostò verso gli Stati Uniti. Dopo un anno a New York andò in Venezuela con la idea di restare, ma un altra dittatura in quel paese  lo decise a ripartire. Martì ritornò a New York dove visse dal 1881 al 1895. Nel 1985 lasciò gli Stati Uniti per unirsi alla guerra cubana d'indipendenza partecipando alla sua organizzazione in modo scrupoloso. Morì purtroppo in una delle prime battaglie.

José Martì è considerato come uno dei più grandi scrittori del mondo ispanico. La sua importanza, tuttavia, deriva dall'universalità  del suo pensiero senza tempo. Martì dedicò la sua vita a porre fine al regime coloniale in Cuba e a prevenire l'isola di cadere sotto il controllo di qualsiasi paese le cui ideologie politiche fossero contrarie ai principi da lui sostenuti. Con quegli obiettivi e con la convinzione che la libertà dei Caraibi era cruciale per la sicurezza dell'America Latina e al bilanciamento di forze nel mondo, Martì dedicò il suo talento a forgiare il destino di Cuba. Quindi, lo scopo del suo lavoro: Martì fu un rivoluzionario, una guida e un mentore. La sua vasta esperienza ed educazione gli permessi di muoversi confortevolmente nei campi più svariati cosa che rende i suoi insegnamenti così ricchi ai suoi discepoli.

Martì credeva che la libertà e la giustizia dovrebbero essere le pietre angolari di tutti i governi, la lettura del suo lavoro dimostra il suo impegno e la sua libera scelta. Martì mai accettò la riduzione della naturale espansività dello spirito umano avendo creduto davvero che la redenzione dell'uomo venisse attraverso l'amore e la libera ragione. Di conseguenza, le sue dottrine furono e dovettero essere in disaccordo con il dogma totalitario che esisteva in Cuba fino la sua sfortunata morte.

Tutti gli insegnamenti di Martì contraddicono ogni sistema politico che non riesce ad occultare la sua intolleranza verso le libertà individuali e il suo amore per il suo proprio materiale potenziamento. Le suo opere condannano tutti i regimi dispotici e la privazione dei diritti umani. Inoltre, denuncia la mancanza di spiritualità e tipo di arroganza che troviamo nei regimi dittatoriali. Per questo motivo, la pubblicazione dei pensieri di Marti, in tutta la sua forza, è oggi di grande importanza.

José Martí si colloca nel momento di transizione tra il romanticismo e il modernismo. Il valore reale di questo  talento si trova sia nei grandi ideali che lo condussero al sacrificio sia nella sua opera letteraria. José Martí è l'eroe nazionale di Cuba. Poeta di grande qualità e semplicità fu un autore rivoluzionario che ruppe con le limitazioni della tradizione. Martí fece uso di tutta la ricchezza di pensiero e linguaggio per offrirla in beneficio alla patria. La sua oratoria rifulgente a favore dell'indipendenza spinse la moltitudine a perseverare nel cammino alla lotta per la emancipazione di Cuba.

Questo Apostolo fu una fiamma che si consumava nel suo proprio fervore e che non poteva avere un altro fine che di morire lottando. La sua opera letteraria sbalordisce per la lunghezza tenendo conto la breve vita del poeta.

Le Opere Complete comprendono più di una settantina di volumi fra prosa e versi (Ismaelillo, Versi liberi, Versi semplici), critica, discorsi, teatro (Abdala, Amore con amore si paga, Adultera), articoli giornalistici, epistolario (Lettere a mia madre), romanzi (Amicizia funesta), racconti infantili.

dal web

Biografia

Il 28 gennaio 1853, quando Cuba è ancora sottomessa al severo dispotismo coloniale spagnolo, nasce a L’Avana José Martí, figlio di due spagnoli da poco trasferitisi nell’isola. L'infanzia la trascorre in Spagna, dove la famiglia si trasferisce per due anni, e nelle campagne della provincia di Matanzas, dove il padre trova temporaneamente lavoro. Fin da bambino è spettatore delle disumane condizioni di vita degli schiavi e delle punizioni corporali che subiscono arbitrariamente. Nel 1866 entra nella scuola di Rafael María de Mendive, che lo introduce nella sotterranea vita politica dei cubani, privati di ogni diritto civile.
Il 10 ottobre 1868 il proprietario terriero Carlos Manuel de Céspedes si alza in armi contro la Spagna. Martí, poco più che sedicenne, si schiera apertamente con gli insorti nelle campagne orientali dell'isola, scrivendo un articolo e un poema drammatico di chiaro stampo patriottico. Viene quindi subito incarcerato e, dopo alcuni mesi di lavori forzati nelle cave di calce vicino a L’Avana, è deportato in Spagna dove assiste alla triste esperienza della Repubblica spagnola, crollata sotto i colpi della restaurazione monarchica. Vane sono le sue richieste per la fine del rapporto coloniale, continuo l’impegno per diffondere anche fuori da Cuba la parola indipendentista. All'inizio del 1875 Martí giunge in Messico, da dove è costretto a fuggire in seguito alla presa del potere di Porfirio Díaz e, dopo un breve e difficile soggiorno in Guatemala, è di nuovo a Cuba, dove un'amnistia seguita alla fine della guerra dei dieci anni cerca di riconciliare le due parti che si erano combattute per dieci lunghi anni. A causa della sua attività sovversiva, Martí è esiliato per la seconda volta a Madrid, dove rimane pochi mesi prima di imbarcarsi per New York, dove giunge agli inizi del 1880.
Negli Stati Uniti rimane ininterrottamente per undici anni, salvo sei mesi di permanenza in Venezuela. Anche da quest’ultimo paese è costretto a fuggire in tutta fretta, poiché entra in forte contrasto con il governo che lo invita caldamente ad andarsene. A New York Martí lavora come corrispondente dall'estero per i più importanti giornali latino-americani e si addentra sempre più nella complicata società nordamericana. Qui, ad esempio, agli afroamericani, ai nativi americani e ai lavoratori delle industrie della costa orientale, le cui sofferenze ritrae e denuncia, sono riservate condizioni di vita disumane. Martí parla esplicitamente di imperialismo e accusa gli Stati Uniti di voler intraprendere una guerra di conquista, dopo la traumatica appropriazione delle terre indiane, ai danni dei paesi dell'America Latina, che devono sottostare ai dettami del governo di Washington. L’attenzione principale è sempre riservata a Cuba, la terra natia da cui è stato espulso e in cui non può tornare, la patria che deve lottare ancora per la propria emancipazione politica ed economica.
Nel 1891 Martí abbandona ogni carica diplomatica e giornalistica e si dedica interamente alla preparazione della rivoluzione a Cuba, intuendo come gli Stati Uniti stanno contrattando con il governo spagnolo l’acquisto dell’isola. Si reca in Giamaica, nella Repubblica Dominicana e in Florida tra la numerosa emigrazione cubana, dove raccoglie fondi e armi. L’anno seguente fonda il Partido Revolucionario Cubano, che deve guidare l’eterogeneo movimento. A fine febbraio del 1895 scoppia la Guerra di Indipendenza, che si riallaccia moralmente alla guerra dei dieci anni, e Martí, da poco giunto a Cuba, cade in uno scontro a fuoco con un reparto dell'esercito spagnolo.

da www.hastasiempre.it


Il gigante delle sette leghe (di Miralys Sánchez Pupo)

Quando José Martí cadde in combattimento per ottenere con l’indipendenza di Cuba un equilibrio favorevole al futuro delle nazioni del continente, gli spagnoli che raccolsero i suoi resti gli resero onori postumi. Tale era la levatura politica di quell’ometto di piccola statura, ma con le convinzioni ferree, proprie di una dimensione etica superiore.
Il corpo senza vita del Maestro ebbe numerose sepolture finché riposò definitivamente nel Cimitero di Santa Ifigenia, a Santiago de Cuba, dove i marmi dell’Isola della Gioventù e le pietre di Jaimanitas lo abbracciano e la bandiera cubana e il tepore dei raggi del sole baciano la presenza di un ideale anche oggi vigente.
Su entrambi i lati di questo luogo sacro della Patria si trovano i suoi ultimi pensieri elaborati con lo jolongo(*) sulle spalle, in mezzo alla natura nei momenti del più alto dovere e, come lui stesso assicurò, con l’allegria di tutti, con gli occhi aperti ad ammirare le stelle che ammiccavano, “con la colt al fianco, il machete alla cintura, lo sprone sugli stivali e sul cavallo, aprendo il cammino tra i monti generosi della lotta.
Quattro anni prima aveva partecipato alla Conferenza Monetaria Interamericana e, nella corrispondenza di “un dito che non dorme”, raccontò dell’esito di quel lavoro diplomatico e di coraggio davanti al gigante delle sette leghe, che la Revista Ilustrada fece conoscere. E a un suo amico assicurò: “Il campo è libero, alla fine libero, libero e nelle migliori condizioni possibili per preparare, se lo vogliamo, la rivoluzione a Cuba!”.


La prima guerra d'indipendenza e José Martì

Tratto dal libro "Attacco al Moncada" di Robert Merle.

Un anno prima che la Spagna annullasse ogni possibilità d'intesa con la colonia, una crisi economica aveva sconvolto Cuba. Zucchero e alimenti di lusso e di consumo oscillante, vengono colpiti da ribasso sui mercati esteri. I piantatori subiscono perdite tali che un’intuizione nuova si fa strada nel loro cervello: lo schiavo costa più del salariato. La contraddizione è clamorosa: la produzione è stagionale e gli schiavi permanenti. Meglio sostituirli con l'operaio libero, che si è liberi di licenziare quando si vuole. Il piantatore è costretto a rendere all'umanitarismo quest’involontario omaggio: l'allevamento a fini servili degli uomini è meno conveniente di ogni altro.
La Giunta d'informazione sollecita l'abolizione della schiavitù. Un interesse meglio inteso sta per abbattere un’istituzione che l'avidità ha tenuto in piedi per tre secoli.

Il 10 ottobre 1868 un uomo generoso e pieno di coraggio, Carlos Manuel de Céspedes, proprietario terriero d'Oriente, proclama l'indipendenza di Cuba, chiede l'abolizione della schiavitù e libera i propri negri.
Il governatore spagnolo Lersundi gli manda contro le truppe. Comincia la guerra, una guerra rivoluzionaria nella quale due rivoluzioni si connettono e si spalleggiano, i piantatori in rivolta contro la metropoli, gli schiavi in rivolta contro le proprie catene. E’ una rivoluzione rurale, non urbana. Le grandi città, Santa Clara, Camaguey, Santiago, sono difese da forti guarnigioni. L' Avana poi, nonostante le agitazioni degli studenti è tagliata fuori dalla lotta: qui la classe più ricca è costituita dai commercianti spagnoli fedeli al re.

A Cuba le insurrezioni che decidono del destino dell'isola -1868, 1895, 1953 - partono tutte dalla provincia, tutte dalla stessa provincia: Oriente.
Il fiume più lungo, le montagne più alte, le miniere più ricche, le baie più belle, il clima più caldo: questo è, al limite estremo dell'isola, la provincia di Oriente. A ovest una frontiera di appena 100 chilometri la separa dalla provincia vicina, la ridente Camaguey, saggia e panciuta. Oriente è come uno Stato ai confini dello Stato, colle sue tradizioni, la sua fierezza, la sua allegria africana. Novecento chilometri separano la sua capitale, Santiago, dall' Avana. Qui la Spagna non è mai riuscita a imporre il patto coloniale. In questa terra umida, sotto il sole caldo, più che in ogni altra contrada di Cuba, bianchi e negri hanno mescolato i loro amori, dando vita a questo popolo indocile dalla lingua cadenzata: belle meticcie con la pelle d'ambra, uomini di un coraggio esemplare.

Oriente è la patria nella grande patria, una sintesi di quanto di più cubano c’è a Cuba, la terra mas rebelde , la provincia in cui " la terra trema ma non gli uomini ,.. Da Oriente è uscita tutta la storia di Cuba.

In queste montagne il cacicco Hatuey organizzò le sue bande contro il conquistador. Da Yara, a diciotto chilometri a est di Manzanillo, Carlos Manuel de Céspedes lancia il suo appello nel 1868. Da Baire, a trenta chilometri da Bayamo, parte l'appello della seconda guerra dipendenza del 1895. A Dos Rios, tra il Rio Cauto e il Rio de Contramaestre, una palla spagnola uccide José Martì in una carica. A Baire e a Santiago il 26 luglio 1953 Fidel Castro passa all'attacco contro la dittatura di Batista.
Ogni guerra rivoluzionaria crea metodi propri. A Cuba i mambi - così si chiamano i ribelli - non hanno che escopetas o fucili che tolgono al nemico, ma interrompono le strade con barricate di ceppi di legno, sbarrano i fiumi, tendono imboscate e si scagliano sul nemico brandendo le machetes.
Fucili da guerra contro machetes, cannoni contro escopetas: l'esercito spagnolo è un esercito moderno, comandato da un generale che conosce il proprio mestiere e il terreno, il conte di Valmaseda. Poiché gli effettivi .non sono sufficienti, egli recluta nelle città, e soprattutto all'Avana, volontari spagnoli. Se ne presentano subito trentamila. La tecnica militare, le armi, la disciplina, persino il numero: questi elementi di superiorità Valmaseda li ha tutti insieme. Le impiccagioni, le esecuzioni sommarie, i massacri di prigionieri si moltiplicano. Quando ci si impadronisce di una città, l'ordine è di fucilare tutti coloro che l'istruzione rende pericolosi, medici, avvocati, insegnanti. Prima di partire dall' Avana i volontari spagnoli, irritati perché dei giovani si sono esibiti al teatro di Villanueva vestiti con i colori della bandiera cubana, aspettano all’uscita la folla degli spettatori e la prendono a fucilate.
Il 27 novembre 1871 otto studenti di medicina, accusati senza alcuna prova di aver profanato la tomba di don Gonzalo Castanon sono condannati a morte. Proteste unanimi. Il capitano spagnolo Federico Capdevila preferisce spezzare la spada piuttosto che esser complice di questo crimine indegno. Ma il governatore Lersundi rimane inflessibile, e mentre gli otto giovani sono condotti al supplizio, gli spagnoli lungo la strada esultano: " Carne fresca! Sangre joven! ".

La prima guerra d'indipendenza dura dieci anni. Per la Spagna è una serie di vittorie sterili, per i mambi una serie di insuccessi vittoriosi. Valmaseda guadagna terreno, ma appena si allontana lo perde. Sulle sue orme la ribellione rinasce immediatamente; il terrore, anzichè soffocarla, la moltiplica. La popolazione collabora, l'odio per la Spagna cresce.
Colui che i cubani chiamano el Apòstol ha quindici anni quando scoppia la prima guerra. d'indipendenza. Si chiama José Martì. Per ironia del destino suo padre è sottufficiale nell'esercito spagnolo. Ma José è nato all'Avana e sa che cos'è l'amore per Cuba. Nel 1870 è arrestato per aver sorriso con derisione guardando sfilare i volontari di Valmaseda. Lo perquisiscono e gli trovano addosso una lettera nella quale egli critica un compagno di scuola per essersi arruolato dalla parte degli spagnoli. AI processo è condannato a sei anni di carcere: ha appena compiuto diciassette anni.
Il Presidio politico, il carcere nel quale gli spagnoli gettavano patrioti cubani; avrebbe potuto essere un modello per i campi nazisti della morte lenta. Un anno dopo, quando viene deportato in Spagna José Martì ha il cuore indebolito, i polmoni intaccati. Ma sotto la sua grande fronte gli occhi neri, penetranti, lucenti e riflessivi sono fermi. Nel 1895 quando sbarcherà nell'Oriente, 'la capacità di resistenza di quest'uomo fragile sorprenderà i mambi. Deportato in Spagna, non per questo egli si sente più spagnolo, ma Madrid è meglio del Presidio. Si iscrive all'università e ottiene una laurea in diritto e una in filosofia. Si interessa di economia politica; la storia lo attrae. Impara il portoghese, il francese, l'inglese, il tedesco e l'italiano. La cultura raggiunta, conquistata, non lo rende presuntuoso: si istruisce per liberarsi e per liberare Cuba. " Esser, colto per essere libero: la cultura è un'arma, non un fronzolo."

Lasciata la Spagna, visita la Francia e l'Inghilterra, poi si stabilisce nel Messico, il paese più vicino a Cuba. Insegna e comincia a scrivere: articolo, versi, drammi, romanzi, un’opera immensa, piena di talento e di battaglie. C’è in lui l’amore per Cuba, la penna è una spada. In Messico scopre la grande comunità della quale Cuba non è che una parte; la grande patria che comprende la patria cubana, il continente che soffre, il continente sottosviluppato, il continente che il grande vicino del nord saccheggia e consegna in mano ai dittatori: nuestra America, cioè l'America latina. Da questo momento Martì la aiuta e la difende come Cuba.

Il 20 dicembre 1877 sposa la cubana Carmen Zayas Bazan, " fiore della borghesia cubana ", bella, bigotta, interessata. Il fiore ha le sue spine. Il suo sorriso ha già in sé il tormento futuro dell'Apostolo. Martì è desolato, e la delusione lascia un'eco nelle sue opere. La " donna frivola "; che noia, " che fatica amare! ". Che pena dover " disprezzare ciò che si ama! ". Vaso vuoto, semplice piatto di carni profumate, mero plato de carnes fragantes.

Martì a ventiquattro anni è quello che era a diciassette. Il corpo gracile non si è irrobustito, il suo viso bello e armonioso ha la stessa purezza, gli occhi neri la stessa luce, la bocca la stessa fermezza. Se invecchiare significa compromettersi Jose Martì non invecchia. Segue con angoscia crescente ciò che avviene nell'isola. Via via che il tempo passa l'insurrezione contro la Spagna manifesta sempre più le sue debolezze. Per amministrare Cuba libre gli insorti hanno nominato una assemblea, ma questa non sa ne dominare i generali ne impedire i dissensi fra loro. La direzione della guerra si disperde tra molti caudillos locali, geloso ciascuno della propria regione come di un feudo. Altre opposizioni, più gravi e pericolose, si fanno strada. La borghesia si preoccupa per i progressi degli elementi popolari tra i mambi; tra i soldati ci sono troppi guaiiros (contadini) e troppi operai degli zuccherifici; al comando troppi generali provengono dalla truppa : Maximo G6mez, Calixto Garcia, Vicente Garcfa. Si teme anche, o si finge di temere, una prevalenza di uomini di colore nell'esercito ribelle d'Oriente; il suo comandante, il generale Antonio Maceo, è un mulatto. L'unione patriottica che aveva permesso ai guaiiros e alle classi dirigenti di fronteggiare insieme la Spagna stava per lacerarsi. Così, quando il generale spagnolo Martinez Campos propone ai capi civili della ribellione un compromesso, essi non esitano a firmare il patto di Zanjòn (1878).

Che cosa ottiene Cuba dopo dieci anni di lotta? Quasi nulla: una amnistia che sarà presto ritrattata, alcune libertà che non saranno rispettate, un’ emancipazione che non si estende a tutti gli schiavi ma si limita ai negri che hanno combattuto nelle file dei mambi. I capi militari denunciano immediatamente il patto come un tradimento e se ne vanno in esilio. Tutti sanno che il gioco non è fatto, che un giorno tutto sarà rimesso in discussione. La pace è solo una tregua, e i cubani raccolgono le forze per farla finita con la Spagna.
Il patto di Zanjon permette a José Martì di rientrare a Cuba dopo sette anni di esilio. Passa un anno. Per Martì Cuba in catene non è Cuba.

- Comincio a pensare che Martì sia un pazzo pericoloso, - dice il generale Ramon Blanco dopo aver ascoltato una delle sue conferenze.

Si prende pretesto da una rivolta senza conseguenze per arrestarlo. Viene deportato. A un emissario del governo spagnolo che lo avvicina sulla nave in partenza dall'Avana e lo invita a " riflettere ", risponde seccamente: - Marti no es de la raza de los vendibles.( Martì non è in vendita, è di un’altra razza. ) La situazione non è matura per l'insurrezione; bisogna attendere.
Martì si ritira a New York, dove resterà quattordici anni. " Ho vissuto nel mostro, - ha scritto Martì, - conosco le sue viscere. " Paragonato ai dittatori dell'America centrale il mostro è insensibile. Nelle sue viscere Martì fu sorpreso di poter dire e scrivere tutto quello che voleva.
A New York, Martì è già maestro di pensiero per i cubani in esilio. Due veterani della guerra dei dieci anni, il generale Maximo G6mez e il generale Antonio Maceo, gli fanno visita a New York. Per quando Cuba si solleverà di nuovo, Gomez si preoccupa di evitare le beghe e la dispersione che hanno pregiudicato la guerra dei dieci anni; propone perciò una iunta di cinque membri, tra i quali José Martì e chiede tutti i poteri per sé. Martì rispetta e ammira Gomez, ma respinge la proposta: le armi debbono cedere alla toga, la dittatura militare non deve proiettare la sua ombra sul futuro della patria. I due generali si congedano, ma non possono nulla senza Martì. Due giorni dopo egli scrive a Gomez: Un pueblo non se funda, General, como se manda un campamento. Nel frattempo la sua fama cresce, L'Argentina, l'Uruguay e il Paraguay gli offrono la propria rappresentanza consolare a New York. L 'Uruguay lo delega alla Pan American Monetary Commission, riunita a Washington nel 1891.
L'idea che si nasconde dietro questo congresso è semplice: l'America del nord, massimo produttore d'argento del mondo, cerca di i porre il bimetallismo ai paesi dell' America del sud, per poi proporlo all’Europa a nome delle due Americhe.

Il fragile Jose Martì si alza, ed esprimendosi di volta in volta con uguale eleganza nelle quattro lingue del congresso, ottiene contro il bimetallismo il voto quasi unanime dei delegati. Mi bonda es la de David, la mia fionda è quella di Davide. Per Davide non è che una scaramuccia. La battaglia vera è altrove (l'amore per Cuba in lui è come una febbre): Martì è inquieto. Finora solo la concorrenza degli appetiti inglesi ha impedito a Golia di far sbarcare i marines all'Avana. Ma sulla fine del secolo il leone britannico comincia a ritirarsi, ringhiando fra i denti, dai terreni di caccia degli Stati Uniti.

Il dominio di Golia sulla grande isola si fa più serrato. Compra miniere, centrali zuccheriere, grandi territori; monopolizza il commercio estero cubano. Il popolo che compra dà gli ordini, il popolo che vende obbedisce. Nel 1890 McKinley stabilisce una tariffa doganale dispotica, chiudendo gli Stati Uniti al tabacco dell'Avana. La maggior parte delle fabbriche di sigari cubane è costretta a trasferirsi negli Stati Uniti, a Tampa e a Kay West, con tutti gli operai. Dopo di che gli Stati Uniti rendono più elastiche le tariffe. Comprano il 95 per cento dello zucchero cubano, ma lasciano sussistere la minaccia di un diritto sullo zucchero che distruggerebbe in un anno solo l'economia dell'isola. Un popolo che voglia perire non ha che da vendere a un solo popolo. Infine propongono ripetutamente alla corona di Spagna di comprare Cuba: comprare un paese alla vigilia del XIX secolo, comprare un paese con tutti i suoi abitanti, da padrone a padrone, senza consultare i sudditi; comprare un paese come un negro da un negriero, calcolando il profitto che se ne può trarre; comprare un paese che ha appena concluso una battaglia di dieci anni per l'indipendenza, che ristora le forze per battersi di nuovo; comprare un paese con la sua fierezza, le sue aspirazioni, i suoi eroi, le tombe recenti di Carlos Manuel de Cespedes e di Figueredo (poeta cubano, autore dell’inno nazionale di Cuba; fucilato dagli spagnoli).

Trecento milioni di dollari è una somma tentante per un tesoro in dissesto, ma il padrone spagnolo dice di no. È’ un vecchio gran signore che vive al di sopra delle sue possibilità, ma ha l'orgoglio delle sue proprietà.

La minaccia tuttavia non è meno precisa, non meno imminente. Jose Martì fa la sua scelta. Decide di consacrare tutto il tempo e tutte le forze all'insurrezione, senza riservare nulla a se stesso, e accetta di pagarne il prezzo: povertà, oscurità e silenzio. Nel 1891 dà le dimissioni da tutti i consolati che ha assunto.  Smette di collaborare ai giornali sudamericani. Di più: smette di scrivere. Carmen Zayas Bazàn è incapace di comprendere e ancor meno di sopportare tanto sacrificio. Lo lascia, portando con sé il figlio. Mero plato de carnes fragantes. Martì è disperato ma prosegue da solo il cammino.
Senza casa, senza soldi, senz'altra prospettiva che il sogno dell'indipendenza di Cuba, egli inizia un'impresa gigantesca, l'organizzazione della guerra contro la Spagna. Appoggiandosi agli operai cubani del tabacco, che vivono molto numerosi in Florida, fonda il Partito rivoluzionario cubano. Impone ai suoi compatrioti indocili una disciplina, chiede e ottiene da loro una sottoscrizione settimanale per comprare armi. Riesce poi a far riconoscere il partito dai generali della guerra dei dieci anni e impedisce ai movimenti clandestini a Cuba di sollevarsi troppo presto e in modo disordinato. Benché sorvegliato dalla polizia statunitense e insieme da agenti segreti spagnoli, riesce a comprare armi, ad accumularle, e a trovare dei battelli.

È ancora dimagrito, è fragile, quasi diafano. Sotto la sua fronte enorme, gli occhi dallo sguardo insieme lontano e vicino, sognante e lucido, inflessibile e dolce, sono infossati. Le guance sono scavate e accentuano la sagoma sorprendente del suo viso, un triangolo rovesciato che ha per base la fronte e il mento per vertice. Nel suo volto tutto è pensiero, ma ogni pensiero subito è attuato. Tutto è sogno, ma il sogno diventa azione. Martì brucia di febbre, di lavoro, di speranza. Incapace di reggersi in piedi, continua il suo compito, magro da sembrare sull'orlo della tomba. Mover un pais, por pequeno que sea, es obra de gigante ( Muovere un paese, per piccolo che sia, è opera da giganti ). Il gigante ansima: porta sulle spalle Cuba e insieme a Cuba nuestra America. Egli vede limpidamente l'obiettivo: quando Cuba avrà strappato l'indipendenza alla Spagna, Cuba e i paesi fratelli dell' America latina dovranno sottrarsi al dominio degli USA. Mi bonda es la de David.

Opera da gigante, si diceva, ma vediamo la forza della sua parola: a Tampa, in Florida, un operaio cubano del tabacco, favorevole alla corona di Spagna, mette del veleno nel vino di Martì. Questi lo beve, ma si salva. Un incidente senza importanza. Non è il veleno che lo preoccupa, ma la mancanza di patriottismo di quel cubano. Appena rimesso chiede di parlargli da solo. Un rivoluzionario crede nel potere della persuasione: Martì espone le sue convinzioni e dopo un'ora l'attentatore si getta tra le braccia della vittima e entra nelle file dell'insurrezione.
All'inizio del 1895 Martì raggiunge l'obiettivo. L 'accordo con Maximo Gomez è concluso e cementato. Tre battelli pieni di armi e munizioni li attendono in un porto della Florida per trasportarli a Cuba. Il 12 gennaio le autorità degli Stati Uniti, avvertite, perquisiscono i tre battelli e li sequestrano insieme alle armi. La Spagna, informata, trae un respiro di sollievo: gli interessi possono contrastare, ma quando si tratta dei sottoposti ci si rende qualche piccolo servizio, da padrone a padrone...

Martì e Gomez decidono di andare avanti lo stesso. Con quattro compagni, 1'11 aprile 1895 alle 10 di sera, riescono a sbarcare nella provincia d'Oriente. Un mese e mezzo prima Martì ha firmato l'ordine d’insurrezione, e l'appello di Baire è stato lanciato nell'isola. La rivolta nell'ovest è fallita, .ma è riuscita in Oriente, dove i contadini sono uniti intorno a un vecchio comandante negro: si chiama Guillermo Moncada. Più tardi si darà il suo nome alla caserma di Santiago.

Il 19 maggio 1895 Martì e Gomez alla testa di scarse truppe si congiungono con grande gioia al generale Mas6, che guida una colonna di trecento cavalieri. Due ore più tardi a Dos Rios si scontrano con un battaglione spagnolo forte di ottocento uomini agli ordini del colonnello Ximenes de Sandoval. La lotta è furibonda e l'esito incerto. Martì contro i consigli di G6mez vuol partecipare al combattimento. Si precipita in avanti, rimane isolato e un colpo lo getta ai piedi del suo cavallo. Resta così nelle mani dei nemici, che lo decapitano e lo seppelliscono a Remanganagua.
Il 23 il governo spagnolo ordina di esumare il corpo e imbalsamarlo.

Da allora sono passati settant'anni e ci si accorge che la vita di José Martì non fu che una piccola parte della sua esistenza.. I secoli si consumeranno contro il granito della sua opera. Benché sia morto senza liberare Cuba, di lui la storia non ha conservato questo insuccesso, ma l'insegnamento che egli ha lasciato. Egli ha formato Mella, Chibàs, Castro. A Cuba, davanti a ogni scuola un busto candido mostra ancora il suo viso pensoso, inclinato in avanti sotto il peso della fronte. In grandi caratteri neri su quelli che un tempo erano i pannelli pubblicitari delle strade, in caratteri d'oro sulle facciate dei ministeri, in caratteri luminosi di notte in cima ai grattacieli dell'Avana, e persino nei cimiteri, sulle tombe delle vittime della dittatura, le sue frasi si librano fiere, equilibrate, cariche di senso. José Martì incarna la coscienza storica di Cuba. Ma la sua parola non si ferma qui: dal Rio Grande alla Patagonia, di eco in eco, essa risuona su un continente che aspetta che "suoni l'ora di proclamare una seconda volta la propria indipendenza", negri, indios, meticci, iberici, duecento milioni di uomini poveri e disprezzati, nuestra América.


Il gigante delle sette leghe (di Miralys Sánchez Pupo)

Prosa

“La riqueza exclusiva es injusta. […] No es rico el pueblo donde hay algunos hombres ricos, sino aquel donde cada uno tiene un poco de riqueza”

“La ricchezza esclusiva è ingiusta. […] Non è ricco il paese dove ci sono alcuni uomini ricchi, bensì quello dove ognuno possiede un po’ di ricchezza”

J. Martí. Obras Completas, “Guatemala”, tomo VII

"con un poco de luz en la frente no se puede vivir donde mandan tiranos”

“con un po’ di luce sulla fronte non si può vivere dove governano tiranni”

J. Martí. Obras Completas, “Carta a Manuel Mercado”, 20 aprile 1878, tomo XX

"la patria necesita sacrificios. Se la sirve, pero no se la toma para servirse de ella. Es ara y no pedestal”

“La patria necessita sacrifici. Si serve, non ce se ne impossessa per servirsene. La patria è un altare, non un piedistallo”

J. Martí. Obras Completas, “Carta a Ricardo Rodríguez Otero”, 16 maggio 1886, tomo I

"no hay odio de raza, porque no hay razas”

“Non c’è odio di razza, perché non esistono razze” - J. Martí. Obras Completas, “Nuestra América”, 30 gennaio 1891, tomo VI

“Cuba debe ser libre. De España y de los Estados Unidos”

“Cuba deve essere libera. Dalla Spagna e dagli Stati Uniti”

J. Martí. Obras Completas, “Cuaderno de apuntes 18”, tomo XXI

“los pueblos de América son más libres y prósperos a medida que se apartan de los Estados Unidos”

“i paesi d’America sono più liberi e prosperi quanto più si allontanano dagli Stati Uniti”

J. Martí. Obras Completas, “Las guerras civiles en Sudamérica”, 22 settembre 1884

“Patria es una, empieza en el Río Grande, y va a parar en los montes fangosos de la Patagonia”

“la Patria è una sola, incomincia nel Río Grande e finisce nei monti fangosi della Patagonia”

J. Martí. Obras Completas, “La vida de verano en los Estados Unidos”, 1886, tomo XI

Poesia

“Con los pobres de la tierra
quiero yo mi suerte echar:
el arroyo de la sierra
me complace más que el mar”

“Con i poveri della terra voglio condividere il mio destino: il ruscello della sierra mi piace più che il mare”

J. Martí. Obras Completas, “Versos sencillos”, 1891, tomo XVI

“Yo sé de un pesar profundo
entre las penas sin nombres:
¡la esclavidud de los hombres
es la gran pena del mundo!”

“Io so di un dolore profondo tra le pene senza nome: la schiavitù degli uomini è il più grande dolore del mondo”

J. Martí. Guantanamera. Zelig Editore, Milano, 1996

“Yo quiero salir del mundo
por la puerta natural:
en un carro de hojas verdes
a morir me han de llevar.
No me pongan en lo oscuro
A morir como un traidor:
¡Yo soy bueno, y como bueno
moriré de cara al sol!”

“Io desidero uscire dal mondo per la porta naturale: su un carro di foglie verdi a morire mi dovete portare. Non mi mettete al buio a morire come un traditore: io sono buono, e come buono morirò con la faccia al sole!”

J. Martí. Poesía completa. Edición crítica, Editorial Letras Cubanas, La Habana, 2001

 


 

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