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FASCISTI SINISTRATI,
BAMBINI DESPOTTATI,DISOBBEDIENTI OBBEDIENTI
09/10/2003
Tre sono al momento le categorie di
fascisti. Fascisti in senso lato, biblico ma “moderno”, alla Bush,
Sharon, Berlusconi, Fini, Bossi, D’Amato, esplosi alla grande con lo
schianto dell’11 settembre; fascisti repubblichini manifesti e a braccio
teso, tipo Forza Nuova, MSI-Fiamma Tricolore, Le Pen, Deutsche National
Partei, National Front; fascisti “oltre la dicotomia destra-sinistra”,
antiamericanisti, ma imperialisti nazionaleuropei con nostalgie
carolingie, comunitaristi, socialibertari, impegnati nella pratica
dell’infiltrazione tra tutto quello che si muove nella sinistra
autentica, movimenti, organizzazioni extraparlamentari, settori radicali
di partiti comunisti. Hanno tutti in comune due aspetti costitutivi:
l’essere pappa e ciccia con i servizi segreti, con le agenzie di
operazioni sporche e di guerra psicologica, a volte come datori di
lavoro, a volte come dipendenti, a volte ancora come terminali
inconsapevoli; e l’essere discepoli laureati di Leopoldo Fregoli
(1867-1936), che aveva nel DNA la diabolica capacità di passare da un
personaggio all’altro, cambiando radicalmente stile di recitazione,
costume e trucco con rapidità straordinaria.
Nella categoria dei Bush (che comprende i
soci d’affari e di macelleria Perle, Wolfowitz, Abrahms, Ashcroft,
Condoleezza, Cheney, Rumsfeld e altri), quest’arte si avvale di un
armadio rotante nella Casa Bianca in cui si entra con l’abito scuro e
cravatta del politico democratico-borghese e se ne esce, mezzo giro
dopo, con la divisa e il ra-ta-ta-ta-stonff di Robocop-Terminator e,
dopo altra girata, con la tunica gialla degli Hara Krishna, il bastone
di Ghandi e il canto dei diritti umani. Invisibile resta sotto, in ogni
caso, la biancheria intima fornita dalla ditta Al Capone-Licio Gelli &
Brothers.
Lo schieramento FN-Le Pen riserva
curiosità minori: non possiede che un cambio, indossato molti anni fa,
mai lavato e portato a pelle, sotto giubbotti di cuoio e zazzere rasate,
pronto a essere esibito una volta che se ne è dileguato il fetore. E’
vuoi di colore nero, vuoi bruno. A volte verde con tanto di sole padano.
Coloro che qui interessano di più sono
quelli della terza posizione, bravi come nessuno a trasformarsi da
bombaroli stragisti di ascendenza statale in scorreggioni di periferia
con in testa una runa, in mano una spranga e nella strozza un sole che
sorgi. O, ancora, in studiosi compunti di un Marx da riscattare dal suo
rintronamento ottocentesco e da proiettare verso l’abbraccio-fine della
storia e dell’arcaica differenza destra-sinistra, con Julius Evola, Dino
Grandi e Bombacci. Insomma, sono i paggetti che reggono lo strascico al
matrimonio tra il vecchio Marx e il giovane Mussolini.
Hanno case editrici, riviste, quotidiani,
siti-web, mailing-list, ma anche covi, labari e inni a Thor, e, dopo De
Benoist e Thiriart in Francia, un famoso filosofo italiano di Torino,
teorico, anche abbastanza rancoroso, del superamento dell’
idiota (termine suo)
contrapposizione destra-sinistra.
Non oserei mai misurarmi con l’eletto
accademico, con in capo tanti bei testi di acuta analisi storica, con
Marx su una spalla, D’Annunzio sull’altra e il duo Pericle-Plotino sulla
terza. Qui voglio soltanto pizzicare alcune delle vibranti corde di un
suo grande concerto sinfonico, eseguito giorni fa in rete, per ridurlo a
canzonetta, accessibile alle moltitudini assetate di nuove e definitive
verità.
Parla, dunque, così, il vate di tanti
piccoli corifei che, spiazzati ed emarginati a ruoli di pura
testimonianza dall’Estrema Destra Moderna, dotata di FMI, piantagioni
d’oppio, carabinieri, Banche, F-16 e Bombe all’uranio, cercano di
guadagnare numeri e funzione mescolandosi, sorridenti e con spilla di
Lenin, in qualunque assembramento antagonista si presenti in piazza:
“(La) questione del mantenimento e/o
superamento della polarità di Destra e Sinistra…In realtà non è affatto
una bestemmia. In linguaggio filosofico (!), si tratta solo di una sorta
di dubbio iperbolico cui far seguire una catena di dubbi metodici(!)…
Tenterò una doppia ipotesi filosofica, per cui la patologia comune delle
due posizioni polari e in entrambi i casi un
deficit di universalismo… E
questo ci costringe a ricercare un nuovo terreno universalistico”.
Quanto ragiona bene il filosofo
piemontese! Infatti, la destra coltiva una visione davvero riduttiva e
localistica: il nazismo in un solo paese e, se fosse stato per Hitler,
lo avrebbe fatto solo a Salisburgo, il fascismo in un solo paese, il
franchismo in un solo paese, il papadopulismo in un solo paese, il
pinochettismo in un solo paese e via sminuzzando. Tutto il resto, o
colonie o hic sunt leones. Nella società, poi, piuttosto che far
produrre a tutte le fabbriche solo camicie brune o camicie nere, colori
da universalizzare fin dal primo pannolino, tollerava, almeno in salotto
e camera da letto, pigiami e guepiere di svariati altri colori.
Invece la sinistra, quella comunista (non
ce ne sono davvero altre), limitava il suo messaggio, pur proiettandolo
in un onirico futuro senza classi e senza stato per tutti, alle
minoranze povere, deboli, sfruttate, a una classe operaia in estinzione,
a qualche studente problematico, fuori ed entro i propri confini. Un
atteggiamento strutturalmente minoritaristico, travolto e superato dal
nuovo, unico e definitivo “universalismo umanistico” del filosofo.
“Perché feticizzare la dicotomia fra
destra e sinistra – si chiede angosciato il pensatore – quando i gruppi
fondamentali della sinistra di tipo politico-elettorale ed
intellettuale-culturale hanno cessato di rappresentare…un punto di vista
conflittualista ed emancipazionista ed hanno variamente adottato un
punto di vista di aperta integrazione politico-culturale e di gestione
sistemica?”
E qui, se mi è consentita questa
impertinenza dal basso, ho l’improntitudine di notare una lieve
contraddizione nel ragionamento del vate: invoca a ogni piè sospinto la
sacrosanta panacea universalista, sfuggita a una sinistra miope e
gruppettara, ma poi ammette di aver guardato solo all’Europa. E, come
ipnotizzato dalla visione di Fassino, Blair, Schroeder o Chirac (gente
che, tuttavia, prima di coricarsi, si netta con getti d’aria a 1000
atmosfere di ogni contaminazione, anche solo verbale, di sinistra),
trascura di evidenziare come nel resto del mondo miliardi di persone
abbiano ugualmente “cessato di rappresentare un punto di vista
conflittualista ed emancipazionista” e si siano sistemicamente
integrati. E penso a quei fasulloni dei bolivariani in Venezuela,
regressivamente tornati a Marx, Bolivar e culture indie, al formicolio
di Senza Terra in Brasile che hanno pensato di fare la rivoluzione
rosicchiando qualche ettaro agli agrari; a quegli 11 milioni di cubani
che credono di aver fatto cose epocali nella loro isoletta,
universalizzando l’alfabeto e Schopenhauer a tutti, come anche
l’aspirina, la casa, l’acqua, gli alberi, e in più sono andati a
diffondere queste cose tra qualche capanna dall’Angola al Congo alla
Bolivia. Penso anche a quegli irriducibili localisti di palestinesi e
iracheni che insistono a dissanguarsi per cose loro, particolaristiche,
come il recupero della dignità nazionale, delle conquiste sociali, della
sovranità dei loro minimalisti statarelli, ignorando l’ampio e possente
respiro che gli ha portato l’universalismo imperiale
sionista-statunitense, l’unico in atto, almeno fino a quando le genti
del pianeta non saranno affratellate dall’Umanesimo Universalista – o è
l’Universalismo Umanista? – di Costanzo Preve.
Prosegue il Nostro:” La dicotomia
opposizionale fra destra e sinistra risponde a un bisogno primario,
antropologico prima ancora che politico, che ha l’uomo moderno in
alcune, non tutte, le parti del mondo (certo non nell’amato Tibet, dove
il dominio assoluto dei monaci sull’indistinto brulichio rurale di vivi
e morti, passato, presente e futuro, ha liberato quel popolo da ogni
dicotomia. FG) di conseguire un’identità e una appartenenza che
strutturi simbolicamente la propria percezione, quasi sempre intuitiva e
prerazionale, della totalità sociale in cui vive…Alla vecchia dicotomia
Ortodossia/Eresia si sostituisce la nuova dicotomia destra/sinistra”.
E qui siamo davvero a una potenza
dialettica da “shock and awe”. C’è da arrossire a continuare a
spilucchiarci attorno. In ogni caso, è balsamo per il deviante e
miscredente, appiccicato a vecchie categorie della ragion pura e di
quella pratica, con preoccupante pencolamento verso la seconda. Pensate,
m’ero illuso, da “uomo moderno”, per quanto ancorato al pretenzioso
leguleismo dell’illuminismo, di aver fatto un, seppur piccolo,
ragionamento, magari primario, magari antropologico, quando, scivolando
fuori da bibliche subalternità gerarchiche, ho cercato di conseguire
“un’identità e un’appartenenza che strutturasse simbolicamente”, ma
anche molto materialmente, la mia percezione della totalità sociale in
cui vivevo. Mi avevano fatto credere – e come se ci avevo creduto! – che
a sinistra mi ero schierato perché, scendendo i gradini della chiesa,
uscendo dal portone della scuola e facendo ciao-ciao ai miei genitori,
avevo incontrato persone perbene e, dunque quasi sempre povere e sempre
lavoratrici, cui il padrone screstava l’80% del frutto del loro lavoro,
cattolici irlandesi falciati da parà a Derry, arabi palestinesi e
iracheni seduti tra le macerie con il Kalachnikov in mano, indios,
chicanos e neri delle Americhe alla ricerca di un orto, o di un
facchinaggio. Nonché, decisivo, perché certe magliette a strisce, nel
1960 di Tambroni, avevo visto emergere dal porto di Genova e tenere per
un po’ teste di celerini dentro la fontana di Piazza De Ferrari.
Quella mia “percezione”, ho imparato, era
“largamente intuitiva e prefazionale”. Come dire che avrei potuto
benissimo stare dalla parte degli americani che mi avevano incenerito
città e compagni di scuola, anziché dietro a una mitragliatrice a
tentare (avevo 10 anni) di sparargli sul muso. O a fianco di un bravo
pilota di F-16 con le insegne israeliane.
Del resto, quella erratica dicotomia “non
è affatto originaria, ha solo circa due secoli di vita”. Cioè da quando
i giacobini si sono messi a sinistra per l’esigenza “primaria ed
antropologica” di stare vicino ai termosifoni. Spartaco, Cola di Rienzo,
le guerre contadine, Voltaire, i pigmei con tutta la foresta in comune
e l’ultimo dei mohicani chissà dove si trovano, ora che non c’è più
l’infernale dicotomia. E pure Torquemada, Luigi XIV, Silla, Carlomagno e
Giulio II. La loro, poverini, era solo una “vecchia dicotomia spaziale
religiosa” e, più tardi, squallidamente laicizzata e secolarizzata
(vedete che vocabolario: paghi uno e prendi due!). Come l’hanno difesa,
questa dicotomia? In “modo feroce e talvolta irrazionale”.
E non finisce qui. Anzi, c’è un piatto
forte. Da quanto sopra discende che è “potenzialmente paranoico quello
che chiamo il paradigma dell’infiltrazione
che è, a sua volta, una modalità della difesa della purezza, e considera
ogni sconvolgimento del rassicurante modello dicotomico di
strutturazione identitaria del mondo come un pericoloso complotto di
infiltrati. Così, se l’originariamente “sinistro” Adriano Sofri è
schierato per i massacri sionisti ed americani e per i bombardamenti
umanitari, mentre l’originariamente “destro” Alain De Benoist è
schierato contro, questo fatto non è interpretato dialetticamente come
normale evoluzione di posizioni, ma come un’astuta e perfida manovra
della destra eterna di infiltrarsi nelle pure fila della parte sana
della società politica…. Si tratta di una stupidità tale…di una modalità
patologica di difesa psicologica della propria identità minacciata.”
Che stupidoni! Se il ministro di polizia
Fouchè era passato elegantemente dal difendere la ragioni di principi,
duchi e banchieri a quelle dei sanscoulottes e poi,
de retour, a quelle dei
Bonaparte, non di infiltrato dell’aristocrazia, prima, della borghesia
poi e dell’impero, dopo, si trattava, bensì di
evoluzione verso il
superamento della dicotomia! E io che avevo sempre pensato che Sofri
fosse un infiltrato! Prima il PCI come nemico principale, il
socialimperialismo sovietico, le imprese editoriali realizzate insieme
a un rampollo della CIA, passato poi a sopprimere tutta Lotta Continua
(comprese molte vite) e a rivelarsi facinoroso pannelliano, bombarolo,
provocatore, sionista, iperatlantico, uomo d’ordine, bambolotto di
Giuliano Ferrara. Aveva superato la dicotomia. Difatti le ovazioni si
sprecavano, da Berlusconi a Rossana Rossanda! Si è evoluto, Adriano,
guadagnandosi non solo la grazia, ma il ruolo di portalabari dell’era
della nuova dicotomia fascismo/ riformismo, sicuramente a Preve un
po’meno ostica di quella vecchia, anche perché assai più
“universalistica” della precedente.
Quando 50 milioni di sovietici si fecero
ammazzare da Wehrmacht, Gestapo e SS, nonchè dalle scarpe di cartone di
Mussolini,e chissà quanti partigiani serbi e italiani, e un milione di
“dissidenti” tedeschi, pensando di buttar giù regimi di destra per
salvare popoli di sinistra, che “stupidità” manifestavano. Era solo una
“modalità patologica di difesa psicologica della propria identità
minacciata”. Ah, se si fossero levati dalla dicotomia destra/sinistra!
E qui, temo, il Professore polemizza col sottoscritto e altri “quattro
gatti” (è il nome d’arte che ci hanno attribuito), quando allude ai
paranoici dell’infiltrazione, infiltrazione di gente che, invece, si è
solo evoluta. Cademmo nella paranoia dell’infiltrato quando ci
accorgemmo che, da un capo all’altro dell’Europa, giusto nel momento del
fiorire di una grande movimento di incazzati e vogliosi, ma ritenentisi,
grazie alla maledetta dicotomia, a sinistra o sinistrissima, vecchi
arnesi dell’estremismo di destra, che avevamo intravisto tra spranghe e
fumi di bombe, in librerie con svastiche ad abatjour e fasci a montanti
di scaffali, stavano iscrivendosi a liste, gruppi, manifestazioni e
orizzonti antimperialisti. Nello specifico antiamericani ed
antisionisti. Ci condizionava pesantemente il ricordo di Sofri, Liguori,
Cicchitto-P2, di Brandirali, servitore del popolo rifiorito in Cielle,
perfino di D’Alema, comunista e poi sul balcone dell’Opus Dei e,
all’incontro, di Lotta di Popolo e dei nazimaoisti, vincitori
dell’infame dicotomia grazie alla camicia nera con alamari rossi.
Ancora una volta non avevamo visto transitare il Pendolino
dell’evoluzione.
Liberiamoci anche – così sollecita
l’accademico – dell’idea che il nazifascismo, il “totalitarismo
sovietico” e lo stesso fordismo fossero, più o meno equivalenti,
tentativi di eternizzare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo (economia)
e la disparità nella cultura, nei finanziamenti, eserciti,
comunicazione, rango sociale (politica). Macchè, l’economia non contava
nulla e Krupp, Agnelli e i latifondisti di Stroessner in Paraguay
facevano le Veline. Quelle che dirigevano il balletto erano forze che
misero “in opera alcuni tentativi di imporre il primato della politica
sull’economia”. Tentativi falliti. Tra questi, lo scrittore evidenzia il
nazifascismo, di cui considera “particolarmente imperdonabili il
colonialismo razzista e il razzismo di sterminio” (se lo sentono Claudio
Mutti, o Franco Freda, o Maurizio Neri…). Eh già, Mussolini non uccideva
nessuno e al confino si andava in vacanza. E meno male che c’è poi stata
la “doppia e convergente dissoluzione, non della destra e della
sinistra metafisiche (sic) in generale, ma della concreta Destra
Novecentesca e Sinistra Novecentesca”. Tutti ormai “storia passata”. E
tutti bigi, come i gatti che, evitando ogni differenziazione razzista,
passano sul davanzale di Preve nelle lunghe e preferite ore del suo
affanno notturno.
C’è poi un capoverso dedicato alla panna
montata del ’68. S’è visto come è finita, dunque! “C’è da capire – ci
invita il maestro – se questa contestazione scambiata infantilmente per
rivoluzione corrispondesse alla realtà, o fosse solo una forma
particolarmente elaborata e ingannatoria di falsa coscienza in senso
marxiano”. Ah, se c’è il senso marxiano chi osa più parlare di
infiltrati! Non si deve confondere, ci si ammonisce, “lo spinnellaggio
e la scopata generalizzata con l’anticamera della rivoluzione
comunista”. Mi piange il cuore per non aver avuto Preve, per motivi
anagrafici, la possibilità di dire queste cose ai ragazzi che si fecero
spaccare la testa a Chicago, o a farsi fucilare a Berkeley, a Malcom X e
alle sue pantere nere, a Rudi Dutschke (al quale una pistolettata fece
seguire il comprensivo verso la guerra umanitaria Cohn Bendit), ai miei
compagni in Lotta Continua Saltarelli, Bruno, Serantini, Ribecchi,
Varalli, gli altri. Si fossero limitati allo “spinnellaggio” e alla
“scopata generalizzata”, il vero motore del ’68 e seguenti, sarebbero
ancora tra noi, a fraternizzare con gli ultimi boccioli del grande
albero di Evola, Drieu La Rochelle, Alain De Benoist, Freda e Ventura,
Delle Chiaie, Merlino, Signorelli, ben oltre la fatiscente dicotomia.
Dopo tutte queste macerie del Novecento,
con la “sconfitta storica, epocale (c’è del trionfalismo? FG) del
“partito della politica” contro il “partito dell’economia, cioè delle
tendenze di sviluppo strategico della produzione capitalistica, che non
è mai in quanto tale né di destra (ohibò!), né di centro (ohibo!), né di
sinistra…”, quale è il messaggio che scaglia la nostra anima oltre
l’ostacolo della putrida dicotomia (“al cui superamento, giura il
peripatetico filosofo, “è in generale più sensibile la destra della
sinistra”. Brava, la destra!)? Visto che ci hanno fatto un mazzo così a
tutti e due, constata il Nostro, visto che “la sconfitta è stata
comune”, mettiamoci insieme là dove non potrà che esserci la Terza
Posizione. “Alla fine di questa autocritica radicale, la sinistra non
sarà più propriamente sinistra, ma comincerà a essere un’altra cosa (La
“Cosa”? Mi batte il cuore) e cioè una componente essenziale di una nuova
sintesi futura.” E l’altra componente? Non la dice? Ma allora è
infiltrata…Per carità, vaneggio.
Dulcis in
fundo. La rivelazione ci
viene incontro a braccia aperte dalle ultime righe. C’è solo una
risposta: ci vuole un nuovo universalismo. Quelli della dicotomia sono
fottuti, come si sono fottuti i “totalitarismi del XX secolo”; comunismo
e nazifascismo, naturalmente sullo stesso piano, identicamente depravati
e insieme sciocchi, proprio come il lager e il gulag (un’eco di
Bushlusconi?) E questo nuovo universalismo è l’Universalismo
Umanistico”. Cos’è? “Prima di poter diventare una filosofia articolata e
complessa (ci sta lavorando. FG), è una sorta di punto di vista
quotidiano intuitivo dell’intelletto razionalmente educato” Facile, no?
Senza starsi a sfrucugliare se di destra o di sinistra, eccoci tutti
quanto a guardare il mondo dal “punto di vista quotidiano intuitivo
dell’intelletto razionalmente educato”: io, il mio vicino gioielliere,
lo scopino, Emanuele Filiberto, Benetton e la sua filatrice nel
sottoscala di Calcutta, Del Piero e Zanna Bianca-Moggi, Asor Rosa e
Galli della Loggia, l’amiantato di Porto Marghera e l’ex-ministro
Bersani, Oriana Fallaci tra una crisi epilettica e l’altra, Romoletto di
Forza Nuova e Emiliano di Rifondazione Comunista. E cosa vediamo laggiù
in fondo, luminoso all’orizzonte dove, un tempo, sorgeva il sol
dell’avvenir? Cosa se non “l’universalismo umanistico”.
Sono convinto che non alle sparute
schiere del Partito Umanista si riferisce l’apostolo della nuova
sintesi. No, il suo ripescaggio del futuro dal passato arriva fino ai
primi secoli del 2° millennio, appunto l’umanesimo, antistoricamente e
irrazionalmente creduto superato dal pretenzioso illuminismo, dalla
sanguinaria rivoluzione francese (inauguratrice della dicotomia
destra/sinistra), dal materialone ed antispiritualista capitalismo e
dall’antiuniversalistico, seppure livellatore, socialismo. Universalismo
umanistico, con tanto – presumo in mancanza di indicazioni – di torri
d’avorio, castelli e palazzi animati da mecenati delle lettere e delle
arti, incuranti delle beghe e seghe dei villici, laggiù nel borgo, con
il suo mondo delle idee resuscitato dall’Atene dei Fidia e degli
schiavi. Universalismo umanistico di grande respiro, cui certo non rende
giustizia la riduttiva e derogatoria colonnina dell’enciclopedia:”Con il
termine “umanesimo” si è spesso indicato ogni tendenza di pensiero… che
affermi di esaltare il valore e la dignità dell’individuo e di volere
realizzare compiutamente la sua vera
natura. Ed è appunto in questa accezione, facilmente suscettibile delle
interpretazioni più diverse e contrastanti, che l’U. è stato
appropriato da molte filosofie, presentatesi di volta in volta, come le
genuine rappresentanti delle esigenze
perenni dell’umanità….Così,
anche in tempi recenti, i sostenitori di un U. cristiano, di un U.
esistenzialista, di un U. marxista, di un U. fascista, hanno rinnovato e
rese ancora attuale una disputa che affonda le sue radici nelle origini
della cultura moderna”.
L’enciclopedia, meschina, non aveva saputo
intravedere il nuovo U. universalista, quello supremo, da farla finita
con tutti gli altri U.
Chi lo incorpora oggi questo
“universalismo umanistico? Il filosofo non si sbilancia. Fa avanzare la
fiaccola nella mani dei corifei.
Prima si stabilisce, con Gianfranco La
Grassa (il cenacolo dove gli intelletti previani, “razionalmente
educati” da Pico della Mirandola, fanno crocchio e formulano “il punto
di vista quotidiano intuitivo” è la rivista “Rosso XXI”), che le “tesi
capaci di sostenere che un quinto della popolazione mondiale si
arricchisce, mentre quattro quinti sono destinati a morire di fame e
malattie” vengono ormai sostenute solo dalla “superficiale ideologia dei
buonisti di sinistra, che credono di far la rivoluzione convincendo
piccole torme di sfigati che si sta avvicinando
er ggiorno del Giudizio”.
Poi si piazza il colpo forte, con Miguel Martinez e altri:
l’umanesimo universalista, o l’universalismo umanistico è… l’Islam.
Tant’è vero che in Iraq oggi il laicismo è lo “strumento
dell’imperialismo che combatte contro le masse raccolte sotto la
bandiera dell’Islam. In queste condizioni esprimersi in modo frontale
contro lo stato islamico significherebbe per i nazionalisti laici agire
in sostanza negli interessi degli Stati Uniti…”(Willi Langthaler, “Rosso
XXI” sett. 2003). L’Islam di cui qui si parla è ovviamente quello
politico, cioè quello scita.
Ed è la solita perfida disinformazione
della grande stampa occidentale ad averci fatto credere che, se nella
gerarchia scita c’era molta disponibilità a collaborare con gli
occupanti, come già c’era nei confronti dei colonialisti britannici, la
massima resistenza veniva invece dai laici, sunniti o agnostici,
perlopiù saddamisti, nei due terzi del paese che va da Bagdad a Kirkuk e
Mossul, dove vivono 8,7 milioni di sunniti, 4 milioni di kurdi e una
spruzzata di assiri e turcomanni (con 8 milioni di sciti tra Bagdad e
Bassora). Saranno sicuramente servigi offerti agli occupanti se, sempre
più spesso, a Mossul e a Kirkuk i laici sunniti attaccano a bazookate
gli uffici dello scita SCIRI. Il Supremo Consiglio scita, accusato di
collaborazionismo per via dei suoi che, nel Consiglio Governativo
nominato dal proconsole Paul Bremer, si adoperano invece indefessamente
per sabotare il controllo USA sul paese e la sua manomorta su tutte le
ricchezze del paese, mentre astutamente fingono il contrario.
Dice lo SCIRI: sono saddamisti e Al Qaida.
E Al Qaida, di cui tutti erano sicuri fosse un ufficio-collocamento CIA
nel mondo musulmano, viene invece annoverato tra i partigiani iracheni,
anche dai superatori del “bipolarismo destra/sinistra e, guarda un po’,
da Bush e Sharon.
Dunque è l’Islam la nostra salvezza. Come
l’altro ieri Mosè e ieri Gesù. L’essenziale è che ci siano elite,
gerarchia, dogma e disciplina. Altrimenti che universalismo sarebbe? Ne
è convinto anche il noto psicoterapeuta di Sharon e vindice di Sofri,
Mario Pirani (La Repubblica), che ci informa come siano stati maledetti
laici arabi nazionalisti a rovinare tutto e a fregare sul filo di lana
dell’universalismo i fondamentalisti islamici che, se non fossero stati
trattenuti dai laici, sarebbero al governo in molti paesi. E, sotto
sotto, lo sanno anche gli USA, che hanno incentivato l’estremismo
islamico politico e terroristico dappertutto, a scapito dei laici. Pur
di avere un nuovo nemico, naturalmente universalistico. Per esempio
creando l’organizzazione Al Qaida, con i suoi terminali planetari,
armandola economicamente con miliardi, militarmente con missili Stinger
e tritolo, culturalmente e ideologicamente, stampandogli e diffondendo
in tutti i loro istituti d’istruzione il manualetti della Jihad. Con
tanto di “nemici” da far saltare in aria.
Ci siamo chiariti tante idee in questo
nostro viaggio nell’intelletto razionalmente educato dei
post-destra/sinistra. E abbiamo potuto concluderlo con una schiarita
davvero rasserenante in quella che è risultata essere solo una nostra
paranoica nevrosi: il complotto degli infiltrati. “E’ vero che trent’anni
fa, in pieno scontro sociale, ci furono alcuni neofascisti infiltrati
nella sinistra…Oggi, diciamolo, il problema semplicemente non esiste.
Cosa consigliereste a un neofascista che desiderasse avere successo
nella vita? Infiltrarsi nel mondo piccolo e povero di una sinistra in
piena sconfitta, oppure entrare in un partito che sta al governo, come
Alleanza Nazionale” (Miguel Martinez, “Rosso XXI” sett. 03). E’ vero. E
noi che avevamo pensato che una sinistra stava emergendo dalla
tarantolata bancarotta del capitalismo, come il magma sotto la crosta! E
che i nazifascisti si infiltrassero a sinistra per il gusto di
corromperla, perché gli venivano concesse ampie impunità - e altro - dai
servizi, perché non gli va più di masturbarsi, perché, forse, vorrebbero
stare vicini a qualcuno di vivo
BAMBINI
DESPOTTATI
Un emendamento di Rifondazione Comunista
ha inflitto alla Legge sulle Comunicazioni (Gasparri) un vulnus grave:
via dalla pubblicità i bambini sotto i 14 anni.
Sconcerto, indignazione, clamori da parte
dei pubblicitari. Ovvio, gli hanno tirato via un osso di niente! Meno
ovvio, la faccia di pastafrolla Mulino Bianco che hanno esibito quando
hanno piagnucolato: “Impedire ai bambini di essere protagonisti dei
messaggi pubblicitari vuol dire impedirgli di venire a contatto con una
situazione positiva, anzi una sorta di esperienza nella quale non c’è
nessun pericolo”. E perdipiù: ”I bambini che fanno gli spot sono seguiti
e controllati durante la realizzazione, sono in mani sicure”. Già, chè
non se li vorrebbero fa sfuggire, come la strega di Haensel e Gretel.
Sullo sfondo il battibecco tra due signore
che sembrano essersi scambiati i ruoli: la nipote del papà dei Figli
della Lupa plaude rumorosamente e spiega:”So che c’è chi si arricchisce
sulla pelle dei bambini che vengono usati per la pubblicità. Per non
dire dei pedofili…” L’ex-ministra nel governo dei cugini di quarto
grado di Gramsci, all’opposto, contesta l’emendamento dicendo
ghignando:”Allora buttiamo anche lo Zecchino d’oro, mago Zurlì e Topo
Gigio. Quella della Mussolini è posizione anarco-clericale. Tra l’altro,
le regole sull’utilizzo dei bambini nella pubblicità ci sono da tempo e
presumo che siano rispettate”. Alla faccia della Belillo! Presume, forse
a ragione, che ai bimbetti né si tocchi il pisello negli studi, né gli
si faccia cadere addosso un faretto e che nessuno spia le bimbette nel
bagno.
Il punto è un altro. Punto grosso come il
Monte Bianco. E non vogliamo qui ripetere la sacrosanta tiritera della
mercificazione, dei bambini ridotti a consumatori nani e a imbonitori
gnomi, al valore di scambio assegnato a esseri viventi, per quanto
rintronati dai propri genitori in transfert narcisistico con
sfruttamento della prostituzione. I pubblicitari sono quelli che, nel
sondaggio tivù che ha fatto schiantare Berlusconi peggio e molto più
meritatamente della statua di Saddam davanti all’Hotel Palestine, quello
del “a chi dici basta?”, avrebbero dovuto avere il doppio delle
preferenze-record del chansonnier piduista. Se lui mente dieci volte al
giorno, loro mentono a ogni sbatter di palpebre. Le pubblicità dei
bambini inebetiti di felicità col nuovo pannolino sono responsabili di
almeno una delle quattro ulcere che mi hanno trovato in pancia.
Il punto è che gli spot sono idioti e
oscenamente brutti. Impongono nella testa dei bambini – unici umani sani
su piazza – un’estetica del cretino e dell’orrendo. Di più: la migliore
parte dei prodotti reclamizzati dai minorenni fa schifo, inquina,
produce obesità, sostituisce il sangue con la chimica. Spesso, con
quella moda stronza del “ti frego”, i quattro disastri in padella “me li
mangi tutto io”, stimolano competitività patologiche e egoismo allo
stato puro. Di più ancora: i pubblicitari mentono per la gola. Tutto
quello che dicono è inficiato di falsità, esagerazioni, iperboli volgari
e infondate. Con i bambini che se ne devono fare portavoce – e
capiscono benissimo che verniciano d’oro, con le loro guance paffutelle
e l’occhietto innocente, l’essenza escrementale dei prodotti – si creano
e manipolano con abuso di autorità e di morale, bambini ipocriti,
bugiardi, corrotti. Che, per sovraprezzo, si convincono che solo a
essere tali si viene ammirati, premiati, applauditi, ricompensati,
lanciati in una vita di spassi e buoni-premio. Come dire, tanti
berlusconini fardati che dilagano, come gli insetti assassini di quel
film dell’orrore. E domani sfasceranno spensieratamente, con bombe a
grappolo, quei bambini tra l’Eufrate e il Rio Bravo che rompono i
coglioni non mangiando merendine
DISOBBEDIENTI OBBEDIENTI
L’ultimo corteo è stato vivace. Un vecchio
compagno del Leoncavallo, Riccardino, mi ha abbracciato, nonostante
fossi da anni in dura polemica con i Disobbedienti. Una signora che
camminava dietro allo striscione “Ebrei contro l’occupazione”, ha visto
in tralice la mia bandiera irachena, ha fiutato l’aria con fare nauseato
e mi ha intimato di allontanarmi. Frammenti di sionismo nei luoghi più
sorprendenti. Del resto è gente che ti spara “antisemita” (ne hanno una
bandoliera piena) se soltanto osi riferirti a Perle, Wolfowitz, Abrahms,
Brezezinski, Kissinger, Libby come a una lobby ebraica e non dici
“terroristi” ogni volta che vedi una kefiah. Sul finire, per
raggiungere il Palazzo dei Congressi con i costituenti europei, una
moltitudine di 100 non è passata da dietro, per varchi dimenticati,
infiltrandosi un po’ per volta, ma è andata a schiacciarsi proprio dove
i poliziotti parevano lo schieramento delle legioni in Gallia. E’ lì
che stavano anche le telecamere. Però i leoncavallini, che non avevano
scudi e caschi, ma delle fiammeggianti felpe rosse, se n’erano già
andati. E il giorno dopo ne hanno detto di tutti i colori ai
Disobbedienti, obbedientemente mediatici. Fine di un sodalizio?
E’ finito anche un altro sodalizio: quello
di Disobbedienti con Giovani Comunisti, anzi con tutta RC. Lo ha
sepolto, con un lieve inciampo tattico, il Disobbediente-capo-a-vita,
Luca Casarini, quando, con un nugolo di provetti castigamatti,
collaudati in cento aggressioni a “concorrenti” di sinistra, nonché
nell’autodafè di Genova, ha impartito una lezione a Venezia ad alcuni
rifondaroli che non la pensavano come lui sulle foibe e loro “martiri”
fascisti. “Che questi stalinisti, o addirittura comunisti, imparino un
po’ di democrazia”, pare abbia sibilato Casarini, dopo aver lanciato i
suoi pretoriani all’assalto in obbedienza a un paio di capoversi dal
“Libro nero del comunismo”.
Casarini, visto l’ambaradan scatenato tra
i suoi sostenitori istituzionali, ha poi chiesto a Marcos se poteva
scrivere una risposta, da far passare come sua, dato che una
manganellata gli aveva fatto scordare tutto quello che aveva imparato
dalla Terza elementare in poi. Marcos si esibì in quella prosa che aveva
abbagliato, fatto piangere, fatto ridere, fatto ballare e fatto
camminare domandando un’intera generazione di mona dei centri sociali.
“Rivolta” a Venezia e “Pedro” a Padova. Pianti e risi di cui aveva reso
puntualmente testimonianza Radio Sherwood. Era tutto uno
sfarfalleggiare di “caro” di “vite, scazzi, esperienze, abbracci,
sguardi, emozioni, pensieri…umanità”, da togliere il respiro e mettere i
singhiozzi. Un florilegio di “camminare” e “domandare” (tacendo
pudicamente l’occasionale “picchiare”), di “folli che ogni giorno
rischiano la galera” e hanno già perso l’onorario dell’amica-dei-migranti
Livia, cara agli stessi per la famosa “Turco-Napoletano”. Spunta, a
interloquire, l’irresistibile Vecchio Antonio (ah, Marcos, ti sei
scoperto!) per “spiegare come pazzia, normalità, sinistra, destra
(ohibò! Vedi sopra), verità e falsità, violenza e pace, siano tutte
parole e concetti in realtà piegabili a proprio piacimento, se non si ha
niente di folle nel cuore e nella mente, se si sta fermi, se ci si
accontenta”.
Diavolo di un Marcos, i compagni di RC,con
le cinque dita ancor ben visibili sulla guancia e la punta dell’anfibio
marchiata sullo stinco, si sono precipitati, commossi, a chiedere scusa
a Casarini.
Mi picco di essere un antesignano, quasi
un veggente. Correva l’anno 1999, correva la primavera e correvano
dall’alto in basso anche le bombe su una Jugoslavia in corso di
democratico e liberista smantellamento. Tutto l’Occidente assediava i
serbi, tutto l’Oriente se ne stava in disparte. Milosevic e i suoi
operai, che volevano limitare il ricatto dell’FMI a non più di un 25% di
privatizzazioni e il ruolo della Nato al di là dell’Adriatico, erano
soli come i compagni di RC nella Piazza Tommaseo da ridedicare ai
“martiri delle foibe”. La sinistra biascicava “né con la Nato, né con
Milosevic” e, guardando i tiggì che raccontavano di grandi
manifestazioni a Belgrado (mai picchiate tipo G-8), di elezioni
amministrative vinte dall’opposizione, di partiti in massima parte
ostili al governo, stigmatizzava inorridita la “dittatura” del despota.
Noi ci aggirammo tra macerie e schianti su
scuole, famiglie e ospedali per raccontare (niente censura) da dove
arrivava la pulizia etnica. Loro, Casarini, Vitaliano, Beppe Caccia e il
noto Bettin vennero a Belgrado, furono ingenuamente ospitati dalla
televisione di Stato, ancora non polverizzata con i 16 giornalisti e
tecnici dentro, allietarono la Nato sparando a zero contro Milosevic e
le sue nefandezze e furono, non arrestati come provocatori e
collaborazionisti, ma cortesemente riaccompagnati al confine irredento.
Non prima, però, che fossero riusciti a
stringere affettuosi rapporti, saldi nel tempo, con i “giovani
democratici” anti-Milosevic e sostenitori del futuro presidente
liberista e Nato Zoran Djindjic. Quelli della formazione “Otpor”.
Grande e profonda divenne subito
l’amicizia tra chi camminava verso “un altro mondo possibile”, e chi,
nel suo programma ufficiale, aveva già risolto quella possibilità con un
altro mondo del tutto americano e multinazionale, “ visto – come mi
disse Otpor – che i capitali stranieri qui troveranno, caduta la
“dittatura”, “mano d’opera qualificata, lavoratrice e a basso costo e
disposizioni fiscali che neanche i condoni tombali”.
Altra grande amicizia venne stretta tra la
radio padovana dei Disobbedienti (allora “Tute Bianche”), Radio Sherwood,
e quella che, per merito loro, in Italia passò come l’emittente della
giovane sinistra anti-Milosevic serba: “Radio B-92”.
Su Radio B-92 mi venne qualche dubbio,
quando, tornato a Roma, fui invitato a una proiezione dai “compagni” del
CSA romano dei Disobbedienti, “Corto Circuito”. Candidi come
nubi-pecorelle, i “compagni” mi mostrarono un video di B-92, in cui si
glorificava un’aggressione di fighetti alla moda, vuoi alternativi, vuoi
manageriali, a un corteo di operai e contadini, perlopiù anziani,
convenuti a Belgrado per l’anniversario della morte (o nascita) di Tito.
Ruppero la testa a vecchie teste partigiane e misero fiori negli
occhielli dei poliziotti. Chi, accanto a me, vedeva questa porcheria,
commentava compiaciuto:”Hai visto cosa fanno i compagni serbi a quegli
stalinisti?” Le recenti mazzate “disobbedienti” agli esponenti di RC a
Venezia, mi hanno riproposto quelle immagini e quelle valutazioni.
Radio B-92 risultò poi a me e a cento
mezzi d’informazione emittente del circuito Radio Free Europe – Radio
Liberty. Un circuito messo in piedi a Monaco dalla CIA, all’inizio della
guerra fredda, per lanciare propaganda USA oltre la cortina di ferro e,
dopo il crollo del Muro, spostata a Praga, sotto la protezione di quel
democratico presidente Havel che ebbe modo di offrire alla bellezza
ebreo-cecoslovacca Madeleine Albright la presidenza del suo paese.
Infatti, a seguirne il palinsesto, si potevano riascoltare programmi e
notiziari già trasmessi dalle emittenti statunitensi. Per chi volesse
sincerarsi, è ad Amsterdam la sede della società editoriale che gestisce
il circuito CIA.
La
Serbian connection delle Tute Bianche-Disobbedienti-Ya Basta
fiorì rigogliosa negli anni. Otpor e Radio B-92 venivano invitati a
convegni in Italia e i “compagni” italiani accettavano, a loro volta,
scambi e inviti in Serbia. Nel frattempo dirigenti e militanti di Otpor
venivano addestrati a Budapest e Sofia, da generali USA, a quell’insurrezione
che poi misero in atto il 5 ottobre 2000, con il pogrom contro
sindacalisti, giornalisti, funzionari, militanti di sinistra e con
l’incendio del parlamento che incenerì le schede elettorali dalle quali
risultava la vittoria delle sinistre nelle elezioni parlamentari. Da me
intervistati, due dirigenti Otpor mi dissero di essere “orgogliosi di
essere aiutati dalla CIA, il servizio d’intelligence di un grande paese
che ammiriamo”. Enrico De Aglio pubblicò nel “Diario” una lunga
inchiesta sul “capolavoro della CIA in Serbia” con la creazione di una
quinta colonna collaborazionista fatta passare per organizzazione di
sinistra. Analoga inchiesta trasmise la BBC.
Del resto, madrine di questa formazione
erano le anziane agitatrici anti-Milosevic della defunta “Alleanza
Civica”: Sonia Licht, presidente della Fondazione George Soros a
Belgrado e Vesna Pesic. La Pesic è una diplomata della Fondazione di
Washington National Endowment for
Democracy” (NED)
una vetrina culturale creata nel 1974 dalla CIA ai fini della
“diffusione della democrazia nei paesi comunisti”. E’ la NED che ha
finanziato gran parte delle eversioni di destra nei paesi
latinoamericani e asiatici e, recentemente, il complotto anticubano dei
cosiddetti “dissidenti”, effettivi mercenari dell’agente USA James Cason
e membri di una rete terroristica che, con dirottamenti e sequestri, si
proponeva di creare le condizioni per un’invasione USA (per aver detto
queste cose, comprovate, sono stato cacciato dal “quotidiano comunista”
Liberazione)
E’ proprio su questo quotidiano,
coerentemente, che la versione di “Otpor”- giovani democratici e di
sinistra, che liberano Belgrado dalla dittatura di Milosevic, fu sposata
con entusiasmo, al punto che Salvatore Cannavò invitò i “compagni” di
Otpor a partecipare agli appuntamenti del Movimento dei Movimenti. Ai
disvelamenti inconfutabili su “Otpor” - articolazione della CIA, Cannavò
e il giornale opposero un silenzio abissale e atemporale. Del resto,
cosa ci poteva essere di più imbarazzante per chi aveva riconosciuto gli
amichetti italiani di “Otpor” (e, con interessante simultaneità, i
Disobbedienti, PR in Italia di Marcos-uomo mascherato - nonviolento)
battistrada dell’altro mondo possibile.
Venezia non pare aver posto fine a tale
matrimonio davvero morganatico, oggi confermato nella vasta cattedrale
dell’Ulivo. Disobbedienti a chi? Obbedienti a chi? Poiché quando
l’imperialismo, cosiddetto liberista e globalizzante, guerreggia per la
distruzione degli Stati (altri) e la loro frantumazione in piccole
entità etniche inoffensive, non vi percuote l’udito l’eco della
“democrazia municipale” dei Disobbedienti, del loro rifiuto di questo
“arcaico Stato” ai palestinesi (vedi comunicato di “Ya Basta” il 9
novembre del 2001), della loro scelta di una “scuola muncipale” contro
la nostra difesa “di retroguardia” della scuola pubblica? E il proclama
del topgun Bush, che la guerra in Iraq era stata trionfalmente finita e
vinta, non ha trovato una formidabile risonanza nell’infinito silenzio
attuale dei (dis)obbedienti sullo stupro continuato del popolo iracheno
e sulla sua formidabile resistenza (stesso discorso sulla Palestina
della “soluzione finale”)?
Dal movimento Antiamericanisti ci sono
stati rifilati, travestiti da sciti iracheni e da patrioti palestinesi,
stragisti, neofascisti, nazisti, comunitaristi. Dai “compagni” di
Casarini gli infiltrati CIA di “Otpor”. Tutti molto obbedienti.
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