MONDOCANEarchivio

                                       di Fulvio Grimaldi

 


PITBULL SIRCHIATI, NANDO CURZIATO,

SADDAM TROTZKIZZATO, WTO LIBERATO,

11 SETTEMBRE RESTAURATO


16/9/03

 

PITBULL SIRCHIATI

Il ministro della Sanità, Sirchia, è lì’ che si sta rosicchiando le zampe anteriori. L’hanno fregato. Aveva, in combutta con Forte Braschi, organizzato tutto quell’ambaradan contro pitbull e cani vari, nelle liste di proscrizione aveva incluso praticamente tutti i quattrozampe del mondo, dal gigantesco alano, un molossoide rintronato di tenerezza, al pinscher, un cagnetto-ragno che viaggia nel taschino della giacca, e aveva fatto precedere la retata da una specie di 11 settembre di terroristi pitbull. Il cane che, negli USA del tenerone likudnik Rumsfeld, viene in molte cliniche impiegato tra disabili e bambini autisticizzati dalla democrazia americana, per confortarli e aiutarli a ritrovare un rapporto migliore di quello con Terminator, qui, per un po’ di giorni, spuntava da ogni dove a sbranare bimbetti e vecchietti, peggio dei comunisti. Da socievole compagno di branco ridotto, da addestratori alla Condoleezza Rice, a serial-killer tipo Marine.

Naturalmente l’idea non era stata del medicuzzo fatto ministro. In questo paese non si muove foglia che l’omino fardato di Palazzo Chigi non voglia. Un po’ perché, per mantenere l’omogeneità della cosca,  anche al ministro della Sanità toccava far fare qualche puttanata di portata europea, un po’ perché quel nome stridente, Sirchia, evocava strette di ceppi, catene e manette, la scelta era caduta, contro le rimostranze di un Pisanu, ministro di polizie bolzanetane, inviperito dall’invidia, e di un altrettanto rancoroso Castelli, del dicastero della caccia al giudice, proprio sul titolare del ministero più popolare tra gli italiani. Che, dopotutto, si era già messo in vista quando, spaventato dai glutei del corifeo Giuliano Ferrara, aveva raccomandato ai ristoratori di dimezzare le porzioni per ridurre il sovrappeso degli avventori. “Se quel cerusico di Sirchia è stato capace, con un colpo solo, di prospettare un felice futuro di anoressici ai mangioni”, s’era detto lo stratega di Palazzo Chigi, “ e di conquistare al mio progettino P2 la cospicua categoria degli osti, figurarsi se non riesce a catturare altre, massicce armate di elettori.

Fu così che che Sirchia appiccò la stella gialla dell’anatema etnico su una novantina di razze canine, con il risultato di commuovere e gratificare  un altro, vasto spicchio dell’italiota comunità. Quello, di famiglia, delle assicurazioni da firmare per le catastrofi provocate dalle zanne del  Pastore Tedesco quando, estraendo l’innevato dalla slavina, gli lacera la tuta Champion. Quello, già assai contiguo, dei malviventi, camorristi o liberi professionisti, che gestiscono i paradisi canini, dove affettuosi e responsabili padroni infilano i loro cani per sottrarli al dramma del pubblico vituperio e destinarli a frantumatori di animali a fini scientifici; o a organizzatori di  eventi di sportivo sbranamento, sostegno formidabile all’economia tremontina, grazie a robuste iniezioni di denaro nella bisca del biscazziere di Stato. A queste schiere, garanti di successo alle prossime elezioni (se allo sdoganatore del duce gli girerà di farle), ne andava aggiunta poi un’altra: quella dei bonificatori di una natura arrogantemente dilagante e invadente, attraverso lo sfoltimento di un’ insopportabile esplosione demografica animale, che aveva portato le volpi a grufolare nei nostri cassonetti,  i caprioli a transumare dai fiumi rinsecchiti ai nostri limpidi scarichi agricoli e i falchi pellegrini a migrare attraverso lo Stretto di Messina nascosti tra i somali e gli eritrei delle carrette. Imperitura fu infatti la gratitudine dei cacciatori per essere stati i loro segugi esentati dal rastrellamento, a conferma di una benevolenza già espressa con l’allargamento di spazi e tempi della sparatoria da capodanno a capodanno e dallo Stelvio a Villa Borghese.

Infine, c’è il valore aggiunto “paura”, di questa sarchiata. Lo stesso che si vuole ottenere da tutte le campagne governativo-mediatiche di terrorismo psicologico attuate in questi anni di progressiva democratizzazione della nostra società e delle sue gerarchie politico-istituzionali: terroristi Al Qaida in ogni moschea, dietro a ogni banchetto di occhiali, sotto ogni pelle appena meno larvesca di quella di noialtri, bianchi cristiani ariani; pedofili davanti a ogni asilo-nido, matricidi e infanticidi in ogni condominio, spacciatori davanti a ogni scuola; Aids in ogni scopata.

Correttamente, dai compilatori della Bibbia in giù, si sa che le turbolenze eversive dei popoli e degli individui si riescono a tenere a bada solo con una sana paura del prossimo e con un disciplinato senso di colpa in ognuno. 

 

 

NANDO CURZIATO

 Quello che non sapete è che il sirchiatore aveva collocato in fondo alla lista, un po’ mimetizzato tra il placido Bovaro dell’Appenzell e lo Schnauzerino Nano, un cane eversivo già per la sola conformazione anatomica: il bassotto. Mica il bassotto a pelo raso, o a pelo lungo. Solo il bassotto a pelo ruvido. E quanti bassotti a pelo ruvido sfilano rasoterra per questo paese? Tre, quattro, forse dieci. Ma uno appartiene a Bruno Trentin, inoffensivo quanto il suo padrone sindacalista. Altri due o tre vivono, ulteriormente appiattiti, sotto la mole di Maurizio Costanzo. Il quale garantisce supporto a tutti: da Rutelli a D’Alema, da Berlusconi a tutti gli altri fratellini della loggia. Altri sono sudtirolesi e rincorrono piccioni a Bressanone, e, essendo tedeschi, non gliene fregava niente. Ne rimaneva solo uno, imperativo per la lista, politically scorrettissimo, ringhioso con le “persone bene” e, quindi, con ogni genere di caporali, ma affabile con gli scrausi, le donne perdute, i randagi di Bagdad. Era il bassotto Nando.

All’inserzione di Nando nell’elenco dei multandi, assicurandi, carcerandi, vivisezionandi,  non aveva obiettato neppure Bertinotti. Ma a Sirchia è andata male. Qualcuno lo aveva preceduto. Il bersaglio era già stato centrato.  Ci aveva pensato, in seguito a un fischio dal piano di sopra, la direzione del giornale al quale, assistito e interpretato da chi scrive, Nando collaborava, insieme al sottoscritto, da cinque anni sotto il titolo “Mondocane”. Oh, quanti erano i peccati, le deviazioni, le insubordinazioni che gli erano stati inutilmente rimbrottati nel corso di centinaia di puntate. Al saggio motto della filosofia del “né-né” (né con la Nato, né con Milosevic),  nipotino del celebre “né con lo Stato, né con le BR” (che irresponsabili dietrologhi avevano mutato in “Non con le BR dello Stato”), la coppia quadru-bipede aveva osato sostituire l’imbarazzante “O con la Nato, o con Milosevic”. All’assennato slogan pacifista di “Due popoli, due Stati”, da realizzarsi nonviolentemente con il dialogo tra chi sparava ad alzo zero contro tutti i 4 milioni di palestinesi e chi rispondeva lanciando contro tankoni Merkava i calcinacci delle proprie case polverizzate dagli Apache, avevano aggiunto l’integralista, militarista, nazionalista, maschilista “Intifada fino alla vittoria”. Avevano preteso di recuperarlo da un polveroso cartiglio dell’originaria ONU, che, in tempi militaristi, maschilisti e nazionalisti, aveva sancito il diritto alla lotta di liberazione con ogni mezzo.

Riferendo dall’Iraq maciullato dalle bombe, annegato nel sangue, nella fame, nell’uranio e nei diritti umani di Bush, il duo aveva osato trascurare di ripetere la filastrocca, dell’Office of Strategic Influence di Rumsfeld e della sua eco CNN, sui milioni di oppositori smembrati da Saddam Hussein e arrostiti allo spiedo dai figli Uday e Qusay. Ma l’abisso della depravazione politica, l’offesa suprema alla legge di Mosè e di Amnesty International sui diritti umani, l’avevano perpetrati su Cuba, l’isoletta inspiegabilmente renitente al rientro nella  Grande Democrazia USA (onorificenza concessa da D’Alema) sotto un presidente Batista scongelato. Un regime che si rifiutava ai paterni ammonimenti dinamitardi e biologici di Washington, alla messa in circolazione di partiti e personaggi che null’altro volevano se non salvare il popolo cubano, affidando l’istruzione alla Moratti, la sanità alle assicurazioni USA, le infrastrutture ai croati di Mostar, la giustizia al comandante di Guantanamo, l’esercito al generale Schwarzkopf, il tempo libero a Lucky Luciano (che già se ne occupò negli anni ’40 e ’50, rutilanti di case da gioco e piacere) e l’ambiente, ovviamente, al piccolo Bush, chi meglio di lui? Generosi oppositori, dissidenti, minoranze, scontati alcuni anni di strumentale carcere per sacrosanti espropri borghesi, dopo aver dirottato a Miami, con armato coraggio, dal gulag cubano ben tre aerei pieni di gente (che i nordamericani correttamente si tennero a indennizzo di gentiluomini cui erano stati sottratti allegri casini e casinò), avevano utilizzato le donazioni di tali gentiluomini e del governo USA per portare, pistole puntate, una nave con 40 persone in un mare forza 4 e avevano preparato un’altra ventina di salvataggi del genere. Altri, sostenuti da una cinquantina di milioni di dollari passati dal National Endowment For Democracy (vetrina CIA che già aveva prodotto in provetta “Otpor”, l’organizzazione anti-Milosevic amica dei Disobbedienti), avevano diffuso nel mondo, via radio e passaparola, la verità su 10 milioni di cubani moribondi di inedia, su Fidel affetto da delirium tremens, sui famosi oculisti cubani che non trapiantavano occhi, ma retrovirus. Allora, proprio mentre Bush e Condoleezza stavano suggerendo a Osama Bin Laden di travestirsi da Che Guevara e buttare giù il Golden Gate (per poi far costruire a Lunardi un ponte ad arcata unica di 27 chilometri sulla falda di San Diego), magistrati cubani, maramaldi e comunisti, incarcerarono quei vessilliferi dei diritti umani e ne giustiziarono tre.

Noi due esprimemmo dissenso per quest’ultimo provvedimento, ma poi peccammo di cattivo gusto: manifestammo meraviglia perché sulla simultanea impiccagione di ben 10 dissidenti nella solare monarcodemocrazia del Marocco, come sulle 2500 esecuzioni extragiudiziali di minoranze nell’Unica Democrazia del Medio Oriente, non si fosse sollevato un analogo tornado di sdegno. E poi eccedemmo proprio: definimmo quei probi e incorrotti dissidenti cubani niente meno che terroristi!  Quasi quasi fossero comparabili a quegli sciagurati fondamentalisti del terrore che, in Iraq, non si peritano di mandare a casa in sacchi di plastica nera  poveri giovani chicanos o afroamericani venuti a liberare, in cambio di un semplice certificato di cittadinanza, o di un biglietto d’ingresso al college e al pronto soccorso, quel paese immaturo e selvaggio indipendente e sovrano da appena quarant’anni. Un vero obbrobrio.

Pagammo l’inqualificabile insolenza con la cacciata da “Liberazione” e da “Mondocane”. Magari ci venne negato un pizzico di articolo 18, giusta causa, o un frammento di articolo 21, libertà d’espressione, ma quelli erano stati giustamente  consumati per colleghi più meritevoli, come Biagi e Santoro. A Nando rimane la soddisfazione di essere stato annichilito da compagni. Mica da Sirchia.

Del resto, il compagno Curzi non era nuovo alle reprimende ai bassotti a pelo ruvido. Troppo ruvidi, appunto, per le vellutate delicatezze della comunicazione, in una società di persone chic che si frequentano e si rispettano. Una rubrica al TG3 del predecessore di Nando, il noto superbassottone Rambo, dal caratteraccio smanierato e impertinente, pari all’irriverente sarcasmo del suo nome, era stata liquidata quando la conduttrice del contenitore, tale Donatella Raffai, s’era lamentata che le crude immagini sparate da Rambo sulle disgrazie dei contadini senegalesi prosciugati dalla desertificazione, o sulle orripilanti deformazioni di bambini iracheni curati dagli USA, nuocevano al rassicurante positivismo dell’insieme. La rubrica, per la verità, rinacque sotto altro nome, “Vivere!”,e con altro bassotto (i critici di Rambo avevano avuto soddisfazione da due pecorai che l’avevano ammazzato a calci)), solo per essere di nuovo accartocciata e buttata via dal nuovo direttore, Lucia Annunziata, poi presidente “di garanzia” della RAI. Resta memorabile la garante Lucia, anche perchè al sottoscritto, in partenza per l’Iraq, ebbe l’accortezza professionale di ingiungere: “Vai pure, portami immagini dell’ambiente, dell’archeologia, dei babilonesi, della nonna di Mohammed che raccoglie datteri, tutto. Ma guai a te se mi fai vedere una sola immagine di bambini iracheni moribondi da embargo, o mostrizzati dall’uranio: mica vogliamo criminalizzare l’Occidente e fare un favore a quel mascalzone di Saddam!”

Poco dopo Nando e chi scrive ce ne andammo da TG3 e Rai. Era il 24 marzo 1999, prime  bombe Rai-assistite su Belgrado. Andamo li


SADDAM TROTZKIZZATO

Potrà scampare ai rastrellamenti dei marines, allenati a sfondare case, infilare mitragliatori tra gli occhi di padrifamiglia, bendare e scagliare per terra chi abbia meno di 82 anni, deportare e far sparire in campi di concentramento bambini con mazze travestite da mandolini e impiegati delle poste di regime con il timbro del dittatore nel cassetto, sventagliare raffiche contro assembramenti di senza lira, senzatetto e senza lavoro, potrà risollevarsi dalle immagini di due figli e un nipotino sfondati da cannoni ed elicotteri e a cui poi hanno cambiato i connotati coi calci dei fucili, ma alla fiera e rigorosa coerenza delle certezze trotzkiste e alla fedeltà dei giornalisti di sinistra all’informazione professionale e super partes di Ansa e CNN no, a quella Saddam non sfuggirà mai.

Scrivono i lontanissimi epigoni del profeta della Quarta Internazionale: “Il regime iracheno è senza dubbio un regime oppressivo. Opprime i kurdi e gli iracheni. E’ giunto al potere con la benedizione degli USA che consegnarono a Saddam una lista di 5000 comunisti da assassinare. Ha ricevuto l’appoggio degli USA per una terribile guerra contro l’Iran costata la vita a milioni di persone”. Sacrosanto. Lapidario. Confortato da annose ricerche sul campo, prove e controprove. Una barriera d’acciaio, come il famoso treno, contro mistificazioni e strumentalizzazioni uscite dai tenebrosi recessi di subdoli provocatori che si adoperano con indefessa improntitudine per smentire quello che la Grande Informazione ha verificato e sancito una volta per tutte. Figuratevi, c’è chi velenosamente vi squaderna un elenco di 190 paesi, o giù di lì, del mondo, lasciandovi basiti davanti alla domanda di quanti di questi non opprimono il proprio popolo. E poi vi chiedono come mai questo regime abbia potuto reggere senza scosse – salvo le secessioni tentate da minoranze motivate dalle Grandi Democrazie, come i croati o gli UCK del Kossovo, impediti da Milosevic in quel narcotraffico che inondava di eroina l’Europa e di benessere i clan albanesi – fin dalla rivoluzione del 1968.

E sempre più subdoli, i falsari vi forniscono elementi del tutto ignoti e ovviamente inventati, come l’uscita in tempi sbalorditivi dal sottosviluppo coloniale verso una sanità  e un’istruzione di altissimo livello gratis per tutti, la casa per tutti, abbienti e non abbienti, la piena occupazione, un’esplosione culturale senza confronti nel mondo arabo. E a queste manipolazioni del consenso osano attribuire la definizione di “diritti umani”. Aggiungono che, avendo avuto in consegna dal governo armi da tenere in casa, sei milioni di iracheni avrebbero pur potuto insorgere contro un regime talmente oppressivo. Bravi, e i seviziatori Uday e Qusay  dove li mettete? Quell’ Uday che per far giocar bene la sua squadra di calcio puniva ogni passaggio sbagliato con venticinque scudisciate, il cattivo gioco con un mese di carcere duro e una sconfitta con sprangate sotto la palma dei piedi (ci sono giornalisti seri che avevano visto arrancare i giocatori di Uday in campionato, con  lividi sui polpacci, brani di pelle strappati dalla nuca, palle di ferro ai piedi).

“Opprime kurdi e sciti”. E qui, quei disinformatori, sabotatori dei diritti umani, fantasticano di una piena autonomia concessa  nel 1972 dal governo ai kurdi, con capitale a Irbil, università kurda a Sulemanieh, parificazione del curdo con l’arabo come lingua ufficiale, partecipazione alla coalizione di governo nazionale. E la rivolta kurda del 1975 e poi del 1991? Inventano di sana pianta che si è trattato di un paio di tribù, al soldo di due signori feudali al arruolati della CIA, Barzani e Talabani, poi inseriti  nel “governo” nominato dal proconsole USA Paul Bremer, narcotrafficanti istigati da Kissinger per destabilizzare un paese che aveva cacciato le multinazionali angloamericane del petrolio  e si ostinava a sostenere i palestinesi.

Il bagno di sangue dei comunisti iracheni viene stravolto in modo indicente: diffondono bufale come quella che i comunisti, insieme ai democratici curdi, sarebbero stati al governo col Partito Baath di Saddam dal giorno della rivoluzione e fino al 1979. Che la coalizione si ruppe quando la mummia di Mosca, Brezhnev, più attento al rumoreggiare ai suoi confini dell’oceano religioso di Khomeini, che al vecchio trattato di amicizia e mutua difesa tra URSS e Iraq, ordinò al PC iracheno di schierarsi con l’Iran e, ai suoi quadri, di andare addirittura a combattere nelle file dei Pasdaran. Di questi, affermano, ne vennero poi catturati parecchi, processati per alto tradimento e, 127 ne furono giustiziati, altro che i “5000 comunisti trucidati su ordine e elenco degli USA”. “Liberazione”, che dalla Quarta esistente riceve preziosi input di analisi storica, e altre pubblicazioni, come quelle della Quarta futuribile, concorda con “Il Giornale” e l’autorevole “Washington Post”, come con tutto il resto consolidato dell’informazione di prestigio, che Saddam fu, al di là di ogni dubbio, “uomo degli americani”, politicamente e militarmente sostenuto da questi nella “terribile guerra contro l’Iraq”. Anche questo consolidato fatto viene messo in dubbio, addirittura da traviati, indebitamente autorevoli, storici e intellettuali americani ed europei. Costoro sventolano atti del Congresso, con ogni probabilità fabbricati, in cui si stanziavano, dal 1981 al 1988, armi e dollari per il regime iraniano e rievocano quel nebuloso affare dell’Iran-Contras per cui Israele, oltre a fornire istruttori e piloti a Khomeini, allo stesso vendeva armi con il cui ricavato Washington finanziava segretamente i contras del Nicaragua. Citano anche un Kissinger, chiaramente apocrifo, che avrebbe dichiarato: “Noi vogliamo che queste due potenze regionali, minacciose per Israele, si dissanguino a vicenda” . Frugando in una storiografia manifestamente tendenziosa, affermano che fu Khomeini a lanciare l’espansionismo islamico contro uno Stato laico, annullando il trattato sui confini concluso con lo Shah, minacciando Bagdad di chiudergli lo stretto di Hormuz, vitale per l’export-import iracheno e allestendo infiltrazioni armate lungo i confini con il Kurdistan. Gonfiano, al di là delle sue dimensioni di controllo della proliferazione atomica, il bombardamento che Israele, alleato numero uno degli USA, fece nel 1981 sul reattore nucleare civile iracheno,“Osirak”.  Quanto all’”uomo degli americani”, ribaltano eventi fin troppo noti, costruendo un Saddam “coerentemente antimperialista” per aver nazionalizzato il petrolio, radunato nel Fronte del Rifiuto contro Israele e USA quasi tutti i paesi arabi dopo la pace-resa dell’Egitto con Israele, aver resistito alle bombe e agli embarghi per 13 anni, offerto alla causa palestinese più caduti di tutti gli altri paesi arabi. Infine, hanno la faccia tosta di rovesciare la versione, universalmente accettata e ribadita anche da Colin Powell, dei Kurdi gassati dalle armi chimiche di Saddam ad Halabja. Vorrebbero farci credere  che tutti i giornali e tutti i rapporti dei servizi segreti che riferirono l’episodio nel 1988, quando accadde, ne attribuirono la responsabilità agli iraniani. Citano addirittura un giornale squalificato come il “New York Times”, del 31 gennaio 2003, con un articolo dell’oscuro impiegatuccio della CIA, Stephen Pellettier, capoufficio analisi della CIA per il conflitto Iraq-Iran e cattedratico della Scuola di Guerra USA. Un articolo, farcito di documenti di vari servizi d’intelligence, secondo cui quella volta ci fu una battaglia tra iraniani e iracheni e i primi lanciarono dei gas addosso ai nemici, gas che, per capriccio del vento – e non per perfidia di Saddam – finirono su Halabja. E che questo risulterebbe anche dal fatto che quel gas era nervino, in dotazione all’Iran, ma mai posseduto dagli iracheni.

 

Ma cosa vogliono costoro? Minare alla base quella scientifica “costruzione del nemico” alla quale tante agenzie di esperti, tanti governi di provata fede democratica, hanno lavorato e che ha messo l’opinione pubblica di tutto il mondo nella rassicurante condizione di sapere dove sta il bene e dove il male e quindi come sistemare la propria coscienza? Dalla parte giusta, nel migliore dei casi, o, quanto meno, nel mezzo? Correttamente, gli operatori dell’informazione e gli ideologi, vuoi della Disobbedienza, vuoi della rivoluzione proletaria mondiale tout court, ribadiscono la collaudata, in Jugoslavia, posizione del né-né. “Per sconfiggere l’imperialismo statunitense è necessaria una direzione rivoluzionaria (per gli uni, l’export dei diritti civili per gli altri) in grado di mobilitare le masse proletarie del Medio Oriente. “In Iraq i rivoluzionari saranno i migliori soldati dell’esercito  (“terroristi” per gli altri) senza per questo offrire alcun appoggio politico al (passato) regime”. Non si poteva dire meglio, anche alla luce dell’infelice alleanza borghesia nazionale-ceti popolari che, sì, cacciò da quasi tutto il mondo arabo i colonialisti e assicurò decenni di progresso sociale e culturale, ma poi non seppe opporsi né agli embarghi genocidi, né ai bombardamenti a tappeto, né alle operazioni di sicurezza di Sharon. Dunque, fuori dalle palle questi nazionalpopulisti, queste intellighenzie nazionalborghesi e vai verso il sole dell’avvenire con la sola grande e consapevole forza di operai e contadini. 

 WTO LIBERATO   

“Cancun, buttate via il WTO” (Liberazione, 17/9/03). Completato il loro festoso cancan a Cancun, ahinoi offuscato dall’harakiri di un contadino Old Age, coloro che da Seattle in poi hanno intravisto un nuovo bacino elettorale in chi vorrebbe almeno uno strapuntino alla tavolata della globalizzazione umanizzata, hanno inneggiato alla morte dell’infame organismo ademocratico. I corifei di un movimento che, di colpo, si è scrollato di dosso il fastidioso onere di schierarsi contro la guerra al pur satanico regime di Saddam Hussein e a un popolo che si era cullato nell’illusione di aver conquistato, se non altro, la più avanzata emancipazione sociale dai tempi della rivoluzione cubana, i savi pentiti di una solidarietà un po’ acritica offerta ai palestinesi in via di estinzione, sono tornati a immergersi in un movimento che, quando era parso in crisi di idee, progetti e forum sociali, era stato rapidamente rimpiazzato dal ritorno all’abbraccio con il Grande Stratega. Con quel D’Alema che aveva saputo restituire, a forza di salutari bombe all’uranio e di umanitari spargimenti chimici, a una Jugoslavia, artificialmente costretta in un’innaturale unità dai comunisti Tito e Milosevic, la sua naturale mosaicità di piccoli e intimi statarelli etnicamente lindi; che aveva invano inciuciato con lungimirante dedizione la coesione della nazione intorno all’incontro con il Silvio redento da mafia e P2; che aveva celebrato il pacificante concordato Stato-Opus Dei; che aveva cantato l’inno di Mameli alla partenza delle tradotte degli italici liberatori dell’Afghanistan; e che, contorcendosi di rimpianti nelle sue notti insonni, aveva sofferto l’inconsulto rifiuto dei suoi sodali all’analoga partenza per l’Iraq. 

Tornando al cancan di Cancun, restava nei trionfatori un’ombra di amarezza. Quei poveri paesi del Terzo Mondo, guidati da Brasile, India, Cina, Sudafrica e che in men che non si dica erano cresciuti da 21 a quasi 30, non solo volevano sottrarre l’alloro dei vincitori alle sognanti moltitudini dei cortei, vantando di essere riusciti, per la prima volta, a mandare al diavolo le pretese colonialiste dei falsi globalizzatori e veri protezionisti e a sconvolgere gli antichi rapporti di forza,  ma addirittura ritenevano che l’Organizzazione Mondiale del Commercio poteva , in tal modo, prospettarsi un futuro di sempre più vigorosa difesa dei diritti e delle istanze dei deboli. Pensavano, quegli inesperti brasiliani e cinesi, che la morte del WTO corrispondeva piuttosto al neanche tanto tacito desiderio degli USA. Si illudevano che, a Seattle, Bill Clinton non si era dileguato appena dopo mezza giornata di casino perché terrorizzato dalle corazze in gommapiuma dei Disobbedienti, bensì perché non vedeva l’ora proprio di farla finita con quell’organismo in cui dei parvenu di giungle e deserti – pur indubbiamente incoraggiati dal rumoreggiare della “società civile” – si facevano schieramento in grado di democraticamente bloccare la marcia USA alla regolazione unilaterale dei rapporti commerciali mondiali.

Si illudevano ancor di più, a Cancan, che sarebbero stati la catastrofe politico-militare inflitta dagli iracheni ai likudnik di Washington, la rissosa inquietudine di 300 milioni di arabi contro la pacificazione di Sharon, il ribellismo chauvinista di Hugo Chavez e della sua rivoluzione indio-marxista, le contraddizioni aperte dall’insubordinazione di rinnegati dell’Impero pacificato, come Russia, Germania, Francia, a creare il clima per tirare giù a trequarti le braghe di USA e UE. Insomma, da inguaribili dietrologhi, questi rappresentanti di appena metà della popolazione mondiale, avevano sospettato che a cancellare il WTO non si sarebbe che fatto un favore agli USA. USA che, da tempo, ne vaticinavano la sostituzione con accordi bilaterali o multilaterali tipo Nafta, Alca, Plan Puebla Panama, Area di Libero Scambio del Nord Africa e simili. Passando disinvoltamente sopra green rooms e altre carenze ademocratiche dell’organismo dei “Potenti della Terra “, concludevano che per il Benin sarebbe stato meglio confrontarsi con costoro in alleanza con tutti gli altri deboli della Terra, piuttosto che lasciare a USA e relative multinazionali il vantaggio di un rapporto Exxon-Benin Oil Company, sorvolato da B-52 e F-16 a stelle e striscie.

Un  oscuro e confuso rappresentante delle isole Caiman  aveva poi avuto l’ingratitudine di chiedere agli assalitori delle barriere metalliche di Cancun perché mai si astenessero sistematicamente dall’ assediare altri convegni di organismi ademocratici dei “Potenti della Terra”, come l’FMI, la Banca Mondiale, o perfino la Nato. Pronta e brillante è stata la risposta di un Disobbediente padano: “Ma va’ in mona!” Meno appassionato, un suo amico spiegava in modo sobrio: “Devi capire, amico contadino, che mentre nel WTO ci siamo tutti, l’FMI e la Banca Mondiale e anche sostanzialmente la Nato sono governati dagli Stati Uniti e a noi ci piace confrontarci con i “potenti del mondo”, non con i soli USA. Sono gli USA che nominano tutti i dirigenti del FMI, della BM e della Nato, non ci sono confusi pasticci assembleari, tutto è molto chiaro e si sa chi comanda. Vedi, noi crediamo che piccolo è bello, siamo per la democrazia municipale, quella sì che è a partecipazione democratica, mica lo Stato, con i suoi tentacoli pubblici e i suoi boiardi. Gli americani dicono “meno Stato e più privato”, noi diciamo “meno Stato e più municipio”. In fondo non siamo mica tanto lontani. Guarda come gli USA s’ impegnano a dare vita e vitalità alle identità, alle comunità, al piccolo. Quell’assembramento disordinato di contrari che era la Jugoslavia, l’hanno suddiviso in tanti piccoli paesini: Croazia, Slovenia, Bosnia di qua e  Bosnia di là, Kosovo, ora ci lavorano in Macedonia. E i popoli buttati tutti in un unico calderone dall’Unione Sovietica, vedi come li aiutano a ritrovare la loro identità e autodeterminazione, a partire dalla Cecenia. L’Iraq sarà presto restituito alle sue componenti, ognuna libera sul suo territorio ancestrale: sciti, sunniti, kurdi, turcomanni, assiri. E’ dal piccolo che possiamo partire per realizzare quella grande evoluzione del capitalismo che è la democrazia partecipativa. Non conosci i fratelli di Attac?  Vedrai come ti sistemano questa globalizzazione liberista quando realizzeranno la democrazia partecipativa: il 17%, o anche solo il 12%, o quanto meno il 6% del bilancio municipale viene fatto discutere dalle moltitudini. Litigheranno fra loro, ma intanto si evita il rapporto corruttore con l’autorità. Poi il governante decide lui, ma intanto sarà stato illuminato da quelli che, nella fraterna dialettica tra i governati, avranno avuto il sopravvento. No, no, basta Stato. Con i nostri compagni zapatisti di Ya Basta lo abbiamo anche fatto capire a quei palestinesi che si ostinano a volere ancora quella struttura arcaica e antidemocratica”. Disse e si guardò attorno: il coltivatore delle Caiman era tornato alla sua inutile battaglia nelle aule del WTO…

 

L’11 SETTEMBRE RESTAURATO

Non ce n’è stato uno, tra i diecimila giornali e giornaletti, telegiornali e telegiornalini, radio e radioline che, nel nuovo anniversario dello scoppio delle Torri Gemelle a New York e del Pentagono a Washington, si sia fatto trascinare nel pantano complottaro delle leggende metropolitane su quello che sarebbe davvero accaduto l’11 settembre 2001. Segno edificante della maturità e serietà professionale della nostra informazione. Per la verità, uno c’è stato, “Il Manifesto”, che nella ricorrenza aveva ceduto alla tentazione di riportare alcune delle fantasie rigurgitate da quella genia di miscredenti che sono i dietrologhi. Sembra che non abbiano altro da fare. Perfino “Liberazione” si era astenuta dall’offendere il ricordo e il rimpianto dei sopravvissuti, dei congiunti, dei governanti di Washington e loro indefettibili amici nel mondo, omettendo ogni dubbio su ciò che le meticolose indagini, le coscienziose inchieste ufficiali, le ricerche di agenzie al di sopra di ogni sospetto, come FBI e CIA, avevano acclarato in due anni di faticose analisi, esami di impronte, ritrovamenti di passaporti, testimonianze di funzionari del Pentagono, documentate rivelazioni di Cheney, Rumsfeld, Condoleeza Rice e Bush.

Aveva espresso, sì, forti riserve sulla figura del presidente USA, ma altrettante ne aveva espresse sul suo nemico mortale – per quanto ventennale socio d’affari, ma business è business, che c’entra -  Osama Bin Laden e sulla rete mondiale di terrorismo  che, grufolando nelle caverne di Tora Bora, andava promettendo sfracelli chimici, biologici e nucleari per ogni dove della cristianità. Quando si concorda sul carattere terroristico di uomini e donne-bomba palestinesi, come non concordare con Bush sulla minaccia più minaccia di tutte: il terrorismo islamico, con tanto di appendice locale BR. Lo esige, tra l’altro, la “società civile”, che è o non è la nostra stella polare, il faro di ogni nostra strategia?

E’ vero che da oltreatlantico e, in misura minore da Germania, Francia, Regno Unito, Canada, arrivavano slavine di cosiddetta controinformazione, gente che vantava di aver visto i documenti di Stato americani, di aver ascoltato testimoni ignorati, di aver fatto congetture sul cui prodest. Fantasie:  anche se l’11/9 non fosse avvenuto, sicuramente gli USA sarebbero partiti a riportare al più presto la democrazia e i liberi scambi su tutte le catene  montuose vicino alla Cina e alla Russia, dall’Afghanistan delle recuperate coltivazioni d’oppio, ai paesi oppressi del Caucaso gassifero e petrolifero, e poi attorno ai pozzi petroliferi e ai regimi atei o teocratici (Israele esclusa) del Medio Oriente.

L’elenco delle bufale dei fanatici della cospirazione è estenuante. Ne citiamo, a integrazione dello spericolato Manifesto, qualcuna particolarmente surreale, posta sotto forma di interrogativo provocatorio cui, correttamente, tanto le istanze investigatrici USA quanto la stampa italiana non ha ritenuto di dover rispondere. Come mai, per oltre un’ora e mezzo in cui quattro aerei dirottati violavano gli spazi aerei più difesi e sensibili del mondo, non si è levato da basi vicine nessuno dei caccia predisposti a decollare in due minuti e mezzo e intercettare nel giro di 8 minuti perfino un parapendio trasgressore? Come mai due caccia sono partiti dalla lontanissima Virginia, ma hanno volato a un terzo della velocità possibile, arrivando sul posto a macello compiuto? Come mai il buco nel Pentagono, fatto da un Boeing 757, largo 39 metri e alto 12, era largo cinque metri e mezzo e neanche un frammento di metallo o carne umana è stato mai visto sul prato antistante? Dove sono finite le quattro indistruttibili scatole nere? Dove sono le immagini dei 19 dirottatori, registrate da telecamere poste a ogni angolo degli aeroporti USA? Come mai sette dei dirottatori sono ricomparsi sani e salvi nei loro paesi? Come mai le torri gemelle sono implose su se stesse, come avviene solo quando nei punti strategici vengono applicate cariche esplosive? Che ne è delle testimonianze dei tanti che hanno sentito quei botti? Come mai i comandanti dell’aeronautica civile sono concordi nell’affermare che le acrobatiche manovre con cui, precipitando da altezze vertiginose tra le strade di Washington e New York, si sono colpiti, addirittura in virata, gli obiettivi, non avrebbero mai potuto essere compiute da sprovveduti che si erano addestrati sui Chessna (qualcosa di più di un deltaplano), ma neppure da piloti con 10.000 ore di volo?

Come mai il presidente Bush, pur avvertito del più grave attacco mai compiuto contro il suo paese, una, due volte, anziché mettersi al sicuro, chiamare i collaboratori e allestire la difesa, ha continuato per mezz’ora a raccontare liete tavolette ai bambini della scuola elementare Sarasota in Florida? Come mai il Pentagono, avvertito mezz’ora prima che qualcosa si stava dirigendo verso l’edificio, non ha mosso ciglio, né batterie automatiche di difesa piazzate tutt’intorno? Come mai speculatori diretti dalla “Bankers Trust” e da A.B.- Buzzy-Krongard, direttore operativo e numero tre della CIA, hanno fatto insider trading in borsa su azioni che poi sarebbero precipitate o salite (compagnie aeree, assicurazioni), nei sei giorni precedenti l’attacco? Chi ha intascato quei profitti? Come mai gli autori del PNAC – Project for a New American Century – che oggi reggono le fila a Washington, Condoleeza Rice in testa, un po’ prima degli attentati hanno formulato l’auspicio che, per smuovere l’opinione pubblica isolazionista e pacifista nordamericana, occorreva “un avvenimento traumatico come Pearl Harbour”? Perché sulla scrivania di Bush i piani per l’invasione di Afghanistan e Iraq, necessitata dagli attentati, erano pronti mesi prima dell’11/9? Come mai Osama Bin Laden, offerto dal Sudan agli USA nel 1997, era stato rifiutato con la raccomandazione di mandarlo in Afghanistan? Come mai Osama Bin Laden, in una clinica del Dubai, nell’agosto del 2001 era stato visitato dal capostazione CIA, ma era stato lasciato andare? Cosa ci dice l’annosa partnership delle famiglie Bush e Bin Laden in imprese petrolifere, di armamenti e farmaceutiche (produttrici, tra l’altro, del vaccino anti-antrace) come l’”Arbusto” e l’immenso conglomerato “Carlyle”? Come mai l’inchiesta ufficiale non risponde? Sono domande che adombrano ipotesi tanto assurde quanto provocatorie. Tanto che i più, tranne scienziati deviati e investigatori tendenziosi, non hanno ritenuto di rispondere, Washington per prima. Non ci si abbassa a simili livelli. Che, tra l’altro, vorrebbero confonderci nella nostra sacrosanta determinazione di combattere il terrorismo, Arafat, Hugo Chavez e Saddam Hussein. Che si stenda un velo pietoso su tanta aberrazione.

 E’ tutto. Restano solo i latrati di Nando, dal confino di Ventotene, dove è stato mandato in vacanza insieme a una comitiva di vacanzieri eritrei, kurdi e marocchini. 

 

 

 

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