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La "Battaglia
Mediatica" e il "caso Battistini"
MARCO SACCHETTI
Quello che è successo a
Francesco Battistini poteva accadere a chiunque, in molti altri
paesi del mondo dove vi siano in corso conflitti armati o conflitti
mediatici. Giornalisti (inviati di comodo o meno) fotografi, cameramen
o videomakers indipendenti, non protetti o garantiti da un'accreditazione
ufficiale tramite ambasciata, un visto temporaneo di lavoro, o di
"prensa extranjera in transito", che entrino "da turisti infiltrati" nel
territorio di nazioni particolarmente controllate, per motivi di guerra,
narcotraffico o terrorismo, sono potenzialmente soggetti a controlli
rigorosi, da parte delle autorità migratorie e di polizia.
Ormai dopo l'11 Settembre, quasi in nessuna parte del mondo si accettano
cittadini stranieri od "extracomunitari" a scatola chiusa.
Negli USA (dove sono severissimi) , come a Portorico, in Venezuela, in
Cecenia, come in Cina, in Libia, Irak, Afganistan, Palestina, Israele
come anche in Italia (se si è extracomunitari) così come ormai
dappertutto, nel clima imperante di "paranoia globale" che si respira.
Le autorità cubane hanno esercitato un diritto legittimo applicando
coerentemente le loro norme sull'immigrazione, nel rimpatriare Francesca
Caferri di Repubblica e Rocco Cotroneo del Corriere della Sera, come nel
"fermare" o "trattenere" temporaneamente per accertamenti, un cittadino
italiano (Battistini) sul cui passaporto siano apparsi visti degli Stati
Uniti (dato il suo lavoro abituale di inviato) o di paesi arabi, in un
momento in cui il paese sta combattendo una vera e propria
battaglia mediatica contro le manipolazioni e il terrorismo di stato
made in USA.
Arrivare all'Avana, "mascherato da turista", con lo scopo effettivo di
realizzare un reportage, in coincidenza di un'assemblea della
dissidenza, che nonostante tutti i punti di vista più libertari,
rappresenta una minoranza quasi clandestina rispetto all'estabilishment
di un potere
dominante basato sul 90% del consenso popolare, significa sfidare le
regole del gioco, ovvero tentare di "fare i furbi", in un contesto dove
tale atteggiamento non è consentito.
Il Corriere della Sera, come testata giornalistica non ha mai voluto né
pensato di tenere un corrispondente, né fisso, né saltuario, all'Avana;
così come il 90% dei quotidiani e dei canali televisivi italiani. Anzi,
come del resto ha fatto in molte occasioni La Repubblica (vedi gli
articoli faziosi e discriminanti di Omero Ciai), ha sempre ultimamente
cercato di attaccare, quando possibile, le posizioni del Governo di
Fidel Castro o di tacerne i meriti. Pertanto è logico che un proprio
inviato, piombato all'improvviso ed in incognito, a caccia di
"pubblicità negativa" sul paese che dovrebbe amichevolmente accoglierlo,
rischi di essere malvisto o considerato un "indesiderato ospite".
Anche in una discoteca o in un ristorante alla moda. "la direzione si
riserva di accettare o rifiutare la presenza di determinata clientela".
Figuriamoci in una Repubblica Socialista diffidente e intransigente come
Cuba.
Per quanto riguarda i risentimenti di Gianfranco Fini e lo ''Sdegno''
per il fermo espresso da Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera,
la posizione suona alquanto ipocrita, quanto dichiarare che.''Giungono
da Cuba notizie allarmanti per la libertà d'informazione'', come avrebbe
asserito il segretario generale della Federazione Nazionale della Stampa
Italiana, Paolo Serventi Longhi, sapendo benissimo che a Cuba la libertà
d'informazione non è mai stata assoluta (per ovvi motivi) ed è da sempre
filtrata e limitata, soprattutto per chi cerca di abusarne in maniera
superficiale, faziosa e scorretta, da mestierante dell'informazione in
cerca di facili sensazionalismi o che ami "pescare nel torbido" (e alla
fine viene "pescato").
Qualcuno si è forse preoccupato di riferire una corretta informazione
sul caso Posada Carriles ed Orlando Bosh, o sugli interventi dei leaders
politici latinoamericani nella giornata del 1°Maggio? Né tanto meno di
analizzare seriamente la politica monetaria o gli importanti accordi
commerciali stretti ultimamente tra Cuba, Venezuela, Argentina e Cina ed
il progressivo deterioramento degli affari ed accordi commerciali tra
gli imprenditori italiani presenti sull'Isola e il Governo di Cuba? A
qualcuno dei quotidiani italiani interessa più di tanto approfondire le
vere motivazioni e dinamiche perverse del terrorismo cubano-americano
per cui ha perso la vita nell'attentato del '97 all'Avana Fabio Di
Celmo? Eppure era un nostro giovane connazionale e suo padre Giustino è
qui, appoggiando la "Batalla de Ideas".
C'è qualche quotidiano italiano che in questi ultimi 10anni si sia
finora mai preoccupato di realizzare un'inchiesta approfondita sul
"fenomeno demografico" delle migliaia di famiglie miste italo-cubane
senza scadere nella banale, scontata storiella del turista con la
"jinetera" o nel
falso moralismo di denuncia voyeristica del turismo sessuale?
E allora, perché fanno tanto e solo gola i "disidentes", se in fondo,
per la spietata e cinica logica dei grandi e piccoli numeri, Cuba e la
riunificazione del Continente Latino-Caribeno, ai nostri media non
interessa?
Da chi dipende il fatto che il Comandante en Jefe sia ancora convinto
che le truppe italiane ancora presenti in Iraq siano un "forza
invasora alleata dell'Impero USA" e non un corpo scelto di militari
professionisti, che si sacrificano in missione di pace e operano in quei
territori lacerati per proteggere (nei limiti del possibile) e portare
aiuto alle popolazioni civili, dilaniate dalle privazioni e dal
terrorismo? Non è forse prova d'incapacità delle nostre autorità
di relazionarsi correttamente?
''La decisione delle autorità di espellere numerosi giornalisti, tra cui
l'inviato del 'Corriere della Sera', Francesco Battistini, rappresenta
un ennesimo attacco alla libertà di espressione e al diritto-dovere di
informare esercitato dai giornalisti", continua il comunicato di Seventi
Longhi; ma ci permettiamo di osservare che negli ultimi mesi (e forse
anni) questo "diritto-dovere" la stampa italiana, anche quella di
sinistra, rispetto ad un paese complesso come Cuba, l'ha esercitato
molto poco.
Inoltre chi non simpatizza o non ha la voglia né il tempo d'instaurare
un livello dialettico adeguato, di "critica costruttiva", con questo
sistema (o "regime") non ha certo bisogno di venire personalmente a
verificare il livello di opposizione, o malcontento espresso dalla
"dissidenza", che risulta tuttora molto frammentata e ambigua nelle
proprie strategie programmatiche. Può farlo comodamente dal terminale
della propria redazione (senza andare allo sbaraglio per provocare il
"caso") e sul web troverà tutte le fonti "alternative" d'informazione,
utili per proporsi come "cassa di risonanza" di tale opposizione, senza
nemmeno la necessità di "mimetizzarsi".
La dichiarazione di Valerio Calzolaio (Ds-l'Ulivo) lascia ugualmente
dedurre un atteggiamento di "falso buonismo", viziato dalla
disinformazione e dall'ipocrisia quando asserisce che "A Cuba c'e'
assoluto bisogno che l'informazione si interessi alla seppur minima
dialettica politica in atto.
Il fermo del giornalista italiano non aiuta certo la possibilita' di
comprendere la complessa realta' di quel paese. Al contrario,
contribuisce a isolare Cuba dal contesto internazionale di quanti
hanno a cuore la democrazia''
A quest'affermazione si potrebbe rispondere invece che il "silenzio
stampa" di questi ultimi mesi, da parte dei media italiani e un
giornalismo "impigrito", ottuso e incapace di valutare il flusso di
cambiamenti socioeconomici che caratterizzano la società cubana del
terzo millennio, non favoriscono certo la solidarietà, il dialogo e la
comprensione della complessa realtà in movimento.
Una realtà dinamica in accelerazione sinergica, che vede di fatto Cuba
e il suo modello (senz'altro discutibile) di "democrazia
partecipativa", sempre meno isolato dal contesto internazionale, anzi
inserito in un processo di riunificazione, con (Venezuela, Argentina,
Brasile, Uruguay) e in espansione, con Cina, Paesi Arabi e con quella
stessa parte del Congresso Americano che ha sostenuto Kerry e lotta
contro la politica aggressiva e demenziale di G.W.Bush. Perché allora
non sforzarsi di analizzare e smascherare le false credenze di un
contesto internazionale dominato dalla "insicurezza informativa", che
non rispetta né garantisce veramente le preoccupazioni, i dubbi e le
speranze di quanti hanno a cuore davvero la democrazia?
A quanto Pare l'esito del primo «Congresso per la democrazia a Cuba»,
accompagnato da tanto ingiustificato clamore internazionale, si è
dimostrato inferiore alle aspettative; anzi ha evidenziato fatalmente la
frammentazione e le divisioni interne dei gruppi dell'opposizione
cubana. «È una provocazione» ed una «frode contro l'opposizione», è
stato il commento negativo del presidente del Movimiento Cristiano de
Liberacion Oswaldo Payà (leader del Proyecto Varela *), che nel suo
comunicato ha ribadito: «è pubblico che Martha Beatriz Roque Cabello
(l'economista leader della Apsc, Asamblea para promover la sociedad
civil, la piattaforma che ha convocato il Congresso*) ed i suoi aiutanti
sono coordinati da agenti della Seguridad del Estado e appoggiati dai
settori duri dell'esilio di Miami".
In realtà a sostenere e promuovere l'incontro, al quale non ha
partecipato una delegazione ufficiale della Unione Europea, è stato lo
"zoccolo duro" del senato nordamericano ed i settori più estremisti
della comunità cubana in Florida, compreso Alpha 66, un noto
gruppo terrorista anticastrista.
Anche Manuel Costa Morua dell'Arco progressista ed Eloy Gutierrez Menoyo,
presidente di Cambio cubano si sono dissociati dall'assemblea, che non
ha avuto la forza di riunire più di 200 persone. Mentre nello stesso
momento ce n'erano più di 200.000 riunite nella Tribuna Antimperialista
davanti a Fidel, ascoltando la lettura delle rivelazioni contenute nel
memoriale del Nobel Gabriel Garcia Marquez, sulla sua missione
diplomatica e di mediazione antiterroristica del '98, durante
l'amministrazione Clinton, di cui la "premurosa" stampa italiana non
ha voluto finora riportare la benché minima informazione.
D'altro canto, un'opposizione veramente autonoma, responsabile e in
buonafede, soprattutto in un momento di tensione e "guerra mediatica"
come questo, non avrebbe mai accettato di ricevere un videomessaggio di
saluto del presidente Bush, inviato attraverso un "lap-top" di James
Cason, l'«ambasciatore» della "Oficina de Interes" Usa all'Avana che da
anni si fa in quattro nel coordinare i dissidenti: «Continueremo a
fare pressioni fino a quando i cubani non avranno lo stesso
livello di libertà degli statunitensi», ha detto George W. Bush.
Per quanto riguarda Arnold Vaat, deputato Ue e membro dell'opposizione
cristiano democratica alla Camera bassa del parlamento tedesco, e il
deputato cecoslovacco, senatore Karel Schwarzenberg espulsi dal paese,
pare che "l'incidente diplomatico" abbia scatenato le ire dei ministri
degli Esteri, rispettivamente tedesco e ceco.
Se la sorte toccata a due eurodeputati polacchi, Bogulaw Sonik e Jacek
Protasiewcz, anch'essi del Ppe, bloccati martedì all'aeroporto Juan
Gualberto Gomez di Varadero, e quella del polacco Jerzy Jurecki, editore
e giornalista del Tygodnik Podhalanski, prelevato nel suo albergo da
agenti cubani e trasportato nel centro di detenzione vicino
all'aeroporto, ci fa riflettere ulteriormente sulle dinamiche di
"mimetizzazione e infiltrazione" e sulle metodologie reattive adottate
delle autorità rivoluzionarie.
Bisognerà capire nelle prossime settimana quanto questi "incidenti
diplomatici" verranno ridimensionati o alimenteranno invece il
"calderone dell'indignazione", giustificando pretestuosamente un
ripristino forzato di eventuali sanzioni europee contro Cuba.
La Habana 22\05\2005
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