100$ PER UN AMORE


2.MILANO
 

 

 

Milano era fredda quella mattina.

Il traffico caotico della tangenziale, era l'unica cosa rassicurante di quel giorno, uno come tanti altri: sveglia, caffè, lavoro, bollette da pagare, telefonino che squilla in continuazione. Inserii nello stereo la cassetta che avevo riportato da Cuba e subito una musica salsa riempì l'abitacolo. Nei mesi trascorsi, avevo pensato spesso a Fidelia e a quel mio primo viaggio nella patria del Caribe. Non ero riuscito a spedirle il pacco promessole in quanto, la convulsità della vita mi aveva ripreso e recluso nei suoi ingranaggi: non c'era tempo per gli acquisti. Avevo compensato a questa mia mancanza, sommergendola di telefonate e di lettere. Ma il sistema postale era lento ed io avevo ricevuto solo tre sue lettere, anche se mi avevo giurato di averne scritte molte di più. Mi aveva raccontato della nostalgia che provava per me, chiedendomi quando sarei tornato a Cuba. Mi aveva anche scritto di aver conosciuto altri turisti estremamente diversi da me. Durante lunghe conversazioni telefoniche mi chiedeva ripetutamente della mia vita, di cosa facevo quotidianamente cercando di conoscere  più dettagli possibili per potermi immaginare in vari momenti della mia giornata. Ma, oltre Fidelia, la cupa nostalgia pronosticata a Varadero da Pierluigi, aveva preso il sopravvento sin dal volo di ritorno in Italia. Ricordo di come, le lunghe ore sull'aereo non passassero mai. Avevo ascoltato i discorsi di qualche altro passeggero. Alcuni contenti della vacanza trascorsa stavano progettandone un'altra per poter riabbracciare le proprie fidanzate cubane, facendo -nel contempo- ragionamenti stereotipati, del tutto simili a quelli che facevo io. Noi single del volo Varadero-Milano, sembravamo fotocopie di turisti innamorati fatti in serie. Avevamo vissuto tutto allo stesso modo: la novia, la casa particular, il paladar, il carro particular, la cena a basa di aragosta e gamberoni, il solo del tropico sulla pelle...insomma emozioni del tutto differenti a quelle che ci accompagnavano abitualmente. Il nordista lo aveva detto.

Ed ora qui, stretto tra il sedile e la noia, a sognare spiagge infinite ed un amore non troppo originale.

Ma la voglia non diminuiva, anzi. Decisi che mi sarei meglio documentato su Cuba e, per questo, entrai in una grande libreria per scegliere tutti i volumi che parlavano di Cuba, della rivoluzione, di Guevara e Fidel. E mentre il tempo scorreva, mi ritrovavo a divorare testi di narrativa, politica, guide, romanzi, articoli di tutto ciò che era dedicato alla mia isola, diventando teoricamente, un discreto conoscitore della realtà cubana. Avevo iniziato minimamente a comprendere la storia di questa incredibile isola che, sin dal tempo degli indiani Tainos e Siboney, aveva combattuto una personale guerra a favore della sua indipendenza e libertà. Secoli e secoli di dominazione, seguiti parallelamente da resistenza ed orgoglio nazionale, si erano succeduti forgiando quella voglia di libertà e dignità che, atavicamente, si era incarnata nelle generazioni di cubani di ogni epoca. Certamente la rivoluzione socialista di Fidel, non era riuscita a forgiare l'uomo nuovo socialista ma, esplorando bene, vi erano tutte le giustificazioni per motivare l'evidente insuccesso: oltre quant'anni di embargo mondiale, l'imposizione da parte del fratello gigante sovietico della mono produzione agricola della canna da zucchero, la difficoltà di portare avanti il lungo e difficile passaggio fra l'economia capitalista e quella socialista, la continua tensione provocata da micro e macro  crisi diplomatiche soprattutto con gli Stati Uniti ed i suoi alleati. Nonostante tutto questo, la piccola isola a forma di coccodrillo, aveva tenuto testa al capitalismo mondiale anche dopo l'inizio del periodo speciale, quando cessarono di colpo gran parte degli aiuti forniti dall'Unione Sovietica. Ce n'era a sufficienza per capire la battaglia combattuta e vinta ogni giorno da undici milioni di cittadini dell'isola. Fidel non era poi quel mostro che tutti i media del mondo amavano descrivere: la dittatura era l'unica via per far durare, il più possibile, la coesione formatasi col suo popolo, anche se questo andava a discapito delle individuali libertà. Ma in questo ragionamento, spesso portato da me in cene conviviali tra amici e conoscenti, ero solo. Nessuno, neppure coloro che sapevo politicamente simpatizzanti a sinistra, aveva la piena coscienza della realtà che illustravo. Mi emarginavano di fatto, tacciandomi di essere a favore delle non libertà e che Fidel, oltre che essere un pazzo fuori dal tempo, curava solamente i suoi interessi di casta e censo. Durante le discussioni, il luogo comune che regnava era la sola idolatria per il "Che", vero uomo che, a detta di tutti, era scappato da Cuba non solo per liberare altri popoli repressi ma,in principal luogo, per sfuggire all'inizio della dittatura di Fidel. E mentre aleggiava questa "grande verità" sempre sbandierata dal comunista di turno, mi veniva in mente il fatto che anche la destra italiana, aveva iniziato a tessere lodi di ammirazione per il dottore Guevara Ernesto De La Serna, quasi a voler porre un diritto di prelazione sul prossimo e futuro domicilio politico della sua figura. Ero decisamente solo ma, forse, il mio era un isolamento che mi ero costruito attraverso il gioco del voler vedere solo quello che volevo. Forse, i miei amici, avevano ragione: Fidel era sempre stato un mostro disumano ammazza bambini. Forse, la sua, era una messa in scena di qualcosa tendente a coprire i suoi narcisismi ed egocentrici interessi. Non spettava certamente a me, pontificare e giudicare la storia di un regime e di  un popolo, ma ero certo delle mie idee e convinzioni. D'altra parte, non riuscivo più a comunicare i miei sentimenti per questa terra che mi aveva coinvolto al punto di farmi rifiutare qualsiasi precedente mia collocazione. Trovavo tutto avulso e senza costrutto: i miei interessi, il mio lavoro, gli amici. Nulla m'importava tranne che di Fidelia e di Cuba.

QUella sera stavo uscendo da un negozi del centro quanto una voce gridò "Ehi! Cubano!". Era Pierluigi, il nordista. Abbronzato come sempre, dinamico nel portamento e nell'indossare un abbigliamento casual. S'avvicinò con un grosso sorriso stampato sulla faccia. "Chi si vede..."esclami con vero stupore. Era l'unica persona che in quel momento, potevo accettare, sicuro del fatto che lui poteva comprendere i miei sentimenti e le mie sensazioni.

"Da quanto tempo, eh!?" rimarcò mentre mi dava una pacca sulla spalla. Poi aggiunse "Vediamo un pò...eh, si. Si vede proprio: hai la faccia disperata di chi sta pensando a Cuba...l'avevo detto io. Vieni, andiamo al bar".

Tra due aperitivi ebbi la possibilità di sfogarmi. "Pierluigi, quanto ti ho pensato -dissi- A Varadero, avevi visto giusto, sono proprio inguaiato. Il fatto è che mi sento smarrito, confuso. Non faccio altro che pensare a Cuba e a Fidelia. A tutta quella gente che ho conosciuto. E quando parlo con i miei amici, noto in loro un senso di mesta sopportazione nei miei confronti, come se stessero osservando un ammalato che fa tenerezza o come se guardassero le bizze di un bambino che ancora deve capire tutto della vita e lo si ammonisce dolcemente. Insomma...mi rendo conto che ho tagliato i ponti con tutto quello che era stata la mia vita prima del viaggio a Cuba. Il mio passato è come cancellato".

Con l'immancabile sigaro tra le labbra, Pierluigi ascoltava in silenzio. Aveva compreso che avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno che capisse, con qualcuno che conoscesse la realtà alla quale mi ero aggrappato. Poi continuai "La ragazza che ho conosciuto mi manca molto, è vero. Ma io non  reputo questo la causa della mia insofferenza. Fidelia è stata molto dolce, soprattutto dopo la mia sparata di gelosia, ricordi? Ci scriviamo e ci sentiamo al telefono molto spesso. Non posso dire se ciò è amore o innamoramento...diciamo che credo che si tratti di una attrazione che potrebbe sfociare in un sentimento più importante. La cosa che m'inquieta, è lo sviscerato amore per tutto ciò che è cubano. In questi mesi ho letto molto e molto mi sono informato. Immaginati che perfino iniziato a studiare lo spagnolo...e tutto per cercare di comprendere meglio, di essere più vicino...".

"Devi ritornare -disse lapidario- ma questa volta devi vivere all'Avana. Non meriti Varadero, quello è un troiaio per i turisti. Se penso che il posto meno cubano che c'è a Cuba ti ha fatto questo effetto, m'immagino cosa ti trasmetterà la città più coinvolgente di tutta l'isola..."

"E Fidelia?" gli domandai.

"Se stai in contatto con lei, digli le tue intenzioni. Vedrai che verrà ad attenderti all'aeroporto. Quello non è un problema. Solamente che devi organizzarti un pò. Hai bisogno di un posto giusto dove andare, non puoi alloggiare in albergo. Quindi, se hai spirito di adattamento, potrei consigliarti la casa di una mia amica che sta a Guanabo, un centro piccolo ubicato a Playa de l'Este, ad una ventina di chilometri dall'Avana...in questo modo inizierai a stare più in contatto con la realtà che t'interessa, eliminando il filtro delle falsità che trovi in ogni albergo. La casa che ti suggerisco è pulita, economica e la gente che la gestisce, molto simpatica. Puoi chiedergli di prepararti i pasti che vuoi...con sette dollari ceni, con due fai il breakfast e l'appartamento te ne costa circa venti. E' in riva al mare ma, soprattutto, con un particular arrivi in venti minuti all'Avana.

Avana, sospirai mentre mi venivano alla mente Hemingway, Fidel, la Fortezza del Morro, Josè Martì, la Bodeguita del Medio, il Floridita, il Tropicana.  Tutte cose che non conoscevo e non avevo vissuto di persona ma che avevo trovato sui libri divorati dalla febbre prodotta dalla mia passione per l'isola.

"Ma perché Cuba produce questo effetto?" chiesi a Pierluigi. "Io ho una mia teoria. Chi s'innamora della gente, a meno che non abbia forti motivazioni politiche, è perché ha compreso che quella gente non ha, bensì é! Lo hai potuto vedere in maniera minima a Varadero, dove la realtà che regna è la meno cubana che puoi trovare sull'isola. Ma senz'altro hai constatato che quella gente non vive con i canoni occidentali e consumistici. Poi, la loro situazione non permette nulla di materiale tranne l'indispensabile per sopravvivere....però tutti, indistintamente, sono. E' questa, a mio avviso, la vera differenza tra loro e noi che siamo abituati a ricercare e a conquistare anche il superfluo solo per compensare la nostra mancanza di essere. E quando andiamo a Cuba la prima volta, i sentimenti che possono colpirci sono due: o, rendendocene conto, l'amiamo perché integra quello che abbiamo lasciato qui in Italia con quello che ci manca; oppure la odiamo perché non accettiamo, inconsciamente, l'idea che loro possono avere quello che noi, con le nostre possibilità economiche, non potremmo mai acquistare".

"E chi si trova in mezzo come me?" chiesi. Pierluigi mordicchiò il sigaro. "Ancora non sei 'in mezzo'. Dovrai passare per altre esperienze prima di godere di questo status..." ed allargò nuovamente il suo ironico sorriso.

"Dici bene tu -replicai un pò innervosito- che ti fai gioco di me....non ti rendi conto che io devo ritornare il prima possibile?"

"Ci sono passato prima di te -rispose- e prima di te ho messo in discussione tutto il mio mondo. Forse, ti sei fatto un idea sbagliata della mia vita. Ho lasciato un sicuro e redditizio lavoro. Ho divorziato sciogliendo una famiglia che, fino ad allora, poteva considerarsi normale. Ho preso a vagabondare per ogni dove solo per farmi uscire dalla testa quel tarlo che, solo ora, sta iniziando a colpire anche te. Sono passati cinque anni dalla mia prima volta che presi un volo per Cuba...cinque lunghi anni di amore sviscerato conquistato in trincea, tra errori ed esperienze che, volta dopo volta, s'intrecciavano sempre di più fra loro... No, no è stato così semplice come credi".

Errai con lo sguardo  alla ricerca della sua espressione. Pierluigi mi aveva sorpreso confidandomi le sue esperienze. Pensavo a quanto fossimo arroganti, noi esseri umani, nel decifrare in maniera sbagliata le persone, solo giudicandole esteriormente. Avevo creduto in una specie di playboy alla Rambo, invece, la sua sensibilità era fuoriuscita senza nessuna diffidenza così, semplicemente. Non volevo, però, arrendermi all'idea di diventare una specie di errante ebreo sempre proteso alla ricerca di una realtà che non avrei potuto mai afferrare. Accesi una sigaretta per riflettere meglio. Pierluigi continuò "Il problema è quello che noi vogliamo diventare quello che non potremo mai essere. Atavicamente e geneticamente, siamo profondamente diversi dai cubani. Cuba ci affascina, ci cattura, ci strega meravigliosamente ma ci fa stonare con il nostro mondo. O meglio, con la realtà che ci ha accompagnato fino a quel momento. Basta un sorriso di un niño, lo sguardo tenero di una chica, una donna anziana che fuma un lunghissimo sigaro, per farci sentire contenti e vicini a loro...ma anche fuori dalla loro storia. Tu dici di esserti documentato...puoi leggere ed informarti finché vuoi: fa parte del tuo stato iniziale di 'innamoramento. Assorbi tutto ciò che è inerente a Cuba con la felice convinzione di riuscire, un giorno, a comprendere il loro modo di essere. Già ti ho detto che è proprio questo il punto: l'essere. Sei disposto a correre il rischio di mettere tutta la tua vita in discussione? Le tue passate certezze saranno dei macigni intrasportabili e dovrai, anche perché impossibile il contrario, evitare ogni compromesso. I due mondi non si coniugano tra loro...se sei disposto, non ti resta altro da fare che prepararti i bagagli e partire una, dieci, mille volte fin quando non ti sarà più necessario, in quanto ti troverai compresso nella loro realtà. Ma devi considerare il fatto che tutto quello che avevi prima, lo perderai inevitabilmente".

Quanto dettomi da Pierluigi mi procurò uno strano effetto. Mi sentivo intontito da quel bombardamento di impressioni e analisi che pensavo esagerate. In fondo, pensai, ognuno di noi somatizza le cose in modo differente e, forte di quel mio pensiero, non mi allarmai più di tanto. "Insomma -osservai- Cuba è un grande casino, se provoca gli effetti che mi hai esposto". Pierluigi mi guardò immalinconito rispondendo "Lo sapevo...vivi ancora nella fase iniziale. Non credi nelle mie parole e pensi che queste siano il frutto di una mia aberrazione e ti consoli pensando che non siamo tutti uguali e bla bla bla bla bla..vedrai. Tra un pò di tempo te ne renderai conto da te, specie se tornerai a Cuba soprattutto in una località che non sia Varadero".

La sua affermazione infranse il muro di certezze che mi ero edificato. Pierluigi non aveva letto nel mio cervello ma mi resi conto che quanto avevo pensato prima, erano già stati i suoi pensieri di qualche anno prima. Allora, aveva ragione lui? Iniziò a piovere e i negozi avevano cominciato ad abbassare le serrande. "Devo andare ma se vuoi incontrarmi, puoi cercarmi a questo numero. Se il cellulare risulta staccato è segno che sono nuovamente giù...a Cuba" disse allungandomi un bigliettino da visita. 

"Riparti? Per dove?" chiesi. "Dovrei ripartire tra un paio di settimane, quando avrò sistemato alcune cose qui a Milano. Scendo all'Avana e proseguo per Ciego de Avila, Moròn e Cayo Guillermo...poi vedrò dove mi porta il vento e la guagua". Moròn, pensai. Dov'era Fidelia e la sua famiglia. Improvvisamente fui colto da una struggente nostalgia e giurai a me stesso che dovevo tornare a Cuba il prima possibile. Ci salutammo come s'usa tra due vecchi amici e proseguimmo ognuno per la propria strada. Dovevo rimanere solo per riflettere.

Giunsi a casa decisamente frastornato. Accesi la televisione togliendo però l'audio e vidi immagini che si succedevano come dentro ad un caleidoscopio senza alcun costrutto per la mia immaginazione. Mi sdraiai sul letto ed afferrai la cornetta del telefono. Quanto meno mi sarei consolato con la voce di Fidelia. Erano le tre del pomeriggio a Cuba e le ventuno a Milano. Pensavo alle sei ore di differenza del fuso orario che non erano minimamente rapportabili alla incredibile differenza che si riscontrava tra i due mondi. La linea telefonica per Cuba era guasta. Sapevo già, che a causa del maltempo, ma veramente più a causa del periodo speciale, per molte ore nulla di elettrico funzionava a Cuba, tranne nelle infrastrutture pubbliche o quelle dedicate ai turisti. La febbre dell'impazienza mi  avvampò all'improvviso. Freneticamente studiai il calendario per stabilire la data della mia presunta partenza per l'isola. Iniziai a sognare ad occhi aperti quanto sarebbe stato bello ritrovarmi con Fidelia in mezzo alla gente dall'Avana. Immaginai cosa avrei fatto e cosa avrei visitato ma mi resi conto che stavo ragionando da yuma ed io non volevo esserlo. La sigaretta morì insieme ai miei pensieri e m'addormentai in un sonno profondo e senza sogni deciso che il giorno dopo mi sarei recato in una agenzia di viaggi per acquistare il biglietto aereo con destinazione per la felicità. Infatti, il giorno dopo, varcai la soglia della mia agenzia di fiducia dove l'addetta dell'ufficio mi accolse con un caloroso sorriso. Eravamo in bassa stagione per cui, i pochi clienti che entravano in agenzia, godevano di un diritto non scritto che prevedeva la massima gentilezza e disponibilità che, in epoche differenti, non potevano ricevere a causa della convulsità del lavoro. M'accomodai sulla poltroncina dirimpetto alla scrivania e la mia attenzione fu rapita dal minuscolo mappamondo che fungeva da ferma carte. Vederla in scala ridotta, la nostra terra era decisamente alla portata di tutti, eppure, quanto risultava difficile spostarsi da un posto all'altro. Ero sempre stato affascinato dalle carte geografiche, soprattutto da quelle che illustravano l'intero globo. Vagavo da un continente all'altro, sempre alla ricerca dei posti più sconosciuti e delle isole più remote dove sarei fuggito dalla mia vita. E, invece, eccomi al punto di partenza, quello di un piccolo sognatore che si era ritrovato innamorato di una isola a forma di coccodrillo distante undicimila chilometri dalla sua casa.

"Buongiorno -disse l'impiegata- posso aiutarla?". "Vorrei conoscere la disponibilità per un volo con destinazione Avana, in partenza da Linate, verso la metà del prossimo mese" le dissi. La ragazza, sempre sorridente aggiunse "Non sarebbe più conveniente acquistare un pacchetto turistico? Cioè volo e soggiorno alberghiero? Abbiamo cataloghi di operatori specializzati e i prezzi, in questo periodo sono...". La interruppi deciso "No. Non voglio avere legami di alcun tipo e vorrei solo il biglietto aereo". Sorrise e si mise davanti al terminale con il quale armeggiò per un pò. Mi lesse la stampata della ricerca "C'è disponibilità con la Iberia, via Madrid, il 16 e il 17...oppure posso vedere con un volo charter". "Va bene per il 16 con la Iberia. Può emettermi direttamente il biglietto?". 

Quando uscii avevo il cuore più leggero ed un biglietto in tasca. Ma prima di continuare l'avventura dovevo comprare tutte le cose che avevo promesso a Fidelia e che non le avevo mai spedito. Rientrai a casa carico di pacchi. Avevo acquistato tutto quello che mi aveva chiesto. Mi aggrappai al telefono sperando di trovare la linea per Cuba libera e non isolata al fine di poter comunicare tutta la mia gioia alla mia novia. Dopo il flebile segnale di linea libera, una vocina mi rispose "Oye". Immaginai un bambino mezzo vestito che, eccitato dal fatto di rispondere al telefono come un adulto, aveva preso la cornetta di quel misterioso aggeggio che era il telefono a Cuba. Dopo qualche difficoltà iniziale, la cornetta passò nelle mani della madre del niño che mi pregò di attendere mentre andava a chiamare Fidelia. Finalmente la sua voce mi raggiunse "Hola mi amor! Che bello la tua telefonata. Era tanto tempo che non sentivo la tua voce...Como estas?". Un groppo alla gola mi salì accompagnato da un brivido sulla schiena "Ciao, volevo dirti che il 16 arrivo all'Avana con il volo dell'Iberia. Puoi venire a prendermi all'aeroporto?". Secondo Pierluigi non ci dovevano essere dei problemi ma restai in apnea in attesa della sua risposta "Ritorni a Cuba, veramente? " chiese incredula. "Certamente, resto due settimane ma vorrei stare all'Avana per visitarla. Però non voglio andare in un albergo ma affittare una casa particular. Puoi stare con me?". Dall'altro capo del mondo la sua voce attraversò l'oceano "Sicuro!Ho una zia che ha una casa al Vedado, vicino alla Rampa. Posso domandarle se è libera. E' molto graziosa ed ha anche l'aria condizionata in camera. Se mi richiami la prossima settimana ti dirò se è disponibile, così mi dici anche il numero del volo e mi organizzo per venire all'aeroporto dell'Avana ad attenderti. Dal momento che torni a Cuba, puoi portarmi un paio di Adidas numero trentotto? Porta anche della Novalgina che qui non si trova ed anche tutte quelle cose che ti ho chiesto l'altra volta...". "Tranquilla -risposi- ho già comprato tutto e domani prendo la Novalgina e le scarpe...ma tu mi pensi sempre?". Rise di gusto "Ma sei tu il mio amore italiano...te quiero mucho..Hai ricevuto la lettera con la mia foto?". Non l'avevo ancora ricevuta ma non mi importava granché. Tra breve l'avrei rivista e le sarei restato accanto. Ero anche eccitato dall'idea di vivere a stretto contatto con i cubani, ospitato in una casa privata, vicino alla gente che avrei quotidianamente frequentato. "Conosci l'Avana?" le chiesi. "Un poco...ho sempre vissuto tra Moròn e Varadero. Ma qualche volta sono stata all'Avana...Amore, mi porti una bambola?". Ripensai alla piccola muñeca che le avevo regalato per farmi perdonare della volta che l'avevo offesa  e mi riempii di tristezza. Le avrei regalato la luna se avessi potuto. "Certo. Un bel bambolotto neonato che parla e che fa la pipì" le dissi come per confortarla sulla serietà delle mie intenzioni. "Amore -disse- ti amo!"."Anch'io" replicai. La linea cadde mentre avrei voluto dirle mille cose. Accesi l'ennesima sigaretta della giornata e pensai a cosa avrei fatto con lei durante la mia permanenza a Cuba. Mi sdraiai sopra ad un freddo letto mentre un'aria di serenità stava scendendo sulla camera. Mi sentivo tranquillo della decisione presa e volli comunicarla a Pierluigi, l'unico in grado di capire quel mio momento. Il suo cellulare era spento e mi consolai, facendo girare nello stereo, il nastro della Charanga Habanera, un complesso abbastanza famoso a Cuba in quel momento. La stanza si riempì di note e colori che mi riportarono alle atmosfere che avevo imparato a conoscere e ad amare anche se, in Italia, regnava la moda di tutto ciò proveniente dal caribe. C'era il proliferare delle scuole di balli latino-americani e ciò aveva visto la trasformazione di vecchie balere in improbabili locali di tendenza dove si esibivano gruppi di salseros di importazione e dove si potevano bere cocktail dal vago sapore caraibico. La moda affliggeva la realtà di Cuba, o meglio, della "mia" Cuba. Non volevo far parte del branco omogeneo di coloro che  esibivano l'abbronzatura delle lampados accompagnata da magliette più o meno esotiche solo per il gusto di far sapere a tutti che erano stati nei magici posti tropicali. Per tutti questi personaggi, non vi era nessuna differenza tra Cuba, Santo Domingo o Jamaica anche perché, gli alberghi ed i villaggi tutto compreso, si assomigliavano tra loro in qualsiasi parte del mondo fossero ubicati. No, la mia Cuba era diversa, singolare, unica. Ed anche se eravamo in molti a viverla in questo modo, come affermava Pierluigi, restavo dell'idea che la mia verità era quella più prossima alla realtà. Adesso, l'unica cosa importante era quella di arrivare, senza grossi patimenti, al 16 del mese successivo. E con quel pensiero mi addormentai contento.

Fu dopo una settimana che incontrai nuovamente Pierluigi. Lo avevo ripetutamente cercato ma inutilmente: il suo cellulare era perennemente spento. La mia insistenza, però, fu alla fine premiata e non fu difficile trovare una data in cui eravamo ambedue liberi da impegni per incontrarci nuovamente. Ci vedemmo in San Babila, entusiasti di potere riprendere le fila di quell'infinito discorso che ci univa. Gli raccontai del mio proposito, ormai definito, di tornare a Cuba e, quindi, cercavo da lui consigli e suggerimenti. In realtà avevo bisogno solo di parlarne con qualcuno che si trovava sintonizzato sulla mia stessa frequenza. Parlandone, sarei stato più vicino alla realtà che avrei vissuto nuovamente da li a breve. 

"Così, peggiori sempre di più?" disse ridendo vedendomi. "Lo definisci peggiorare, il mio stato d'animo? risposi. Mi guardò aggiungendo "Beh, ti trovo...come dire, più determinato rispetto all'ultima volta che ci siamo visti. Cos'è successo nel frattempo?". RIflettei un attimo e poi risposi: "La verità é che mi sono smarrito in una selva di emozioni contrastanti. Qui a Milano non c'è nulla che mi soddisfi come prima. Trovo l'unica consolazione solo quando penso a Cuba e a tutte quelle cose che mi uniscono a quella gente...". "Ma, cos'è -replicò- che cerchi? Questa domanda già te l' ho posta a Varadero, mentre sorseggiavamo un drink in un assolato pomeriggio, seduti su degli scomodi sgabelli al bar della reception. Ricordi il romano?". "Sai -gli risposi- forse lui è più felice di me. Ho ripensato spesso a quello che disse quel giorno ed ho immaginato il tipo. In fin dei conti, sfrutta la situazione solo dal punto di vista materiale...non é coinvolto come me. Io faccio introspezioni, analisi, autocritiche...mentre lui, semplicemente è più sereno perché non chiede null'altro di più di quello che desidera...". Pierluigi sospirò e si accese un grosso Montecristo mordendolo come d'uso, poi parlò. "Il fatto é che tu, io...noi insomma che viviamo Cuba in un certo modo...noi, dicevo, non ci accontentiamo più della realizzazione materiale di certi nostri desideri. Vogliamo, pretendiamo, ambiamo a qualcosa di più. Vorremmo essere loro, non solo assomigliargli ma divenire quello che non potremmo mai. E? questa febbre che ci assale e la consapevolezza dell'impossibilità della realizzazione di questo nostro desiderio, ci crea quell'insofferenza che impera in noi. L'unica medicina possibile é quella di frequentare il più possibile la nostra isola, la nostra gente e, tutt'al più chi, come noi, é nella nostra stessa situazione. Ma il nostro micro dramma, non è paragonabile a quello vero, che è vissuto quotidianamente dalla gente che noi amiamo e che è così lontana dal nostro mondo". 

"Non possiamo far nulla -chiesi- per guarire o, quanto meno, acquisire quella tranquillità che ci possa far vivere meno conflitti possibile?". Scosse la testa capelluta. "Parlo per me: ho cinque anni di viaggi continui ed una famiglia distrutta alle spalle ma sono allo stesso punto dal quale ero partito. Sicuramente ho più esperienza di te, conquistata sul campo...ma siamo accomunati da quello stato d'animo che é scaturito durante il nostro primo viaggio e che ci accompagnerà sempre e nello stesso modo. Ho conosciuto diversi italiani che si sono formati una seconda famiglia, anche se di fatto, non hanno sposato la loro fidanzata. Il più delle volte hanno generato dei bellissimi e dolcissimi bambini che hanno cementato la loro unione. Queste persone si dividono fra l'Italia, dove hanno magari la loro famiglia legittima, e Cuba, dove trovano ad attenderli la famiglia clandestina, quella acquisita. Loro sono felici perché, se non altro, hanno trovato una dimensione che, seppur scomodamente, li ha posizionati per sempre".

Quant'era complicato tutto questo ma, forse, era proprio a causa di questa singolare articolazione che Cuba era speciale.

"Mai avuto pentimenti per la tua scelta?". Un mesto sorriso si formò sul viso del playboy del nord. Pierluigi schiacciò il mozzicone del sigaro ormai consumato. "E chi non ha rimpianti nella propria vita? L'importante é andare avanti, il resto non conta".

 

"Hai una novia che ti aspetta?" dissi per stemperare quell'aria plumbea che si era formata intorno ai nostri discorsi. "SI chiama Kirenya ed è una Santaguera. E' una bellissima mulatta che conosco da tre anni. Le prime volte che mi recavo a Cuba, ero attratto da una jinetera che mi aveva fatto perdere la testa e che mi prendeva in giro promettendomi una cosa e poi, facendone un'altra. Ma è grazie a questa situazione che ho imparato a conoscere il fenomeno delle jinetere. Ho appreso il loro gergo, il loro modo di fare...insomma sono entrato dalla loro porta di servizio nel loro universo. Questo mi é costato una decina di viaggi, un mucchio di dollari e due anni di prese in giro. Sapevo di essere sfruttato ma, nello stesso modo, ero consapevole di sfruttare loro per apprendere i loro trucchi. E' stato uno scambio uguale...e per questo, posso capirli e loro sanno che io non sono più un turista da sfruttare. Capisci?".

"Ci provo -risposi non del tutto convinto- Certo che se mi dici che tutte le tue esperienze non ti hanno messo nella condizione di identificare il tuo status, devo constatare che più si avanza con la conoscenza di quanto c'interessa e più si perde la direzione....".

"E' proprio così, amigo. Penso che questa faccia parte del gioco della vita..tu, io, tanti altri stiamo percorrendo questa strada, forse per fortuite combinazioni ma, questa, non è poi dissimile da quella che percorre altra gente sulle orme di Sai Baba, oppure della Blixen in Kenya...ognuno di noi ha bisogno di scoprire una sua isola sperduta tra le nebbie degli oceani, per alimentare la convinzione di raggiungere una meta che, magari, non riuscirà mai ad identificare in tutta la sua vita".

Chissà perché, mi tornava alla mente, l'ultima notte passata insieme a Fidelia e rividi le lagrime che le rigavano il volto, infrangersi tra le mille promesse di amore eterno lanciate al vento.

"Pensi a Fidelia?" chiese Pierluigi.

"Sono proprio un libro aperto" risposi.

"Non ci vuole molto a vedere dentro ai tuoi occhi, spiagge bianche, bambini festosi che ti chiedono un ciclo ed una novia enamorada che ti giura eterno amore...".

Cambiai discorso. "Cosa mi dici dell'Avana? Vorrei esplorarla con il tuo aiuto anche se ho letto diverse guide turistiche..."

"L'Avana è tutto -mi rispose con le pupille illuminate- Non ci sono guide, ne consigli, tanto meno niente di niente in grado di fartela apprezzare se non andandoci e vivendola giorno dopo giorno. Sarai solo tu, accompagnato dalle tue emozioni che la scoprirai nei vicoli fetidi, tra i palazzi pericolanti, tra le vecchie case coloniali chiuse e confuse a grattacieli di un stile di puro socialismo reale. Ma, soprattutto, la vedrai tra la sua gente: gli habaneri. Queste vibrazioni saranno solo tue senza alcun condizionamento che possa essere generato da pregiudizi o luoghi comuni...lo scoprirai, magari sottobraccio della tua dolce novia. Non posso spiegarti ciò che è intangibile  come lo è un idea, un sapore, un clima".

Ero affascinato dall'idea di scoprire una città che aveva catturato il mio interesse e conquistato l'amore come ad un novello Hemingway, le cui pagine avevo divorato da ragazzo. Ricordavo ancora alcune frasi di Fiesta, Addio alle Armi ma, soprattutto, quelle inebrianti de Il Vecchio ed il Mare, dove una Cuba arcaica e vera, emergeva da quella prosa sobria e lineare. Mi riproposi di visitare la Finca Vigia, appartenuta allo scrittore e che ora era adibita a museo.

"Pierluigi -dissi- lo sai che non vedo l'ora di tornare a Cuba? Conto i giorni, le ore e perfino i minuti che mi separano dalla partenza. A volte mi sembro così infantile...so che sto trascurando il mio lavoro, i miei vecchi interessi, la mia vita sociale. Il pensiero ricorrente che mi accompagna e che mi assilla, è solo uno, e tu lo conosci bene".

Rispose sospirando. "Si, l' ho provato prima di te e so quanto mi è costato. Ma vedi...come tutti i traguardi, anche il nostro, è segnato da tappe faticose da raggiungere e, molte cose, si perdono per strada. A volte si tratta di fardelli superflui, altre volte, invece, di cose preziose".

Un profumo di bouganville ubriacava l'aria ma era una fragranza che era partorita dalla mia immaginazione e che mi portava a Matanzas e al piccolo giardinetto di Mama Estrella, con la piccola camera degli sposi, il televisore in bianco e nero, il divanetto di finta pelle. "A volte non riesco a trovare le parole e gli aggettivi per descrivere quello che provo. Ho provato a spiegare quello che sento ad alcuni amici ma non mi hanno capito. All'inizio, hanno pensato che si trattasse di  un innamoramento per la ragazza, poi, hanno compreso che c'era dell'altro nelle mie considerazioni e mi hanno tacciato di stupidità, esagerazione, addirittura plagio. Tutti, indistintamente, hanno cominciato a rifiutarsi di sentir parlare ancora di Cuba ed io, d'altro canto, non  avevo più voglia di parlare a chi non mi ascoltava più. Era avvilente cercare di spiegare a gente che non voleva. Questo è uno dei motivi che mi ha portato ad allentare le relazioni con i miei vecchi compagni di baldoria".

"Ti capisco -replicò il nordista-. Ci costringono a vivere quasi ghettizzati. E' il motivo per il quale, noi che amiamo Cuba, ci ritroviamo felici di parlarne e di sfogarci, raccontandoci le nostre esperienze ed emozioni". La serata volgeva al termine e, anche se non avevo ricevuto notizie specifiche sull'Avana, l'incontro con Pierluigi aveva avuto il merito di farmi scaricare di tutta la tensione che avevo incamerato. Pierluigi era un ottimo compagno di avventura. Sapeva come e quando farmi sfogare, così come calibrava i suoi interventi al fine di non prevaricarmi, eveitandomi così, ulteriori mortificazioni. Decidemmo di chiudera la serata brindando alla nostra isola, nella certezza che ci saremmo rincontrati quanto prima.

I giorni srotolavano lentamente in piena monotonia. In modo quasi automatico ripetevo gli stessi gesti quotidiani: sveglia, traffico, lavoro, televisione. Brividi di eccitazione attraversavano il mio corpo solo quando, a causa di associazione di idee, avevo modo di ripensare a Cuba. Avevo già minuziosamente visualizzato i preparativi per la mia partenza, la permanenza in aereo, il mio arrivo all'Avana, il mio incontro con Fidelia. Come un provetto sceneggiatore avevo costruito i dialoghi che si sarebbero intrecciati. Come un bravo scenografo avevo impiantato le ambientazioni che avrei utilizzato durante il mio soggiorno. Ed, infine, come un regista, avevo assemblato i miei desideri, le mie fantasie e le mie emozioni in un unico grande sogno.

Da mesi, avevo iniziato ad amare la letteratura del centro e sud america, divorando pagine di Amado, Prieto, Neruda, Martì. Ma mi trovavo legato visceralmente a 'Latinoamericana', il diario di Ernesto Guevara, scritto durante il suo primo viaggio attraverso il continente sudamericano, effettuato agli inizi degli anni cinquanta, quand'era ancora studente di medicina e non il guerrigliero che il mondo avrebbe scoperto qualche tempo più tardi, ed effiggiato col nomignolo 'Che'. Ritrovavo, in quelle sue pagine, non una cronaca di fuga ma un desiderio di conoscenza che lo metteva sullo stesso piano degli antichi esploratori. Mentre in questi il desiderio era solo dettato da una bramosia di ricchezza e celebrità, in Ernesto Guevara, era una ferma presa di coscienza contro lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, derivato dal potere capitalista ed imperialista che si appropriava delle ricchezze, della dignità e delle vite di masse di popolazioni brutalizzate fino all'inverosimile per soddisfare, sempre più,  i grandi bisogni delle compagnie multinazionali che, spesso, avevano il potere di pilotare le politiche dello Stato di turno da sfruttare, fino alla sua completa sottomissione. Non più la epica di Hemingway, non più i sogni di Salgari, ma la drammaticità espressiva di un ragazzo che, a bordo di una sgangherata moto, aveva varcato con l'amore, i confini dell'essere per giungere a quella posizione, in seguita definita internazionalismo, dov'era un dovere di tutti gli oppressi di unirsi nella comune lotta contro la fame, la miseria, la brutalità della forza imperialista, fino a giungere alla libertà dell'essere.

Mi resi conto che, pur se stavo fluttuando pericolosamente sull'orlo di utopie politiche, questo dolce pensiero mi concedeva la forza della consapevolezza. Era questo, un altro aspetto della mia crescita come individuo: sapere che c'erano stati ed ancora esistevano, mondi di sfruttati e sfruttatori. Non che avessi potuto risolvere i problemi del mondo ma, il solo pensiero di aver amalgamato una ideologia positiva, mi faceva stare bene con me stesso e stava trasformandomi lentamente. Scoprii che avevo iniziato ad osservare ke cose stto un'altra ottica. Perfino alcuni miei atteggiamenti si stavano modificando a causa di quella coscienza politica con la quale non avevo mai imparato a convivere. Il pericolo, però, era quello di divenire un patetico paladino senza null'altro da fare che compatire se stesso per la propria inutilità. Dovevo rimanere razionale, sensibile ai miei comportamenti, fino a gestirli in piena armonia tra persone e cose. Ma la brutalità della vita caotica e disordinata, prendeva il sopravvento ogni qualvolta mi proponessi di assoggettarmi a quei proponimenti che tanto mi identificavano con la figura eroico guerrigliera e, il Simon Bolivar, che regnava in me, mi faceva vergognare ogni qualvolta me ne rendessi conto.

Guardai l'ora meccanicamente. L'allarme della suoneria era appena scoccato ma ero già sveglio, dopo aver passato una notte quasi insonne. Il dormiveglia che affiancava solitamente l'eccitazione che precede un evento, era stato mio compagno in quell'ultima sera passata a Milano. Da li a qualche ora sarei  partito alla volta di quell'atteso ritorno a Cuba. I bagagli erano già pronti, preparati la sera prima. Avevo, negli ultimi giorni, controllato più volte i miei documenti di viaggio constatando, con disappunto, che alla dogana di Varadero, l'addetto al servizio di controllo, aveva apposto un anonimo timbro forgiato a mò di mezza luna con una stella nel mezzo, al momento della mia registrazione. Mi riproposi di chiedere, questa volta, un bel timbro lineare dove fosse impresso chiaramente l'aeroporto di arrivo, in quanto, non avevo nulla da nascondere a chicchessia. In fretta ultimai i preparativi e corsi al telefono per chiedere un taxi che mi conducesse a Linate. Il cuore mi batteva velocemente appena, terminate le operazioni di imbarco, attraversai la dogana dello scalo milanese. Ero giunto all'interno della zona franca dove i negozi attendevano viaggiatori in partenza per ogni parte del mondo. Nel duty acquistai un paio di stecche di sigarette insieme a giornali e riviste. Non che avessi l'intenzione di leggerle a Cuba ma, all'interno dell'aereo, mi avrebbero aiutato ad ingannare il tempo. Avevo suddiviso idealmente, il volo, in varie fasi: la prima, era la partenza vera e propria per Madrid. Un paio d'ore di volo sarebbero passate velocemente fra letture e spuntini. La seconda era la meno stressante: dovendo cambiare aeromobile ed avendo poco da attendere per la partenza del volo intercontinentale, sarebbe stato sufficiente bighellonare un pò tra i duty dello scalo madrileno. Ma il periodo interminabile si concretizzava nella terza fase. Quasi dieci ore  passate a cavallo di due film, uno spuntino ed una cena, prevista dalla Iberia. Era la prima volta che utilizzavo i suoi servizi, ma i consigli di Pierluigi, erano stati categorici circa la scelta della compagnia. Sapevo già, che il tempo in volo, si sarebbe apparentemente fermato ma, comunque, sarebbe passato e sarei giunto a destinazione. Sollevato da questo pensiero, varcai il gate di imbarco e salii sul mio aereo, dove conobbi Roberto.

Eravamo vicini di sedile e bastò poco per capire che viveva i miei stessi turbamenti. Lavorava in una agenzia di viaggi e, proprio grazie alla sua professione, poteva godere di alcuni vantaggi tariffari che lo avevano agevolato in molti voli per Cuba. Mi raccontò di avere una relazione con una ragazza di Trinidad che lo stava attendendo all'Avana. Tra racconti e confessioni le dieci ore per l'Avana, sarebbero passate più velocemente.

"Io credo -disse mentre finiva di mangiare un biscotto- che il vero problema è il comunismo. Se Cuba si ribellasse al regime di Fidel, potrebbe godere di enormi vantaggi commerciali oltre alla libertà, che è totalmente assente dall'isola. Ti pare giusto che un cubano se vuole espatriare non può avere questo diritto?".

Questa era spinosa questione della realtà cubana che conoscevo e sulla quale non sapevo cosa rispondermi. Il mio silenzio fu interpretato come un assenso a questa affermazione e mi rese complice inconsapevolmente, del suo punto di vista. Continuò:" Gli Stati Uniti ed il mondo intero,potrebbero far cessare immediatamente l'embargo con notevoli ed immediati vantaggi economici, creando una benessere adesso sconosciuto, solo se il regime dittatoriale fosse eliminato".

Avevo degli appunti a tal proposito, che esternai immediatamente. "Non credi -dissi- che se si avverasse quello che tu auspichi, Cuba si trasformerebbe in una pseudo colonia nordamericana, magari governata da uno stato fantoccio, perdendo in questo modo, la sua peculiarità che la identifica, riportandola al tempo del regime di Batista?".

"Sei forse un comunista?" chiese con una smorfia.

"Non è una questione ideologica -replicai- quello che conta è, pur tra ingiustizie e sofferenze, Cuba dal 1959 ha la sua dignità nazionale che la puoi riscontrare attraverso dei risultati che ha acquisito. Ha eliminato l'analfabetismo, la mortalità infantile, lo stato -nonostante l'embargo- funziona in modo assistenziale, la medicina è all'avanguardia, come la cultura, lo sport...insomma dopo quant'anni di strangolamento economico mondiale, non si può chiedere di più".

"Sicuramente ci sono vantaggi e svantaggi come in tutte le cose" rispose imbarazzato.

"Vedi? Non si può  giudicare tutto, tenendo conto dell'aspetto estetico delle cose. Capire vuol dire analizzare da più parti l'oggetto che ci interessa per metterci nella condizione di valutare in modo poliedrico, l'insieme delle cose. Ma, per tornare a Cuba, non bisogna censurare modi e maniere di fare politica, così solo per il gusto di farlo o per prevenzione. E' solamente un luogo comune che si ha per abitudine e, così facendo, si strumentalizza in un modo o nell'altro, una realtà storica e politica che ha radici profonde. Non è da Fidel che bisogna  partire, bensì dalla prima fase del colonialismo spagnolo".

Roberto annuì distrattamente e si accesa una sigaretta. Di fronte a noi, uno schermo, mostrava una elaborazione computerizzata che delineava il nostro tragitto, man mano che questo si stava compiendo. Su di una cartina schematica si riconoscevano l'Europa ed il continente Americano. Un piccolo aereo stilizzato che si muoveva impercettibilmente ci indicava il punto della rotta che avevamo raggiunto.

"Dove ti stabilirai?" chiese Roberto cambiando il senso del discorso.

"All'Avana, in una casa particular al Vedado. E tu?" rimandai.

"Vado a Trinidad qualche giorno, poi mi avvicino all'Avana. Ho preso una casa a Playa dell'Este".

Playa dell'Este: rammentai quello che mi aveva suggerito Pierluigi a proposito delle località che si affacciano in questa zona, riproponendomi di passarci almeno un paio di giorni. Si abbassarono le luci ed iniziò la proiezione di un film poco interessante. Roberto si era assopito e restai senza compagnia. Comincia ad osservare i passeggeri intorno a me. Per ognuno immaginavo una storia, un nome. Alcune coppie sicuramente in viaggio di nozze. Lo capivo dagli sguardi innamorati e ardenti di passioni e dalle fedi di un oro nuovo, mai usato. Le camice a fiorellini, i jeans di marca, le Superga ai piedi. Erano il prototipo esemplare delle coppiette in luna di miele. Li avrei rincontrati al mio ritorno e li avrei riconosciuti nonostante l'abbronzatura patinata e le treccine che lei si sarebbe fatta fare in riva al mare in cambio di dieci dollari.

Vidi anche signori di una certa età soli con i propri pensieri. Vagavano nella loro memoria alla ricerca di amplessi sudati in una spiaggia caraibica.

Lo sguardo mi cadde su di una ragazza cubana. La pelle ambrata da secoli di sangue misto, gli occhi di un nero liquido, le lunghe trecce cadenti sulle minute spalle e sopra ad un prominente seno che fuoriusciva da una camicetta generosamente aperta sul davanti. Rientrava sicuramente, dopo una escursione nella terra del benessere e della libertà, da un invito fattole dal suo uomo italiano che si era beato di una graziosa parentesi esotica. Questa novia, ora, tornava con le valige piene di articoli di abbigliamento, saponi, profumi, medicine. Presto sarebbero divenute merce di scambio con fagioli, riso e pollo. Avrebbe continuato a fare la jinetera, magnificando con le sue amiche, la bella vita che aveva vissuto in Italia e, raccontando loro, del futuro matrimonio che ne avrebbe definitivamente cambiato l'esistenza. Ma, in cuor suo, sapeva che oltre alla realizzazione del sogno di espatriare quell'unica volta, forse, nella sua vita, nessun altro miracolo si sarebbe realizzato a discapito di tutti gli Horisha supplicati e sarebbe finita, dopo anni di facile prostituzione, per divenire la sposa di qualche manesco cubano dal quale avrebbe, probabilmente, divorziato per riaccasarsi con chissà chi. Il pacchetto di sigarette era quasi terminato, come la mia pazienza. Mancavano ancora un paio d'ore all'atterraggio e stavamo sorvolando le Bermuda. Il personale di bordo passò per l'ultima volta con i carrelli a distribuire bibite e sorrisi.

Poi, ci fu solo il sole dell'Avana.

 

 
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