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Le ore che ci
separavano dal nuovo continente, trascorsero in fretta.
Fidelia era emozionata dalla sua prima esperienza di volo, visibilmente
fiera della status che aveva guadagnato di fronte ai suoi connazionali
rimasti sull'isola.
Curiosava su quanto avveniva all'interno dell'aeromobile, dalla
distribuzione dei pasti agli annunci ogni tanto provenienti dalla cabina
di pilotaggio.
La luce azzurrognola e nitida del pomeriggio venne ben presto scavalcata
dalla fascia bruna della notte alla quale correvamo incontro.
Volutamente, la lasciai sedere sul posto a fianco del finestrino, dal
quale si vedeva il panorama incantato del cielo sopra le nuvole. Spesso
sentivo il suo sguardo posarsi su di me, che emanava una profonda
gratitudine per quello che avevo fatto per lei.
"Te amo my amor" sussurrò quasi estatica.
Era iniziata la sua avventura, che proseguì all'aeroporto di Madrid,
dove eravamo sbarcati in attesa di proseguire per Milano.
Fu piacevolmente sorpresa dalla grandezza della sala di aspetto dello
scalo spagnolo, non sapendo più dove indirizzare la sua attenzione,
ormai suddivisa tra le dozzine di negozi duty free. E, per ognuno, c'era
un commento, una voglia, un desiderio immenso di affrontare quel mondo
consumista che aveva fino ad allora solo minimamente sognato sfogliando
le riviste italiane nei lunghi pomeriggi di Varadero.
Anche la sua proverbiale fame era passata in secondo piano, tanto era
presa nello scoprire quella realtà fatta di desideri mortificati dal
socialismo reale al quale era abituata. I suoi occhi brillavano di un
vivo e nuovo interesse mentre passava al setaccio le diverse boutique
dello scalo madrileno. Non aveva ancora preso il coraggio di chiedermi
nulla, tanto era grande la sola gioia di ubriacarsi la vista di tanto
inaspettato benessere.
I suoi sguardi, la sua cupidigia, la sua voglia continuarono in una
Milano primaverile, mentre un bianco taxi, tagliava in due la città per
condurci a casa.
Le vetrine si susseguivano accompagnate da una teoria ininterrotta di
sospiri e gridolini di stupore, tutti emessi da quella che era la mia
bambina felice seduta di fianco a me.
Dinnanzi al palazzo dov'era la mia casa, Fidelia ammutolì.
"Tu vivi qui?" domandò quasi incredula.
Era un normalissimo palazzo, anonimo come tanti altri, di una città
triste e laboriosa.
"Si, al sesto piano" risposi aprendo il portone.
La casa odorava di niente e polvere dopo due settimane di vuoto
assoluto, dove solo gli acari avevano continuato ad averne il dominio.
Spalancai le finestre.
"E' solo tua?" continuò a domandarmi.
"Si. Ci abito da solo. Lo dovresti sapere...". Iniziai a disfare la
valigia mentre Fidelia iniziò a gironzolare per la casa osservando
minuziosamente l'arredamento, le suppellettili, gli elettrodomestici
come se si trattassero di cose aliene.
"Ma è tutto tuo?".
La presi delicatamente per mano e l'accompagnai in un secondo giro di
ispezione.
"Vedi -le dissi pacatamente- quello che vedi è mio. Ma non pensare, per
questo, che sia ricco. Solamente, in Italia, tutti gli oggetti che vedi
in questa casa, sono di uso comune e si trovano generalmente in tutte le
abitazioni".
Guardava con estrema attenzione il videoregistratore, la televisione, il
mini complesso hi-fi, che erano alloggiati in un angolo del minuscolo
disimpegno che fungeva da salotto per single.
"La camera da letto è molto bella" ammiccò con fare compiacente.
"La inauguriamo?" chiesi scherzoso.
Si sdraiò mimando un micino in cerca di carezze e strinse a se un
cuscino.
"Vieni" disse imperiosamente.
La seguii ancora una volta in quella sua bramosia spasmodica che era
impregnata della mia voglia d'amore cieco.
"Dobbiamo fare la spesa. Non c'è nulla
da mangiare...vieni?" domandai.
S'alzò di scatto, infilandosi negli stretti jeans che le mettevano in
risalto le sue forme perfette. Scesi nel garage per prendere l'auto,
seguito come un ombra da una Fidelia un pò intimorita.
"E' tua?" disse guardando la mia semplicissima utilitaria.
Sorrisi annuendo con la testa. Poi, feci finta di arrabbiarmi.
"Senti...tutto quello che vedi che prendo, che indosso o che mi circonda
è mio! Capito?".
Intuì lo scherzo e domandò "Allora, perché non prendiamo quella macchina
più bella?" indicando la lucida fuoriserie che era parcheggiata a
fianco.
Ridemmo fino ad arrivare al grande supermercato che stava in fondo alla
strada. Il fare la spesa, rappresento per lei, una nuova emozione.
Abituata alla tiendas per soli cubani dove si accedeva con la libreta,
quel supermercato rappresentava il più grande concentrato di benessere
che avesse mai visto fino ad allora. Toccava tutto con curiosità,
domandandomi ogni volta, l'utilizzo dell'articolo che aveva catturato la
sua attenzione. Col carrello strabocchevole ci avviammo alla cassa,
dov'era una discreta coda di persone, in attesa di pagare.
"Sono tutti ricchi?" domandò seria.
Avevamo un pò di tempo prima di giungere alla fine della fila ed iniziai
una breve spiegazione su come funzionasse l'economia capitalista. Doveva
pur imparare qualcosa se si voleva immergere per qualche tempo nel clima
occidentale, così ascoltò attentamente e senza fare domande, rendendomi
così incerto se avesse o no compreso la mia farraginosa spiegazione.
Tornammo a casa e, dopo aver sistemato la spesa, preparai da mangiare.
"Cosa mangiamo?".
Avevo scartato l'idea di un risotto per puntare sull'italica
pastasciutta.
"Penne all'arrabbiata come primo piatto, poi straccetti di carne con
rucola per secondo. Ti va?" chiesi.
"Tutto questo per pranzo? Ma mangi una sola volta al giorno anche tu?"
domandò.
"No, questo è per il pasto di mezzogiorno...per la cena ho preso delle
pizze surgelate, in cinque minuti sono pronte..." risposi mentre aprivo
un barattolo di pomodori.
"Ma così divento cicciona..."esclamò sincera.
"Non preoccuparti. A Cuba avrai tempo per riprendere la linea".
Non continuò la mite protesta.
Restavano ancora ventiquattro ore di tempo prima di rientrare nella
routine del mio lavoro ma non ne avevo voglia. Il solo pensiero di avere
Fidelia a casa e di lasciarla tutto il giorno sola, mi rendeva
insofferente anche se poi, riflettendoci, avevo tutti i motivi per
essere felice di quella situazione.
"Devo farti conoscere Pierluigi, quel mio amico che ama Cuba più di me"
le dissi alla fine del pranzo.
"Si. Ma non mi va di parlare di Cuba...per un mese voglio dimenticare
tutto quello che è la mia vita cubana. Fallo per me" implorò con tono
supplichevole.
Come farle capire i brividi che mi erano stati vicini durante i momenti
passati all'Avana, Moron, Santiago? Era vero che io non appartenevo a
quella gente, alla sua gente...ma avevo apprezzato vivamente la magia di
quel mondo a metà tra esotismo e ideologia, cultura e miseria, dignità e
disperazione. Ma lei, era una di "loro" che aveva sempre vissuto sulla
propria pelle la realtà amara che io vedevo solo da molto lontano e
sempre accompagnato dai dollari che costituivano una armatura a loro non
permessa.
Non vedevo via d'uscita a quella incompatibilità che prendeva corpo ogni
qualvolta si parlava della sua isola.
"Avete tutti questi canali" domandò
curiosa mentre saltava da un tasto all'altro del telecomando della
televisione.
"Si. E' quanto ci meritiamo!" risposi con una non compresa ironia.
"E' bellissimo! Ci sono anche le telenovelas cubane?" chiese
ingenuamente.
"Non credo...solo messicane e brasiliane"risposi laconicamente.
Le immagini in tv si sovrapponevano l'una all'altra seguendo il giocoso
impulso delle dita nervose di una Fidelia che non sapeva dove
domiciliare la sua attenzione.
Squillò il telefono.
"Hola camajan! Me la fai conoscere quella tua novia sexy" disse
Pierluigi in vena d'allegria.
"Ciao...-risposi- Non puoi sapere quanto è bello quello che sto vivendo.
Grazie ancora per il tuo aiuto...Vieni a cenare stasera? Ma bada, solo
pizze surgelate e coca-cola".
"Il ron lo porto io...almeno si berrà qualcosa di decente" aggiunse.
Quando riagganciai il ricevitore, mi sentivo sollevato da un invisibile
peso che mi costipava da qualche tempo. Aleggiava nell'aria una
sensazione non definita che mi dava la sensazione di qualcosa di stonato
che, ormai, percepivo da qualche tempo ad intermittenza. Avevo
analizzato succintamente le varie cose ma non avevo decifrato alcun
indizio che mi riconducesse all'origine di quel mio stato d'animo. Anzi,
avrebbe dovuto essere il contrario: effettivamente ero felice di stare
con Fidelia a Milano ma, qualcosa mi impediva di viverne appieno, la
giusta felicità.
La visita di Pierluigi mi serviva, forse, a comprendere cos'era quel
sentore d'angoscia che, larvatamente, provavo nel più recondito
nascondiglio della mia anima.
Le pizze furono divorate in pochi
minuti, accompagnate da innumerevoli bicchieri di rum e coca-cola.
Grazie all'alcool, le nostre menti si erano sciolte in modo disinibito e
veleggiavamo tra le onde di aneddoti e ricordi spiritosi. Pierluigi
aveva rilevato la regia della serata, mettendosi subito a suo agio con
Fidelia, trovando con lei un denominatore comune, causato da alcune
comuni conoscenze cubane. Ma, avvertivo in lui, un fare lievemente
forzato come chi continua ad interpretare un ruolo che si era auto
assegnato all'inizio della serata. Mi pareva cogliere, a tratti, dei
repentini cambiamenti di stati d'animo che, per associazione di idee, mi
riconducevano a quella dissonanza che ogni tanto mi perseguitava.
"Hai capito, Claudio?" fece Pierluigi "Delia è la cugina di Alina, una
mia amica di Matanzas. Quant'è piccolo il mondo....poi, a Cuba, tutti
sono imparentati con tutti".
"Alina è stata la tua novia?" chiesi curioso.
"No...io, a quel tempo, stavo insieme ad una ragazza dal nome Maria
Pilar. Non era una bellezza tropicale, anzi...una biondina tutto pepe
che si ossigenava i capelli per renderli più bianchi. Alina la conobbi
al Cuevo e passai con lei un paio di sere...ma era così matta che non
posso scordarmene".
Fidelia intervenne "Mia cugina, adesso vive ad Holguin e si è sposata un
tizio che le ha cambiato vita. Il marito è uno dell'esercito".
"Figurati....-replicò lui- sposata con un militare che legge il Granma e
Verde Olivo...lei che bastava un niente per farle prendere fuoco come un
cerino. Non ci posso credere!".
Lo interruppi. "Lo sai che Fidelia mi ha portato da un Santero di
Santiago?".
"E' stata un cerimonia vera?" chiese ignorandomi e volgendo la domanda a
Fidelia.
Lei annuì finendo di bere un altro bicchiere di Cuba Libre.
Pierluigi rimase pensoso come se volesse soppesare le parole che stava
per pronunciare ma, invece, cambiò il filo del discorso lasciandomi
perplesso.
"Allora a quando le nozze?".
Fidelia rise divertita e disse "Ma Claudio non vuole stare con me...pensa
solo al lavoro".
Apparve il solito sigaro che riempì l'aria del suo aroma potente.
"Il lavoro è una cosa seria e indispensabile. Eventualmente, in assenza
di Claudio -scherzò Pierluigi- potrei venire io a darti compagnia...ma
senza che lui lo sappia".
Fidelia gli strizzò l'occhio aggiungendo "Va bene. Basta che te ne vai
da questa casa prima che lui ritorni...".
Scoppiarono a ridere avendo notato il mio lieve cambiamento d'umore.
Anche se sapevo che era solo una presa in giro, rimasi quasi ingelosito
dal pensiero che lei potesse realmente stringere altre amicizie che
avrebbero potuto portarla via da me.
"Ma Claudio....-supplicò Pierluigi- per un amico...".
La serata si concluse a tarda notte, dopo aver finito un'altra bottiglia
di Havana Club e un'altra di Bacardi.
Pierluigi uscì allegro per tornare, come ci disse, nella sua vuota casa
a sognare Cuba dalle verdi palme reali.
In una settimana, Fidelia aveva
saccheggiato le vetrine di quasi tutti i negozi di Milano ed il mio
conto in banca. Era stato necessario acquistare due grosse valige per
stipare tutte le cose cha avrebbe dovuto riportare con se a Cuba. Dai
vestiti di ogni foggia e colore alla biancheria intima, dalle medicine
ai prodotti per l'infanzia, passando tra casalinghi e cosmetici. Le
borse erano divenute il ricettacolo di ogni suo capriccio che era
accompagnato da una prima velata richiesta e, in caso di insuccesso, da
una pietosa implorazione.
Uscivamo nel tardo pomeriggio al mio rientro dal lavoro, per scoprire la
città dei negozi e delle boutique. Avevo dei rimorsi per non poter
rimanere con lei durante il giorno ma mi consolavo, sapendo che dormiva
fino a tarda mattina e che riempiva le ore in mia attesa, guardando
instancabilmente la televisione. Alla fine della giornata, facevamo
l'amore come solo noi potevamo fare, pieno di sentimento, bramosia,
piacere.
Mentre passavano i giorni, mi rendevo conto di quanto lei fosse
importante e di quanto non ne avrei potuto più fare a meno in seguito,
intimidendomi dell'avvicinarsi del suo rientro in patria.
Decisi che dovevo cancellare quell'ansia: Fidelia sarebbe stata mia per
sempre e con qualsiasi mezzo. D'altronde non chiedeva altro.
"Ma è incredibile!" gridò.
Eravamo appena scesi dal treno che ci aveva condotti per quel week-end a
Venezia e, uscendo dalla stazione di Santa Lucia, c'eravamo specchiati
nelle verdastri acque del Canal Grande.
Per chi arriva a Venezia la prima volta, l'impressione più grande ed
immediata che si prova, uscendo dalla stazione, è appunto la scenografia
che si incontra all'improvviso.
Fidelia era ammutolita, mentre ammirava le bellezze della città dei Dogi
che apparivano, l'una dopo l'altra, come per incanto. Il vaporetto ci
stava portando verso San Marco e, il Canal Grande che stavamo
percorrendo, offriva vedute incomparabili di una città unica al mondo. I
palazzi marmorei che si stagliavano nel limpido cielo emergendo
dall'acqua salmastra che li rendeva ancor più belli, facevano da
contrasto con le povere case veneziane dalle mura inzuppate di alghe
miste ad una atavica miseria che non li riguardava più.
Alcune gondole scivolavano silenziosamente, con il loro carico di
turisti vuoto a perdere, tra canaletti che dividevo le isole sulle quali
posava la città vecchia mentre, nel cielo, giocavano colombi innamorati.
Come sempre, i progetti minuziosamente stabiliti, erano andati scemando
per tutta una serie di motivi. Non avrei potuto portare Fidelia a
visitare Roma e Firenze, come stabilito da un impreciso ruolino di
marcia, ma non potevo farle non vivere almeno una Venezia che doveva
sostituire il ricordo della laboriosa Milano.
A questa città toccava il compito di impreziosire i ricordi che Fidelia
avrebbe riportato a Cuba.
"Non ho mai creduto che ci potesse essere una città così
bella..."esclamò sincera.
Aveva con se una piccola macchinetta fotografica che usava con fare
civettuolo sin dal suo arrivo alla stazione.
A Piazza San Marco si estasiò nuovamente alla vista del Palazzo Ducale e
della Basilica. Era raggiante quando arrivammo al piccolo albergo che
avevo prenotato. Tutto era perfetto, come un classico viaggio di nozze.
"Is this our honeymoon?" disse con un forte accento spagnolo.
"No. La nostra luna di miele la faremo veramente quando ci sposeremo e
dovunque tu vorrai" risposi.
Il tempo correva inesorabile anche nella città dell'amore. Avevo
interpretato il ruolo di una brava guida turistica, conducendola per la
Venezia storica e patinata del turismo di massa, ma anche tra le calli
meno conosciute, alla scoperta di una città che stava morendo. Sempre
con la solita dedizione, Fidelia aveva cessato di interpretare il ruolo
della turista a caccia di negozi per indossare i panni di una semplice
ragazza che si affacciava per la prima volta e con umiltà, a conoscere
qualcosa più grande di lei.
In quei tre giorni mi chiese molte cose sulla storia e sulle origini
dell'Italia che lei conosceva molto vagamente. Mi confessò di aver
interrotto gli studi alla fine delle scuole dell'obbligo non avendo
voglia di frequentare l'Università. Il periodo speciale, fulcro della
più dura crisi economica vissuta a Cuba, aveva evidenziato la voglia
popolare dell'arte di arrangiarsi e, grazie al turismo straniero,
istigava giovani cubani a divenire jineteri, smettendo di essere
studenti per attivarsi al servizio del turista, dal quale ricavavano
sempre dollari e benefici sconosciuti al resto della popolazione.
Ci sedemmo davanti al ponte
dell'Accademia. Il sole stava tramontando ed arrossavo con i suoi ultimi
raggi, una città uscita dall'estro di Pratt.
"Sei felice, amore?" le chiesi prendendole la mano.
"Non sai quanto ho atteso questo momento. Non conoscevo Venezia, ma
sognavo di trovarmi seduta vicino a te in una piazza di Milano.
Immaginavo che tu mi prendessi le mani e mi baciassi. Questo mio
desiderio mi ha accompagnato per tanti lunghi giorni a Moron. Quando non
avevo da mangiare ed avevo molta fame pensavo: vedrai, Claudio ti
porterà in Italia. Quando le mie amiche mi prendevano in giro dicendo
che ero scema, mi ripetevo: guarda la stella, è solo tua. Si...sono
incredibilmente felice e non vorrei lasciarti mai".
Il suo bacio era sincero e solo io capivo quanto mi amasse. Per la gente
che passava, eravamo solo una coppia di innamorati nella città
dell'amore.
Ci recammo alla Taverna Montin. Non era più il locale naif che avevo
conosciuto negli anni '70. La popolarità ottenuta per aver ospitato
alcune scene di 'Anonimo Veneziano' lo avevano reso insensibile al suo
vecchio stile fatto di semplicità e colore per trasformarlo in una icona
turistica-cult.
Ci appropriammo di un piccolo tavolo già apparecchiato in attesa di un
cameriere annoiato. In lontananza s'udiva la melodia di una canzone
napoletana cantata in modo tenorile ed accompagnata dal suono di una
fisarmonica. Turisti e flash, accomodati in due gondole, scoprivano una
Venezia by night.
Tra le spire di fumo dell'ennesima mia sigaretta, vedevo il volto
caffellatte di Fidelia che mi osservava silenziosa. Era la nostra ultima
sera a Venezia e tra qualche giorno sarebbe definitivamente partita.
"Ti amo".
"Te quiero mucho".
Era bellissima come sempre,
semplicemente vestita in jeans e con i suoi lunghi capelli corvini
intrecciati.
Alcuni gatti miagolavano alla luna nascente che si faceva largo tra le
nuvole argentate mentre lo sciabordio delle onde prodotte dal passaggio
di un ultimo vaporetto, accompagnava i nostri passi nella Venezia
addormentata.
Ci mettemmo seduti sulla base di un antico pozzo situato al centro di un
campo vicino al Ghetto.
Fidelia si accovacciò vicino, rabbrividendo a causa della leggera
nebbiolina che era calata sulla città. Soli come quella notte al Vedado.
"Mira mi estrella".
Sollevai lo sguardo per individuale l'astro più luminoso.
Continuò innamorata. "Anche se non la trovi, io so che c'è e che rimarrà
mia per sempre".
"Fidelia -la interruppi- lo sai che ti amo follemente?".
Mi fissò con i suoi occhi liquidi ed annuì.
"Vorrei vivere sempre con te -continuai- e per far questo, credo di
doverti sposare. Vuoi essermi vicina tutta la vita?".
"E' quello che voglio, amorcito" rispose con un groppo alla gola.
Mi baciò appassionatamente, fortemente convinta delle mie intenzioni.
Non mi seppi spiegare, però, per quale motivo riassaporai quella strana
sensazione di insofferenza che avevo abbandonato a Milano.
Volevo amarla con tutte le mie forze, volevo costruire un cordone
ombelicale con l'isola più bella di tutti i Caraibi, che avrei dovuto
mantenere anche dopo la sua definitiva venuta in Italia, se l'avessi
sposata.
Volevo il cielo, la lune, le stelle e l'infinito intorno a noi che
vedevo tra le pieghe delle mura antiche di Venezia. Il mio senso
dell'essere si manifestava orgogliosamente immenso in quella notte
fresca e dolce che mi faceva sentire sereno della decisione presa.
Improvvisamente la luna scomparve dietro ad una fitta coltre di nuvole
nere, gettando nel buio più totale, il campo dov'eravamo.
"Tiengo miedo" disse con un filo di voce.
"Sono qui con te" la rassicurai.
"E' così bello che ho paura che quanto mi hai detto non sia vero".
La strinsi forte per tranquillizzarla.
"Non preoccuparti. Il mio amore ti proteggerà da tutte le ansie. Ora
rientriamo in albergo, è l'ultima notte a Venezia". Così dicendole la
presi per mano e l'aiutai ad alzarsi dalla scomoda posizione,
allontanandoci stretti verso gli attimi di dolcezza che chiusero quella
notte.
Avevo mal di testa. Forse a causa
della stanchezza accumulata nei giorni passati a Venezia oppure dalla
poca voglia di rimettermi al lavoro. Avevo lasciato una Fidelia
addormentata e mi ero precipitato in ufficio neppure notando il solito
traffico che animava la città.
Sin dalla prima volta che andai a Cuba, il rientro alla mia vita
lavorativa era stato molto difficile. E più passava il tempo, ed ogni
volta che ritornavo da Cuba, la mia attività mi veniva a noia.
Affrontavo il normale svolgimento dei mici incarichi, senza stimoli ed
in modo pesante. Già dalla mattina mi sentivo esausto come se una
sanguisuga avesse, durante la notte, succhiato tutte le mie energie.
Certo, adesso son Fidelia mia ospite e con la nostra voglia di amore e
sesso, la cosa poteva trovare ampia giustificazione ma, in cuor mio,
sapevo che quello non era il vero motivo.
Era semplicemente il rifiuto di una vita condotta all'insegna della
convivenza capitalistica. Non era, la mia, una improvvisa presa di
posizione ideologica, solo che mi ero reso conto durante i miei viaggi,
di aver sempre coltivato il sogno non dell'essere bensì dell'avere, del
quale, il lavoro, rappresentava l'energia trainante. Per queste mi erano
venute a noia le strategie di marketing, il management, il know-how
aziendale, il budget, il break event point, i linguaggi informatici, la
telematica, il multi level e tutte le altre componenti della mia
professione. Nei momenti in cui la crisi del lavoro raggiungeva il
picco culminante, ero solito rifugiarmi nella mia isola, fatta di palme
ma anche di macheteros che tagliavano la canna da zucchero per oltre
dieci ore sotto il sole bruciante del tropico. Nonostante l'immane
sforzo fisico, immaginavo, quella visione era per me defatigante come un
bagno alle alghe giapponesi. Inutile dire che il mio livello di
produttività era gradualmente sceso e tutti in azienda, si erano accorti
che qualcosa non andava, che io non ero più quello di prima in quanto
non ero più ricettivo come una volta.
Ma la società non ti consente il cambiamento repentino e, come un cane
che cerca di mordersi la propria coda, vegetavo disperato in attesa di
trovare una soluzione. Avessi potuto, sarei corso a raccogliere tabacco
a Cuba ma quella non era la mia realtà ne avrebbe potuto mai diventarlo.
Ero ingabbiato da problemi economici che mi vedevano al centro delle mie
responsabilità: la restituzione dei soldi concessimi da Pierluigi ma
anche il bisogno di accumulare una nuova provvista destinata
all'eventuale matrimonio. Fattori, questi, che andavano ad aggravare la
routine dei costi di gestione della mia vita privata.
Ma la vita proseguiva senza badare alle mie preoccupazioni, sempre
pronta ad offrirci e a toglierci tutto. E con quella considerazione
finale, iniziai la mia giornata di lavoro.
Erano diversi giorni che non avevo più
contatti con Pierluigi. Dalla sera della pizza a casa mia, era
semplicemente sparito, eclissatosi per farmi viverre pienamente, la mia
storia d'amore. Come sempre, i suoi consigli e le sue analisi mi
mancavano.
Alzai il telefono e composi il numero del suo cellulare, trovando ad
attendermi, la solita segreteria telefonica. Lo immaginai alle prese con
chissà chi e chissà dove, accompagnato dalla sua presenza da uomo
vissuto dalla perenne abbronzatura e dai lunghi capelli che lo facevano
corsaro del mondo. Fidelia stava sfogliando riviste di moda
immagazzinando nella sua memoria immagini che la facevano sognare.
Fuori, un temporale allagava la città pulendola dal troppo smog.
"Vuoi sposarmi veramente?" disse chiudendo il giornale svogliatamente.
Avevamo fatto l'amore da poco, spossandoci come al solito senza
risparmiare nulla alla nostra voglia e alla nostre fantasie. La
televisione inviava immagini di un vecchio film in bianco e nero e
l'ambiente era intriso del fumo di molte sigarette consumate sopra alle
cose della vita.
"Si. Anche se non ho idea di quando sarà possibile, lo voglio...te lo
giuro" risposi.
Allargò i suoi già grandi occhi neri cercando di analizzarmi con lo
sguardo per indagare circa la mia convinzione.
"Mi dispiace ripartire per Cuba -continuò- anche se da un lato sono
contenta. Non vedo l'ora di dirlo a mia madre e a tutti gli amici che ho
a Moron. Però...mi mancherai tantissimo. Non sai quando potrai tornare a
prendermi?".
"Spero presto -risposi-. L'importante che tu abbia fiducia in me.
Adesso, quando tu partirai, devo fare molte cose per mandare avanti il
nostro progetto. Devo mettermi in contatto con la tua Ambasciata per
chiedere spiegazioni sul come sposarti e farti venire in Italia. Ma devo
concentrarmi sul mio lavoro...sposarsi, viaggiare, insomma tutto questo
costa parecchi soldi. Di conseguenza devo essere nella condizione di
avere i soldi necessari per fare quello che mi sono prefissato. Capisci,
amore mio?".
Fidelia continuava ad osservarmi. Poi, all'improvviso cambiò d'umore.
"Tu non vuoi sposarmi. Stai cercando delle scuse per lasciarmi ed io
soffro...". Iniziò a piagnucolare come una bambina capricciosa. Quel suo
atteggiamento mi creava delle perplessità ma, forse, faceva parte del
gioco.
Con infinito tatto mi avvicinai a lei, iniziandole a spiegarle le cose.
"In Italia, non è come da voi. La vita costa cara. Se compri un vestito,
un paio di scarpe...oppure vai al supermercato a fare la spesa..tutto
costa parecchio. E per pagare il telefono, l'affitto di casa, l'energia
elettrica occorrono molti soldi. I voli ed i miei soggiorni a Cuba hanno
esaurito i miei risparmi che avevo da parte. Non ti sto rinfacciando
nulla ma voglio spiegarti che, non essendo ricco, ho bisogno di lavorare
per mantenermi e per mantenere te, un domani, quando sarai mia moglie e
vivrai in Italia...".
"Sicuro che non mi lasci per una blanca?" chiese sospettosa.
"Ma se ti amo! Non ti lascerei per nessuna donna, capito?" dissi in tono
alterato.
Scivolammo sotto le coperte e la sentii appoggiarsi a me. S'addormentò
poco dopo, lasciandomi solo coi miei pensieri.
Credevo di averle dimostrato tutto il mio amore e le mie buone
intenzioni e, per raggiungere questo obiettivo, avevo dato fondo a tutto
quello che avevo. Perché allora, m'angosciava con domande puerili?
Perché non comprendeva il mio sentimento? Eppure, non eravamo più a
Cuba, non doveva più conquistarsi solo una promessa. Era arrivata in
Italia, dentro al suo sogno, con me.
Ricusavo il senso di stonatura e cercai di individuare cosa fosse.
Iniziavo a pensare che il mio sesto senso era troppo allarmato da
ingiustificate supposizioni e ci dormii sopra.
Sulla mia scrivania trovai un appunto
lasciatomi dal direttore che mi invitava a recarmi da lui per una
riunione informale.
La giornata non era iniziata bene. Avevo perso del tempo da un mio
potenziale cliente che, dopo una lunga ed articolata trattativa, aveva
rinunciato a firmare il contratto.
Adesso stavo precipitandomi nella fauci del lupo che mi invitava
gentilmente, a scambiare le classiche quattro chiacchiere.
"S'accomodi...".
Il direttore non era un gran personaggio con quella sua calvizie ed il
naso adunco. Quando si presentava, forte del ruolo che aveva guadagnato
in azienda, solitamente i clienti restavano increduli. Il
phisique-du-rôle aveva ancora la sua importanza nel mondo della
comunicazione pubblicitaria dove svolgevo la mia professione. Ma la
diligenza lavorativa abbinata ad anni di risultati positivi, avevano
fatto in modo che il suo anonimo aspetto fisico, passasse in secondo
piano, senza ostacolarne l'ascesa ai vertici della società alla quale
dedicava ogni attimo della sua esistenza.
"Ho trovato il suo messaggio..."dissi con voce forte e chiara.
Era uno dei piccoli trucchi che insegnavano all'inizio di quella
carriera: rendersi sicuri di sé, dando così l'impressione di avere
sempre la situazione sotto controllo.
"L'ho chiamata dopo averci ben riflettuto. Da quasi un anno a questa
parte, il trend della sua professionalità ha subito un crollo
inaspettato ed ingiustificabile. Da una brillante posizione conquistata
con merito, è sceso ai gradini più bassi delle vendite apparendo, anche
in ufficio, assente e poco disponibile al confronto dei suoi colleghi".
Così dicendo, estrasse dal cassetto della scrivania, un fazzolettino di
carta e s'asciugò il naso raffreddato. Poi, aggiunse con un
intimidatorio tono pacato. "Ho saputo del suo amore per una ragazza di
colore, ma non credo che questo c'entri con la sua debacle aziendale e
poi -tagliò corto- non sono cose che riguardano noi. Ma, effettivamente,
la sua crisi é iniziata al suo rientro da Cuba....a proposito, quante
volte c'è stato?".
"Tre volte..."risposi.
"Tre viaggi ai tropici nel giro di un anno...non sono così costose come
credevo, allora..." annotò con fare sarcastico.
Squillò il cellulare che aveva sopra la scrivania di mogano tirata a
lucido.
Rispose brevemente e lo spense subito dopo per restare tranquillo.
"Dicevamo...ah, si i tropici. Senta -intonò con fare paterno- in nome
della sua precedente posizione e abilità dimostrataci per anni,
l'azienda le offre ancora una opportunità di ritornare ad essere quello
che era. Le diamo, però, dei tempi...se nel giro dei prossimi tre mesi
non torna a dimostrare la sua efficacia con un rinnovato atteggiamento e
con dei risultati tangibili, la società si vedrà costretta a rinunciare,
suo malgrado, alla sua collaborazione. Le cose personali le tratti in
altro modo, senza che queste siano d'ostacolo al suo lavoro...". Si
soffiò nuovamente il naso, poi, cambiando ruolo e divenendo più bonario
aggiunse "Mi dia retta. Qui ha la possibilità di fare una buona
carriera, lo sa. Ha maturato l'esperienza necessaria per fare il gran
passo, non la sciupi con storielle romantiche che la impegnino più del
necessario a discapito del lavoro. Guardi me. Ho rinunciato a tutto...ma
vuole mettere le soddisfazioni professionali che mi sono tolto? Dia
retta a chi ne sa più di lei delle cose del mondo...".
Alzò il ricevitore e chiese alla sua segretaria di portare il caffè.
"Adesso beviamo un buon caffè e poi...al lavoro!".
Sarebbe valso a qualcosa se gli avessi spiegato il mio stato d'animo? Il
mio amore per Cuba e per Fidelia mi aveva cambiato, lo sapevo già. Ma
non immaginavo di essere sul punto di dover ricominciare tutto, perdendo
quello che avevo fino ad allora, raggiunto. Mi ero incasinato troppo per
le mie possibilità.
La strada di casa mi appariva più lunga del solito ed i miei pensieri
correvano incontro alle mille supposizioni che il mio cervello
elaborava. Non potevo rinunciare al mio amore ma non potevo neppure
rinunciare al quel lavoro che mi aveva assicurato la relativa
tranquillità economica di cui avevo fino ad allora goduto, anche se
ormai esaurita a causa di Fidelia e della mia passione per l'isola.
Avvertivo l'esigenza di confrontarmi con Pierluigi sempre introvabile.
Parcheggiai le mie preoccupazioni insieme alla macchina in garage.
Fidelia mi stava aspettando da una intera giornata.
Ancora un giorno ed il volo dell'Iberia
avrebbe strappato Fidelia via da me.
La tristezza della nostra separazione si faceva ogni ora sempre più
grande, incupendo quegli ultimi attimi da vivere insieme.
Le valige erano già pronte, preparate meticolosamente per far entrare
tutte le cose che avrebbe riportato a Cuba.
Il mattino ci aveva colto di sorpresa, dopo una notte passata a parlare
del nostro futuro. Progetti come quelli che qualsiasi coppia di
fidanzati è solita elaborare, prendeva forma nelle nostre speranze,
alimentate da sogni forse irrealizzabili ma dettati da tanto amore.
"Cosa fari senza di me?". "Mi penserai a Cuba?" Domande stupide che
rimanevano appese alla finestra della nostra cupezza. Milano, invece,
aveva iniziato a splendere sotto un nitido sole.
"Hai telefonato a tua madre? Ti verrà a prendere all'Avana?" domandai
per immaginarmi la scena che avrebbe vissuto a meno di quarantotto ore.
Ripercorrevo con la memoria il nostro volo di un mese prima. Quanta
gioia e quanta emozione coronarono quel viaggio che era sempre stato nei
sogni di Fidelia come un qualcosa di irraggiungibile. Con dei rapidi
fashback rivivevo le immagini che avevano caratterizzato la sua
permanenza in Europa, sin dal suo arrivo a Madrid e gli sguardi
increduli sulle vetrine dei negozi duty free, le serate in discoteca a
Milano, le corse pomeridiane per il centro città a caccia di negozi alla
moda, la pizza con Pierluigi, le cene nei locali alternativi dei Navigli
e di Brera, la curiosità nata alla vista delle gondole, la serata
passata al campo del Ghetto, l'abitudine presa nel fare la spesa al
supermarket vicino casa. Quante cose mi sarebbero mancate e quante
sarebbero mancate a lei, smarrita in una Cuba ancor più ostica da vivere
con miseria e povertà da combattere quotidianamente.
Quei trenta giorni passati in Italia sarebbero divenuti episodi ed
aneddoti che avrebbero spaziato liberi per una Moron che avrebbe
riaccolto Fidelia nelle sue piccole Avenidas polverose piene di mosche e
piattole, portate dal vento della Sierra.
Ancora una volta, però, il fascino di Cuba mi rapì portandomi con se
lungo i crinali dell'Escambray, sulla Baia di Playa Giron, tra le Calli
del Vedado con le mura colorate da murales di lotta e miti passati.
Dovevo ancora superare molti ostacoli prima di giungere ad una
dimensione di serenità che auspicavo possibile per noi due.
Lo squillo del citofono mi distolse dalle mie considerazioni.
"Sono Pierluigi...posso salire?".
Entrò portando una bottiglia di rum ed un pacchetto incartato.
"Non potevo lasciar partire Fidelia senza salutarla..." disse mentre si
accomodava famigliarmente sul divano.
"Holaaaaaaa, gringo!" lo apostrofò Fidelia nel frattempo entrata nel
piccolo disimpegno.
"Come siete sbattuti!" continuò scherzando il mio amico.
"Figurati. SIamo così tristi che ci è passata qualsiasi velleità,
t'assicuro" precisai.
Fece un cenno di disapprovazione indicando in quel modo, la sua
incredulità.
"Si, immagino proprio che vi sia passata la voglia...ma a chi vuoi darla
a bere!" continuò sorridendomi.
"Quando mi vieni a trovare a Moron?" disse Fidelia guardando,però, il
pacchetto che stringeva tra le mani.
"Credo che sarò a Cuba tra un paio di mesi. Ma vado a Santiago...comunque
vedrò di passare per Ciego de Avila così mi sarà possibile venirti a
trovare al tuo paesello".
"Lo sai che Claudio mi ha chiesto di sposarmi?" disse con aria
civettuola.
Pierluigi inclinò la testa come per ascoltare meglio, poi volse il suo
sguardo su di me.
"Complimenti. Non pensavo che foste a questo punto...comunque, auguri e
figli maschi!".
Aprì la bottiglia di Havana Club etichetta oro e riempì tre bicchieri
che aveva preso dal mobile del bar.
"Allora festeggiamo l'avvenimento con un brindisi d'augurio. A
proposito, questo pacchetto è per te" e porse il pacchetto a Fidelia.
Lei lo afferrò, iniziando a scartarlo con cura finche non ne uscì un
piccolo astuccio di pelle rigida che aprì accompagnando l'apertura della
scatolina con un urletto di gioia.
"Ma è stupendo!" esclamò.
Era un piccolo anello d'argento con una pietra dura, di foggia
orientale, che Fidelia infilò immediatamente al suo anulare.
"E' un piccolo pensiero per te. L'ho comprato a Kuala Lumpur la scorsa
settimana, in una piccola bottega al quartiere cinese. Dicono che porti
fortuna".
"E' stato un bel gesto, quello di ricordarti di lei" dissi con una punta
di stizza.
"Stai tranquillo gelosone, non te la rubo mica" rispose Pierluigi
accorgendosi del mio cambiamento d'umore.
"Non litigate -disse Fidelia- io ho fame...." e così dicendo andò in
cucina, lasciandoci soli.
"Allora, come te la passi?" mi domandò.
"Con tanti problemi...la paura di perderla, la voglia di tenerla
stretta, il voler godere di tutti i momenti passati insieme ed il mio
amore per Cuba mi hanno fatto perdere la concezione del lavoro. Sono
stato avvertito, con una specie di ultimatum, che se non ritorno ad
essere 'normale' sarò presto licenziato. A questo fatto, devo aggiungere
che vivo a volte delle strane sensazioni che sono come segnali di un
tormento occulto del quale non capisco ne l'origine e tanto meno il
significato...per questo ti avevo cercato, volendomi confrontare con
te".
"E' dura, lo so. Ora hai vissuto un mese con lei, ti sei fatto una idea
del vostro rapporto e puoi decifrare meglio i tuoi sentimenti. Partendo,
Fidelia ti lascerà il tempo e lo spazio necessario per recuperare gli
stimoli necessari per continuare alla meno peggio il tuo lavoro..."
disse senza convinzione.
"Tu credi?" ribattei.
Fidelia entrò portando un vassoio contenente una cena fredda per tre.
Era l'ultima che avrebbe consumato in Italia.
Pierluigi si fermò il tempo necessario per scambiare quattro
chiacchiere, lasciandoci nuovamente soli per godere delle ultime ore
rimaste a nostra disposizione in quella breve ultima notte.
Mestamente rientrammo in camera da letto dove, con gesti quasi
innaturali, ci spogliammo per andare a dormire.
Il rumore del silenzio era rotto solo dal ticchettio della minuscola
sveglia posata sul comodino. Ero sdraiato vicino a lei e riuscivo a
percepire la sua tormentata angoscia.
"Mi mancherà tutto quello che ho avuto questo mese" disse lievemente.
Non avevo che parole vuote per consolarla, così rinunciai a risponderle.
Singhiozzò sommessamente, quasi si vergognasse di dimostrarmi tutto
l'amore che sentivo scendere dalle sue lacrime.
"Non piangere, ti prego".
"Come faccio...ti perderò, lo sento".
Il dolore è angosciosamente comunicabile a volte e anch'io stavo vivendo
svisceratamente l'ansia che covava nell'animo suo, anche se non
condividevo il motivo che l'aveva generata.
Le risposi mentre i miei occhi si stavano inumidendo.
"Non mi perderai. Hai visto anche tu che le mie promesse sono divenute
realtà...Non devi temere di perdermi. E' doloroso per entrambi il
separarci nuovamente ma mi consolo sapendo che sarà una delle ultime
volte. Pensa -continuai- a quando potremo vivere insieme tutti i giorni
per tutti i mesi e per tutti gli anni della nostra vita. Come sarà
bello! E lo sarà ancor di più di adesso, quando sapremo che nessuno ci
potrà più dividere. Non credi?".
Strozzò i suoi singhiozzi e s'asciugò le lacrime col bordo del lenzuolo.
"Si mi querido" rispose.
Le accarezzai le sue lunghe treccine
fino ad addormentarmi stretto a lei.
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