Se Romano Prodi non sarà incaricato
da Ciampi prima dell'elezione del Capo dello Stato, probabilmente avrà
già perso la partita e dovrà passare la mano. Con lui avrà perso chi ha
sperato in una svolta, anche minima. Da Berlusconi a Bush al Financial
Times, in troppi lavorano contro il centrosinistra (e l’Europa) tessendo
una tela a metà tra la bassa cucina e il piano eversivo.
di
Gennaro Carotenuto
La settimana iniziata oggi deciderà
delle sorti di Romano Prodi e del suo governo. Domani, mercoledì, la
Cassazione metterà fine alla scellerata farsa dei brogli e del
riconteggio voluta da Silvio Berlusconi. Nelle 48 ore successive
Berlusconi e Bush dovranno prendere atto della vittoria del
centrosinistra (perdendo la faccia o inventando qualcos’altro), ma
soprattutto Carlo Azeglio Ciampi dovrà disegnare il percorso che porterà
al nuovo governo, liberandolo o legandolo a doppio filo alle elezioni
per il nuovo Presidente. Chi pensava che la settimana decisiva fosse
l'ultima di campagna elettorale -con il faccia a faccia tra l' "ubriaco"
Berlusconi e l' "idiota" Prodi- ma che poi avremmo comunque avuto un
governo che salvasse o affondasse definitivamente il paese, ha dovuto
ricredersi. Il risultato delle urne è innegabilmente controverso. Non lo
è per il “non riconoscimento” delle destre, ma perché l'esigua
maggioranza al Senato rende debole il Presidente del Consiglio molto più
di quanto non faccia con la coalizione che lo sostiene. Prodi ha un solo
cammino possibile. La maggioranza con la quale è stato eletto,
escludendo solo il ritorno al voto, ha più alternative.
Romano Prodi ha dunque più fretta di
tutti: deve formare il nuovo governo, o sarà necessariamente sacrificato
dalla sua stessa maggioranza. I suoi più fedeli alleati sono i partiti
di sinistra -destinati a restare fuori in una Grosse Koalition- mentre
quelli di centro, DS compresi, dichiarano fedeltà al vincitore delle
primarie e delle elezioni, ma non muoiono dalla voglia di imbarcarsi in
una spedizione governativa che potrebbe naufragare nel giro di poche
settimane.
La situazione di Silvio Berlusconi è
uguale è contraria a quella di Romano Prodi. AN e UDC hanno bisogno che
Prodi governi per succedere ad un Berlusconi pensionato, nel giro di un
paio d'anni. Lui, invece, deve affossare immediatamente Prodi, per
mettere ancora a frutto quel 23% di voti che ha in mano. Una
normalizzazione prodiana lo renderebbe –due volte sconfitto- quello che
negli Stati Uniti si dice "anatra zoppa", un lider alla fine della sua
carriera, senza capacità di dettare l'agenda politica, in balia del fato
(martiniano) e della Legge uguale per tutti.
Il riconoscimento della vittoria, in
epoca bipolare, non era mai stato oggetto di mercanteggio. Non ci sono
precedenti in Europa Occidentale a meno di non ricorrere a tempi
sinistri: il 18 luglio 1936 in Spagna con il colpo di Stato
–parzialmente fallito- di Francisco Franco contro il governo del Fronte
Popolare che aveva trionfato in febbraio o il colpo di stato comunista
in Cecoslovacchia nel febbraio del 1948, che tanto condizionò il nostro
18 aprile. Sono antecedenti incomparabili, per fortuna, ma che non
rendono il quadro italiano presente meno preoccupante.
Oggi il non riconoscimento è uno
scenario che dobbiamo desiderare che sia causato solo dalla speranza
berlusconiana di un vile baratto. Ai molti che nel centrosinistra non
credono che Prodi possa durare, Berlusconi offre infatti governabilità
(per far cosa meglio non dirlo) in cambio del rimanere al centro del
quadro politico. Se ci fosse dell’altro allora il non riconoscimento
sarebbe parte davvero di uno scenario golpista, come denuncia –i
quotidiani italiani sono troppo assuefatti al berlusconismo per
segnalarne il carattere eversivo- il britannico Guardian.
Non solo la destra berlusconiana
vorrebbe liquidare il professore favorendo l’ammucchiata neocentrista
che riporterebbe all’opposizione la poderosa area antagonista che ha
superato il 10% dei voti lo scorso 9 e 10 aprile. Lo desiderano molti
soggetti in Italia e all’estero. La Confindustria, la CEI e il Vaticano
in Italia. Lo desidera anche almeno una parte della maggioranza, tra i
quali spiccano i rutelliani e i dalemiani. All’estero lo desiderano il
governo statunitense, quello britannico solo nominalmente progressista,
i poteri forti neoliberali, con l’unica eccezione dell’UE. La strategia
dell’amministrazione repubblicana in particolare è gravissima: la CBS on
line scrive apertamente che il ministro Castelli sta liquidando le
pendenze con i giudici “antiamericani” per ottenere l’impunità
definitiva per i sequestratori di Abu Omar a Milano e degli assassini di
Nicola Calipari a Baghdad. Magari fosse per così poco. In realtà, ed in
questo la sinergia tra Bush ed il britannico Financial Times è palese,
le potenze anglosassoni continuano a puntare alla destabilizzazione
dell’area Euro, colpendo l’anello più debole, l’Italia, per impedire a
medio termine la sostituzione del dollaro come valuta di riferimento
mondiale. Per la Cassandra londinese predire il crollo dell’Euro tra
nove anni è palesare il wishful thinking, il desiderio più intenso del
mondo anglosassone contro gli alleati continentali.
Proprio l’Europa è l’atout per eccellenza di Romano Prodi. L’Europa
conta su di lui e lui conta sull’Europa. Presentare il suo governo come
un rischio mortale per l’Europa stessa è un colpo basso che fa pensare
ad un’Italia costantemente sotto attacco nei prossimi anni, onde creare
le condizioni dello storico fallimento dell’unione monetaria e del
mercato comune. E l’unica cosa certa è che non c’è al mondo un solo
paese come gli Stati Uniti con un curriculum così sinistro nella
destabilizzazione di governi democratici. Perché mai non dovrebbero
lavorare a destabilizzare l’attuale maggioranza prodiana, che rischia di
seguire Zapatero nel ritiro dall’Iraq ed essere un interlocutore
scorbutico per l’imminente avventura persiana?
Lasciando da parte per il momento gli
scenari più inquietanti, lo strumento con il quale Silvio Berlusconi
vuole tenere le redini del suo destino giudiziario è il Lodo Meccanico,
che rende impuni le prime cinque cariche dello Stato. Berlusconi può
tornare a Palazzo Chigi solo se il centrosinistra sceglie di suicidarsi
andando ad elezioni in meno di un anno. Sa che è un'ipotesi improbabile.
Gli restano due possibilità: il Quirinale e Montecitorio. Ha scelto di
giocare durissimo. Fin da martedì 11 ha condito un piatto avvelenato con
due pietanze: da una parte c'è il non riconoscimento della vittoria di
Prodi (che vale una guerriglia politica a tempo indeterminato,
insostenibile a Palazzo Madama per il governo). Vi ha aggiunto il
contorno dell’immediata, pelosissima e fin troppo calorosa disponibilità
ad un governo di Grande Coalizione. L’apertura di Massimo D'Alema al
dialogo (al momento solo sul Colle, domani chissà) è la risposta che
Berlusconi attendeva e che gli permette di trincerarsi su di un
altrimenti insostenibile non riconoscimento.
Carlo Azeglio Ciampi di suo,
allontanando nel tempo fin quasi a giugno l'incarico a Prodi, lega a
doppio filo la corsa al Quirinale alle sorti del futuro governo che
invece ne sarebbe slegata se fosse lui a dare celermente l’incarico. Se
il Capo dello Stato confermasse la decisione di allungare i tempi,
nascondendosi dietro una cortesia istituzionale al suo successore,
sarebbe una scelta inquietante, per gli elettori di centrosinistra.
Straordinarie pressioni stanno orientando il Colle. Se il governo Prodi
non nasce prima dell'elezione del nuovo Presidente della Repubblica, è
molto probabile che venga superato dai fatti e non nasca più.
Berlusconi nei prossimi giorni
continuerà a fare il massimalista: chiederà per sé un'impossibile
Presidenza della Repubblica in cambio di un governo della “non
sfiducia”. Antonio Socci, dalle pagine di Libero, ha già lanciato un
ballon d’essai per conto del cavaliere. Berlusconi potrebbe poi
insistere per un candidato della CdL, Pera o Casini. Ma l’approdo vero
per Berlusconi è votare un candidato che lo garantisca all’interno
dell’Unione. In quest’ambito il nome che più salvaguarda Berlusconi è
proprio quello di Massimo d’Alema. Quando d’Alema parla di “metodo
Ciampi” sta proprio proponendo tale soluzione a Berlusconi, sul suo
stesso nome o su subordinate come quella di Giuliano Amato. La soluzione
di d’Alema al Quirinale, Franco Marini a Palazzo Madama e Fausto
Bertinotti a Montecitorio potrebbe essere accettabile anche per Prodi.
Il centrosinistra ha la maggioranza per eleggere un proprio candidato
fin dalla quarta votazione. Quindi Berlusconi sarà costretto a giocare
subito le sue carte sul “metodo Ciampi”.
Ma è chiaro che se per quell’epoca il
governo Prodi sarà un dato di fatto, allora questo potrà comunque
provare a navigare anche se in un mare che resterebbe procelloso. Se, al
contrario, il governo non sarà ancora nato, allora non sarà sufficiente
Ulisse per resistere alle sirene neocentriste che dissemineranno
–complice il nuovo Presidente- mine in ogni passo del Professore, fino a
poter fare mancare la fiducia (bastano un paio di voti), qualora si
avventurasse a chiederla con un gabinetto che rispecchiasse lo spirito
del voto del 9 aprile. Prodi dovrà allora necessariamente passare la
mano. Il suo cammino per rispettare la volontà degli italiani, somiglia
oggi al passaggio attraverso la cruna di un ago. Deve ottenere subito
l’incarico da Ciampi. Poi deve superare lo scoglio della composizione
del governo ed ottenere la fiducia, giocando immediatamente la sua
maggioranza per una Presidenza che sia meno dialogante possibile con le
destre (c’è uno Scalfaro silente?). Quindi deve resistere fino al
congresso dell’UDC di settembre. Lì si vedrà se saprà cooptare un numero
sufficiente di senatori democristiani (l’UDC ne ha 21, ne basterebbero
6-7) oppure se la forza centripeta neocentrista attrarrà la Margherita
facendolo infine naufragare, da destra o da sinistra.
Fin qui siamo nel territorio della
bassa cucina politica. Purtroppo è la migliore delle ipotesi per quanto
deprimente. Ma i giorni che ci portano alla Festa della Liberazione
dovranno sciogliere alcune delle irritualità più marcate della storia
delle elezioni politiche in epoca repubblicana. Gli impuniti Berlusconi,
e Calderoni, difficilmente pagheranno un prezzo per aver tentato di
delegittimare la vittoria del centrosinistra. Ma a cosa mirano ancora?
Dai brogli, alla presunta non sconfitta, alla patacca della lista
civetta leghista di sinistra che non sarebbe stata conteggiabile, al
fatto che non si sa quanti conigli contiene ancora il cilindro
berlusconiano, si va profilando una vera emergenza democratica, che se
non cela un disegno eversivo più ampio è eversiva nei fatti. La
settimana passata è stata la più delinquenziale nella storia della Casa
delle Libertà: l’evocazione dei brogli, il non riconoscimento, il
kamikaze Calderoli che non è in grado di citare a quale articolo della
sua legge si riferisce, ma intanto semina delegittimazione, gli appoggi
internazionali. Di fronte alla gravità del “non riconoscimento” da parte
di Bush, unito al piano di destabilizzazione dell’Unione Europea, del
quale si fa portavoce il pessimo Financial Times, e ad un Berlusconi che
appare una scheggia impazzita che oscilla tra il voler salvare se stesso
e il voler far morire Sansone Prodi con tutti i filistei italiani, è
necessario attivare percorsi di vigilanza democratica perché il
passaggio di consegne avvenga presto e bene. Siamo ad una settimana
esatta dal 25 aprile. Dev’essere la festa della nostra democrazia,
quella del 25 aprile e pure quella del 9 e 10.
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