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Erano passati dieci lunghi mesi dal
giorno della sua partenza. Il ricordo della mia promessa, aveva fatto si
che il mio lavoro riprendesse a girare come una volta. Non potevo
permettermi sbagli e non dovevo, quindi, correre il rischio di rimanere
disoccupato. Da quella piattaforma, anche se molto pesantemente,
decollavo ogni mattina per raggiungere i traguardi che mi avrebbero
permesso di conquistare l'obiettivo rappresentato dalla realizzazione
del sogno.
Restavo in contatto con Fidelia grazie alle numerose lettere ed alle
telefonate che, settimanalmente, partorivo come una panacea alla mia
sofferenza. Ma le tristezze erano messe da parte, annullate da quegli
stimoli che si erano magicamente generati in me e, grazie ai quali, ero
risorto ad una nuova concezione di vita. Era come se, cinicamente,
avessi vivisezionato il mio stato d'animo, eliminando le fonti dei miei
malesseri e delle mie angosce.
Il mio amore per Cuba rimaneva immutato e lo rafforzavo ogniqualvolta
avevo l'occasione di incontrare Pierluigi, al quale stavo restituendo
periodicamente, la somma prestatami. Ci scambiavamo pareri che poi
analizzavamo analiticamente, trattando lo stesso denominatore comune:
quella Cuba che avevamo imparato ad amare, la sua gente che ammiravo e
le nostre donne che ci avevano rapito il cuore.
Fidelia era rientrata senza clamori a Moron distribuendo, come previsto,
regali a tutti i suoi conoscenti. Mi aveva confessato di portare sempre
con se le foto che aveva scattato in Italia, affinché le fosse possibile
esibire la prova della sua visita e dei progetti che ne erano
successivamente scaturiti.
Non era più stata a Varadero ne a Santiago, non le interessava e poi non
avevo i soldi necessari per effettuare viaggi. I suoi spostamenti erano
limitati a raggiungere in bicicletta Patria, un paesino vicino Moron,
dove abitava una sua cugina e, tutt'al più, Ciego de Avila, dove
risiedeva una sua zia. Per il resto, vegetava fuori dalla sua casetta
guardando le poche macchine passare mentre ascoltava la radio, in attesa
di una mia lettera.
Aveva eliminato, a poco a poco, i suoi vecchi "fidanzati" stranieri che
ogni tanto le scrivevano per comunicarle nuovi ritorni a Cuba e
invitandola a passare qualche giorni insieme a loro. Fidelia, non
interessata, non era più la jinetera conosciuta ma solamente una donna
innamorata in attesa del suo uomo che, prima o poi, l'avrebbe resa
felice.
Pierluigi era andato a trovarla poco dopo il suo rientro, Aveva
conosciuto la famiglia e aveva portato con se, un pacco da me
confezionato e accompagnato da qualche centinaio di dollari che le
avrebbe reso meno dura la vita.
Al suo rientro, nel solito localino di Brera, mi aveva fatto un
dettagliato resoconto a proposito delle sue impressioni. Concordava con
me che Fidelia mi amava ed appariva sincera, ma era titubante sull'esito
di una nostra eventuale unione.
I suoi dubbi nascevano soprattutto, dal fatto che appartenevamo a due
universi differenti i quali generavano, il più delle volte, punti di
vista opposti e contrastanti che mai si sarebbero potuti conciliare.
Cercavo, con la forza del mio amore, di conquistare delle posizioni che
mi permettessero di giustificare il mio punto di vista, da dove era
possibile supporre che qualsiasi problema di incompatibilità causato dai
nostri differenti mondi, sarebbe stato annullato dal mio atteggiamento
positivo, proprio dell'amore che nutrivo per lei.
Pierluigi non era dello stesso parere. A suo dire, prima o poi,
l'incompatibilità che lui pronosticava, sarebbe emersa creando delle
fratture nel nostro rapporto che non si sarebbero potute ignorare
neanche anteponendo ad esse, il nostro sentimento.
Ma, come ad ogni contrarietà della vita, l'egoismo non ci fa vedere
serenamente la globalità delle cose. Anzi, agisce come antidoto atto a
falsare la realtà per sottoporcela, successivamente, come noi vogliamo
che sia, ingannandoci sul nostro futuro.
Durante i lunghi confronti con Pierluigi, non solo volevo afferrare il
senso della sua analisi che rifiutavo per partito preso, ma iniziavo ad
inquadrare il mio amico, come un potenziale denigratore della mia
felicità, spesso arrivando fino al punto di discuterci fortemente solo
per mantenere salde le mie convinzioni.
Fu proprio in uno dei nostri incontri serali che si evidenziò la
frattura che aveva portato ad incrinare il nostro rapporto già da
qualche tempo.
Stranamente, era una sera caratterizzata da un clima mite per Milano.
L'appuntamento prefissato, vide Pierluigi e me, arrivare nello stesso
momento davanti al luogo di ritrovo, per poi dirigersi insieme, verso
quella pizzeria divenuta ormai il nostro punto di riferimento.
Dentro, l'ambiente pieno di fumi e aromi, mi riportava alla mente più un
localino di Posillipo che non un paladares cubano. Con l'immancabile
puros acceso, Pierluigi attendeva pazientemente che terminassi
l'ennesima spiegazione delle mie ragioni.
"La felicità -conclusi- è legata al raggiungimento dell'obiettivo che mi
sono prefisso. Una volta sposatomi con Fidelia, non esisteranno più
ostacoli al mio amore e tanto meno alla mia crescita come individuo.
Fidelia è tutto e valorizza l'essenza del mio essere".
"Il fatto è -rispose pazientemente- che tu stai vedendo il problema come
se non fosse tale. T'inganni solo perché la tua passione è così gretta,
da non farti percepire tutte le difficoltà di ordine pratico che
angustieranno la vita futura".
Non riuscivo proprio a seguirlo.
"Ma cosa mi angustierà? Sarò felice con lei a Milano, quando saremo
sposati..."ribattei violentemente.
Colsi un velo di tristezza sul suo viso. Le rughe si incresparono
ulteriormente facendomi curiosare ulteriormente su quella maschera
perennemente abbronzata, che stava diventando ostile alla mia vista.
Proseguì. "Una volta te ne parlai. Devi stare molto attento: tu vedi
Fidelia e Cuba e, in Cuba il sogno che non puoi realizzare qui. Per te,
anche se sei conscio delle difficoltà materiali, non esistono ostacoli.
E' qui che sbagli. Ti premetto che non intendo pontificare sui tuoi
rapporti amorosi, potresti essere felice od infelice con qualsiasi donna
con la quale tu decida di vivere la tua vita. Ma, non volendo valutare
questo fattore di imponderabilità, devo essere critico sulla tua visione
delle cose a proposito di Fidelia. Hai amato, e ami, la realtà cubana.
Ma non riesci a distinguere ciò che è oggettivo da ciò che è soggettivo.
Hai incarnato con Fidelia, tutte le tue aspirazioni, confondendole con
miti passati e false informazioni...riflettici bene. Parti da Guevara,
idolo eroico mitizzato e poetizzato; aggiungici una bellissima ragazza
che si è dimostrata disponibilissima e con la quale puoi giocare ad
essere il suo pigmalione. In fondo, non è che una bambina che tu prendi
per mano e che valorizza il tuo ego. Aggiungi, inoltre, la bellezza
dell'isola, il suo fascino, i suoni, la sua gente...ed, infine, paragona
questo alla vita monotona e metodica, priva di sensazioni che hai
vissuto fino adesso in Italia. Tutto questo ti fa pensare che sia
giustificato lo sposarti con Fidelia e sei sicuro che con lei,
raggiungerai la felicità. E' vero?".
Annuii immediatamente e continuò.
"Ora ti dico nuovamente cosa non va. Tutti gli elementi che ti ho
descritto fanno parte di quei parametri che sono solo tuoi e che non
hanno nulla a che vedere con quelli fondamentali, dai quali dovresti
partire per elaborare un sano ragionamento. I dati di fatto essenziali
sono quelli che ti dico ora: punto primo, tu non vivi ne vivrai mai a
Cuba. Le spiagge, il son cubano, le mulatte, i particular, le bellezze
coloniali di Trinidad e di Baracoa sono e fanno parte di una cultura, di
una storia, di un mondo che non sono i tuoi e, ovviamente, non sono
trasportabili a tuo piacimento. Li potrai anche vivere intensamente ma
limitatamente ai giorni che passerai sull'isola, dove ritroverai quei
valori ma dove pure li rilascerai al momento della tua partenza. Vivendo
in Italia, anche se per me è triste dirlo, esistono altri stimoli che
non solo non assomigliano a quelli cubani ma, viceversa, ne sono
l'esatto contrario. Punto secondo: Fidelia ti ha conosciuto, apprezzato
ed amato per quello che rappresenti per lei. Sai che è stata una
jinetera per scelta obbligata o no, non è questo l'importante, ma la
realtà delle cose esula dalle cause originarie. Come jinetera è abituata
al suo metro di paragone ed al suo modo di vita. Ne convieni?".
Senza attendere risposta, dando tutto per scontato, continuò.
"Quanto ti è costata durante il mese di vacanza quando era tua ospite?
Due, tre, quattro milioni? Spesi, com'è ovvio, per regalarle vestiti,
oggetti, divertimenti e quant'altro necessario per soddisfare
parzialmente le sue voglie represse. Credi che un domani che sarà tua
sposa, le passeranno gli stimoli consumistici che ha messo vagamente in
mostra durante la sua visita in Italia? Fidelia ti considera ricco...lo
se bene che non lo sei. Ma lei, abituata ai parametri cubani di cinque
dollari al mese, un italiano che guadagna uno stipendi di quasi duemila
dollari è ricco. O meglio, lo sarebbe se vivesse dentro l'economia
cubana ma non certo in quella capitalistica nostrana. Le hai mai
raccontato quanto costa mantenersi in Italia con uno stipendio? Le hai
descritto le rinunce che uno come te deve fare per avere cinque milioni
da spendere in due settimane a Cuba? Anche se non le hai parlato di
questo, t'assicuro, non perderci tempo: non capirebbe. Lei ragiona con
la sua testa e qualsiasi contrarietà la motiverebbe del fatto che tu non
la desideri più e che stai trovando un pretesto per lasciarla...".
Afferrò il boccale di birra che aveva davanti e beve una lunga sorsata,
lasciandomi il tempo per riflettere su quanto aveva detto.
Sapevo, in cuor mio, che aveva ragione. Mi riportò alla mente alcune
discussione intavolate con Fidelia a proposito della realtà economica
capitalistica, di come funzionavano le cose da noi e delle differenze
tra i due mondi finanziari. Non volevo, tuttavia, accettare l'idea che
una spietata analisi mortificasse il mio sogno fino ad infrangerlo
totalmente.
Pierluigi posò il bicchiere ed aspirò il suo sigaro.
"Credi che il tuo amore, dopo i primi tempi innegabilmente belli e
felici, sapranno modificare il carattere e le aspettative della tua
chica? Basteranno le notti d'amore a compensare quello che il tuo
portafoglio non le potrà dare? E sei proprio sicuro che, quando vedrai
la venalità dei suoi gesti, Cuba e Fidelia ti piaceranno ancora come
adesso? E' per questo che ti dico che ci devi riflettere sopra molto
bene. Nessuno ti impedisce di avere la chica che vai a trovare senza
clamori. Puoi vivere in pieno la tua illusione nella terra del Caribe,
per venti o trenta giorni all'anno, mantenendo integro il tuo sogno che
ti aiuterà a sorpassare quei momenti di tristezza che incontrerai nel
tuo lavoro, nei rapporti sociali, nella quotidianità della tua vita. Lo
so che mi ripeto ma noi, a Cuba, viviamo quello che non potremo mai in
Occidente, approfittando a volte, della disperazione di ragazze che
sarebbero felici altrimenti, se vivessero in un modo differente dal loro
status attuale di "cubani". E' un interfaccia reciproco ed ingannevole,
fatto di comuni convenienze, lo sai bene".
Decisi di interrompere il suo monologo.
"Quello che non comprendi -dissi in modo decisamente alterato- è solo un
fatto: non è possibile pensare che lei ed io ci amiamo semplicemente, a
parte la nazionalità, i costumi, l'economia, la politica, la religione e
quant'altro possa differirci? Quanti matrimoni interrazziali ci sono in
Italia? Vanno tutti a finire male o sono tutti dettati dall'interesse?
Che la ami e che mi piaccia Cuba nel contempo, non credo che possano
essere considerate due cose in contrasto fra loro, anzi. Sposandomi con
Fidelia non sposo mica Castro o Guevara e neppure i mariachi di Varadero
o i Santero di Santiago...in quanto, poi, al problema del 'costo' di
Fidelia, la volta che venne in Italia dette sfogo ai suoi istinti
repressi, ciò è verissimo. Ma è pur vero che, una volta inseritasi nella
nostra realtà, non potrà più pretendere di soddisfare sempre i suoi
desideri. Se mi ama, come credo e so, per quanto difficile non le sarà
impossibile frenare le sue voglia, no?".
Pierluigi non accennò a nessun tipo di assenso. Si limitava ad
ascoltarmi, fumando con relativa calma il suo sigaro, senza farsi
distrarre dalla vita che ci scivolava intorno.
Poi, scosse la testa mentre un mesto sorriso si allargava sulle sue
guance.
"No, mi amigo, no!" rispose laconicamente.
"Cazzo! Come no?!" ribattei violentemente sconvolto.
"Non ti concederà nulla -rispose-. Pretenderà il massimo da te perché
s'immagina che tu glielo darai. Ed effettivamente farai del tutto per
assicurarle quel benessere che cerca. Lo farai perché ti sarà dapprima
ancora possibile e, successivamente, quando finite le tue risorse
economiche, t'arrampicherai sugli specchi per cercare di soddisfarla
ancora. Fidelia si dimostrerà una piccola sanguisuga intelligente. Non
ti collasserà subito ma, un poco alla volta, stillerà la tua linfa fino
all'ultimo solo per appagare i suoi desideri. Certo, non lo farà con
cattiva intenzione ma solo ingenuamente...comunque lo farà. E tu, non ti
renderai conto del suo gioco fino a quando non ti troverai intrappolato
e senza via d'uscita: allora non ti sarà più possibile tirarti indietro
e lei non rinuncerà a quella vita che ha vissuto con te. A quel punto,ti
ritroverai senza amici e senza lavoro, pieno di debiti e con crisi di
identità mentre lei, si guarderà intorno per cercare un altro che le
assicuri ancora quel benessere che tu non le potrai più dare".
Sbattei violentemente il pugno sopra al tavolino rovesciando il mio
bicchiere ed attirando l'attenzione del cameriere annoiato.
"Sei pazzo! Fino a qualche tempo fa mi sollecitavi a credere nella
nostra Cuba, nella sua gente, in Fidelia. Ora che ho deciso di
sposarmela escono fuori tutte le meschinità che avrebbe la mia amata.
L'hai trasformata in un mostro senza cuore, un golem pieno solo di
interessi personali e cinismo, peggio di una droga distruttiva. Credo
solo che tu sia geloso del fatto che io, pur inesperto al tuo confronto,
abbia trovato un amore vero e sincero mentre tu, camajan vero, ancora
vai a jinetere! La tua è solo invidia, ed io che pensavo che fossi un
vero amico...".
Pierluigi s'alzò compostamente dalla sedia e mi fissò dritto.
"Non voglio deluderti ancora con la mia amicizia -disse con triste
sarcasmo- e, quindi, ti saluto senza rancore, perché non lo meriti
neppure. In riguardo ai soldi che ancora mi devi, tienili pure...ti
serviranno. Adios y suerte".
Girò sui tacchi quasi piroettando e guadagnò l'uscita senza voltarsi.
Avevo perduto l'unico amico che avevo, sapendo che quello che aveva
detto, era la pura verità. Ma il mio cieco amore non poteva
giustificare la durezza della realtà e, l'unico torto del mio amico,
era stato quello di espormi la situazione che si sarebbe potuta
generare, senza cercare appigli e mezzi termini. Ma, in cuor mio, non
potevo accettare il probabile esito, perché il mio ottimistico senso del
sentimento, mi portava a volare così in alto da non aver paura delle
vertigini che provavo.
Uscii dal ristorantino decisamente contrariato ed in preda ad un furioso
mal di testa. L'aria frizzantina della notte mi fece rabbrividire
risvegliandomi dal torpore in cui ero precipitato. Tradussi il brivido
che mi scivolò sulla schiena come una rinascita del mio desiderio.
Dovevo accorciare i tempi, scendere nuovamente a Cuba per sposarmi
Fidelia e portarla in Italia, dimostrando così al mondo intero che il
nostro amore era più forte delle paure che covavano dentro di me.
Dopo aver brigato per prendere le
ferie anticipate, mi ritrovavo ancora una volta, seduto nella scomoda
poltroncina del DC10 che mi stava portando all'Avana. Ancora un paio
d'ore e sarei arrivato a destinazione pronto a confrontarmi col mio
futuro. Le certezze conquistate tramite la mia convinzione, venivano man
mano scemando mentre mi avvicinavo alla meta. Avevo analizzato tutti i
dubbi innestatimi da Pierluigi durante il nostro ultimo incontro e, più
ci ragionavo sopra, più mi rendevo conto che c'erano tutti i presupposti
per covare fondati timori circa l'esito del mio agognato matrimonio. Le
malinconiche note di una canzone di Laura Pausini, diffuse dalla
cuffiette della filodiffusione interna dell'aeromobile, violentavano i
miei pensieri facendomi precipitare indietro nel tempo, quando con
Fidelia, ascoltavo la stessa melodia, tanto di moda a Cuba, all'epoca
del mio primo viaggio. I cubani, sono un popolo di romantici pronti ad
utilizzare tutti i mezzi per sognare quei personaggi che amerebbero
impersonificare e che li fanno librare nell'immaginazione, per godere
fino in fondo, del loro innato senso di umanità e dolcezza. Com'era
dolce rivedere le diapositive dei miei ricordi che si sparpagliavano
disordinatamente nella mia testa, mentre mi stavo avvicinando sempre più
a quella terra che mi aveva posseduto sin dalla prima volta. Uscito
dall'aerostazione, animata come sempre, il caldo umido e solare mi
avvolse completamente. Odori ormai noti, penetravano nelle narici che
gustavano gli afrori dei palmizi che circondavano il piccolo aeroporto
mischiandoli con il puzzo del carburante non ottimamente raffinato, che
fuoriusciva da decrepiti tubi di scappamento delle auto circolanti.
Fidelia era ad attendermi, all'interno del variopinto cordone di gente
in attesa di altra gente. Con le lacrime agli occhi ci abbracciammo
fortemente, consapevoli dell'imminente coronamento del nostro sogno. Con
un anonimo taxi, fuggimmo dalla folla, dai rumori, dagli aromi forti e
dalla noia per farci portare al Vedado a quella che consideravamo,
ormai, la nostra casetta habanera.
Juliet si sbracciò fuori dal portoncino color marrone, accogliendomi con
visibile gioia.
"Bienvenido my Claudio" disse abbracciandomi.
"Hola!" risposi ridendo del mio comico accento spagnolo.
Fidelia corse in camera, anticipandomi nella conquista del letto.
"Claudio -mormorò- te quiero mucho".
Ci spogliammo, fregandocene del resto del mondo rimasto chiuso fuori
della porta della piccola camera, in attesa di un nostro rientro alla
vita che avevamo lasciato al di là delle nostre voglie.
Un groviglio di sesso, passione, dolcezza, poesia, eccitazione,
s'impadronì di noi e dei nostri corpi sudati ed appiccicosi mentre si
contorcevano in preda ad occulte voglie di essere e di fare. Era passato
un anno dall'ultima volta che avevamo fatto l'amore. Dodici lunghissimi
mesi passati a rimuginare sul matrimonio che avremmo contratto alla
Consulteria Juridica dell'Avana e che ci avrebbe permesso di transitare
ad una nuova vita, la nostra.
Non pensai più ai dubbi e a Pierluigi. Tutto era così confusamente bello
e, come in un caleidoscopio, riuscivo solo a percepire le sensazioni in
modo istintivo, senza avere la possibilità di focalizzarle nitidamente.
Mi addormentai abbracciato al suo corpo, pensando che non avrei dormito
più solo, da quel momento in poi.
L'aria condizionata era posizionata al
massimo livello. La villa, in stile liberty coloniale che ospitava la
Consulteria Juridica, era stata restaurata da non molto. Lo si intuiva
dai lucenti marmi tirati a lucido nei quali era possibile addirittura
specchiarcisi, come dalla tinta bianca delle pareti talmente vergine da
non mostrare neppure un neo. Il resto era efficienza e cortesia profusa
da impiegate vestite tutte allo stesso modo con una gonna nera ed una
sobria camicetta bianca.
Fidelia ed io eravamo stati fatti accomodare in una stanza di media
grandezza, dove avevamo trovato altre persone in attesa di sbrigare le
più svariate pratiche legali. La Consulteria, non era nient'altro che un
centro di avvocati di emanazione statale, in grado di sbrigare tutte le
procedure di legge sia nazionali che internazionali. Era presso la
Consulteria che venivano effettuati gli inviti per i cubani e, sempre
da loro, si richiedevano passaporti e permessi vari, nonché venivano
ufficializzate le posizioni di stato civile, inclusa anche l'unione
matrimoniale.
I minuti trascorrevano lentamente. Fidelia, stretta in un semplice
abitino bianco, ascoltava le diverse conversazioni che si intrecciavano
nella stanza e che io non capivo, per poi tradurmele bisbigliandomi
all'orecchio affinché ne fossi partecipe. Era un escamotage per non
continuare a fissare l'orologio per vedere scorrere il tempo lento.
"Vedi -disse indirizzando la testa verso una coppia- anche loro stanno
attendendo per sposarsi. Lui è spagnolo e lei habanera".
Lo sguardo indagò verso le persone che si trovavano all'interno della
stanza. Riconobbi di vista, un italiano che avevo incontrato a Varadero
durante il mio primo viaggio. Era accompagnato da una jinetera vestita
molto volgarmente. Probabilmente stava per invitarla in Italia con
chissà quale esito. Volsi lo sguardo altrove e, a parte un gruppo di
cubani in attesa di una pratica, il resto delle persone era composto da
coppie di cubane accompagnate a stranieri. Le ragazze erano tutte uguali
, vestite con abiti succinti e vivacemente colorati che ne tradivano
l'origine jinetera, e i loro sogni. Gli uomini erano un misto di stupidi
innamorati pronti a realizzare i propri sogni grazie alla disponibilità
economica di cui erano in possesso. Avevano l'aria stralunata di chi si
trova fuori luogo ma che è comunque felice di trovarsi in quel posto.
Una avvenente impiegata controllava il flusso delle persone che
continuava ad entrare nella stanza, smistando successivamente gli
interessati verso gli uffici competenti.
Una televisione collegata ad un videolettore trasmetteva a rotazione, un
documentario che pubblicizzava i servizi offerti dalla Consulteria
alternato ad un altro che promuoveva l'isola di Cuba. Dopo la terza
volta che avevo visto il nastro finire e ricominciare, venne chiamato il
mio nome. Fidelia sobbalzò dalla poltroncina e mi prese per mano.
Stringeva una minuscola borsetta di finta pelle rossa ed uno striminzito
mazzetto di fiori di seta che le avevo portato dall'Italia al posto del
classico bouquet, introvabile all'Avana.
Nonostante il clima abbondantemente refrigerato, la mia fronte era
imperlata di sudore e sentivo la camicia appiccicarsi lungo la schiena.
Entrammo in un minuscolo ufficio modernamente arredato dove
troneggiavano computer, stampanti e telefoni ordinatamente disposti
sopra ad un paio di scrivanie.
Dall'altro capo di una di queste, sedeva compostamente una giovane donna
dai lunghi capelli corvini, vestita come le altre sue colleghe ma che
aveva civettuolamente inguainato le sue gambe da un paio di collant
scuri.
"E' il nostro avvocato" disse Fidelia mentre si accomodava sulla sedia
dinnanzi al funzionario che aveva appena presentato.
"Bueno dia" salutò cordialmente.
"Buongiorno" risposi imbarazzato.
"Bueno" disse Fidelia che continuò a parlare con l'avvocato in uno
spagnolo fittissimo.
Poi, alla fine, si rivolse a me traducendomi il succo della
conversazione. Alla fine allungai la busta contenete i documenti che mi
ero portato dall'Italia, fino depositarla sopra alla scrivania.
La donna sfrugugliò le carte compilando, successivamente, alcuni moduli
che prelevò da un contenitore. Poi, li sottopose alla nostra attenzione
spiegandoci, nel contempo, le norme che regolavano la nostra unione.
Firmammo per accettazione la procedura e, l'avvocato, ci rilasciò la
copia di nostra competenza che avremmo dovuto portare all'Ambasciata
italiana.
Avevamo avuto modo di assoldare un paio di persone per testimoniare il
nostro matrimonio.
All'uscita dalla minuscola stanza eravamo finalmente marito e moglie.
Fidelia si strinse a me cercando di dimostrarmi la sua felicità.
All'uscita un sole radioso illuminava la piccola calle alberata dove ci
stava attendendo il nostro taxi.
"Non ti lascerò mai, amore".
Quelle parole così dolci, pronunciate da Fidelia e frutto della sua
eccitazione, ebbero l'effetto di riportarmi alla mente, le paure
trasmessemi da Pierluigi.
"Lo spero tanto" risposi a mezza bocca.
Juliet aveva preparato il pranzo cercando accuratamente di soddisfare i
miei gusti compatibilmente con quanto era riuscita a reperire al mercato
nero.
Aragoste, bistecche di tartaruga, pesce arrosto, banane fritte, congrì
ed altri contorni erano ben disposti sul tavolo apparecchiato per la
circostanza.
"Sono sposata!" urlò felice Fidelia incontro alla zia che corse ad
abbracciarla.
"Vamonos a comer" rispose concreta Juliet.
Mangiammo con gusto e con appetito parlando dei progetti che
intrecciavano le nostre vite.
"Moglie -dissi- abbiamo una settimana di tempo prima di partire per
l'Italia. Cosa vuoi fare?".
Fidelia smise di mangiare e fissò il quadro affisso alla parete dinnanzi
a lei, decidendo sul da farsi. "Potremo andare a Playa de l'Este. E'
vicino all'Avana e ci sono belle spiagge sulle quali potremo prendere il
sole, se ti va".
L'idea mi attraeva: vivere la luna di miele sdraiato sulla sabbia bianca
dei tropici, ma non quella finta dei depliant turistici bensì quella del
vero mare cubano, circondato dalla 'mia' gente e con la quale avrei
potuto continuare a confrontarmi.
Dopo una manciata di chilometri
dall'Avana, avevamo abbandonato la Via Blanca per addentrarci nei
piccoli centri balneari della Playas del Este che si susseguivano l'un
l'altro di cui, Guanabo, faceva parte.
Non assomigliava affatto alla occidentalizzata Varadero e, a parte un
piccolo albergo ubicato al centro della cittadina, non vi erano
strutture turistiche se non quelle fortemente decentrate di Santa Maria
del Mar che cercavano di riprodurre un clima di deciso turismo a buon
mercato. I rari negozi che si incontravano percorrendo la strada
centrale, erano più ad uso degli abitanti che non degli stranieri, che
preferivano l'ovatta degli ambienti a loro dedicati facenti parte degli
alberghi dove soggiornavano.
Un paio di Tiendas assicuravano il minimo di benessere extraterritoriale
pagato in dollari anche dagli stessi cubani ma, per il resto, solo
negozietti austeri che vendevano prodotti nazionali a buon mercato e
pagabili in pesos.
Grazie alla complicità di Juliet, avevamo prenotato una casetta in riva
al mare, dove avremmo passato la nostra vacanza.
La proprietaria era una lontana parente della zia Fidelia che si era
anche resa disponibile a cucinarci i pasti a cinque dollari l'uno. Il
villino, bianco e quasi moderno, si differenziava prepotentemente dalle
povere abitazioni circostanti edificate, come al solito, con materiali
di fortuna recuperati chissà dove. La camera matrimoniale era
addirittura fornita di aria condizionata e televisione e, rappresentava,
il massimo dei comfort raggiungibili a Cuba.
Dolores Maria, era una simpatica donna di mezza età e viveva grazie
all'affitto abusivo di quella casetta che, però, doveva dividere con suo
padre.
Ci spiegò che la casa in origine, era appartenuta al suo genitore che
gliela aveva lasciata quando lei prese marito: Come spesso accade a
Cuba, il matrimonio non andò per il verso giusto ed i due si erano
separati. Dolores Maria si era rifatta una nuova vita, lasciando però
Guanabo per andare a vivere con il suo nuovo compagno che abitava nella
città satellite di Habana del Este, lasciando così sfitta la sua prima
casa che ora, affittava a turisti di passaggio.
Il commercio non si limitava solo alla locazione ma si diversificava
grazie alla possibilità di fornire pasti su richiesta, facendo
incrementare in tal modo, i guadagni che recuperava da questa attività.
Entrando in casa, ricevetti subito l'impressione del pulito. Tutto era
così composto nella sua povertà. Regnava un dignitoso ordine, curato con
meticolosa sapienza ed amore. Alcuni poster inneggianti alla rivoluzione
erano affissi alle pareti con l'intenzione di dare un po' di colore
all'arredamento alquanto antiquato. Tra i mobili fondamentali, si
distingueva un portariviste sicuramente molto raro nelle altre case ed
un vecchio bancone da bar, retaggio del periodo pre Castrista. Dolores
parlava bene l'italiano, appreso grazie ai turisti con i quali, il più
delle volte, aveva instaurato e mantenuto dei rapporti di amicizia e di
clientela fidelizzata.
Esaurite le spiegazioni, la donna ci lasciò soli promettendoci di
ritornare in tempo per prepararci la cena. A differenza della casa di
Juliet, questa ci avrebbe garantito una privacy assoluta. Disfammo il
bagaglio, approfittando di cambiarci d'abito ed indossando il tipico
abbigliamento balneare. "Facciamo un giro?" proposi.
Cinque minuti più tardi, passeggiavamo lungo la spiaggia libera, mano
nella mano.
"Come sta il tuo amigo?" chiese a proposito di Pierluigi.
Non le avevo detto nulla a proposito della discussione che aveva
interrotto il rapporto d'amicizia tra lui e me e non volevo inquinare
l'atmosfera rilassata che c'era in quel momento.
"E' partito...è da un bel pò che non lo vedo".
"Immagina che sorpresa sarà il nostro matrimonio quando lo saprà..."
insistette.
Sbrigativamente annui con la testa cercando di tagliare corto
sull'argomento ma lei continuò.
"Quando mi è venuto a trovare siamo stati una intera giornata insieme.
Conosce bene Cuba ma, quello che mi ha colpito, è il fatto che capisce
la gente e mi ha dato l'impressione di essere un uomo che raramente
sbaglia giudizio".
Non potei far a meno di sperare che le considerazioni fattemi da
Pierluigi su di lei, fossero, quella volta errate.
"Perché non parli? Sei arrabbiato con me?" chiese timidamente.
Sorrisi per compiacerla. "No, stai serena...solo che pensavo a come è
trascurata questa spiaggia" dissi cambiando radicalmente il discorso.
Il tratto di arenile che stavamo percorrendo non era dedicato ai
turisti ma utilizzato da soli cubani e, per questo motivo, non c'era la
stessa cura e la stessa pulizia riscontrabile, invece, nelle zone
dedicate agli stranieri.
"Perché tutta questa spazzatura?" chiesi.
"Non ci sono i soldi per toglierla -rispose- e dal momento che i turisti
stanno a Santa Maria, non gliene frega niente a nessuno della basura di
Guanabo...".
Allargò le braccia in un gesto fatalistico come per significare che
quella era la vita.
Il sole iniziava a scendere dolcemente all'orizzonte, tinteggiando rosse
pennellate nel cielo limpido. "Voglio farti un regalo di nozze. Devo
chiedere aiuto a Dolores Maria..." dissi quasi tra me e me. Fidelia
s'aggrappò ancor di più al mio braccio tra gli sguardi inquisitori di
alcuni ragazzi cubani intenti a godersi gli ultimi raggi di sole.
Trovammo Dolores intenta a cucinare un gigantesco Pargo arrosto che
sarebbe stata la nostra cena. Fidelia si chiuse in bagno mentre io
raggiunsi la padrona di casa in cucina.
"Devo fare un regalo a mia moglie e cercavo degli oggetti di corallo
nero. Conosci qualcuno che li vende?" le chiesi accendendomi una
sigaretta.
Dolores smise di tagliuzzare una cipolla, s'asciugò le mani unte su di
uno straccio e venne vicino a me, assumendo un fare confidenziale.
"Posso far venire un mio amico. Si chiama Celso e produce
artigianalmente degli oggetti in corallo nero. Non devi comprare la
merce se non ti piace, però..se poi ti interessa, posso procurarti delle
scatole di PPG a due dollari la bustina" concluse.
Avevo già sentito parlare del PPG ma non ne sapevo molto. A Varadero me
lo avevano offerto a 10 dollari ma avevo evitato di comprarlo, pensando
che fosse un prodotto anfetaminico.
"Cos'è realmente il PPG?" chiesi di rimando.
"Te lo spiegherà Celso: è stato un dottore" e così dicendo si rimise ad
assolvere il suo dovere di cuoca part-time, tornando a tagliuzzare
cipolla e peperoncini verdi.
"Guarda questo! E' meraviglioso" disse
Fidelia mentre osservava un ciondoletto a forma di delfino. Si trattava
di un oggetto che faceva parte della mercanzia portata in visione da
Celso, e che era allargata lungo tutto il tavolino, improvvisando una
mostra artigianale a solo nostro uso e consumo. Srotolate su di un panno
bianco c'erano collane, braccialetti, ciondoli d'ogni foggia e
dimensione. Tutti erano di puro corallo nero, pescato e lavorato nel
paese dov'era quasi vietato anche il solo respirare.
"Mira hombre!" disse Celso allungandomi una collana particolarmente
belle che teneva gelosamente custodita in una piccola sacca separata dal
resto della mercanzia. "Solo venti dollari" continuò ammiccando.
Celso era un anziano dottore in pensione che arrangiava la vita vendendo
souvenir a turisti come me. Si accomodò cercando di intavolare una
conversazione banale come, probabilmente, doveva fare di solito con gli
stranieri che incontrava.
"Mi piacerebbe conoscere la sua verità su Cuba" chiesi a bruciapelo.
"Oye mi amigo...eres un periodista?" domandò.
Intervenne Dolores Maria.
"Celso è stato il medico del jefe Fidel, in passato".
Il vecchio dottore ampliò il suo franco sorriso.
"Ebbi la possibilità di offrire i miei servizi a Fidel, dopo anni di
discussioni" affermò.
"Discussioni?" rimarcai per saperne di più.
"Sono stato il primo dottore a portare a Cuba l'omeopatia. ALl'epoca
della Revolucion e subito dopo, ma non era una pratica consentita. Il
socialismo reale non poteva accettare medicamenti che non fossero
scientifici. Così ho dovuto lottare per innestare una nuova via, quella
della medicina alternativa: l'omeopatia, l'igenismo, le scienze yoga, la
meditazione trascendentale".
Rimasi turbato e dubbioso.
"Meditazione trascendentale?" ribadii.
"Certamente non tutto è stato compreso. Se devo essere sincero la
medicina omeopatica e stata timidamente accettata, ma non dispero per il
resto anche se non sarò più io il fautore di questa sensibilizzazione.
Vedi -continuò- ho studiato per anni scienze filosofiche ed occulte...conosci
gli 'Esseni'?".
"Ne ho sentito parlare ma oltre a sapere che si trattava di un'antica
setta religiosa..."risposi.
"Ancora oggi esistono dei cerchi che si rifanno agli Esseni. Lo stesso
Gesù ne fece parte, come tanti personaggi che sono definiti 'grandi
iniziati'...si dovrebbe studiare attentamente la storia dei rotoli del
Mar Morto e quella delle religioni. Ci sono indicibili intrecci che
legano le piramide egizie a quelle atzeche, l'induismo, il calendario
venusiano, gli extraterrestri e i geroglifici peruviani di Nazca. La
storia si rigenera ripetendosi..." si fermò come per riflettere ma
realizzai, invece, che osservava l'interessamento di Fidelia sulla sua
mercanzia.
Poi riprese. "Ti racconto una storia su Cristobal Colon. Perché pur
essendo stato il primo a scoprire il nuovo continente, lo stesso ha
preso il nome da Amerigo Vespucci? Devi sapere che Colon, ebbe diversi
incontri coi Reali di Spagna per ottenere il loro consenso per
organizzare la spedizione verso le Indie. Ma nessuno dei suoi tentativi
riuscì nell'intento fino a quando, Cristobal Colon, non espose il suo
progetto nel pieno segreto della confessione ad un religioso che era
anche il confessore della Regina. Il prete, terminato il sacramento
corse a corte per raccontare il contenuto della storia appena appresa. A
distanza di poco tempo, la Regina accolse l'istanza di Colombo ed armò
le caravelle con le quali, nel 1492 scoprì il nuovo continente. Adesso,
se la storia che ti ho raccontata è vera, mi devi dire qual'era lo
sconvolgente contenuto raccontato da Colombo al prete e da questi alla
Regina, affinché il religioso rompesse il segreto sacro della
confessione che convinse la Regina a ritornare sulle sue decisioni?"
concluse, enigmatico, Celso. Restai allibito e perplesso dal racconto e
scossi la testa per esprimere i miei dubbi. Dolores Maria varcò la porta
della cucina e mi chiamò.
"Claudio -disse- Celso chiacchiera molto. Se gli dai l'occasione per
farlo, non se ne andrà più...".
Rientrai nel salone e guardai Fidelia.
"Allora, cosa ti piace di più?".
Lei mostrò la collana più importante ed un braccialetto della stessa
foggia.
"Celso, quanto costano questi due oggetti?", gli chiesi per tagliare
corto.
"Trenta dollari" rispose asciutto notando il mio repentino cambiamento.
Fidelia si appropriò del suo regalo di nozze che indossò immediatamente,
sparendo in camera da letto. Contai i 30 dollari che allungai al vecchio
dottore.
"Devi pensare a quanto ti ho detto" continuò cercando di riallacciare il
filo del discorso.
"La vita riserva tante sorprese...se capiterà l'occasione.." risposi
stupidamente.
Celso radunò le sue cose e mi lanciò uno sguardo di burbera
disapprovazione mentre guadagnava l'uscita.
"Se nessuno pianta semi, sarà difficile raccogliere frutti. Buena suerte
mi amigo" disse scomparendo alla mia vista.
"Celso!" chiamai.
Rientrò caracollante con uno sguardo interrogativo rimanendo in
silenzio.
"Scusami -dissi imbarazzato- posso offrirti una cerveza?"
Si riaccomodò sulla sedia, con un largo sorriso, attendendo la birra.
Dolores andò a prendere due lattine di Hatuey dal vecchio frigorifero e
si eclissò nuovamente in cucina.
"Non volevo trattarti male -continuai- anzi. Trovo l'argomento molto
interessante. Il fatto è che non sono preparato a pormi grandi
interrogativi e, quindi, mi sono trovato spaesato e senza argomenti".
Celso si passò una mano tra i bianchissimi capelli.
"Bueno. No ay problema, amigo".
Presi coraggio.
"Cos'è il PPG?" domandai.
"Una cureta es posible...E' molto richiesto dagli stranieri che lo
conoscono perché aumenta la loro sessualità".
Rimasi perplesso.
"Come fa ad aumentarne la sessualità?"
"Por que, liberando le vene da colesterolo, permette al sangue di
rifluire in modo ottimale. Anche la zona pelvica ne resta positivamente
influenzata. Per chi ha problemi di circolazione che ne impedisca il
normale stimolo, liberandosi da questi, riprende in pieno l'attività
sessuale non più inibita. Ecco spiegato il motivo del successo che gode
presso tutti gli stranieri che lo conoscono" concluse.
"E' miracoloso" affermai stupito.
"No -ribadì il medico- è solo il risultato della ricerca farmacologa
cubana. Noi siamo all'avanguardia nel campo medico. Abbiamo cliniche ed
avanzati laboratori di ricerca per la cura di alcune malattie come la
psoriasi, l'alopecia, il morbo di Alzheimer, il colesterolo...e tutto
viene progettato con prodotti naturali come i derivati della canna da
zucchero o la cartilagine dei pesci, cercando di sfruttare quello che
abbiamo a disposizione dalla natura e non da sintesi chimiche create in
laboratorio".
Cuba, ancora una volta, aveva avuto la proprietà di stupirmi con
semplicità.
Le note di "Hasta Siempre!" ruppero il silenzio della riflessione,
facendomi pensare al guerrillero heroico.
"Hai conosciuto Guevara?" dissi rivolgendomi a Celso.
Il vecchio terminò la sua birra.
"Ay, si. Nel '62 all'Avana insieme a Fidel all' hotel Nacional. Avevo un
appuntamento con il Lider e, così, conobbi el Che".
"Cosa pensi di lui? Ha fatto la cosa giusta a morire per un'altra
rivoluzione?".
"Quien sabe? Molte sono le teorie a proposito. C'è chi dice che era in
contrasto con Fidel; altri che era un narcisista schiavo del suo stesso
mito; altri ancora, che fu lasciato morire perché scomodo all'Unione
Sovietica che non lo appoggiò in Bolivia...tante storie e tante
fantasie. Credo che fosse un uomo sincero, forse un pò ingenuo e
sognatore. Ma la Revolucion Cubana fu un sogno realizzato e, forse, la
rivoluzione in Bolivia avrebbe potuto diventarlo. Uno scrittore
sudamericano ha detto di lui che era un uomo che faceva quello che
diceva e diceva quello che pensava. Fu proprio così. Era una persona
eccezionale, unica, colta e versatile ma, soprattutto, coerente con le
sue idee che rispettò fino alla fine. Nel gioco delle supposizioni
esiste la teoria che, se non fosse corso ad aiutare un suo compagno
ferito dall'imboscata in cui caddero a Quebrada del Yuro, si sarebbe
potuto salvare come i tre guerriglieri superstiti tuttora viventi a
Cuba. Ma el Che era un uomo e prima di uomo, un dottore. Mai avrebbe
lasciato il suo compagno ferito affrontare da solo una sicura morte e,
come lo stesso Don Quijote che lui aveva amato sin da bambino, corse nel
pericolo estremo cercando di vincerlo anche quella volta. No, io non
credo che fosse un folle o che avesse motivo di morire...Amava la vita,
la sua famiglia, il suo popolo, gli oppressi di tutto il mondo, i suoi
ideali di uguaglianza e libertà. Morì per tutto questo".
Emise un lungo sospiro e riprese il suo piccolo fardello, alzandosi
pesantemente dalla sedia.
"Hasta Siempre y suerte" rimandò Celso.
Non avevo bisogno di ingoiare le
minuscole pasticche di PPG che mi aveva portato Dolores Maria. Le avevo
comprate quasi scetticamente e solo per precauzione contro un futuro
aumento del mio colesterolo.
Ma così facendo, avevo offerto a Fidelia l'occasione per giocare su di
me. Mi prendeva in giro dicendomi che avevo comprato il PPG perché non
ce la facevo più a soddisfarla fisicamente. Sapevamo benissimo che non
era vero. La nostra sfera sessuale era felicemente soddisfatta
dell'esito delle prove alla quale la sottoponevo ogniqualvolta se ne
presentasse l'occasione. Avevamo fatto l'amore in ogni angolo della casa
e durante qualsiasi ora del giorno e della notte, sempre compiacendoci
del nostro amore e della nostra voglia. Fidelia era una insaziabile
mantide pronta a comprimere tutte le mie velleità ma, questa, era una
delle componenti del mio desiderio per lei.
I giorni di Guanabo erano dedicati alla pigrizia più completa. I
pomeriggi andavamo su una delle spiagge della Playa a prendere il sole
ma, il più delle volte, ci addormentavamo all'ombra di qualche palma per
soddisfare la nostra esigenza di riposo. Le sere, dopo frugali cene
preparate da Dolores Maria, ci tuffavamo in una discoteca all'aperto,
fuori del piccolo paese, dove trascorrevamo parte della notte a ballare
salsa e merengue tra piña colada e mojito bevuti in compagnia di altri
cubani felici di non far nulla. Al nostro rientro a casa, nonostante la
stanchezza, lo stato di ebbrezza ci portava ad ingaggiare lunghe
battaglie di sesso che vedevano fine solo all'inizio del nuovo giorno
allorquando, decine di galletti cubani, auguravano il buongiorno agli
abitanti di Guanabo.
Fidelia sarebbe dovuta tornare a Moron a salutare i suoi parenti prima
della partenza per l'Italia, ma il solo pensiero di scendere dall'Avana
a Ciego de Avila per poi tornare nuovamente indietro, angosciava anche
lei. Sopperì ai suoi doveri, sostituendo la prevista visita con una
serie di telefonate effettuate dal Correo postal di Santa Maria. La
nostra vita coniugale sarebbe iniziata dopo il nostro arrivo in Italia,
quando ci saremmo scontrati con i problemi della quotidianità e tutto il
resto sarebbe scivolato sulle nostre spalle come acqua piovana. Per il
momento, ci godevamo quella insolita luna di miele, nella terra dei
salseros e dei rivoluzionari ultimi rimasti.
"Mamma è rimasta male quando le ho detto che non sarei tornata a casa
per salutarla" disse Fidelia riagganciando il telefono.
"Ti vuole molto bene" le dissi riflettendo sulla possibilità di
organizzare un viaggio lampo a Moron.
"Non è solo per questo...sapendo che ci sei tu, sperava che le lasciassi
qualche dollaro per tirare avanti" rispose per nulla imbarazzata da
quella richiesta.
"Le nostre finanze non ci permettono ancora molto -osservai- però
potremmo inviarle un centinaio di dollari".
"Visto che siamo al Correo, possiamo fare subito una rimessa postale a
suo favore, così eviteremo di scendere al mio paese per lasciarle i
soldi" replicò.
Non potevo non notare l'atteggiamento venale ma mi convinsi che stavo
filtrando le mie emozioni sotto l'ottica suggeritami da Pierluigi.
D'altronde, un centinaio di dollari, rappresentavano la spesa di una
eventuale trasferta per Moron, convincendomi della convenienza economica
di quella soluzione.
Per Guanabo ci spostavamo con dei particular locali, tutti rappresentati
dalle solide Dodge o Chevrolet anni '50 che, oramai, mi apparivano del
tutto normali nonostante la loro obsoleta età. A differenza dell'Avana,
avevo riscontrato una velata ostilità da parte dei cubani residenti che
non avevano avuto altro modo di esprimerla se non con delle battute in
dialetto indirizzate contro Fidelia che, appariva loro, come una
jinetera accompagnata dal suo yuma. Guanabo non era un centro come
Varadero e tanto meno una metropoli come la Ciudad de l'Habana e questo
fattore, non contribuiva certo a farci passare inosservati, soprattutto
nel periodo di bassa stagione dove i turisti erano decisamente pochi.
Gli sguardi ci penetravano prima curiosi e, poi, insolenti.
Era invidia per quello che io rappresentavo e odio per quello che era
Fidelia. Nessuno avrebbe mai immaginato che eravamo una coppia regolare
e, seppure, la cosa non avrebbe cambiato di molto le cose. I dati
oggettivi erano rappresentati dalla nostra promiscuità, dove nessuno
avrebbe potuto inserire i propri affari. Ero un turista che non avrebbe
fatto guadagnare i jineteri locali, e questo, era il vero problema.
Cercai di indagare sull'argomento parlando con Fidelia che era, però,
restia a darmi adeguata spiegazioni.
La cosa mi dava fastidio al punto tale che evitavo di uscire per il
paese se non per cose strettamente necessarie. Avevo deciso di restare
il più possibile a casa, passando il tempo ascoltando la radio o vedendo
la televisione tanto da trasformare Dolores Maria in una alternativa
alla noia. Fidelia passava il tempo a condividere quei momenti con me
passando quelli eccitanti del fare l'amore a quelli banali del vedere le
telenovelas trasmesse da Cubavision.
La penultima sera del nostro soggiorno a Guanabo, ci trovammo a
dondolarci sopra le due sedie parcheggiate nella piccola terrazza di
casa, da dove si poteva ammirare la maestosità dell'Oceano. Uno
splendido cielo stellato, incorniciava il paesaggio tropicale e s'udiva
il suono di una musica salsera provenire da una radio accesa in qualche
casa vicina.
Fidelia mi fissava innamorata.
"Perché i cubani di qui ci trattano così male?" le domandai
all'improvviso.
Lei cambiò espressione intristendosi. Poi, guardò il giardino
sottostante, da dove si scorgevano qualche dozzina di granchi
indaffarati a scavare buche. Si strinse sulle spalle e rispose.
"Il problema è che i cubani di qui sono stronzi...ma non tutti i cubani
lo sono. Quando ci vedono insieme ci dicono un sacco di parolacce. A te
dicono maricon e a me tortillera..." e si mise a ridere.
"Cosa vuol dire?" m'affrettai a domandarle.
"Maricon vuol dire frocio e tortillera, lesbica...se solo sapessero...".
"Ma perché quest'odio cretino?" dissi incollerito.
"Perché tu sei uno yuma, un pepe, un punto...uno straniero, insomma. E
perché hai la fula, cioè i soldi. Ti vedono con me e loro non possono
fare i loro affari. Non ti possono vendere la loro donna da scopare
perché ci sono io...lo sai cosa mi dicono? Tumbacoco: vaffanculo! Mi
mandano le maledizioni perché sono un ostacolo per loro. Sono stronzi!"
terminò, iniziando a mordersi le lunghe unghie laccate.
"Ma che cazzo pretendono? Se io sono qui, vivono anche grazie ai soldi
che spendo nei particular, oppure nel PPG o per il corallo nero. Per non
parlare della casa e dei pranzi che ci facciamo cucinare" contestai ad
una platea immaginaria.
"Lo so, ma a loro non interessa. Dovresti essere libero per farti
spennare bene da loro, che si fingerebbero tuoi amici...vuoi un
rivoluzionario? Vestono i panni degli internazionalisti! Vuoi una donna?
Ecco una chica pronta da singare! Vuoi fumare? Ecco l'erba, falsa, della
Jamaica...per non parlare di souvenir, cene particular, discoteca e
quanto ti possono offrire. Loro ti danno quello che vuoi, perché li
paghi. Poi te ne vai e a loro non interessa più niente: pluff sei
andato. Adesso che tu stai con me, sono io che ti prendo i soldi e loro
non possono approfittarsi, ecco perché non mi possono vedere" concluse
amaramente.
"Ma io avevo avuto un'altra impressione del popolo cubano. Vuoi dire che
mi sono sbagliato?" chiesi.
"Non tutti sono come pensi. Ma tutti sono motivati da interesse.
Ovviamente i giovani sono quelli più attaccati al turista, soprattutto
in certe località dove il turismo è sviluppato. Se vai nell'entroterra,
ad esempio a Las Tunas, troverai gente buona e disponibilissima come tu
credi che sia; ma se frequenti L'Avana, Varadero o altri posti così,
credimi, sono quasi tutti falsi".
Restai a contemplare il cielo ormai esterrefatto dalla storia
raccontatami. Quante ipocrisie scoprivo dietro l'angolo delle mie
speranze. Avevo supposto ad una "campanelliana" città del sole
conoscendo Cuba e, invece, mi trovavo a confrontarmi con squallide
storie di opportunismo a buon mercato.
"Però non c'è delinquenza" aggiunsi, cercando conforto su una forma di
garanzia che speravo trovare.
"Sbagli. Ci sono molti ladri che entrano nelle case o che rubano sulle
spiagge anche, se per loro, è molto pericoloso. La polizia è severissima
ed i Tribunali sono abituati a dare condanne molto lunghe". Pensai a
quando Fidelia era stata fermata a Santa Clara e questo mi offrì lo
spunto per farle altre domande.
"Come sono le prigioni?".
Respirò pesantemente prima di rispondere.
"Sono stata rinchiusa in un carcere femminile. C'era un tale casino che
non si dormiva mai. Donne che strillavano, cantavano, facevano l'amore
tra loro...poi lo sai cosa ci davano da mangiare? Acqua e farina, uno
schifo! Erano tutte jinetere arrestate per prostituzione o altri piccoli
reati".
S'alzò andando in cucina a prendersi il succo di mango e portandomi una
Tropicola.
Una vecchia guagua passò asmatica per la strada, affollata di gente a
dispetto dell'ora tarda.
"Guarda -fece lei- è piena di campesinos e jineteri che ritornano a
casa".
Seguì con lo sguardo il vecchio pullman che era la copia di un Greyhound
anni '50. Quanta umanità viaggiava su quel mezzo. Quanti problemi,
sogni, ambizioni e battaglie combattute da quella gente che,
stancamente, stava terminando la giornata rientrando nei propri tuguri
dive chissà chi e chissà cosa li avrebbe aspettati.
"Domani è il nostro ultimo giorno a Guanabo. Cosa vuoi fare?".
"L'amore tutto il giorno".
Non eravamo passati a salutare
nessuno, neanche Juliet. Mancava poco alla partenza del nostro volo ed
avevamo già raggiunto il salone d'attesa dell'aeroporto. Stavamo
guadagnando tempo alla noia, osservando i vari oggetti venduti dai pochi
negozi duty free presenti all'interno. Trovai un artigiano intento a
lavorare foglie di tabacco, trasformandole in sigari cubani, seduto
davanti ad un minuscolo tavolo di legno. Faceva parte di quel folklore
che piaceva tanto ai turisti in partenza. C'erano un paio di bancarelle
che proponevano oggetti artigianali realizzati in ceramica e legno. Si
trattava di souvenir e portafortuna d'ogni tipo, che costavano solo i
pochi dollari restati nelle tasche dei turisti distratti.
I responsabili dell'aeroporto, avevano cercato di rendere anche la
partenza dall'isola, oggetto di piacere.
Accompagnati da una televisione a circuito chiuso che irradiava i propri
filmati da una dozzina di monitors piazzati in punti strategici della
sala d'attesa, gli stranieri avevano modo di ripercorrere le emozioni
che sicuramente avevano vissuto nell'isola. I filmati mostravano belle
ragazze, scorci architettonici dell'Avana Vieja, il Malecon, le
bianchissime spiagge di Cayo Largo, spezzoni di uno spettacolo del
Tropicana, un videoclip di Manolin il famoso salsero cubano denominato "el
medico de la Salsa", immagini in bianco e nero del Che mischiate ai
fiori dell'Orchidario di Soroa. Il tutto era mixato con con sapienza e
musicato con salsa, mambo e merengue e rendeva molto nostalgico quel
momento, che si sarebbe amplificato con una detonazione a scoppio
ritardato, non appena il turista avesse messo piede dentro l'aviogetto
ed avrebbe guardato con tristezza ed infinito amore, il bianco edificio
che ospitava l'aeroporto Josè Martì, imprimendosi le grandi scritte
color fuoco che campeggiavano in cima alla costruzione.
Questo era l'ultimo messaggio di una subliminale campagna di promozione
turistica che aveva seminato il germe della passione per Cuba, dentro al
cuore di molti italiani già contaminati dall'innamoramento azzardato di
qualche mulatta che si era dimostrata dolce ed astuta.
Ormai quei problemi erano così lontani da me e dal mio futuro, ma li
ritrovavo compagni di una dolce malinconia che mi legava ancora a quell'isola
dalla quale non me ne sarei potuto più staccare. Con passo deciso,
Fidelia raggiunse l'unico gate che conduceva, attraverso una rampa di
scale da scendere, al piazzale dov'era in attesa il solito vecchio
autobus che effettuava il trasferimento fino all'aeromobile che
risplendeva al sole.
Anche questa volta, partivamo felici verso il nostro futuro, senza avere
rimpianti di sorta e fiduciosi del nostro destino.
Una nuova vita ci attendeva.
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