DON JUAN
E’ sera. Il Cafè
Paris, all’Avana Vieja è tutto pieno. Decido di aspettare un po’ nella
speranza che si liberi un tavolo.
Nell’ambiente fumoso e
caciarone non si soffre troppo il caldo. E’ piovuto all’Avana e l’aria è
fresca. Dopo un quarto d’ora, decido di ingannare il tempo e mi accingo
ad uscire per una breve passeggiata quando, miracolo, un tavolo si rende
disponibile.
Ne prendo possesso
insieme ai miei amici. Sono le otto e c’è il cambio del turno dei
camerieri. Riusciamo solo ad ordinare delle birre, per la cena
attenderemo l’arrivo della brigata di cucina.
Nell’attesa di mangiare
il pollo fritto migliore di Cuba, vago con lo sguardo ad analizzare il
microcosmo che popola il locale.
Sono attratto da un
gruppo di cinque pepes tedeschi. Li vedo danarosi e rubizzi a causa
delle troppe birre trangugiate. Il più giovene deve avere almeno
sessant’anni. Ognuno è accompagnato dalla jinetera prosperosa dal colore
sesso&tropico.
A presiedere la
tavolata, c’è un chulo di colore. Vestito alla moda ed esibendo copiose
catene e braccialetti d’oro, dà disposizioni alle ragazze, conforta i
turisti frementi della loro notte d’amore, osserva lo svolgersi
dell’attività in sala. A sua volta è accompagnato da un altro chulo
professionista che lo supporta in questa frenetica attività di boss
della prostituzione. L’orchestrina inizia ad imbastire una teoria di
canzoni popolari, quasi tutte tratte da Buena Vista e l’ambiente si
scalda di più. Il viavai delle birre non si interrompe neppure
all’alzarsi dello sguaiato coro che parte dalla tavolata dei crucchi e
che accompagna i ritornelli più conosciuti.
E neppure il giro di
mojitos che segue, riesce a bloccare i palpeggiamenti che da mani
anziane, raggiungono le coscie e le tette di 16/18enni che ben si
prestano a questo assurdo gioco.
Neppure il tempo di
finire questo pensiero che entra una nuova coppia. Lei è una italiana
sulla cinquantina ben portata. Ma le rughe ed il trucco non ingannano il
passare del tempo che è scorso sul suo corpo abbronzato e smagliato,
fasciato da un attillato vestitino di cotone giallo a fiori rossi.
E’ in compagnia di un ragazzo nero, dal fisico atletico e, nonostante il
buoi, indossa un paio di occhiali alla Ray Charles. La coppia scruta
intorno a se alla ricerca di un tavolo dove sistemarsi. Poi, lei, con
una smorfia disgustata fa cenno al suo stallone di andarsene.
Escono dalla mia
visuale mentre lei cerca di aggiustarsi la gonna del vestito con vezzo
civettuolo.
Appollaiata in fondo,
su di uno sgabello, c’è una bella jinetera di colore, che assalta tutti
i presenti con il suo sguardo assassino. Ma, apparentemente, tutti i
turisti sembrano impegnati.
Inganna il tempo
giocando con la cannuccia del suo jugo de mango che langue dentro al un
capiente bicchiere, pensando che la notte è giovane e prima o poi
qualcuno troverà.
In punta di piedi entra
un cinese, dal kimono rosso, con un cartella fra le mani a mo di
presentatore televisivo. Il suo lavoro è quello di predire il futuro a
turisti troppo curiosi o troppo ubriachi. Anche lui, stasera, gira a
vuoto rendendosi conto che tutti i turisti sono severamente controllati
dai vari chulos che ne rivendicano il controllo della totale proprietà.
Dopo aver capito che
al momento non c’è nulla per lui, gira i tacchi verso altri locali del
centro storico.
Continuo ad osservare
il tavolo dei tedeschi. Distribuiscono sontuose mance al personale e al
capo dell’orchestrina che ha smesso di suonare per vendere alcuni CD
contenenti la propria produzione musicale.
Serata fortunata anche
per la donna che vende rose sotto vetro che, approfittando del
gruppetto, ne piazza almeno cinque in un sol colpo.
Due romani soli,
entrano nel locale ed hanno la fortuna di trovare un tavolo libero.
Immediatamente ricevono il sorriso della bella nera dello sgabello che,
forse, riesce a svangare la serata ma, a quel punto, decidiamo di
uscire.
Altro giro, altro bar.
E’ ancora troppo presto per andare in discoteca…sono appena le 11. Così,
nelle vicinanze, decidiamo di bere un’altra cerveza in un locale
all’aperto vicino al parcheggio della Plaza de la Catedral. Il clima è
piuttosto rigido, aiutato da una perfida brezza che soffia dall’oceano e
che costringe grandi onde ad abbattersi sul vicino Malecon.
Amche qui, collezione
di turisti e di jinetere, fra i quali si distinguono tre italiani che
ordinano mojito e daiquiri a tutto spiano.
Anche loro, con l’aria
estasiata del conquistatore, sono in compagnia di tre mulatte.
Al tavolino a fianco,
una mora carina, aspetta il dollaro. Mi colpisce il suo sguardo triste
ed il so abbigliamento più castigato di quello normalmente utilizzato
dalle jinetere professioniste. Anche lei gioca con la cannuccia della
sua bibita come se si trattasse di un codice non scritto, appartenente
alla sfera delle jinetere.
Ogni tanto
rabbrividisce. I nostri sguardi si copiano, a volte, per brevi frazioni
di secondo. Provo una sincera tenerezza e la stringerei forte forte per
farle sapere che il mondo, pur crudele, può sempre offrire altre
opportunità.
Mi sento come un adepto
di CL ma, sinceramente, me ne frego: è troppo lo schifo che riporto da
ogni mio sguardo che apre le piaghe di un turismo quasi esclusivamente
sessuale.
La brunetta, non
finisce la sua bibita e si alza, uscendo dal locale e dalla mia vita.
Forse era solo una brava ragazza travolta dai sensi di colpa; forse una
jinetera che ha semplicemente cambiato luogo di caccia ingannando anche
me….
E con queste
considerazioni, rifiuto di proseguire la notte brava rinunciando alla
discoteca per rientrare a casa, alla Vibora, dove mi attende un letto
vuoto.
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