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"Che palle!" esplose Fidelia, alzandosi
dal letto.
"Amore devi scendere a fare la spesa al supermercato. Io non posso
proprio accompagnarti, lo sai. Sono già in ritardo..." le dissi,
cercando di mantenere una calma che proprio non avevo più.
"Spesa, cucina, lavare, stirare...ay que dolor mi vida!" continuò
rinchiudendosi in bagno. I primi mesi di matrimonio erano trascorsi
spensierati. Il rapporto che sognavo all'inizio della mia avventura
coniugale si era concretizzato felicemente. Si viveva in allegria,
accentando reciprocamente le scoperte di quel mondo di interessi comuni
che era rappresentato dal mettere su famiglia. Fidelia non aveva
nostalgia della sua terra anche se, di tanto in tanto, si manteneva in
contatto con sua madre attraverso lettere e telefonate. Ma la lontananza
con l'isola sembrava non infastidirla più di tanto. Spesso, uscivano
fuori a cena, frequentando locali di tendenza o ritrovi sudamericani
dove, tra musiche caraibiche e drink a base di rum, ci rituffavamo
nell'atmosfera colorata ed allegra di Cuba. Era un pò come rientrare
nel suo mondo ma dalla porta privilegiata dalla quale poter uscire in
qualsiasi momento per rivivere nel conveniente consumismo occidentale
liberista.
E Fidelia, di quel consumismo, ne aveva imparato solo i pregi. Il
sabato, approfittando della mia disponibilità, mi chiedeva di
accompagnarla nelle sue escursioni al centro di Milano per vedere le
vetrine. Ma non era più la 'bambina felice' della sua prima volta in
Italia; era divenuta una femmina pratica e cinica che riusciva sempre a
convincermi ad accontentare i suoi desideri. Dapprima con entusiasmo e,
successivamente, con subordinazione accettavo le sue voglie che la
vedevano primeggiare tra boutique e negozi dove riusciva ad ottenere
quello che voleva, strappandomi consensi alquanto tiepidi.
Non avevo avuto più contatti con Pierluigi che risultava, ormai
scomparso dalla mia vita, senza neanche suscitare più di tanto la
curiosità di una Fidelia svogliata.
Tutte le coppie, specialmente quelle abbastanza fresche di matrimonio,
possono vivere dei periodi di assestamento. Una giovane unione, pensavo,
non è scevra di preoccupazioni e così dicendomi, cercavo scuse per
allungare la mia tollerabilità.
Ma, con il passare delle settimane, mi rendevo conto che l'idea del
matrimonio con Fidelia, forse, non era stata la cosa giusta da fare.
Emergevano tutti i dubbi vivisezionati da Pierluigi durante il nostro
ultimo scontro, ed iniziavo a giudicare mia moglie sotto un'altra luce.
Mi chiedevo spesso di dove fosse finita la splendida cerbiatta
innamorata scoperta sotto il sole dell'isola del caimano. Quell'essenza
di dolcezza mista a sentimento che mi aveva letteralmente ammaliato, era
svanita tra le nebbie di una Padana triste.
Superfluo non pensare che il mio lavoro aveva subito una inevitabile e
graduale svolta negativa che ancora riuscivo a mascherare grazie ad
escamotage che, a lungo andare, non sarebbero stati più possibili.
Tagliando i ponti con l'unica persona con la quale potevo confrontarmi,
non avevo di che sfogarmi e maceravo dentro di me, tutte le angosce che
avvelenavano la mia esistenza.
Fidelia non pareva neppure accorgersi del mio cambiamento d'umore che,
nel frattempo, si era impadronito di me. Iniziavamo a trattarci con
sufficienza e freddezza, perdendo man mano, quel senso di magia che
aveva caratterizzato, all'inizio, la nostra unione e subentrando al suo
posto, un senso di apatia.
Al mio rientro dall'ufficio, la trovavo a sfogliare riviste di moda
oppure la scoprivo intenta a guardare con interesse la televisione,
salutandomi appena. Il piccolo appartamento, una volta ordinato e
pulito, era divenuto un caravanserraglio delle sue cose distribuite
disordinatamente per ogni dove. In cucina, pentole e stoviglie da lavare
si confondevano con la sporcizia e gli avanzi dei suoi vari spuntini e,
spesso, davano adito all'inizio delle nostre discussioni quotidiane. In
quei momenti avevo veramente l'impressione di essere una mosca stretta
nella rete di un famelico ragno. Eppure, il mio amore per lei, era un
sentimento puro e disinteressato al quale avevo dedicato tutti i miei
sforzi per farlo crescere e per accudirlo, ma potevo pensare la stessa
cosa di lei?
Miriadi di pensieri affollavano la mia mente durante le noiose giornate
lavorative, impedendomi di valutare obiettivamente la situazione che
vivevo.
Anche quella mattina, stavo trascinando faticosamente il mio fardello di
ingiustizie personali quando, rientrando in ufficio dopo una infruttuosa
visita da un cliente, trovai un laconico bigliettino che mi invitava ad
andare dal direttore generale dell'azienda. Un senso di smarrimento
s'impadronì del mio mondo di certezze e, pesantemente, raggiunsi il suo
ufficio.
Ne uscii dopo un quarto d'ora. Quindici minuti che avevano cambiato la
mia vita. Senza perifrasi, era stato licenziato in quanto ritenuto non
più idoneo alle esigenze della società, essendo risultato improduttivo e
non avendo raggiunto gli obiettivi prefissati, non ero compatibile con
loro. Mi accorsi che, dopo anni di stimoli e risultati ottenuti, la
cinica legge degli affari non teneva conto dei miei problemi e mi
sbatteva in mezzo alla strada. La rabbia non cercò neppure una
giustificazione: avevano ragione. Mi ero lasciato andare, sfiancato
dalle mie preoccupazioni. Non avevo retto il ritmo del lavoro e,
avendone tutte le colpe, non potevo accampare scuse stupide.
Ritornai alla mia scrivania e raccolsi i pochi oggetti personali: una
foto di Fidelia sdraiata sulla sabbia di Cayo Coco, un piccolo sasso
raccolto in riva all'Oceano, una guagua di ceramica colorata con sopra
scritto "Cuba".
Spensi il computer che sarebbe stato adoperato da un altro dopo di me e,
senza voltarmi indietro, lasciai l'ufficio. Ero un naufrago dentro ad
una grande città e, come tale, vagavo senza meta con i pugni in tasca.
Non mi rammaricavo di quanto accadutomi, ma non sapevo come poter, da
quel momento in poi, tirare a campare.
Non volevo dare questa amarezza a Fidelia, per cui decisi di fingere che
tutto fosse come sempre, immutabile e intangibile.
Non avevo soldi da parte e anche se con la liquidazione maturata avrei
potuto vivere qualche mese, era inevitabile che avrei dovuto cercarmi un
altro impiego.
Aprendo la porta di ingresso, trovai Fidelia aggrappata al telefono che
parlava in cubano fitto. Mi salutò con un cenno del capo e continuò la
conversazione. Ebbi il tempo di togliermi la giacca, andare al bagno e
lavarmi le mani, uscire sul piccolo balcone per accendere una sigaretta
e ritrovare Fidelia ancora al telefono. Le lanciai una occhiata
assassina. Avrebbe dovuto imparare a fare i conti con una nuova realtà.
Sedetti sul divano in attesa che finisse quel chiacchiericcio
indisponente , finendo di fumare nervosamente la sigaretta.
"Tesoro! Cosa mi hai portato oggi?" disse quasi allegra, non notando il
mio malumore.
"Fidelia -dissi calmo- non puoi stare al telefono con Cuba per tanto
tempo...ogni telefonata che fai, mi costa quasi cento dollari".
Non ci fu reazione. Come se nulla fosse accaduto, andò svolazzante in
cucina, lasciandomi come un fesso in attesa di chissà cosa.
"Fidelia!" urlai.
"Non gridare -rispose- ti sento...che vuoi?".
"Fidelia, ti sto parlando -continuai- Puoi venire qua?".
Rientrò nel disimpegno con un bicchiere in mano.
"Ero andata a prendermi un bicchiere d'acqua...dimmi amore".
Notai che aveva addolcito volutamente il tono dell'ultima frase ma era
l'intonazione che giungeva falsa.
"Ascoltami -dissi racimolando le mie idee- devi fare più attenzione ai
soldi. Lo sai che non possiamo permetterci spese inutili come quella del
telefono. Quando devi chiamare tua madre fallo solo per salutarla e non
per raccontarle tutta la tua vita. Con il mio stipendio dobbiamo viverci
in due e non è detto che sia sufficiente".
Assunse un'aria indispettita mentre cercavo le parole per proseguire il
discorso.
"Stiamo passando un periodo strano -feci senza calcare il tono della
voce- ma io ti amo sempre, lo sai...ti chiedo solo di un pò di
attenzione nelle cose. Resti a casa tutto il giorno senza far nulla...cerca
di renderti utile. La casa va mantenuta in ordine, i piatti lavati tutti
i giorni, la biancheria...".
M'interruppe con fierezza.
"E tu mi hai sposata per farti da serva? Potevi prendere una cameriera,
non una moglie!" e alzandosi di scatto, raggiunse la camera da letto
rinchiudendosi dietro la porta.
Sospirai. Perché non capiva? L'avevo troppo coccolata, pensai. Lungi da
me l'idea di moglie uguale a schiava ma certe cose poteva e doveva farle
perché aveva più tempo a disposizione di me. Ero stato single per anni e
non mi dava fastidio mettermi a spignattare in cucina o fare il bucato
ma lo facevo solo per me e, quanto meno, non tenevo in disordine la casa
come faceva lei. Era esattamente l'opposto, infatti. Era lei che aveva
assunto uno schiavetto per i lavori domestici. In quel ruolo mi ci
vedevo bene, aggiungendo il fatto che, almeno fino a quel momento, ero
l'unico dei due a portare uno stipendio a casa. Tutta questa storia si
stava trasformando in una lotta conformista. Dov'erano le palme
tropicali e le mura dell'Havana Vieja? E quel tizio straniero che
camminava per il Malecon con quella bellissima mulatta ero stato proprio
io? Non mi riconosce vo più, come non riconoscevo più il mio piccolo
cerbiatto impaurito.
Un'altra sigaretta finì fumata tra i ricordi di Playa de l'Este, Celso,
Dolores Maria, Juliet, Rayco e quanti altri avevo conosciuto a Cuba.
Aprii la porta della camera da letto. Fidelia mi aspettava nuda per fare
la pace.
Erano passati tre mesi dal mio
licenziamento. Per non preoccupare Fidelia, ogni mattina fingevo di
recarmi al lavoro. Effettivamente, ciondolavo qua e là per la città
cercando me stesso e nuove energie necessarie per trovare una nuova
occupazione. La liquidazione che avevo ricevuto mi permetteva di vivere
senza stipendio ma ancora per poco.
Le discussioni si accavallavano per i motivi più stupidi ma, alla base
di ogni litigio, c'era l'incompatibilità di Fidelia di assoggettarsi
alla sua nuova condizione sociale di cubana in Italia. Era, in effetti,
come se ragionasse con mentalità jinetera non accettando le regole di
una economia tutt'altro che cubana.
Non dava peso al valore del danaro e, tanto meno, ai costi di gestione
familiari. Per Fidelia, la casa, l'automobile, la luce, il telefono, la
spesa, era come se fossero tutte cose passate gratuitamente dallo Stato.
Non voleva prendere confidenza con conti e budget, rimanendo
volontariamente ignorante, nella gestione della cosa finanziaria.
E, come un habanera, pretendeva vestiti nuovi, vizi nuovi, divertimenti
nuovi.
A nulla erano valsi gli innumerevoli tentativi che avevo fatto per
sensibilizzarla ai problemi economici che stava insorgendo. Mi ritrovavo
a lottare come un Don Chisciotte contro il mulino a vento della sua
indisponibilità.
Mi accorsi che stavo precipitando in un baratro senza fine e che prima o
poi, avrei cozzato violentemente sul fondo.
Accadde una sera d'estate, in una
Milano chiusa da una cappa cerulea d'afa.
"Usciamo?" domandò sorniona.
Che ne sapeva del mio incontro con il funzionario di banca che, proprio
quella stessa mattina, con fare risoluto aveva chiuso il mio conto,
ritirandomi carte di credito e bancomat? Avevo avuto il torto di non
dirle nulla per mesi, non mettendola al corrente della realtà e, quella
sera, mi ritrovavo in tasca le ultime centomila lire.
"Non mi va -risposi a mezza bocca-. Sono stanco e ho mal di testa".
Non si perse d'animo. "Hai sempre qualcosa, quando ti chiedo di uscire!
Ma vedi che vita faccio? Sono sempre chiusa in casa e, almeno una sera,
vorrei divertirmi, andare a ballare, conoscere gente..." replicò fredda
ed irritata.
"Scusami -dissi- sarà per un'altra volta, te lo prometto".
"Se a te non ti va, non c'è problema -continuò- posso uscire sola...qualcuno
che mi da un passaggio lo trovo di certo".
E così dicendo, fece per prendere la borsetta e le chiavi di casa.
Sentii dentro, che non sarei riuscito a dominarmi ancora una volta,
pregando e sperando che Fidelia stesse inscenando una finta prova di
forza. Ma così non fu. Si aggiustò i capelli intrecciati e si spruzzò un
po' di profumo, accingendosi veramente ad uscire.
Scattai in piedi con il sangue agli occhi.
"Ascoltami -urlai-. Tu non vai da nessuna parte senza di me. Stasera non
si esce e neanche domani. Si uscirà quando lo potremo fare di nuovo...Non
ho più una lira, non più un lavoro. Ma che cazzo vuoi ancora da me!" e
feci seguitare un sonoro schiaffo che si stampò sulla sua faccia.
Rimase più sorpresa che amareggiata mentre lasciava cadere in terra la
sua borsetta. Continuò a fissarmi senza dire nulla.
Riacquistai un pò di sangue freddo ma non le chiesi scusa. Accesi,
invece, una sigaretta e mi sprofondai sul divano.
Fidelia si accarezzò la guancia colpita e si mise seduta, osservandomi
con curiosità. Non aveva domandato nulla ma si intuiva che volevo
conoscere tutti i particolari.
"E' iniziato qualche mese fa -iniziai-. Ho avuto un calo di rendimento
nel lavoro a causa dei nostri litigi. Purtroppo, prima di sposarti, il
mio capo mi aveva già detto che da quando frequentavo Cuba, avevo perso
la mia voglia di lavorare. Ed era vero. Quindi, questa volta hanno
scelto di licenziarmi. Non ho mai avuto il coraggio di dirtelo per non
spaventarti e per paura di perderti. Per tutto questo tempo ho finto di
recarmi al lavoro per non crearti dubbi e, alla fine di ogni mese,
invece di u no stipendio che non percepivo più, portavo a casa una parte
della liquidazione che mi era stata versata dall'azienda in cui
lavoravo. Ho cercato di farti capire che bisognava risparmiare, che non
dovevamo più spendere i soldi così...tra vestiti, telefonate e
divertimenti. Ma tu non mi hai dato retto, forse, non te ne importava
molto. Questa mattina, la banca mi ha chiuso il conto e ritirato tutte
le carte di credito che avevo. In tasca ho solo centomila lire che è
tutto quello che mi rimane...non ho proprio più nulla. E quello che è
peggio è il fatto di non avere più nessuna prospettiva. Ho soltanto te...forse".
Strinsi la testa fra le mani, comprimendole fino a sentire battere il
pulsare delle vene nelle tempie.
Quando rialzai lo sguardo, Fidelia era ancora lì, incredula e
sbigottita.
Un muro di silenzio si alzò fra noi. Sentivo le budella stringersi ed un
groppo mi attanagliò la bocca dello stomaco, iniziandomi a farmi stare
male.
"Siamo poveri?" domandò candidamente?
Mi slacciai il colletto della camicia e mi massaggiai il collo.
"Non è il fatto di essere poveri o ricchi...siamo senza soldi e senza
possibilità di guadagnarne, al momento" risposi.
Restò a pensare per qualche secondo, poi insistette.
"E non lavorerai più?".
Era complicato farle comprendere le leggi dell'occupazione in Italia.
Non si era mai voluta integrare nel sistema occidentale se non per
sfruttarne i vantaggi che le sue esigenze voluttuarie potevano cogliere
e, ora, non poteva capire i meccanismi convenzionali che affliggevano il
mondo del lavoro.
"La mia attività -dissi- si basa sugli altri. Se non riesco a trovare
una società che è interessata alle mie prestazioni, non ho alcuna
opportunità di lavorare...".
"Non capisco...non è facile trovare un altro impiego in Italia?"
continuò.
Scossi la testa.
"In Italia c'è molta disoccupazione, cioè non ci sono tanti posti di
lavoro quanti ne occorrerebbero a soddisfare tutti coloro che ne hanno
bisogno. Anche se hai studiato, non c'è sicurezza di trovarne uno...altre
volte ti avevo spiegato che qui da noi non è come a Cuba ma,
evidentemente, non mi hai ascoltato attentamente".
"Allora che si fa?" domandò ansiosa.
"Non lo so...sono mesi che mi arrovello per trovare una soluzione ma,
finora, non sono riuscito ad escogitare nulla di produttivo".
"Non c'è nessuno che può prestarti dei soldi? Pierluigi, forse...".
Chissà dov'era finito, pensai.
"No, non credo. Non lo vedo più da tempo. Forse è partito dall'Italia"
risposi a mezza bocca.
Era la classica strada senza via d'uscita. La mia vita si era
trasformata in un labirinto vischioso dov'ero rimasto intrappolato.
"No es posible!" esclamò infuriata.
"Fidelia, amore...calmati" sussurrai.
"Ma che calma e calma! Sono venuta in Italia per fare la schiava ed
essere povera? Potevo restare a Cuba, almeno lì, avevo tanti amici e non
si viveva male insieme ai turisti...e adesso a Milano, cosa faccio?".
"Ascoltami. Se sei qui è perché sei mia moglie, non lo ricordi? E' vero.
Forse ho sbagliato a non dirti nulla e sicuramente ho sbagliato a non
cercare un lavoro. Ho sbagliato ad arrivare alla fine del limite
consentito per confessarti tutte le cose...ma se mi ami, credo che
potremo ricominciare tutto da adesso. Da domani mi metterò alla ricerca
di un qualsiasi lavoro così come cercherò i soldi che ci servono.
L'importante è stare insieme, anche adesso, che è un momento difficile.
Ho bisogno di te..ti prego" e così dicendole, m'avvicinai a lei. Avevo
bisogno di starle vicino per darle e ricevere forza.
Mi scansò irretita.
"Se pensi di fare l'amore, sbagli di grosso. Sono troppo delusa. Non hai
avuto fiducia in me...". S'alzò dalla poltroncina raccogliendo la borsa
e, sbattendo la porta, uscì sulle scale per raggiungere una notte che
l'attendeva da chissà quanto tempo.
Restai intontito dalla sua reazione che giunse inaspettata, cercando
certezze che non avevo più e stappando l'ultima bottiglia di rum che era
rimasta sigillata per le grandi occasioni. Quella sera dovevo ubriacarmi
per lasciare tutto alle spalle.
Il mattino dopo mi colse accovacciato
sul divano. Non riuscivo a ricordarmi cosa fosse accaduto dopo la
discussione con Fidelia. Osservai la bottiglia vuota rotolata a terra ed
avvertii un cerchio alla testa. L'orologio segnava le dieci e, dalle
tende, filtrava il chiarore di un sole opaco. Stancamente mi sollevai
da quella posizione e raggiunsi la camera da letto. Era vuota così come
Fidelia l'aveva lasciata. La nausea s'impadronì di me e dei miei sensi
di colpa. Ero disorientato, sempre più disgustato dagli obiettivi che
erano svaniti all'improvviso.
Udii l'ascensore salire al piano e, dopo, la chiave girare nella toppa.
Lei ricomparve nella mia vita. Le occhiaie eloquenti ed i capelli un pò
in disordine indicavano chiaramente quello che le era accaduto.
Non si sorprese più di tanto, trovandomi a casa e, come se nulla fosse
accaduto, entrò nella camera da letto spogliandosi per andare a dormire.
"Dove sei stata?" le chiesi bruscamente mentre si stava sfilando i
minuscoli slip.
"A divertirmi..."rispose con fare noncurante.
"A scopare!" corressi.
"Cayate hombre!" rimandò lei.
Il mio amore per lei era stato tradito dalle sue leggerezze o dal mio
atteggiamento disattento? Non potevo rispondermi e non sapevo come
agire. Istintivamente l'avrei cacciata fuori da casa ma ero troppo
attaccato ai miei ricordi, alle nostre cose e non dovevo essere troppo
risoluto. Momenti di debolezza capitano a tutti e figuriamo a chi, come
lei, aveva sempre vissuto una vita da trincea cubana. Anch'io, infine,
non ero esente da colpe.
Non ero riuscito a trovare il giusto equilibrio tra il razionale e
l'irrazionale. Non avevo saputo gestire il nostro rapporto con equità,
mi ero lasciato andare cullato dai sogni che vagavano nella mia testa e
che producevano una poetica confusione. Tutto ciò, aveva causato
l'irrigidimento dei miei rapporti con gli altri, con il lavoro, con
Fidelia stessa...per non parlare di Pierluigi.
Tutte queste considerazioni mi fermarono dall'intraprendere qualsiasi
azione. Richiusi la porta della camera mentre Fidelia si raggomitolò
avviluppandosi al lenzuolo pronta ad addormentarsi dopo la sua notte
brava.
Dopo la doccia tutto fu più chiaro. Lei, pensai, ha voluto dimostrarmi
che era in grado di vivere anche senza di me e del mio amore...ma lo
aveva fatto solo per darmi una prova di forza dopo la litigata che
l'aveva causata.
Ma, effettivamente, il suo amore per me era sempre immutato,
considerai.
Si, doveva essere proprio così la storia. Adesso mi sarei vestito e
sarai andato alla ricerca di un lavoro. Stavo recuperando gli stimoli
necessari per uscire dall'impasse nella quale ero caduto, non
accorgendomi che la mia passione mi faceva stravedere le cose fino ad
arrivare al punto di immaginare ciò che desideravo, senza che questa
fosse la realtà delle cose.
Senza fissare alcun appuntamento mi recai presso un paio di aziende
pubblicitarie che conoscevo. In entrambi i casi, non riuscii a parlare
con nessuno se non con segretarie che affatto imbarazzate mi liquidarono
freddamente.
Non avevo tenuto conto che, dato il periodo, i responsabili delle
agenzie erano a godersi le vacanze e che non sarebbe stato possibile un
colloquio non prima di Settembre.
Ma avevo bisogno di soldi per tirare avanti e, siccome la disperazione
cancella l'orgoglio, da una cabina del centro telefonai a Pierluigi,
l'unico in grado di aiutarmi.
Fui fortunato: rispose al terzo squillo.
"Si?" disse con la sua solita voce chiara e potente.
"Ciao, sono Claudio "dissi prendendo le forze necessarie.
"Ah!" rispose laconico.
"Senti -aggiunsi immediatamente per non concedergli la possibilità di
replicare-. Possiamo incontrarci questa mattina? E' importante per
me...".
Secondi interminabili passarono scavalcando la tensione che provavo.
"Sei a Milano?" disse.
"Vicino alla Galleria...".
"Sei fortunato, sono nei paraggi. Ci vediamo al solito bar tra venti
minuti".
E riagganciò. Forse avevo trovato la soluzione ai miei problemi, sperai.
Mi aveva lasciato parlare per oltre
due ore delle mie cose. Alle tazzine dei caffè si erano aggiunti i
bicchieri degli aperitivi. Pierluigi non era cambiato affatto. Ascoltava
attentamente il mio sfogo senza tradire alcuna emozione ma restando in
silenzio pronto a recepire le mie vibrazioni.
Il posacenere era colmo di mozziconi di sigaretta dai quali emergeva
prepotentemente la cicca di un puro cubano sapientemente centellinato da
Pierluigi.
"Così, si è verificato tutto quanto ti avevo pronosticato...mi dispiace
per te, sinceramente" disse grattandosi il mento.
"Cosa devo fare? So che ti ho trattato male e ti ho sottovalutato,
ma..." non riuscii a finire la frase. Con un gesto della mano mi aveva
zittito.
"Lascia stare. E' capitato e basta. Ora, i tuoi problemi sono ben
altri. Sei in un brutto pasticcio, una storiaccia, insomma".
"Allora?" feci nell'intenzione di farlo parlare.
"Credo che non ti resti che lasciarla. Lei è una persona che tu ancora
non conosci. Pensavi che tutto fosse facile, poetico ma hai confuso
realtà e fantasia, non riuscendo ad avere una visione critica delle cose
che vivevi. Fidelia non ti ha tradito stanotte. Lo ha sempre fatto,
anche se non materialmente. Ha tradito la tua buona fede all'inizio, ha
tradito le tue intenzioni, il tuo amore, il tuo lavoro, i tuoi amici, il
tuo mondo...non è stata quella compagna che pensavi che fosse. Anche
lei, in fondo, non se ne è resa conto. Per Fidelia tutto era bello e
vero e, abituata al suo mondo fatto di nulla, tu hai rappresentato un
passo per il suo futuro migliore: un passaporto, una cittadinanza, una
casa, un mangiare quotidiano, un divertimento. Ma tutto senza emozioni.
Eri e sei un turista anche in Italia, per lei. In fondo vi siete usati
reciprocamente perché ad ambedue faceva comodo prendere cose dall'altro.
La storia è finita per mancanza di risorse da parte tua. Tutto qua".
"Come tutto qua? A parte la tua spietata analisi, non c'è altro?"
replicai.
Pierluigi socchiuse le palpebre come per raccogliere i suoi pensieri
incartati.
"Cosa aggiungere? Non sei ancora convinto? Faccio un esempio, allora.
Fai conto di avere oggi la possibilità di un posto di lavoro...anzi
facciamo sul serio. Ti offro l'opportunità di lavorare per me e con uno
stipendio di cinque milioni al mese....".
Lo interruppi incredulo. "Stai scherzando?".
Si accese una sigaretta cubana dal forte tabacco nero.
"Affatto. Ho bisogno di qualcuno che si occupi dei miei affari e, date
le circostanze, ti offro questo posto...Adesso che sei tranquillo dal
lato economico, cosa pensi di fare? Torni da lei a comunicarle la lieta
notizia? Sai cosa accadrebbe non appena Fidelia viene a sapere che sono
stato io ad offrirti questa possibilità? Mi cercherebbe e mi
ringrazierebbe a modo suo, cioè venendo a letto con me...".
"E perché?" feci di rimando.
"Tu, per lei, sei fuori gioco...sei come un pedone sovrastato da un
alfiere. Venendo con me, cambierebbe registro, farebbe un salto
qualitativo perché potrei assicurarle una vita migliore. Se, pago cinque
milioni al mese il suo ex uomo, quanti ne guadagno io al mese? Si
farebbe subito due conti...ma dopo un pò di tempo, come in un gioco di
scacchi, troverebbe un cavallo, poi un re sui quali puntare, sempre per
assicurarsi il di più e subito. E' una jinetera, ricordi? Ji-ne-te-ra!"
concluse, scandendo le sillabe per imprimermele bene dentro.
Restai pensieroso, ragionando sul fatto che aveva ragione. Aveva sempre
dimostrato di essere un perfetto conoscitore della realtà cubana e della
psicologia dell'individuo. Continuò.
"Vedi? Non hai alternative...non le avrei neppure io, così come nessun
altro al nostro posto, con lei".
"Non si arresterà mai la sua corsa?" domandai triste.
"Non è una corsa consapevole. Non sono calcoli cinici come potrebbero
esserlo se fatti da una donna non cubana. E' il loro istinto. Fidelia
poteva restare jinetera a Cuba, andare con i turisti per divertirsi un
pò e vivere meglio, per finire, poi, sposata ad un cubano tollerante che
le avrebbe permesso di avere un figlio con uno straniero che la
mantenesse con soldi e regali, in cambio di una o due settimane all'anno
di scopate con lo yuma...non ricordi? Quante volte te ne ho parlato? La
loro vita non è la nostra; il loro modo di vedere e somatizzare le cose
è differente dal nostro metro di giudizio. E con Fidelia, tu sei
incappato in un rapporto che non era gestibile da nessuno...figurati da
te che ti sei sentito subito appassionato all'idea di sposarti con un
dolcissimo mito".
"Penso che tu abbia ragione" dissi sommessamente.
"Lo so che adesso tu sappia come gestire il vostro rapporto ma devi
trovare il coraggio di muoverti subito. Sta a casa adesso?" domandò.
Annui con poca voglia.
"Allora svegliala se dorme e parlaci. Se vedi che non riesce a
sintonizzarsi sulla tua stessa frequenza, cerca di trovare una soluzione
affinché possiate liberarvi dalla vostra storia senza futuro...è l'unica
cosa che ti sia rimasta da fare, credimi".
Estrasse un altro sigaro dal contenitore di pelle che portava legato al
collo e con estrema cura, lo accese, dopo averlo forato dalla parte
sigillata, aspirandolo con profonde boccate di fumo grigio. "Quando sei
stato laggiù per l'ultima volta?" gli domandai come per sanare la mia
ferita aperta.
"Sono stato a Cayo Saetia, vicino ad Holguin un mese fa circa...E' un
posto stupendo perché ancora sconosciuto al turismo. Immagina i
contrafforti di una boscaglia che arrivano a lambire una piccola
spiaggia bianchissima circondata da un mare così turchese e limpido che
non si trova più se non in Polinesia. Ed immaginati anche, un piccolo
albergo con sole cinque camere, tagliato dai soliti circuiti turistici...veramente
bello per ritrovare se stessi. Dovresti andarci" concluse.
"Non tengo più la fantasia di tornare a Cuba. Senza Fidelia, o meglio,
dopo la delusione Fidelia il mio rapporto con i Caraibi finisce qui e
per sempre".
Scosse la testa e continuò a fumare sapientemente il suo sigaro.
"Credi che il mio primo innamoramento con la mia jinetera sia stato
forse meno drammatico?" domandò a bruciapelo.
"No so" risposi. Poi aggiunsi: "Ma tu non eri mica sposato con lei...".
Sorrise di gusto.
"E chi ti ha obbligato a farlo? Forse io?" ed agitò la mano per far
scivolare la cenere.
"Dai -replicai- ti ho già chiesto scusa...".
"Non era per questo. Solo per farti capire che potresti considerare la
cosa come un incidente di percorso, senza dannarti troppo l'anima".
"Incidente di percorso? Ma ti rendi conto di quello che dici?" feci
alterato.
"Ah...ricominci? Vedi che non sei in grado di penetrare l'anima cubana?
Nonostante le mie spiegazioni, che anche se modeste hanno sempre un loro
valore, non riesci ad essere obiettivo. Cioè, volevo dirti che lei non
merita il tuo struggimento né ora né mai. Ritorna a Cuba a gustare
quello che di bello c'è: i luoghi, i panorami, la storia, la musica, la
gente...ma non farti trarre in inganno. Approfitta anche delle jinetere
che incontri e rispettale, se questa è la tua intenzione, ma sii vigile
delle cose sentimentali...".
Il sole picchiava duro sull'asfalto che si liquefaceva come il mio
amore, senza nessuno in grado di ricatramarlo.
"Pranziamo? Ho fame" disse Pierluigi alzandosi e lasciando due banconote
per pagare le consumazioni.
A sera rientrai a casa confuso come
non mai. Il pomeriggio si era snodato lento mentre Pierluigi ed io,
passeggiavamo per i Navigli deserti.
Accesi il condizionatore che troneggiava nella camera da letti, l'afa si
stava facendo insopportabile. Fidelia non c'era. Soltanto gli avanzi, in
cucina, di un frugale pasto accatastati vicino ai soliti piatti da
lavare, testimoniavano la sua passata presenza.
Riflettevo su quanto era avvenuto nelle ultime ventiquattro ore,
cercando di focalizzare i miei errori che, però, erano stati generati
molto tempo prima. Accesi l'hi-fi, dov'era piazzato un compact di musica
salsa che avevo acquistato nella piccola Tienda che si trovava
all'interno del Museo de la Revolucion all'Avana. I miei ricordi si
aggrapparono a quelle note, facendomi volare immediatamente indietro nel
tempo, fino ad arrivare al giorno in cui avevo visitato quel museo. Mi
ritrovavo tra i cimeli di mille battaglie per l'indipendenza del popolo
cubano, sapientemente incastonate in un circuito storico che partiva
dalle origini fino ai giorni nostri. Ricordavo l'emozione suscitata
dall'unica composizione posticcia che era realizzata da due statue di
cera raffiguranti Camilo Cienfuegos ed Ernesto Che Guevara in abiti da
guerriglia, inseriti in una jungla ricostruita per l'occasione come
scenografia. Trovarmi ad un metro dalla figura del mito, mi fecero uno
strano effetto. Rammentai che la cera utilizzata per il volto delle
statue, si stava lentamente squagliando sotto il calore prodotto dai
potenti riflettori messi per illuminare il gruppo plastico. Si notavano,
infatti, piccole lacrime di cera bruciata che rigavano i volti dei due
personaggi e che lasciavano, al loro passaggio, una striscia di rimmel
cadente. Ricordo la tristezza che provai in quel momento in cui
realizzai la ridicolaggine di quella composizione infantile.
Chissà perché mi ero collegato a quell'episodio così lontano nello
spazio e nel tempo. Ero a Milano, disperato e con una moglie che aveva
iniziato a tradirmi per interesse. Avevo perduto l'amore, eppure stavo a
Cuba pensando al Guerrillero Heroico.
Capii che nutrivo troppo amore per quell'isola così singolare e strana
e, che questo mio legame, non poteva spezzarsi solo per aver subito la
fine di una passione sentimentale. Ma poi, era davvero finita con
Fidelia?
Non volevo arrendermi all'idea, non potevo. Dovevo attendere solo il suo
ritorno e poi, sarebbe ritornato ad essere tutto come prima.
I miei pensieri furono interrotti all'aprirsi della porta, Fidelia stava
ritornando a casa.
"Hola!" disse radiosa appena mi vide.
"Ciao amore" le risposi.
Proseguì per la camera da letto non continuando una conversazione che
non avevamo neppure iniziato. Non sopportavo quella mancanza di
comunicabilità. Mi rendeva nervoso restare all'oscuro di tutto.
"Entoces? -cercai di proseguire- Cosa stai facendo? Non mi dici nulla di
te?".
Si spogliò lentamente e con cura felina. Sapeva di essere guardata e
cercava il modo di risultare più intrigante del solito. Conosceva il mio
interesse per il suo corpo e ne approfittava.
"Non tieni voglia di fare l'amore?" chiese dolcemente.
Osservai le sue curve, il seno eretto e proporzionalmente eccitante.
Seguii con lo sguardo le sue lunghe gambe ben tornite, il sedere
perfetto, il bacino regolare, la pelle vellutata dal color caffellatte,
la morbida peluria nera che ne ovattava il suo sesso. Era tremendamente
bella. Mi avvicinai a quell'oggetto del desiderio, senza pensare a nulla
tranne a dissetare il mio amore e la mia voglia che cresceva a dismisura
attimo dopo attimo. Rotolammo abbracciati stretti, fuori dallo spazio,
dal tempo e dai perché. Lei era mia mia e solo quello importava adesso.
Era riuscita a cancellare tutti i dolori, le delusioni, i dubbi che
avevano dato l'assalto al mio cervello.
Ero eccitato dal suo profumo che colpiva, penetrante, le mie narici fino
a giungere al cuore. Era una magia che colorava l'aria che respiravo,
illuminava le tenebre del dolore, dissetava l'aridità dei sentimenti
bruciati dalle amarezze. Non domandavo più nulla, se non di godere a
pieno di quegli attimi di dolcezza, senza chiedermi cosa mi riservasse
il futuro. Tutto era così distante dai nostri corpi uniti e bagnati di
voglie represse che si scatenavano momento dopo momento, senza attimi di
tregua.
La musica cessò di colpo, lasciando un vuoto nell'aria, accompagnato da
quella strana sensazione che, spesso, mi inseguiva come un brutto
presentimento.
Riuscii per un attimo a vedere la scena che stavo vivendo come se la
stessi osservando dall'alto. Fidelia possedeva il mio corpo con febbrile
eccitazione, ma era distante da me. Non riconoscevo, in lei, la chica
frequentata a Varadero e, della quale, mi ero perdutamente innamorato.
Appariva come un'altra persona, una mantide pronta ad inghiottirmi dopo
aver soddisfatto le proprie voglie. Non decifrai null'altro, confuso
dall'eros che si rimpadronì dei miei sensi.
Alla fine, esausti, ci lasciammo cogliere da una improvvisa stanchezza.
Sentivo il mio cuore pulsare velocemente mentre lei continuava ad
accarezzarmi i capelli. Provai un dolore indefinito, sapendo che stava
fingendo di amarmi.
"Amore -chiesi a bruciapelo- è tutto finito fra noi?".
Si incupì, continuando a passarmi le sue snelle dita tra i miei
riccioli.
"Perché mi fai questa domanda?".
"Perché penso che tu non abbia più l'intenzione di restarmi accanto"
conclusi allungandomi verso il pacchetto di sigarette posato sopra al
comodino.
"Sono tanto confusa...ti voglio bene, lo sai" rispose a mezza bocca,
poco convinta.
Il suo sguardo non voleva incrociare il mio e si rifugiò a cercare
minuscole briciole di nulla tra le pieghe del lenzuolo.
"Vado a fare il caffè. Lo vuoi?".
Scappò in cucina per non arrendersi all'evidenza, lasciandomi nuovamente
solo con i miei pensieri. Udii lo scorrere dell'acqua nel lavello e
pensai a Juliet ed alla sua casetta del Vedado.
Fidelia aveva cambiato il compact nell'hi-fi che ora suonava un cd di
musica italiana. Riapparve poco dopo con una tazzina di fumante caffè
che mi porse quasi servilmente.
"Non vuoi proprio rispondermi?" le chiesi calmo.
Si accese una sigaretta e si mise seduta sul letto con le nude gambe
incrociate.
"Tu hai tanti problemi a causa mia -disse laconica-. Hai perso il
lavoro, non hai più una lira, sei sempre triste...forse, se ti
lasciassi, tu potresti continuare la tua vita di prima".
"Senza di te, che valore avrebbe?" risposi irretito.
"Non lo so. Ma le cose tra noi, non sono andate come dovevano andare.
Non hai avuto fiducia in me, non mi hai detto nulla...anche se ti voglio
un mucchio di bene, forse, non potrei più sopportare l'idea di vivere
insieme a te".
Guardavo le sue labbra che si muovevano nervose. Era strano che, in un
momento simile, la mia attenzione fosse colpita dalle cose più strane.
"Così -continuai- vuoi lasciarmi perché mi vuoi troppo bene?".
Fidelia annuì silenziosamente.
"Non è per il fatto che non posso più mantenere i tuoi vizi e le tue
voglie?" dissi freddamente.
"Ay, Claudio. Perché giochi sempre?" rispose scocciata.
"Ah, io gioco? Ma ti rendi conto di cosa stai dicendo? Mi stai lasciando
perché non ho più una lira e non ti conviene restare a condividere una
vita non più facile, non per altro..." conclusi amaramente.
"Pensa come credi! Lo faccio per te e perché ti voglio bene!". Si guardò
le dita dei piedi, attratta dallo smalto lucente delle sue unghie.
"Sappi, allora -continuai- che ho trovato un nuovo lavoro che mi frutta
oltre tremila dollari al mese. Quindi, ho risolto tutti i miei problemi
economici...adesso cosa mi dici?".
Fidelia alzò il suo sguardo incrociando il mio.
"E chi te lo ha offerto?" domandò interessata.
"Ho incontrato Pierluigi, questa mattina. Lavorerò per lui..." risposi.
"Ay, è troppo figo quello..."disse sorridendo sorniona.
Ripensai alle parole di Pierluigi e guardai con aria dubbiosa il volto
di Fidelia.
"Te lo vuoi scopare?" domandai.
Abbassò lo sguardo.
"Ti importa tanto?".
Il mio amico nordista aveva avuto ragione una volta di più.
"Pierluigi me lo aveva detto che saresti corsa da lui, ma non per amore
ma soltanto per interesse, dal momento che ha più soldi di me".
Spense nervosamente la sigaretta e,fissandomi, domandò ancora.
"Cos'altro ti ha detto di me?".
"Che sei sempre una jinetera e che sei pronta a volare tra le braccia di
chi ha più soldi di lui...ma non ti da colpe. Dice che sei fatta così e
basta".
Un silenzio pesante cadde nella stanza, solo le note provenienti dallo
stereo che era nel salottino si diffondevano, profondendo una atmosfera
che non c'era più.
"Fanculo tu e l'amico tuo! Mi sono stancata di essere considerata una
puttana da quattro soldi...il nostro matrimonio è stato tutto uno
sbaglio. Sarei dovuta restare a Cuba a vivere la mia vita come al
solito". Così dicendo s'alzò di scatto andando verso lo sgabuzzino.
Tornò in camera con una valigia che iniziò a riempire della sua
biancheria.
"Cosa fai?" le domandai stupidamente.
Non mi rispose e continuò a saccheggiare l'armadio, afferrando i suoi
vestiti e riponendoli alla rinfusa dentro la borsa.
Poi, si vestì in fretta, infilandosi stretti jeans scoloriti ed una mia
camicia bianca. Estrasse dalla borsetta il mazzo di chiavi di casa che
gettò, con odio, verso il letto che mi ospitava assente. Avevo la testa
vuota. Pensai che dovevo fermarla, parlarle ancora, spiegare che tutto
era un terribile equivoco ma non riuscii a fare nulla. Restavo a seguire
inebetito la scena che si stava compiendo come per bene imprimermela
nella memoria.
Fidelia finì di prepararsi in fretta e, dopo un ultimo sguardo pieno di
rancore, aprì la porta della camera da letto e si precipitò fuori dalla
mia vita.
Quando squillò il campanello, mi ero
reso conto che mi ero appena addormentato. Aprii faticosamente la porta
ad un Pierluigi abbronzato.
"Ciao. Sono settimane che non ti fai vedere in ufficio" disse porgendomi
un caffè che aveva portato dal bar sotto casa.
Feci un gesto per farlo accomodare. Intravidi nello specchio l'immagine
di un 'me' che non ero io. I capelli arruffati facevano il paio con una
barba ispida che incorniciava un volto spento do dove emergevano due
profonde occhiaie.
"Ciao" risposi con la bocca impastata.
"Anche stanotte non sei riuscito a dormire?" domandò sicuro della mia
risposta.
Scossi la testa in cenno di diniego.
"Eh già -continuò sarcastico- l'amore perduto...Conosci quella poesia di
Neruda dal titolo 'mi piaci silenziosa'?".
"No e non me ne importa nulla di Neruda e della tua fottuta poesia...".
Trangugia il caffè amaro e, un senso di vertigine, s'impadronì di me.
"Hai bevuto di nuovo?" domandò con fare premuroso.
"No...ma è da ieri che non mangio qualcosa" risposi.
Fidelia era andata via da un paio di mesi ma era sempre come se fosse
presente dentro di me. Vagheggiavo disperato tra i ricordi di quelli che
erano stati i nostri momenti, nella speranza di trovare un conforto che
non c'era. Anzi, il solo ripercorrere con dei fashback gli attimi
vissuti insieme, mi faceva stare ancor più male di quanto non già
stessi.
Si accomodò sul divano girando la testa per fare una rapida ispezione
circa lo stato della casa.
"Vedo che non fai più le pulizie. C'è anche odore di chiuso" criticò.
"Cazzo, Pierluigi. Non m'interessa sfaccendare come una donnetta di
casa. A chi serve?" risposi stropicciandomi gli occhi per innitidire lo
sguardo spento.
Mi batté la mano sulla spalla a mo di conforto.
"Notizie di tua moglie?".
"Non è più mia moglie, lo sai!" risposi contrariato.
"Comunque?" continuò.
"...comunque?" continuai.
"Sei allegro oggi -osservò cinico-. Allora posso anche lasciarti
solo...".
"No, ti prego -risposi-. Sono giorni che non parlo con anima viva e sto
sempre peggio. Resta, per favore...".
"Sfogati. Con me puoi parlare, lo sai" disse affettuosamente.
"Da quando è andata non riesco più a fare nulla. Da una settimana
neppure esco da casa e non sento nessuno. Ho anche finito le provviste
in cucina ma non trovo la forza necessaria per andare a fare la spesa...penso
solo a lei, al mio amore con lei, alla nostra isola, a tutti i progetti
fantasticati insieme..." così dicendo mi passai la mano tra i capelli
sporchi.
"Non credi che sia il caso di farla finita con questa voglia di auto
commiserarti? E' accaduto, purtroppo, che l'amore sia finito. E, come
tutti gli amori di coppia che finiscono, uno dei due sta sempre male. E'
accaduto a te, per tua sfortuna. Ma questo non sta certo a significare
che la tua vita debba essere irrimediabilmente ferita".
La mia attenzione fu colpita dall'album delle fotografie che si trovava
incastrato fra una guida di Cuba ed un romanzo poliziesco, sopra ad un
ripiano della libreria. Fidelia ed io avevamo acquistato quel
contenitore per inserire tutte le foto fatte durante i nostri momenti,
ed era da quando l'avevamo completato, che nessuno lo aveva più aperto.
"Guarda -dissi prendendo l'album- ti mostro come eravamo felici...".
Pierluigi iniziò a sfogliare i miei ricordi.
Fidelia era sempre in primo piano in una teoria di sequenze artistiche,
fatte per scherzo. In alcune, appariva come una modella professionale.
In altre era sempre la giocosa chica cubana che prendeva in giro la
vita. In tutte, uno sfondo magnifico che cambiava a seconda delle
località che avevano visto il nostro amore: L'Avana. Santiago, Holguin,
Cayo Coco, Guanabo, Venezia, Milano. Stillavo il mio dolore lentamente,
con la stessa velocità con la quale Pierluigi, osservava le foto.
"Lascia perdere" mi disse richiudendo l'album a metà.
"No -protestai- non lo finito di vedere. Ce ne sono alcune...".
M'interruppe.
"Lascia stare Claudio. Non ti fa bene rivivere quei momenti".
Un groppo mi salì alla gola. Cercai di trovare il coraggio, passandomi
nuovamente la mano fra i capelli e raschiandomi la gola.
"Adesso, vieni con me" aggiunse.
"Dove?" dissi malvolentieri.
Tutto era così artefatto, forzato. L'unica cosa che mi andava di fare
era quella di restare solo con la mia disperazione. E, man mano che
passava il tempo, la mia ferita avrebbe continuato a sanguinare lacrime
di dolore facendomi, però, sentire vivo accanto a lei.
"Vatti a rendere presentabile. Usciamo".
La sua moto filava sostenuta,
attraverso il traffico autunnale di una città, come sempre convulsa.
L'aria pungente che entrava dalle fessure del casco, sbattendo contro il
mio volto rasato di fresco, evidenziava il cambiamento di stagione. A
volte, chiudevo gli occhi per non vedere una Milano che non mi
interessava più e la mente mi riportava a Varadero, facendomi
ripercorrere la lunga striscia di sabbia bianca orlata dal mare
cristallino. Riuscivo, perfino a sentire le note di un danzon suonato da
uno scombinato trio di musicisti che vagava per l'arenile a caccia di
turisti ai quali propinare il solito repertorio di musiche cubane da
Guantanamera per finire ad Hasta Siempre!
Pierluigi decelerò e fui costretto a riaprire le palpebre. Eravamo
arrivati in zona Fiera dov'era il suo ufficio.
Raggiungemmo lo studio dove tutto era efficienza ed asetticità.
"Perché mi hai condotto qui?" dissi mentre salivamo con l'ascensore.
"Dimentichi che lavori per me?" rispose sornione.
Entrammo nella sua stanza. Un computer era perennemente collegato ad
internet, dove sviluppava i suoi contatti di import-export.
"Allora?" feci incuriosito.
"Ti ho trascinato con me perché devi uscire dal tuo stato di catalessi.
Restando tappato in casa non fai altro che alimentare la tua
depressione. Invece, ora devi trovare nuovi stimoli per ricominciare la
tua vita. Poi -concluse- ho delle novità".
"Cioè?" dissi.
"Ho chiuso un affare con il Ministero del Commercio Estero Cubano.
Acquisteranno, nostro tramite, alcuni prodotti che venderanno in tutte
le Tiendas Rumbos...quindi, devi partire la settimana prossima per
L'Avana, dove firmerai al mio posto, il contratto di accettazione della
nostra offerta. Avrai, in questo modo, l'occasione per distrarti dai
tuoi problemi e, perché no?, di trovare nuove emozioni".
S'accese il perenne sigaro che aspirò con soddisfazione.
"E per questo che sei abbronzato? Se tornato da poco da Cuba?" domandai.
Annuì con la testa, iniziando a giocherellare con il mouse del computer.
"Non credo di poterlo fare. Il ricordo di Fidelia...". Interruppe
repentinamente il mio discorso, alzandosi prepotentemente dalla
poltrona.
"Ora basta Claudio! Devi scrollarti di dosso il pietismo che vai
elemosinando. Ti sto offrendo una opportunità che devi accettare per due
motivi: innanzitutto lavori alle mie dipendenze. Ed in secondo luogo,
perché ti sono amico e so a cosa ti mando incontro".
Il suo, era un tono che non ammetteva repliche e, qualsiasi fossero i
miei sentimenti ed il mio stato d'animo, non potevo fuggire ai consigli
dell'unico vero amico che avevo.
"Se lo dici tu..." conclusi mestamente.
In mezz'ora mi diede i dettagli dell'operazione e mi resi conto che
tutto era stato già calcolato: il biglietto aereo, il voucher per
l'albergo Nacional, una fascetta con ottomila dollari in pezzi da cento,
il dossier in triplice copia relativo all'accordo che dovevo siglare a
Cuba. Mi passò una valigetta dove riposi il tutto.
Ero pronto a partire ma non ne avevo la forza, come non me ritrovavo
anche per rifiutare l'incarico.
"Puoi chiamarmi un taxi?".
"Oggi stai con me, ti riaccompagno più tardi. Prima, però devi fare la
spesa. Approfitta ora...qui all'angolo c'è un supermercato. Poi prendo
l'auto per portarti a casa".
Così dicendo mi congedò di fatto iniziando a navigare in Internet per
siti che non conoscevo.
Osservavo la sabbia scorrere lenta ma
costante dentro una clessidra che avevo comprato qualche mese addietro.
Fidelia ci giocava sempre, divertendosi a rigirare l'oggetto prima che
esaurisse la sabbia. Poi mi diceva "Vedi, così il tempo non passa mai...sono
più forte io di lui" e giù a ridere dell'assurdità detta. Adesso, quel
gingillo fra le mie mani, aveva ripreso ad essere un freddo orologio
senza storia.
Mancavano cinque giorni alla partenza per Cuba ma non provavo la solita
ebbrezza che mi aveva accompagnato prima dei miei precedenti viaggi.
Proprio non m'immaginavo a percorrere le strette viuzze del Barrio senza
avere Fidelia al mio fianco.
Accesi svogliatamente la televisione per evitare di cadere in una
miriade di ipotesi gratuite che stavano prendendo corpo dentro di me.
Non riuscivo a trovare la dimensione di serenità che avevo acquisito,
attraverso Fidelia, durante i nostri primi mesi di matrimonio. Mi
mancava terribilmente e, più ci pensavo, più aumentava la voglia di
ritrovarla, di cercare il modo e la maniera per farla tornare da me per
ricostruire la nostra vita sopra ai cocci dell'esperienza che avevamo
vissuto.
Era pur vero che mi ero rinchiuso in un dolore monastico che mi aveva
tagliato fuori dal mondo, ma non avevo proprio alcuna idea su dove
poterla cercare.
Istintivamente afferrai il telefono. Forse, Juliet, poteva aiutarmi.
Spesso, Fidelia, parlava con sua zia raccontandole fatti anche
insignificanti solo per il gusto di passere il tempo. Sicuramente, un
fatto grave come la nostra separazione non poteva essere stato nascosto
in una eventuale telefonata fatta da Fidelia a Juliet. Dovevo tentare di
saperne di più e composi il numero della casa del Vedado. La linea
interrotta chiuse la porta alla mia speranza. Ricomposi freneticamente
la combinazione ottenendo, però, lo stesso risultato.
Sbattei violentemente la cornetta sull'apparecchio, imprecando contro
Cuba, l'embargo, l'apagon e l'aereo che mi ci aveva portato la prima
volta. Ero decisamente fuori di me.
Spensi la televisione che, a volume azzerato, stava trasmettendo un
documentario sulla vita degli animali ed andai verso la camera da letto.
Poi tornai sui miei passi e presi l'album delle fotografie che inizia a
sfogliare.
La pena generata da quell'amore infelice la stavo vivendo sulla pelle,
provando uno strano sapore di cruda macerazione dei miei pensieri
positivi che lasciano spazio solo a tristezze per nulla ovattate dalla
nostalgia ma, evidenziate da una miriade di ferite viventi in piaghe
dolorose.
Versai nel bicchiere una generosa dose di rum giamaicano che trangugiai
senza indecisione. Iniziai a sfogliare le pagine dei ricordi, rivivendo
un tempo distante da me, ormai, anni luce.
Istantanee colorate e gioiose si aprirono al mio sguardo e, ovunque
guardassi, c'era sempre lei. Il suo volto, lo sguardo intenso per nulla
smarrito davanti all'obiettivo, le sue mani, i capelli mossi dal vento
tropicale, la sua figura snella che si stagliava nello spazio
evidenziando la purezza delle linee, la forma felina pronta a scattare
in una serie di passi di ballo danzati solo per il mio piacere. Era
proprio dura da mandare giù. Il senso di smarrimento che mi accompagnava
quotidianamente si amplificò alla vista di quelle foto, rendendomi
ancor più certo di volerla ritrovare e di riportarla nuovamente a casa.
Non m'importava sapere che fosse andata con uno, cento o mille uomini:
doveva essere ancora mia. Avremmo continuato insieme il cammino
dell'esistenza. Afferrai la giacca e, spegnendo la luce, uscii alla sua
ricerca.
La trovai alla terza discoteca che
visitai. Era seduta in compagnia di gente che non conoscevo e, tutti,
avevano l'aria di divertirsi un mondo.
La musica assordante non lasciava spazio alla composizione dei miei
pensieri e, quindi assente, mi rintanai in un angolo buoi per seguire la
scena. Vivisezionai i particolari, guardando il minuscolo tavolino pieno
di bottiglie vuote che rubavano lo spazio ad inutili telefonini messi in
bella mostra solo per essere notati. Fidelia, insieme ad un altro paio
di ragazze in minigonna, era in compagnia di quattro o cinque uomini
che emanavano, traditi dall'aspetto e dagli atteggiamenti, un'aria di
potenza e finta cordialità. Lei era seduta tra i due che, nel gruppo,
risultavano essere i più arroganti ed antipatici. I tizi, avanzavano
senza ritegno, confidenze che non lasciavano dubbi circa le loro
intenzioni. I baci si confondevano con i palpeggiamenti che, entrambi,
alternavano a sonore risate e ulteriori bevute.
Fidelia era li, senza timori o imbarazzi. Tutt'altro che spaventata,
animava l'azione incitando i due a continuare il loro gioco, felice di
trovarsi al centro dell'universo.
La stavo osservando per la prima volta muoversi ed agire come una
jinetera. Una delle tante che illudono i turisti dentro e fuori dalle
discoteche cubane. Il sesso non sarebbe stato che una appendice di una
serata allegra dove l'alcool si mischiava con la musica e i rapporti
interpersonali erano dei trampolini di lancio puntati verso ciniche
convenienze materiali.
I mille discorsi che mi ero preparato prima di mettersi alla sua ricerca
si sciolsero al vento, così come il mio amore si frantumò nel nulla
all'improvviso.
Provavo solo una tristezza ingigantita da un senso di compassione per
tutto ciò che era Fidelia in quel momento. Cuba mi aveva tradito. Io,
avevo tradito me stesso. Ad un tratto s'alzò e scivolò verso la
toilette. Non provai neppure la voglia di raggiungerla tanta era la
delusione che mi possedeva in quel momento. Ne approfittai per
raggrumare le idee ed uscire dal locale, rientrando nella fredda notte
meneghina.
Il sonno e la stanchezza sparirono per lasciare, al loro posto, una
voglia indefinita ed indefinibile. Guidavo nel nulla, intrecciando
strade e viali deserti che mi condussero, in modo quasi automatico,
davanti all'ingresso del locale che, Pierluigi ed io, avevamo spesso
frequentato per godere dell'illusione della nostra Isla.
I ritmi latino-americani erano dolci più della musica tecno che ancora
mi rimbombava dentro le orecchie.
Il piccolo ritrovo era una imitazione mal riuscita della Bodeguida.
Eppure, in una città scolorita, restava un valido punto di incontro di
tutti gli ammalati di saudade sudamericana. La birra di importazione,
viaggiava accompagnata da cocktail a base di rum, che dissetavano la
nostalgia di persone tristi dallo sguardo perso.
Riflettei sul fatto che non avevo più messo piede in quel locale da
diversi mesi ma, i volti che incrociavo, erano sempre i soliti.
Davanti ad una Bucanero arrivata a Milano chissà come, accesi un sigaro
che mi aveva regalato Pierluigi. Aspirai il forte aroma che riaccese in
me la disperazione che avevo lasciato all'uscita della discoteca. Un
mambo anni '50 aleggiava calmo nell'aria, mentre un gruppo di ragazzi di
colore, aveva ripreso posto, intorno ad un tavolino lasciato in
precedenza per andare a ballare una cumbia scatenata.
La musica finì e, dopo un attimo di pausa nel quale si udiva chiaramente
il chiacchiericcio animato proveniente dal gruppetto dei ragazzi
sudamericani che si era appena seduto, ripartì con estrema sonorità una
salsa.
Solo con i miei pensieri, giocherellavo con la cenere grigia del
Montecristo, quando fui agganciato da un ragazzo mulatto.
"Ciao, amigo!" disse mostrandomi la bianca dentatura che incorniciava un
allegro sorriso. Così esordendo si mise seduto accanto a me.
"Hola" rimandai controvoglia.
"Triste? La nostalgia è una gran brutta cosa, specie se hai l'amore
lontano da te..." continuò assumendo un aspetto di circostanza.
Alzai lo sguardo fissandolo negli occhi.
"Come ti chiami?" gli domandai.
"Il mio nome è Francisco ma qui tutti mi conoscono come Inti...sono
cubano, y tu?".
Non risposi. Ero troppo stanco e non avevo voglia di parlare. Ma lui,
equivocò la mia latitanza, scambiandola per timidezza.
"Comprendo -aggiunse sicuro di se- Non hai voglia. Lo sai, amigo? Il
problema è la solitudine. Prendi me...io sono felice perché sono qui con
i miei amici e la mia chica. Ma, ti giuro, che quando sono arrivato in
Italia sono stato male perché non avevo nessuna relazione con nessuno.
Nada y nada y nada. Ora, tutto è diverso... E tu, dove hai il tuo amor?
Cuba, Venezuela, Santo Domingo?".
Attese invano una mia risposta.
"Ay, amigo...mira la chica" fece indicandomi una bella ragazza di colore
che stava ballando al centro della minuscola pista.
Guardai le treccine che si muovevano spinte dalla forza di inerzia
generata dal movimento del suo corpo, per la verità un pò appesantito da
troppi piatti di pastasciutta. Il suo, era un abbigliamento occidentale,
riconoscibile dai jeans di marca che la fasciavano stretta e da un body
che pretenziosamente doveva risultare sexy. La ragazza, continuava a
ballare ignara, movendo la cintura per seguire il tempo di un meneito
venezuelano.
"Bella no?" continuò.
Prese una sigaretta che si accese con un piccolo accendino d'oro.
Lo guardai con più interesse e fui colpito dalla pesante catenina d'oro
che finiva con un grosso ciondolo appeso. Anche il bracciale dalle
larghe maglie attirò la mia attenzione, facendomi supporre che fosse più
ricco di me.
"Ti offro da bere così, forse, riuscirai a parlare di più" aggiunse
alzandosi subito dopo per andare verso il lungo bancone, dal quale tornò
con due birre gelate.
"Grazie" dissi senza troppo entusiasmo.
"Ah... -disse notando il sigaro- E? un Cohiba?".
"Montecristo..."precisai.
"I Cohiba, sono i migliori -continuò-. Se vuoi, posso venderti una
scatola che mi è arrivata in questi giorni da Cuba...così puoi
assaggiare la differenza".
"Hai un cugino che lavora in una fabbrica di puros a Cuba e che ruba i
sigari per arrotondare il suo salario?" chiesi.
Non s'accorse della vena ironica con la quale avevo formulato la
domanda.
"Si...come lo sai? Ti ha mandato qualche tuo amico che conosco?" domandò
incuriosito.
"Ho solo provato ad indovinare, tutto qui" conclusi tranquillizzandolo.
Francisco cercava di conoscere i miei pensieri continuando a formulare
domande a casaccio per ottenere delle indicazioni sulle quali basare una
eventuale trattativa per i suoi affari.
"Non dirmi che ti piacciono gli uomini?" disse assumendo un'aria tra il
serio e il faceto.
"No" risposi lapidario.
Cosa cercavo anch'io? Un gioco stupido per farmi ancora del male o una
velata vendetta perpenetrata nei confronti di uno sconosciuto che
cercava di guadagnare la vita come un bravo jinetero?
"Mira amigo -disse indicandomi nuovamente la ragazza di prima- è mia
cugina. E' appena arrivata da Matanzas e non conosce nessuno in Italia.
Posso presentartela. Non parla benissimo l'italiano ma impara in
fretta..." e, senza attendere la mia risposta, chiamò la ragazza.
Che ne sapeva Francisco dei miei drammi e che ne poteva sapere del fatto
che, la mia conoscenza delle cose cubane, mi metteva un gradino più in
alto di un qualsiasi pepe sprovveduto che frequentava quel locale?
"Questa è Hildita".
La ragazza si mise silenziosamente seduta sorridendo appena.
"Camerero -gridò- una cerveza por favor".
"Hola" fece la ragazza con un filo di voce.
"Hola" risposi guardandola alla luce per vederla meglio.
Francisco interpretò la cosa a modo suo pensando che stessi analizzando
la merce che mi stava proponendo.
"E' sabrosa la chica, vero?" disse con una punta di finto orgoglio.
Hildita iniziò a sorseggiare la birra e a lanciare sguardi discreti al
mio indirizzo.
Francisco pronunciò qualche frase in cubano. Compresi solo alcuni vocali
a me noti: pepe, fula, singar cioè turista, soldi, scopare.
Gli occhi di Hildita s'illuminarono decisamente ed iniziarono la strana
danza della conquista. Con fare civettuolo s'aggiustò il body come se
fosse andato fuori posto a causa del ballo, ma era solo una scusa per
toccarsi il seno per farmi apprezzare le forme tonde di cui era fornita.
"Cosa guardi? -disse scherzando- Ti piacerebbe toccare le mie tette?".
Francisco la fulminò con lo sguardo. Hildita non doveva tradire la
storiella di essere una ingenua ragazza appena giunta dall'Isla e con
poca dimestichezza della lingua italiana.
"Senti amigo. Mia cugina ha bisogno di soldi. Lo sai come vanno queste
cose, no? Si trova lontano da casa, senza un lavoro, senza un amico. Io
la sto aiutando ma devo pensare per me...insomma, se ti interessa,
Hildita sarebbe felice di venire a casa tua a passare la notte. Stando
insieme, lei è contenta perché mi ha detto prima che tu gli piaci e a te
passa la nostalgia per la tua chica lontana...".
Spense la sigaretta in attesa di una risposta.
La musica suonava "La Soledad" della
Pausini. In quel preciso momento, il sole splendeva ancora alto sopra il
cielo dell'Avana, distante solo sei ore da quella notte strana. I
bambini, vestiti con il loro grembiulino vinaccia, stavano uscendo da
scuola. I contadini si asciugavano il sudore con il palmo di una mano
inaridita dalla fatica e dalla miseria. Il charter stava scaricando
milioni di turisti che si sarebbero innamorati di milioni di cubane
pronte ad aprire le cosce in cambio di una serata in discoteca o per una
maglietta. La gente, stava in attesa di un vecchio Camello color rosa
improbabile per tornare a casa. I bagnanti stavano rosolando sotto le
palme di una finta Miami che si chiamava Varadero. Qualcuno stava
stringendo tra le mani una striminzita borsa di nylon contenente il
pasto quotidiano. Il Malecon rimaneva immobile affacciato sull'oceano.
La vita dell'Avana Vieja si stampava come sempre insensibile alle cose
di un mondo che appariva lontano come un sogno. I manifesti di Che
Guevara si ingiallivano sempre di più dentro la valigia contenente i
ricordi di quello che poteva essere e non fu. I miei occhi bruciavano
del dolore di una sconfitta annunciata da sempre e da tutti conosciuta.
Aprii la bocca per chiedere.
"Quanto?".
"100 dollari...100 dollari per un amore".
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