di ROBERTO
ORIHUELA ALDAMA - ALDO ISIDRÓN DEL VALLE
Le due
locomotive entrarono nel cortile dei Talleres de Ciénaga, tirando 18
vagoni con 300 soldati, 28 ufficiali e un armamento molto pesante: una
mitragliatrice calibro 50, un cannone da 20 mm; 6 bazooka; 5
lanciamissili; 5 mortai da 60 mm.; 14 mitragliatrici calibro 30;
centinaia di fucili, pistole e revolver.
Poche
settimane prima il corpo d’ingegneria dell’esercito di Batista aveva
iniziato nei Talleres de Ciénaga, all’Avana, la costruzione di quella
fortezza militare, con l’obiettivo di rinforzare la potenza bellica
delle truppe che a malapena riuscivano a contenere l’offensiva sferrata
dalle colonne Ciro Ridondo, comandata da Che Guevara e Antonio Maceo,
comandata da Camilo Cienfuegos.
Gli
operai di Ciénaga e le loro organizzazioni sindacali boicottarono la
realizzazione del progetto, ritardando l’opera, frustrando le truppe del
presidio e facendo aspettar per una saldatura, la sistemazione d’un
bullone o di altri elementi.
Il 23
dicembre infine il treno militare era pronto con le sue pareti blindate
e tutta l’artiglieria, con le armi migliori. I suoi 300 soldati e 28
ufficiali, preoccupati ed esaltati iniziarono l’avventura e videro
sfilare, guardando dalle strette fessure, il paesaggio di una Patria
ostile. Molti non conoscevano i preparativi strategici dei ribelli che
in poche ore li avrebbero posti tutti in condizioni di vita o di morte.
Un
testimonio di quei giorni, Joaquin Betancourt, disse che il treno arrivò
un pomeriggio ed era imponente con tutte quelle armi; la notte accesero
potenti riflettori che si vedevano sin da Placetas.
La
conferma dell’arrivo del convoglio militare per le riparazioni sulle vie
di comunicazione, a carico del Corpo Ingegneri, che era il nome
eufemistico che il regime aveva adottato per il bunker mobile, rese
felice il generale Río Chaviano, capo militare del Terzo Distretto
militare.
Il 28
dicembre il sole si stava intrattenendo per i preparativi del giorno
vittorioso e sorse tardi, quando le truppe dei ribelli stavano
abbandonando la città e mentre mettevano in pratica una nuova forma di
guerriglia urbana, rompendo le sclerotiche strategie da caserma.
Il
Comandante Guevara aveva fatto togliere le rotaie proprio là dove doveva
passare il treno di Batista.
Betancourt ricorda che questo proposito: “Il treno chiamò con la campana
la sua gente che stava sparando dalle alture della colline di Capiro
sulla colonna del Che che stava avanzando sulla strada di Camajuaní. Poi
il treno retrocesse a mezza macchina proprio verso il punto dove la
guerriglia lo stava aspettando e deve aveva tagliato i binari(...)
La
truppa che viaggiava all’interno dei vagoni ebbe appena il tempo di
togliersi il fango dagli stivali militari. Il rumore che produsse il
deragliamento fu assordante. Il treno blindato, speranza del comando
generale di Batista, saltò con violenza fuori dai binari, strisciando
sull’asfalto della strada e sull’erba di Guinea della ripida cunetta.
Così iniziò quel combattimento che il Che avrebbe definito “molto
interessante”.
Con la
collaborazione della popolazione civile, gli uomini di Guile Pardo
lanciarono decine di bottiglie Molotov contro il rivestimento metallico
dei vagoni deragliati. Il fuoco accarezzò i fianchi dell’animale ferito
e i soldati, agitati per l’ incidente, riuscivano appena a rispondere
alla grandinata di piombo che gli arrivava addosso.
La
giornalista Teresa Valdés scrisse nella rivista Moncada – edizione
speciale del 6 ottobre del 1987 :
“Con
l’obiettivo di distruggere il morale dei soldati già sconfitti e per
informarli che il capo della nostra truppa era il Che, Guile Pardo
propose una tregua e organizzò un incontro tra i due capi rivali” (...)
Il
Comandante Guevara mandò a cercare una macchina con l’altoparlante e due
compagni dell’organizzazione urbana 26 di Luglio si presero il compito
di trovarla. Lo stesso Guevara, parando con un microfono ai soldati
della tirannia, li esortò a deporre le armi e ad evitare maggiori
spargimenti di sangue.
Alla
fine si decisero a conversare. Il Che si tolse l’arma, ma il comandante
del treno tenne la sua. Quando lo avvisarono la consegnò. “Io voglio
parlare dove i soldati non ci sentono”, chiese il batistiano e il Che
accettò d’andare in un vagone. “Comandante, disse l’ufficiale di
Batista, le dò la mia parola d’onore che se lei ci lascia tornare
all’Avana non spareremo più nemmeno un colpo”.
Il Che
sorrise. “Io credo alla sua parola d’onore, ma non voglio che queste
pallottole uccidano altri cubani, nè qui nè là”. Il Che fissò un
ultimatum, ma quelli si arresero prima.
Il 19
dicembre alle 19 i combattenti ribelli e i loro collaboratori
iniziarono a togliere le armi e le munizioni dal treno nemico, per
evitare che l’aviazione le potesse distruggere. Un bottino così
straordinario. Santa Clara aspettava.
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