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IL BLOCCO E I
DIRITTI DI CUBA
LE MISURE DI EMBARGO E
I DIRITTI DI CUBA
A. Il divieto dell'uso della forza.
1. Il problema della liceità o meno, sulla base del diritto
internazionale in vigore, delle misure di embargo economico applicate
dagli Stati Uniti nei confronti di Cuba va anzitutto esaminato alla luce
del divieto posto dalla Carta delle Nazioni Unite - e divenuto ormai di
diritto internazionale generale2 - del ricorso alla forza nelle
relazioni internazionali.
È noto che l'art. 2 par. 4 della Carta pone agli Stati membri, che
agiscano a titolo individuale3, un generale divieto di adottare
qualsiasi misura che comporti uso della forza (o minaccia) contro
l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, o
in qualsiasi altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni
Unite4.
È altresì noto che a tale divieto la stessa Carta pone la sola eccezione
della reazione a titolo di legittima difesa da un attacco armato. La
dottrina e la prassi concordano sul fatto che nel divieto senza
eccezioni rientri non solo il ricorso alla forza (e la minaccia del
ricorso) a tutela di propri interessi non giuridicamente protetti, ma
anche l'utilizzazione della forza a titolo sanzionatorio come reazione a
un precedente illecito5.
2. Riguardo alla predetta disposizione si pone il problema di sapere se
il termine "forza" debba essere interpretato nel senso ristretto di
forza armata o nel senso ampio di qualsiasi tipo di coercizione che
naturalmente sia equiparabile per gli effetti a quella armata e sia
quindi diretta contro l'integrità territoriale, l'indipendenza politica
di uno Stato oppure sia altrimenti incompatibile con i princìpi della
Carta. La circostanza che alla Conferenza di S. Francisco non sia
passata la proposta di alcuni Stati sudamericani di menzionare
espressamente nel divieto la coercizione economica e politica viene da
alcuni portata a sostegno dell'interpretazione restrittiva del termine
"forza". Va peraltro osservato che allo stesso modo non si volle a S.
Francisco specificare quel termine con l'aggettivo "armata" o
"militare". Si preferì una qualificazione attinente ai "beni" tutelati.
Ed è indubbio, del resto, che nella realtà internazionale odierna
l'attentato all'integrità territoriale e all'indipendenza politica di
uno Stato è possibile anche mediante misure di ordine economico e
politico6. Che il divieto dell'uso della forza sancito dalla Carta delle
Nazioni Unite includa, oltre alla forza armata, altre forme di forza, è
confermato dalla lettura della "Dichiarazione relativa ai princìpi di
diritto internazionale concernenti i rapporti amichevoli e la
cooperazione fra gli Stati, in conformità con la Carta delle Nazioni
Unite", adottata dall'Assemblea generale il 26 ottobre 1970 (ris.
2625-XXV). Con tale Dichiarazione l'Assemblea generale ha inteso
illustrare i principi contenuti nella Carta "che costituiscono principi
fondamentali del diritto internazionale". Ebbene, nel preambolo della
Dichiarazione si ricorda
"il dovere degli Stati di astenersi, nelle loro relazioni
internazionali, dall'uso di coercizione di ordine militare, politico,
economico o altro, diretta contro l'indipendenza politica o l'integrità
territoriale di qualsiasi Stato".
In termini identici questo dovere è ribadito nella "Dichiarazione sul
rafforzamento dell'efficacia del principio del non ricorso alla minaccia
o all'uso della forza nelle relazioni internazionali", adottata
dall'Assemblea generale il 18 novembre 1987 (ris. 42/22). Va
sottolineato che entrambe le risoluzioni sono state adottate per
consensus e che gli Stati Uniti non hanno sollevato obiezioni
all'enunciazione del dovere indicato. C'è di più: nel corso dei lavori
preparatori per l'adozione della Dichiarazione sul rafforzamento
dell'efficacia del principio del non ricorso alla forza, gli stessi
Stati Uniti, nel riferirsi a ipotesi di uso illecito della forza, hanno
espressamente fatto menzione delle pressioni politiche esercitate
dall'Unione Sovietica nei confronti della Polonia negli anni 1981-827.
Nel senso che il divieto dell'uso della forza nelle relazioni
internazionali includa il divieto di misure di coercizione economica di
estrema gravità che mettano in pericolo l'integrità territoriale o
l'indipendenza politica di uno Stato si è espresso di recente anche il
relatore speciale sulla responsabilità degli Stati, Gaetano Arangio-Ruiz.
Nel maggio 1992, nel quadro dei lavori di codificazione di tale materia,
in corso presso la Commissione del diritto internazionale delle Nazioni
Unite, Arangio-Ruiz ha sottoposto il seguente progetto di
"Article 14. Prohibited countermeasures
1. An injured state shall not resort, by way of countermeasures, to (a)
the threat or use of force /in contravention of Article 2, paragraph 4
of the United Nations Charter/;
2. The prohibition set forth in paragraph 1(a) includes not only armed
force but also any extreme measures of political or economic coercion
jeopardizing the territorial integrity or political independence of the
State against which they are taken"8.
"Articolo 14. Contromisure proibite
1. Uno Stato leso non potrà far ricorso, a titolo di contromisura, a:
(a) la minaccia o l'uso della forza [in violazione dell'Articolo 2,
paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite];
2. Il divieto espresso nel paragrafo 1(a) comprende non solo la forza
armata ma anche qualsiasi misura grave di coercizione politica o
economica che attenti all'integrità territoriale o all'indipendenza
politica dello Stato contro cui è presa".
È importante sottolineare come le misure di coercizione economica di
estrema gravità siano considerate illecite anche se prese in risposta a
un fatto illecito (e su ciò torneremo nella sezione E di questa parte).
A maggior ragione lo sono dunque nel caso in cui si voglia con esse
tutelare non propri diritti ma solo meri interessi.
3. Ciò posto, si tratta di vedere se le misure economiche adottate dagli
Stati Uniti contro Cuba rivestano una gravità tale da mettere in
pericolo l'indipendenza politica di questo Stato e da costituire quindi
una violazione del divieto dell'uso della forza nelle relazioni
internazionali.
A nostro avviso la risposta non può che essere positiva. Va sottolineato
che non sono le singole misure, anche gravi, a costituire la violazione
del divieto dell'uso della forza, ma è il complesso di esse.
A questo proposito va ricordato che si è dato vita a un embargo
economico di durata trentennale e di carattere globale, che copre
commercio, trasporti, relazioni finanziarie, prestazione di servizi,
ecc.
Per valutare il peso per Cuba del divieto di importare prodotti cubani
negli Stati Uniti va tenuto presente che tale Stato rappresentava, per
ragioni storiche e di vicinanza geografica, di gran lunga il principale
partner commerciale dell'isola (prima del 1960 Cuba esportava verso gli
Stati Uniti più del 50% della produzione di zucchero, principale risorsa
economica del paese).
Per valutare il peso del divieto di importazione a Cuba di prodotti
statunitensi occorre considerare che gli Stati Uniti sono la principale
potenza industriale e tecnologica mondiale per cui Cuba si vede
impossibilitata ad acquisire una serie di strumenti indispensabili al
suo sviluppo economico (in particolare informazioni tecnologiche).
Ma ciò che rende estremamente duro l'embargo è che esso coinvolge
cittadini, società e stati stranieri, tanto che nel progetto di
risoluzione sottoposto da Cuba all'Assemblea generale (riprodotto
nell'Introduzione di questo studio) si parla di un "blocco contro Cuba".
Questa azione diretta a coinvolgere altri Stati nell'embargo contro Cuba
si svolge attraverso due linee di azione.
In primo luogo, attraverso pressioni su società e Stati stranieri perché
non forniscano aiuti a Cuba, non vi investano capitali e non commercino
con essa. Nell'Introduzione al presente studio si è indicato come tali
pressioni risultino non solo da documenti citati da parte cubana, ma
anche da dichiarazioni ufficiali di organi statunitensi e da testi
legislativi. Ricordiamo a questo proposito come il "Cuban Democracy Act",
che è stato appena adottato dal Congresso e firmato dal Presidente, dopo
aver stabilito che dovrà essere politica degli Stati Uniti quella di
ricercare la cooperazione degli altri Stati per favorire attraverso
l'applicazione di sanzioni la transizione a un regime democratico,
affermi che gli Stati Uniti terranno conto, nelle loro relazioni con
essi, della disponibilità di quegli Stati a cooperare con gli Stati
Uniti per il raggiungimento di tale obiettivo. Si chiede inoltre ad essi
di cessare qualsiasi forma di assistenza a Cuba. In caso contrario, il
Presidente degli Stati Uniti è autorizzato ad applicare loro misure
sanzionatorie (non eleggibilità a forme di assistenza e di riduzione del
debito, non ammissione in zone di libero scambio). Si tratta di
pressioni che possono essere molto efficaci: in un momento storico in
cui paesi già socialisti sono in gravi difficoltà economiche e alla
ricerca di aiuti da parte degli Stati Uniti è presumibile che, al pari
dei paesi in via di sviluppo, difficilmente possano resistere a tali
pressioni. D'altra parte, i paesi che dispongono di capitali vengono in
vario modo scoraggiati dall'investire a Cuba (ad esempio si ricorda loro
l'esistenza di antichi reclami ancora in sospeso di cittadini
statunitensi verso il governo cubano in relazione a beni nazionalizzati
da Cuba negli anni sessanta).
In secondo luogo, l'azione diretta a coinvolgere terzi Stati
nell'embargo contro Cuba si attua attraverso disposizioni legislative
che hanno per destinatari individui e società aventi la nazionalità di
Stati terzi. A prescindere dalla questione se tali misure costituiscano
lesione dei diritti di Stati terzi - questione che verrà esaminata nella
seconda parte di questo lavoro - va qui rilevato che esse hanno per
effetto di rendere molto più grave l'embargo.
Si pensi al divieto di importare negli Stati Uniti prodotti
manifatturati in Stati terzi da cittadini o società di tali Stati, in
cui vi sia anche una minima componente di prodotti cubani e,
all'inverso, al divieto di esportare a Cuba prodotti in cui vi sia una
componente di materiali statunitensi superiore al 20% o comunque
manifatturati sulla base di informazioni tecnologiche statunitensi. Si
pensi al divieto - senza possibili eccezioni dopo l'adozione del Cuban
Democracy Act - fatto a società di nazionalità straniera e con sede
all'estero - ma con una partecipazione al capitale, anche minoritaria,
di cittadini o società americane - di commerciare con Cuba (per valutare
l'impatto di tale misura basti pensare al fatto che attualmente il
commercio tra Stati membri della CEE e Cuba è pari a circa 600 milioni
di dollari all'anno, di cui solo 100 milioni riguardano società
interamente "europee", gli altri 500 milioni essendo il prodotto di
commerci con società in cui esiste una partecipazione di capitale
statunitense). Si pensi ancora al divieto per le navi straniere di
caricare o scaricare merci in porti statunitensi se nei sei mesi
precedenti hanno fatto scalo in un porto cubano9.
Tutto ciò configura, a nostro avviso, un attentato all'indipendenza
politica di Cuba ed è certamente incompatibile con i principi delle
Nazioni Unite (v. art. 2, par. 4 della Carta).
Il primo profilo sotto cui le misure di embargo economico, commerciale e
finanziario adottate dagli Stati Uniti verso Cuba appaiono illecite è
dunque costituito dal fatto che esse violano il divieto dell'uso della
forza nelle relazioni internazionali, divieto che, come si è detto, non
conosce eccezioni neppure ove si agisca in risposta a un illecito.
Vedremo nelle prossime sezioni di questa Parte se tali misure non siano
illecite anche sotto altri profili.
B. Il divieto di intervento negli affari interni di un altro Stato.
1. Il secondo profilo sotto il quale occorre valutare le misure
statunitensi di embargo è quello della loro conformità o meno al
principio del non intervento negli affari di competenza di un altro
Stato.
L'obbligo degli Stati di non intervenire negli affari interni o esterni
di un altro Stato, pur non essendo esplicitamente enunciato nella Carta
delle Nazioni Unite, è considerato dai più come implicito in essa10
quale corollario del divieto dell'uso della forza e del principio
dell'uguaglianza sovrana degli Stati.
Il principio è stato enunciato in numerosissime risoluzioni
dell'Assemblea generale. Ricordiamo in particolare la ris. 2131(XX) del
21 dicembre 1965, contenente la "Dichiarazione sull'inammissibilità
dell'intervento negli affari interni degli Stati e sulla protezione
della loro indipendenza e sovranità"; la ris. 2625(XXV) del 1970,
contenente la già citata Dichiarazione sulle relazioni amichevoli; la
ris. 36/103 del 9 dicembre 1981, contenente la "Dichiarazione
sull'inammissibilità dell'intervento e dell'ingerenza negli affari
interni degli Stati"; la ris. 42/22 de 1987, contenente la già citata
Dichiarazione sul rafforzamento del divieto dell'uso della forza nelle
relazioni internazionali11.
Nè vale osservare che gli strumenti considerati non hanno, in quanto
tali, effetti vincolanti, essendo stati adottati dall'Assemblea
generale, organo normalmente competente a raccomandare e non già a porre
agli Stati nuovi obblighi. L'Assemblea generale, in verità, con le
proprie risoluzioni - e soprattutto con quelle che assumono la forma di
Dichiarazioni di princìpi - tende ad interpretare, seppure in modo non
vincolante, ma pur sempre "autorevole", i princìpi e le disposizioni
della Carta delle Nazioni Unite.
Il divieto di intervenire negli affari interni degli altri Stati è
peraltro anche - e soprattutto - "parte integrante del diritto
internazionale consuetudinario", come rilevato dalla Corte
internazionale di giustizia nella citata sentenza sul caso Nicaragua12.
Tale divieto, del resto, è stato sancito non solo nel quadro Nazioni
Unite, ma anche in un quadro che, per l'ambito geografico cui attiene,
assume una particolare rilevanza nella ricostruzione della norma
consuetudinaria sul non intervento: il quadro dell'OSA. L'art. 18 della
Carta di Bogotà, istitutiva di tale Organizzazione, vieta
"to intervene, directly or indirectly, for any reason whatever, in
the internal or external affairs of any other State".
"L'intervento, sia diretto che indiretto, per qualsiasi motivo, negli
affari interni o esterni di un altro Stato".
Lo stesso articolo precisa che il principio enunciato
"prohibits not only armed force but also any other form of
interference or attempted threat against the personality of the State or
against its political, economic and cultural elements".
"vieta non solo la forza armata ma anche qualsiasi altra forma di
ingerenza o tentata minaccia contro la personalità dello Stato o i suoi
elementi politici, sociali e culturali".
L'art. 19 dispone poi che
"no State may use or encourage the use of coercitive measures of an
economic or political character in order to force the sovereign will of
another State and obtain from it advantages of any kind".
"nessuno Stato può usare o incoraggiare l'uso di misure coercitive di
carattere economico o politico al fine di forzare la volontà sovrana di
un altro Stato e di ottenere da esso un qualche vantaggio".
2. Passando al contenuto del divieto sotto il profilo che a noi qui
interessa, osserviamo che nella Dichiarazione del 1965 sul non
intervento si afferma:
"1. Aucun Etat n'a le droit d'intervenir directement ou indirectement,
pour quelque raison que ce soit, dans les affaires intérieures ou
extérieures d'un autre Etat. En conséquence, non seulement l'intervention
armée, mais toute autre forme d'ingérence ou toute menace, dirigées
contre la personnalité d'un Etat ou contre ses éléments politiques,
économiques et culturels sont condamnées.
2. Aucun Etat ne peut appliquer ni encourager l'usage de mesures
économiques, politiques ou de toute autre nature pour contraindre un
autre Etat à subordonner l'exercice de ses droits souverains ou pour
obtenir de lui des avantages de quelque ordre que ce soit...
5. Tout Etat a le droit inaliénable de choisir son système politique,
économique, social et culturel sans aucune forme d'ingérence de la part
de n'importe quel Etat".
"1. Nessuno Stato ha il diritto di intervenire direttamente o
indirettamente, per qualsiasi ragione, negli affari interni o esterni di
un altro Stato. Di conseguenza, non solo l'intervento armato, ma
qualsiasi altra forma di ingerenza o qualsiasi minaccia, dirette contro
la personalità di uno Stato o contro i suoi elementi politici, economici
e culturali sono condannati.
2. Nessuno Stato può applicare o incoraggiare l'uso di misure
economiche, politiche o di qualsiasi altra natura per costringere un
altro Stato a subordinare l'esercizio dei suoi diritti sovrani o per
ottenere da esso un qualunque vantaggio...
5. Ogni Stato ha il diritto inalienabile di scegliere il suo sistema
politico, economico, sociale e culturale senza alcuna forma di ingerenza
da parte di qualunque altro Stato".
Formule praticamente identiche si ritrovano nella Dichiarazione sulle
relazioni amichevoli e in quella sul Rafforzamento del principio del
divieto dell'uso della forza13.
Formule molto simili si trovano numerose in altre risoluzioni14.
Illustrando il contenuto del divieto di intervento negli affari interni
o esterni la C.I.G. affermava:
"A prohibited intervention must accordingly be one bearing on matters
in which each State is permitted, by the principle of State sovereignty,
to decide freely. One of these is the choice of a political, economic,
social and cultural system, and the formulation of foreign policy.
Intervention is wrongful when it uses methods of coercion in regard to
such choices, which must remain free ones"15.
"Un intervento vietato deve quindi essere un intervento riguardante
questioni sulle quali, in base al principio della sovranità statale,
ogni Stato può decidere liberamente. Una di tali questioni è la scelta
del sistema politico, economico, sociale e culturale, e la formulazione
della politica estera. L'intervento è illecito quando utilizza metodi di
coercizione riguardo a tali scelte, le quali devono rimanere libere"15.
Soggiungeva, con riferimento alle misure che stava esaminando e che
consistevano nell'aiuto ad attività sovversive:
"The element of coercion, which defines, and indeed forms the very
essence of, prohibited intervention, is particularly obvious in the case
of an intervention which uses force, either in the direct form or in the
indirect form of support for subversive and terrorist armed activities"16,
"L'elemento di coercizione che definisce, e che difatti rappresenta
la sostanza stessa dell'intervento proibito, è particolarmente saliente
nel caso di un intervento che utilizza la forza, sia sotto la forma
diretta di un'azione militare, che sotto quella, indiretta, di sostegno
ad attività sovversive o terroristiche"16,
col che implicitamente ammetteva che possono esservi altre forme
illecite di coercizione.
Da quanto detto si ricava con chiarezza che il principio del non
intervento negli affari interni degli Stati tende a tutelare l'esercizio
da parte di questi della loro sovranità interna, la quale si esprime
anzitutto nella continua libertà di scelta del proprio regime politico,
economico, sociale e culturale e vieta dunque agli altri Stati di
interferire in tale scelta.
3. Ebbene, che il fine cui mirano le misure economiche statunitensi nei
confronti di Cuba - misure che costituiscono senza dubbio alcuno forme
di coercizione - sia quello di far cadere l'attuale sistema
politico-economico-sociale di Cuba e di far sì che questo sia sostituito
con un sistema più consono alle scelte politiche e agli interessi
statunitensi è stato detto in numerosissime prese di posizione ufficiali
di organi statunitensi ed è tuttora affermato nel "Cuban Democracy Act
of 1992".
Così, in un discorso radiotrasmesso il 17 maggio 1991, il Presidente
Bush indicava fra le condizioni necessarie per migliorare i rapporti tra
i due paesi quelle che
"Cuba holds fully free and fair elections under international
supervision".
"Cuba tenga elezioni del tutto libere e oneste sotto controllo
internazionale".
Questa presa di posizione del Presidente verrà ricordata in numerose
note trasmesse a Stati stranieri. Il 18 aprile 1992 il Presidente
dichiarava:
"The 'Cuban Democracy Act 1992' seeks to build on the strong
pro-democracy policy of my administration. I applaud such efforts and
endorse the objectives of this legislation to isolate Cuba until
democratic change comes to that embattled island".
"Il 'Cuban Democracy Act 1992' (legge Toricelli) si ispira alla
politica fortemente pro-democrazia della mia amministrazione. Applaudo
tali sforzi e sostengo gli obiettivi di tale legislazione che vuole
isolare Cuba finché non avvenga un cambiamento democratico in quell'isola
tormentata."
Pochi giorni prima, l'8 aprile 1992, Robert S. Gelbard, "Principal
Deputy Assistant Secretary of State for Inter-American Affairs",
illustrava come segue alla Commissione esteri della Camera dei
rappresentanti la politica seguita dagli Stati Uniti verso Cuba:
"The United States has followed a policy of isolating Cuba
diplomatically and economically for three decades. We continue that
policy today, in an effort to encourage a change to a democratic
government in Cuba...We also argue in regular, worldwide diplomatic
contacts that the best way for democracies to promote change in Cuba is
to press for democratic change and to back that up with reduced economic
ties. Expanded trade or economic benefits only strengthen the Cuban
government and delay inevitable reform. More and more, we find that
Cuba's economic policies and the extreme climate of uncertainty are
persuading people not to put money into Cuba. We regularly review the
effectiveness of the embargo, and make changes when needed... In
addition, we continually encourage our allies not to aid the Cuban
regime until it initiates democratic reform".
"Da tre decenni gli Stati Uniti hanno perseguito una politica di
isolare Cuba diplomaticamente ed economicamente. Proseguiamo tale
politica oggi, al fine di incoraggiare un cambiamento verso un governo
democratico a Cuba... Sosteniamo inoltre nei nostri regolari contatti
diplomatici a livello mondiale che il modo migliore per le democrazie di
promuovere un cambiamento a Cuba è quello di fare pressione per un
cambiamento democratico e di rafforzare tale campagna riducendo i legami
economici. Sviluppare il commercio o benefici economici non fanno altro
che rafforzare il governo cubano e ritardare le inevitabili riforme.
Riscontriamo sempre più spesso che le politiche economiche cubane e il
clima di estrema insicurezza in quel paese scoraggiano la gente
dall'investire a Cuba. Controlliamo regolarmente l'efficacia
dell'embargo, facendo le dovute modifiche quando è necessario... Inoltre
raccomandiamo ai nostri alleati di non sostenere il regime cubano finché
non abbia dato inizio alla riforma democratica".
Ancora più importante: nel "Cuban Democracy Act of 1992", alla sezione
8(a), si stabilisce che le misure di embargo potranno essere interrotte
solo quando
"the Government of Cuba (1) has held free and fair elections
conducted under internationally recognized observers; (2) has permitted
opposition parties ample time to organize and campaign for such
elections, and has permitted full access to the media to all candidates
in the elections; (3) is showing respect for the basic civil liberties
and human rights of the citizens of Cuba; (4) is moving toward
establishing a free market economic system, and (5) has committed itself
to constitutional change that would ensure regular free and fair
elections that meet the requirements of paragraph (2)".
"il governo cubano (1) abbia tenuto elezioni libere ed oneste sotto
il controllo di osservatori riconosciuti internazionalmente; (2) abbia
lasciato ai partiti di opposizione un tempo sufficiente per poter
organizzare le loro campagne elettorali, permettendo libero accesso ai
mezzi di comunicazione a tutti i candidati; (3) dimostri rispetto delle
libertà civili e dei diritti umani fondamentali dei cittadini cubani;
(4) si sia avviato verso l'instaurazione di un sistema economico a
libero mercato; (5) si sia impegnato a introdurre modifiche
costituzionali che permettano elezioni libere ed oneste ai sensi del
paragrafo (2)".
Va sottolineato come da tale disposizione risulti non sufficiente, per
l'abrogazione dell'embargo, l'instaurazione a Cuba di un regime che
garantisca libere elezioni e il rispetto dei diritti dell'uomo:
occorrerà anche che si "scelga" un'economia di mercato. Che questo sia
uno degli obiettivi perseguiti dalle misure applicate dagli Stati Uniti
risulta anche dalla dichiarazione fatta l'11 luglio 1991 in seno alla
Commissione Esteri della Camera dei Rappresentanti da B.W. Aronson, "Assistant
Secretary of State for Inter-American Affairs", in risposta a chi gli
chiedeva ragione del fatto che, al fine di incoraggiare la
democratizzazione e lo sviluppo dei diritti dell'uomo in Cina, Bush
chiedeva al Congresso il rinnovo, a vantaggio di questo Paese, dello
status di "nazione più favorita", mentre nel caso di Cuba, per
raggiungere lo stesso obiettivo, veniva mantenuto l'embargo:
"First of all... the People's Republic of China had initiated market
economic reforms before MFN was granted. That is not the case with
Cuba... The Cuban government did initiate some modest market economic
reforms in agriculture in the early '80s, which in fact were having some
benefits and increasing production. The Communist Party then reversed
course in 1986 and denounced these reforms and instituted a policy of
rectification and eliminated them, including bonuses and overtime for
workers. So that is one difference".
"Anzitutto... la Repubblica Popolare Cinese aveva iniziato delle
riforme economiche di mercato prima che lo status di nazione più
favorita le fosse concesso. Questo non è avvenuto nel caso cubano... Il
governo cubano ha incominciato alcune piccole riforme economiche di
mercato in campo agricolo nei primi anni '80, ricavandone alcuni
benefici e un aumento nella produzione. Il Partito Comunista cambiò
rotta nel 1986, denunciò tali riforme, instaurò una politica di
rettifica e quindi eliminò sia le riforme che i premi e gli straordinari
per i lavoratori. Questa è una delle differenze con il caso cinese".
Alla luce di queste dichiarazioni - e potrebbero esserne menzionate
numerosissime altre che vanno nello stesso senso - non si può che
giungere a una conclusione: il secondo e fondamentale profilo sotto il
quale le misure adottate dagli Stati Uniti sono contrarie al diritto
internazionale (alla Carta delle Nazioni Unite, ma anche al diritto
internazionale generale) è che si tratta di misure di coercizione aventi
per fine quello di rovesciare il sistema politico, economico e sociale
di Cuba: ciò in violazione del principio del non intervento negli affari
interni di altri Stati e del principio che impone il rispetto della loro
sovranità.
C. Il divieto di ricorrere a misure di coercizione economica nei
rapporti tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo.
Nella ricostruzione del contenuto del divieto del ricorso alla forza, e
in particolare del divieto di utilizzare la coercizione politica ed
economica, assumono ai nostri fini importanza anche gli strumenti
internazionali che si occupano dei problemi del sottosviluppo e dei
rapporti fra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo.
Secondo quanto emerge anzitutto dagli atti relativi al Nuovo ordine
economico internazionale17 - pur non vincolanti in quanto tali -, il
problema del sottosviluppo va affrontato in una logica complessiva e di
solidarietà, necessitata dalla stretta interdipendenza fra le economie
di tutti i paesi del mondo. In questi atti si è ritenuto che il mezzo
più idoneo per il conseguimento (ed eventualmente mantenimento) del
benessere economico e sociale di tutti i popoli - a cui gli Stati membri
delle Nazioni Unite si sono espressamente impegnati con gli artt. 55 e
56 della Carta - fosse quello del trattamento preferenziale dei paesi
più poveri da parte di quelli ricchi.
L'esigenza che, nei rapporti fra paesi sviluppati e paesi in via di
sviluppo, si deroghi al principio della reciprocità quale principio
tradizionale dei rapporti internazionali sostituendolo con quello del
trattamento preferenziale ha portato l'Assemblea generale a riaffermare
espressamente
"that developed countries should refrain from threatening or applying
trade restrictions, blockades, embargoes and other economic sanctions
incompatible with the provisions of the Charter of the United Nations,
and in violation of undertakings contracted multilaterally or
bilaterally, against developing countries as a form of political and
economic coercion which affects their economic, political and social
development"18.
"i paesi sviluppati dovrebbero astenersi dal minacciare o
dall'applicare contro paesi in via di sviluppo restrizioni al commercio,
blocchi, embarghi ed altre sanzioni economiche che sono incompatibili
con la Carta delle Nazioni Unite, e in violazione degli impegni,
sottoscritti multilateralmente o bilateralmente, come forme di
coercizione politica ed economica con effetti negativi sullo sviluppo
economico, politico e sociale di tali paesi"18.
È questa la prima di tutta una serie di risoluzioni dell'Assemblea
generale in cui si condanna il ricorso a misure economiche come mezzo di
coercizione politica ed economica da parte di paesi sviluppati nei
confronti dei paesi in via di sviluppo. Nell'ultima risoluzione adottata
lo scorso anno si richiede, tra l'altro, alla comunità internazionale di
prendere misure per impedire l'uso di
"unilateral economic measures against developing countries with the
purpose of exerting, direcrectly or indirectly, coercion on the
sovereign decisions of the countries subject to those measures"
"misure economiche unilaterali contro i paesi in via di sviluppo con
lo scopo di esercitare coercizione, direttamente o indirettamente, sulle
decisioni sovrane dei paesi assoggettati a tali misure"
e si deplora il fatto che certi paesi sviluppati abbiano in alcuni casi
ampliato la portata delle misure economiche adottate, come evidenziato
da
"trade restrictions, blockades, embargoes, freezing of assets and
other economic sanctions incompatible with the Charter of the United
Nations" (ris. 46/210).
"restrizioni al commercio, blocchi, embarghi, congelamenti di beni ed
altre sanzioni economiche incompatibili con la Carta delle Nazioni
Unite" (ris. 46/210).
Sembra a noi che il comportamento degli Stati Uniti non possa non
rientrare fra quelli deplorati dall'Assemblea generale.
D - Gli obblighi posti dal GATT
Un ulteriore profilo sotto il quale occorre esaminare se le misure
statunitensi di embargo violino i diritti di Cuba è quello della loro
conformità o meno alle norme dell'Accordo generale sulle tariffe
doganali e il commercio (GATT), di cui sia gli Stati Uniti che Cuba sono
parte.
Ricordiamo le disposizioni rilevanti.
Ai sensi dell'art. I tutti i benefici che uno Stato membro accordi a un
prodotto proveniente da o destinato a qualsiasi altro Stato (anche non
membro), in particolare in materia di dazi doganali, devono essere
estesi, immediatamente e incondizionatamente, a tutti i prodotti
similari provenienti da o destinati a tutti gli altri Stati membri (c.d.
trattamento della nazione più favorita).
L'art.XI vieta agli Stati membri di istituire o mantenere divieti o
restrizioni alle importazioni o esportazioni diversi dai dazi doganali,
tasse o altre imposizioni, siano essi attuati a mezzo di contingenti,
licenze all'importazione o esportazione o attraverso altre misure.
Inoltre, ai sensi dell'art. XIII, anche nel caso in cui uno Stato possa
avvalersi di una delle eccezioni previste dal Trattato all'applicazione
degli articoli precedenti, i divieti o le restrizioni introdotti non
dovranno essere applicati in modo discriminatorio: essi devono
concernere non già uno Stato determinato, ma tutti gli Stati membri.
Non vi è dubbio che l'imposizione di un embargo alle importazioni ed
esportazioni con un dato paese sia contrario alle previsioni degli artt.
XI e XIII sopra menzionati. Si tratta però di vedere se l'imposizione
dell'embargo possa venir giustificata alla luce di una delle eccezioni
contemplate dal trattato.
Tra le varie eccezioni, la sola che qui rilevi è un'eccezione di portata
generale contenuta nell'art. XXI. Essa è così formulata:
"Art. XXI Security exception
Nothing in the Agreement shall be construed...
(b) to prevent any contracting party from taking any action which it
considers necessary for the protection of its essential security
interest
I) relating to fissionable materials or the material from which they are
derived;
II) relating to the traffic in arms, ammunition and implements of war
and to such traffic in other goods and materials as is carried on
directly or indirectly for the purpose of supplying a military
establishment;
III) taken in time of war or other emergency in international
relations".
"Articolo XXI Deroghe relative alla sicurezza
Nessuna disposizione dell'Accordo dovrà essere interpretata in modo da
(b) impedire ad una Parte contraente di prendere i provvedimenti che
essa ritenga necessari per la protezione dei suoi interessi essenziali
relativi alla sicurezza
I) concernenti materiali fissili o il materiale dal quale essi derivano;
II) concernenti il traffico di armi, munizioni e attrezzature belliche,
nonché il traffico di altri beni e materiali, condotto, direttamente o
indirettamente, allo scopo di rifornire uno stabilimento militare;
III) presi in tempo di guerra o di altra emergenza nei rapporti
internazionali".
In più occasioni è stato chiesto che la portata dell'eccezione venisse
meglio definita. La questione è stata discussa nel 1982 nella 38a
Riunione ministeriale senza però che si giungesse a concordare
un'interpretazione. Può tuttavia esser utile ricordare che nella
Dichiarazione finale, adottata il 30 novembre 1982, le parti contraenti
si impegnano
"individually and jointly... (III) to abstain from taking restrictive
trade measures, for reasons of a non-economic character, not consistent
with the General Agreement...".
"individualmente e collettivamente... (III) ad astenersi dal prendere
misure commerciali restrittive, per motivi non-economici, non conformi
all'Accordo Generale...".
Nei casi in cui è stata invocata la clausola dell'art. XXI(b), a
giustificazione dell'adozione di misure di embargo commerciale, le
reazioni sono in genere state negative da parte degli altri membri:
così, ad esempio, nel caso dell'embargo commerciale imposto nel 1985
dagli Stati Uniti al Nicaragua.
A maggior ragione, a noi non sembra assolutamente possibile giustificare
in base a tale clausola le misure di embargo adottate dagli Stati Uniti
nei confronti di Cuba. Non si vede come le misure di embargo nei
confronti di Cuba possano rappresentare un'azione presa dagli Stati
Uniti in quanto necessaria
"for the protection of its essential security interests... taken in
time of war or other emergency in international relations".
"per la protezione dei suoi interessi essenziali relativi alla
sicurezza... presi in tempo di guerra o di altra emergenza nei rapporti
internazionali".
Non c'è stato di guerra, nè c'è situazione di emergenza nei rapporti tra
Stati Uniti e Cuba. Anche a voler ammettere che una situazione di
emergenza ci sia stata nel 1962, quando vennero prese le prime misure di
embargo, non è possibile sostenere che una situazione di emergenza si
prolunghi per trent'anni. Soprattutto non è possibile sostenere che vi
sia oggi una situazione di emergenza e che Cuba costituisca un pericolo
per la sicurezza degli Stati Uniti.
Si aggiunga che, anche a voler ammettere - interpretazione che noi non
condividiamo - che spetti esclusivamente allo Stato che invoca l'art.
XXI(b) stabilire se un'azione è presa a protezione dei propri "essential
security interests", per poter invocare l'articolo occorrerebbe quanto
meno che lo Stato che l'invoca abbia in tal modo motivato l'adozione o
il mantenimento delle misure di embargo.
Ebbene, come vedremo meglio nella prossima sezione di questo studio, gli
Stati Uniti non invocano più a giustificazione delle misure economiche
nei confronti di Cuba motivi di sicurezza nazionale. La principale
motivazione addotta è quella che con tali misure si tende a promuovere a
Cuba l'instaurazione di istituzioni democratiche e il rispetto dei
diritti dell'uomo.
Si aggiunga che mentre nel caso dell'embargo al Nicaragua esse erano
state adottate sulla base di una "Presidential declaration of national
emergency based on a threat to the national security of the United
States", nulla di simile si è verificato nel caso dell'embargo contro
Cuba. Il Presidente si limita a certificare annualmente che la
continuazione dell'embargo è nel "national interest" degli Stati
Uniti19.
E. Condizioni per l'esercizio di contro-misure.
1. Si è visto nelle sezioni precedenti di questo lavoro come le misure
economiche adottate dagli Stati Uniti nei confronti di Cuba non siano
conformi a numerosi obblighi internazionali che ad essi incombono nei
confronti di questo Stato (e in particolare al divieto dell'uso della
forza, al divieto di intervento negli affari interni di altri Stati,
agli obblighi posti dal GATT). Prima di concludere nel senso che tali
misure realizzano un fatto illecito internazionale nei confronti di Cuba
occorre ancora chiedersi se l'illiceità di queste misure, certamente
lesive di diritti soggettivi di Cuba, non sia esclusa per il fatto che
esse configurano contro-misure (o, se si vuole, sanzioni), lecite, in
risposta a un precedente illecito compiuto da Cuba verso gli Stati
Uniti. Il diritto consuetudinario internazionale in vigore e la Carta
delle Nazioni Unite non hanno infatti eliminato il diritto degli Stati
di adottare - in risposta a un illecito internazionale di cui siano
vittime - misure altrimenti illecite, decise individualmente, ma ne
hanno sottoposto l'esercizio a una serie di condizioni e di limiti.
Ciò posto, si tratta di accertare se le misure di embargo statunitensi
a) rappresentino la risposta a un fatto illecito precedentemente
compiuto da Cuba nei confronti degli Stati Uniti e, in caso affermativo,
b) se esse rispettino le condizioni e i limiti cui è soggetto
l'esercizio delle contromisure individuali.
2. La prima condizione che deve essere adempiuta perché uno Stato possa
legittimamente non rispettare - a titolo di contromisura - un obbligo su
lui incombente verso un altro Stato è, evidentemente, che quest'ultimo
Stato abbia precedentemente compiuto un illecito nei suoi confronti.
Ebbene, nel caso in esame il primo dato da prendere in considerazione è
che gli Stati Uniti non hanno giustificato le misure prese facendo
riferimento a una precedente violazione da parte di Cuba nei confronti
degli Stati Uniti.
Così, ad esempio, il 21 agosto 1991, in relazione alla richiesta di
messa all'o.d.g. della 46a Assemblea generale della questione
dell'embargo contro Cuba, l'ufficio stampa del Dipartimento di Stato
emanava un comunicato in cui deplorava l'iniziativa cubana e faceva
valere che:
"Every Government has the right and responsibility to choose the
Governments with which it wishes to have commercial and political
relations"20.
"Ogni governo ha il diritto e la responsabilità di scegliere i
governi con cui vuole intrattenere rapporti commerciali e politici"20.
Anche in precedenza il Governo statunitense aveva evitato di
giustificare le misure prese come risposta a un illecito cubano: aveva
preferito asserire che uno Stato è comunque libero di prendere le misure
del tipo di quelle da esso prese (e si è visto nelle sezioni precedenti
perché questa tesi non possa esser condivisa).
Il secondo dato da prendere in considerazione è che il Governo
statunitense ha addotto motivazioni politiche a giustificazione delle
misure contro Cuba e che per di più tali motivazioni sono variate nel
tempo e da documento a documento.
Nel febbraio 1962, imposto l'embargo commerciale totale, ne fu data
giustificazione col fatto che l'allineamento di Cuba con i paesi
comunisti costituiva una minaccia per la sicurezza dell'emisfero;
successivamente, e fino al 1991, ci si è riferiti principalmente al
fatto che Cuba avrebbe appoggiato attività sovversive in altri paesi21.
Occasionalmente compare però un'altra motivazione: quella che Cuba ha
nazionalizzato nel 1962 proprietà di cittadini statunitensi senza
corrispondere un indennizzo "pronto, adeguato, effettivo"22. Nel 1991
viene avanzata un'ulteriore motivazione: quella della mancanza di
istituzioni democratiche a Cuba e della violazione dei diritti
dell'uomo23.
Nel 1992 è solo quest'ultima giustificazione che compare, oltre a quella
che Cuba non ha un'economia di mercato24.
3. Il fatto che uno Stato adotti misure lesive di diritti altrui non
collegandole esplicitamente a un previo illecito da parte dello Stato
colpito e, per di più, fornendo per la loro adozione e il loro
mantenimento motivazioni volta a volta differenti, sarebbe già
sufficiente ad escludere che si possa vedere in tali misure delle forme
di sanzione in risposta ad un illecito e che si possa, a tale titolo,
considerarle lecite.
Ma proseguiamo ugualmente nel ragionamento e chiediamoci - anche se gli
stessi Stati Uniti non lo fanno - se i comportamenti di Cuba lamentati
dagli Stati Uniti costituiscano un fatto illecito internazionale nei
loro confronti.
a) L'accusa più ricorrente, e più a lungo mantenuta, che gli Stati Uniti
hanno rivolto a Cuba è stata quella di aiutare la sovversione in altri
paesi. Senza entrare nel merito di questa accusa, basti qui osservare
che, quale che sia stata la situazione in passato, essa non è più
attuale, come gli stessi Stati Uniti riconoscono, tanto è vero che non
la invocano più a giustificazione dell'embargo.
b) La seconda accusa rivolta a Cuba è stata quella di aver espropriato,
agli inizi degli anni Sessanta, proprietà di cittadini e società
statunitensi senza corrispondere loro un indennizzo "pronto, adeguato ed
effettivo".
L'esistenza di una violazione del diritto internazionale al riguardo
appare estremamente dubbia. È vero sì che Cuba non ha provveduto a
risarcire i cittadini statunitensi con un indennizzo "pronto, adeguato
ed effettivo", secondo quanto pretendevano gli Stati Uniti e spesso
pretendono anche nei confronti di altri Stati che adottano analoghi atti
di nazionalizzazione, ma il criterio dell'indennizzo "pronto, adeguato
ed effettivo" non era pacifico nel diritto internazionale in vigore a
quel tempo25 e non lo è neppure attualmente.
In verità se la prassi e la dottrina prevalente concordano sul fatto che
il diritto internazionale generale impone il pagamento di un indennizzo,
lo stesso accordo non esiste a proposito del quantum dell'indennizzo: da
parte dei paesi industrializzati si sostiene l'esistenza dell'obbligo
dell'indennizzo "pronto, adeguato ed effettivo", mentre da parte dei
paesi del Terzo Mondo si afferma che l'indennizzo debba essere equo,
laddove l'equità andrebbe rapportata non solo alla perdita subita dal
privato straniero, ma anche alle possibilità economiche del paese
nazionalizzante. È noto che tali paesi sostengono inoltre la competenza
in materia del paese ospite dell'investimento: la tesi dei paesi in via
di sviluppo è stata accolta - anche se con l'opposizione dei paesi
industrializzati - in numerosi strumenti non vincolanti adottati
dall'Assemblea Generale. Il più importante di questi è costituito dalla
Carta sui diritti e doveri economici degli Stati, adottata nel 1974 con
ris. 3281 (XXIX)26.
Il perdurante disaccordo quanto al reale contenuto della norma
internazionale sul quantum dell'indennizzo comporta la conseguenza che
in effetti, il più delle volte, gli Stati provvedano a determinarlo
tramite accordo o a deferire tale determinazione a un arbitro
imparziale. Anche Cuba ha concluso siffatti accordi con tutti gli Stati
nazionali dei privati colpiti dalle nazionalizzazioni, ad eccezione
degli Stati Uniti, che hanno sempre rifiutato tale determinazione. Tutto
ciò rende assai dubbio che possa ravvisarsi nel mancato "pronto adeguato
ed effettivo" indennizzo dei cittadini statunitensi espropriati negli
anni Sessanta un illecito internazionale. Di ciò sembrano coscienti gli
stessi Stati Uniti, che vi si sono raramente riferiti per giustificare
l'embargo economico. In ogni caso, come si vedrà nel par. 4, un illecito
costituito dal mancato pagamento di un "pronto, adeguato ed effettivo"
indennizzo non potrebbe giustificare che si prendano - in risposta -
misure della durata, portata e gravità quali quelle prese dagli Stati
Uniti verso Cuba.
c) La terza accusa mossa dagli Stati Uniti a Cuba è quella di mantenere
un regime comunista (gli Stati Uniti parlano di una "dittatura
comunista"), a economia centralizzata e priva di istituzioni di tipo
democratico-parlamentare. Si è già detto come il diritto internazionale
riconosca a ogni Stato il diritto di scegliere il sistema politico,
economico e sociale che esso ritiene più opportuno: è questo il primo
degli attribuiti relativi alla sovranità dello Stato. La regola che
prevede questo diritto è una delle regole fondamentali dell'ordinamento
internazionale ed è sulla sua base che si è elaborata, nel 1945 a S.
Francisco, la Carta delle Nazioni Unite, Organizzazione che vede la
partecipazione e la collaborazione proprio fra Stati a diverso regime
politico, economico, sociale e culturale. Al riguardo non possiamo non
riferirci alla sentenza resa il 27 giugno 1986 dalla Corte
internazionale di giustizia nel caso Nicaragua. Essa appare di
particolare interesse ai nostri fini sia per la chiarezza con cui
illustra il contenuto delle norme internazionali in materia sia per
l'analogia con il caso cubano. Al fine di stabilire se certe misure
prese dagli Stati Uniti nei confronti del Nicaragua, dalla Corte
considerate contrarie al principio del non intervento, possano essere
giustificate a titolo di contro-misura, essa viene ad esaminare alcune
argomentazioni addotte dal Congresso degli Stati Uniti a sostegno delle
misure prese, tra di esse quella che il Nicaragua avrebbe preso delle
"misure rivelatrici dell'intenzione di stabilire una dittatura
comunista". Afferma la Corte al riguardo
"However the régime in Nicaragua be defined, adherence by a State to
any particular doctrine does not constitute a violation of customary
international law; to hold otherwise would make nonsense of the
fundamental principle of State sovereignty, on which the whole of
international law rests, and the freedom of choice of the political,
social, economic and cultural system of a State. Consequently,
Nicaragua's domestic policy options, even assuming that they correspond
to the description given of them by the Congress finding, cannot justify
on the legal plane the various actions of the Respondent complained of.
The Court cannot contemplate the creation of a new rule opening up a
right of intervention by one State against another on the ground that
the latter has opted for some particular ideology or political
system"27.
"In qualunque modo si voglia definire il regime nicaraguense,
l'adesione di uno Stato ad una particolare ideologia non costituisce una
violazione del diritto internazionale consuetudinario; sostenere il
contrario equivarrebbe a rendere privo di senso il principio
fondamentale della sovranità statale, che è alla base dell'intero
diritto internazionale, nonché la libertà dello Stato di scegliere il
suo sistema politico, sociale, economico e culturale. Di conseguenza,
anche se corrispondessero alla descrizione che ne è fatta nel rapporto
del Congresso, le scelte di politica interna del Nicaragua non
potrebbero giustificare, sul piano giuridico, le varie azioni del
convenuto di cui ci si lamenta. La Corte non può contemplare la
creazione di una nuova regola che preveda il diritto di intervento di
uno Stato contro un altro Stato, per il semplice motivo che quest'ultimo
ha fatto una determinata scelta ideologica o di sistema politico"27.
La Corte esclude anche che il Nicaragua abbia l'obbligo, in base al
diritto internazionale consuetudinario o pattizio (ivi compresa la Carta
dell'OSA), di organizzare libere elezioni sul proprio territorio28. E
ciò è di interesse anche per il presente caso, dato che, come si è
detto, una delle condizioni cui il Congresso e l'Amministrazione
statunitensi subordinano la cessazione dell'embargo verso Cuba è che vi
si tengano libere elezioni sotto controllo internazionale.
Nessun illecito internazionale può dunque essere imputato a Cuba per il
fatto di aver adottato un sistema politico-economico socialista e per il
fatto di non avere istituzioni del tipo democratico-parlamentare.
d) Resta da considerare l'ultima accusa mossa dagli Stati Uniti a Cuba:
quella di violare i diritti dell'uomo.
La questione riguarda l'eventuale violazione di obblighi posti dal
diritto internazionale consuetudinario: non vi sono infatti convenzioni
specifiche che leghino in materia Stati Uniti e Cuba.
Ebbene, secondo l'opinione prevalente, le sole violazioni dei diritti
dell'uomo cui si potrebbe reagire al di fuori dei meccanismi
convenzionali e dunque con contro-misure sono le violazioni massicce dei
diritti essenziali della persona umana, quali il genocidio, l'apartheid,
la schiavitù, la tortura come pratica di governo.
Non è questo certo il caso di specie, nè di simili violazioni massicce
si lamentano gli Stati Uniti.
Eventuali violazioni non massicce di diritti meno essenziali vanno
valutate alla luce degli obblighi posti dalla Carta delle Nazioni Unite
e affrontate in quel quadro, come del resto sta già attualmente
avvenendo29.
4. Si è visto nel paragrafo precedente che l'esistenza di fatti illeciti
internazionali di Cuba nei confronti degli Stati Uniti non è provata e
che, d'altronde, gli stessi Stati Uniti non l'hanno invocata a
giustificazione delle misure prese.
Si deve qui aggiungere che anche ove alcuni dei comportamenti cubani
lamentati dagli Stati Uniti dovessero costituire un illecito nei
confronti di questo Stato, le misure di embargo economico da essi prese
resterebbero comunque illecite in quanto non rispettose delle condizioni
e dei limiti cui è sottoposto l'esercizio delle contro-misure.
Si è detto che il diritto internazionale consuetudinario attuale e la
Carta delle Nazioni Unite non hanno soppresso il diritto degli Stati di
adottare contro-misure consistenti in comportamenti non conformi ad
obblighi esistenti a loro carico, ma ciò non significa che essi possano
adottare sempre contromisure di qualsiasi tipo (ossia che possano
adottare comportamenti non conformi a qualsiasi obbligo internazionale).
Proprio per gli abusi cui ha dato luogo il ricorso individuale alle
contro-misure, il diritto internazionale contemporaneo ha posto una
serie di condizioni e di limiti al loro esercizio.
Quanto alle condizioni si ricorda che uno Stato non può ricorrere alle
contro-misure prima di aver esaurito tutti i mezzi di soluzione pacifica
delle controversie disponibili secondo il diritto internazionale
consuetudinario, la Carta delle Nazioni Unite o altro strumento di
soluzione pacifica delle controversie di cui sia parte30.
Nel caso delle presunte violazioni dei diritti dell'uomo da parte di
Cuba non sembra proprio che questa condizione sia stata rispettata. La
questione è attualmente all'esame dell'Assemblea generale delle Nazioni
Unite ed è stata proposta la nomina di un relatore speciale. Prima che
vengano accertati fatti illeciti, prima che l'Assemblea generale valuti
quali siano le procedure più opportune per porre fine ad eventuali
violazioni, l'adozione di contro-misure individuali da parte di uno
Stato membro delle Nazioni Unite indipendentemente da qualsiasi
raccomandazione degli organi societari non è lecita.
Ma è soprattutto sotto il profilo del loro contenuto che le misure di
embargo degli Stati Uniti contro Cuba non potrebbero essere considerate
lecite neppure se costituissero una risposta a un fatto illecito nei
loro confronti.
In primo luogo, non rispettano il limite della proporzionalità31.
Se anche il mancato "pronto, adeguato ed effettivo" indennizzo dei
cittadini statunitensi le cui proprietà sono state nazionalizzate negli
anni '60 avesse rappresentato un illecito verso gli Stati Uniti, è
palese che un siffatto illecito non avrebbe giustificato l'adozione di
misure tanto gravi e prolungate nel tempo quali quelle prese dagli Stati
Uniti. Lo stesso può dirsi per le lamentate violazioni dei diritti
dell'uomo a Cuba. Anche ove tali violazioni fossero state imparzialmente
accertate, le misure di embargo prese dagli Stati Uniti non sarebbero
comunque ad esse proporzionate.
In secondo luogo, tali contro-misure sono illecite sotto il profilo del
loro contenuto: a) in quanto comportano uso della forza e b) in quanto
non conformi alle regole fondamentali della protezione dei diritti
dell'uomo.
a) Come si è già detto nella sezione A di questa Parte, il divieto
dell'uso della forza nelle relazioni internazionali copre anche
l'ipotesi in cui il ricorso alla forza avvenga in risposta a un fatto
illecito, per la tutela di un proprio diritto soggettivo. E si è anche
detto che la nozione di forza include misure estreme di coercizione
economica che mettano in pericolo l'indipendenza politica dello Stato
contro cui sono adottate32. Si sono indicate le ragioni per le quali - a
nostro avviso - l'embargo economico, commerciale e finanziario
instaurato dagli Stati Uniti contro Cuba rivesta appunto tale carattere.
Esso sarebbe dunque comunque illecito anche se adottato in risposta a un
previo illecito.
b) L'esigenza che le contro-misure adottate siano conformi alle regole
fondamentali dei diritti dell'uomo si va sempre più affermando. Essa è
riconosciuta nel più volte citato progetto di articoli sulla
responsabilità degli Stati (cfr. art. 14, par. 1(b),(i))33. Questa
esigenza dovrebbe ovviamente essere tenuta particolarmente in conto da
chi, come gli Stati Uniti, asserisce prendere certe misure per
promuovere la tutela dei diritti dell'uomo.
Come ha giustamente osservato la Corte internazionale di giustizia,
nella più volte citata sentenza nell'Affare Nicaragua, a proposito delle
misure implicanti uso della forza prese dagli Stati Uniti e da essi
motivate, tra l'altro, per promuovere il rispetto dei diritti dell'uomo
in Nicaragua,
"the use of force could not be the appropriate method to monitor or
ensure such respect"34.
"l'uso della forza non potrebbe essere il metodo appropriato per
verificare e assicurare tale rispetto34".
Un embargo delle dimensioni di quello adottato contro Cuba, un embargo
che causa al popolo cubano gravi sofferenze, che incide in modo
drammatico sui loro diritti economici e sociali, non può quindi in
nessun caso essere giustificato come sanzione per il mancato rispetto
dei diritti dell'uomo35.
NOTE
2)
Si veda in questo senso la sentenza resa il 27 giugno 1986 dalla Corte
internazionale di giustizia nell'Affare Nicaragua (I.C.J. Reports 1986,
pp. 98-101).
3)
Non ci occupiamo qui della questione se il Consiglio di Sicurezza o
altri organi delle Nazioni Unite possano autorizzare Stati membri ad
adottare misure implicanti uso della forza: infatti nessuna risoluzione
delle Nazioni Unite ha mai autorizzato gli Stati Uniti ad adottare
misure di tal genere nei confronti di Cuba. Va inoltre osservato che,
secondo la migliore dottrina, il Consiglio di Sicurezza non potrebbe
autorizzare Stati membri ad adottare misure implicanti uso della forza,
ma potrebbe soltanto agire direttamente con forze poste sotto il suo
controllo (meccanismo peraltro mai divenuto operativo).
4)
La disposizione in questione così recita: "All members shall refrain in
their international relations from the threat or use of force against
the territorial integrity or political independence of any state, or in
any other manner inconsistent with the Purposes of the United Nations".
5)
Così, ad esempio, nella Dichiarazione sulle relazioni amichevoli e la
cooperazione fra Stati, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni
Unite nel 1970, si afferma: "Les Etats ont le devoir de s'abstenir d'actes
de représailles impliquant l'emploi de la force".
6)
Per questo rilievo cfr. BENTWICH e MARTIN, Commentary on the Charter of
the United Nations, London, 1951, p. 13; PAUST e BLAUSTEIN, The Arab Oil
Weapon - A Threat to International Peace, in The Arab Oil Weapon, ed.
PAUST e BLAUSTEIN, Dobbs Ferry, 1977, p. 96; PICONE, Ordine economico
internazionale, in Diritto internazionale dell'economia, a cura di P.
Picone e G. Sacerdoti, Milano 1982, p. 170; FARER, Political and
Economic Coercion in Contemporary International Law, in American Journal
of International Law, 1985, p. 405 ss. Si veda, inoltre, il dibattito
svoltosi il 26 e 27 ottobre 1984 in seno alla Société belge de droit
international e pubblicato in Revue belge de droit international,
1984-85, p. 7 ss., nonchè l'ampia prassi e dottrina ivi riportate; v.
anche ARANGIO-RUIZ, Fourth Report on State Responsibility (1992), doc.
A/CN.4/444/Add. 1, p. 17 ss.
7)
Doc. N.U. A/37/41, par. 50.
8)
Cfr. doc. A/CN.4/444/Add.3. Per il commento che lo accompagna v.
ARANGIO-RUIZ, Fourth Report on State Responsibility, doc. A/CN.4/444, p.
17 ss. Per il dibattito in seno alla CDI su questo articolo cfr. il
Report of the International Law Commission on the Work of its
forty-fourth session (1992), doc. A/47/10, p. 83 ss.
9)
Per una più compiuta analisi dell'impatto su Cuba delle misure
economiche statunitensi si veda lo studio di A. ZIMBALIST nel volume
United States Economic Measures against Cuba, cit., p. 121 ss.
10)
Verso questa interpretazione propende anche la Corte internazionale di
giustizia nella sentenza del 27 giugno 1986 relativa all'Affare
Nicaragua (I.C.J. Reports, 1986, p. 106).
11)
Per altre risoluzioni che enunciano il divieto dell'intervento si veda
infra, la sezione C.
12)
I.C.J. Reports 1986, p. 106. Si rinvia alla sentenza per la
dimostrazione dell'esistenza nel diritto consuetudinario del principio
di non intervento (ibid., p. 106 ss.). Secondo la Corte gli Stati Uniti
hanno riconosciuto l'esistenza di un obbligo consuetudinario di non
intervento (ibid., p. 107).
13)
Va sottolineato come nella Dichiarazione sulle relazioni amichevoli
qualsiasi forma di ingerenza diretta contro la personalità di uno Stato
o contro i suoi elementi politici, economici e culturali è non solo
condannata, ma anche indicata come contraria al diritto internazionale.
Le tre dichiarazioni sono state adottate col consenso degli Stati Uniti.
Nessuna riserva è stata da essi formulata circa il contenuto delle
disposizioni menzionate, neppure in relazione alla Dichiarazione sulle
relazioni amichevoli, ove il divieto dell'intervento è espressamente
enunciato come facente parte del diritto internazionale in vigore.
14)
Tra le tante, ricordiamo la ris. 3281(XXIX) del 17 dicembre 1974, che
contiene la "Carta dei diritti e doveri economici degli Stati". Ai sensi
dell'art.1
"Every State has the sovereign and inalienable right to choose its
economic system as well as its political, social and cultural systems in
accordance with the will of its people, without outside interference,
coercion or threat in any form whatsoever".
"Ogni Stato ha il diritto sovrano ed inalienabile di scegliere il
proprio sistema economico, nonché il suo sistema sociale e culturale in
accordo con la volontà del suo popolo, senza interferenza esterna,
coercizione o minaccia di qualunque tipo."
In base all'art. 32:
"No State may use or encourage the use of economic, political or any
other type of measures to coerce another State in order to obtain from
it the subordination of its rights".
"Nessuno Stato può usare o incoraggiare l'uso di misure politiche,
economiche o di altro tipo per fare pressione su un altro Stato in modo
da ottenere da lui la subordinazione dei suoi diritti".
Le riserve espresse dagli Stati Uniti nei confronti della Carta - e che
li indussero a votare contro - non concernevano gli artt. 1 e 32.
15)
I.C.J. Reports 1986, p. 108.
16)
Ibid.
17)
Cfr. la Dichiarazione sulla costituzione di un Nuovo Ordine Economico
Internazionale, adottata con ris. 3201 (S-VI) e la Carta sui diritti e
doveri economici degli Stati, adottata con ris. 3281(XXIX).
18)
Ris. 38/197 del 20 dicembre 1983, par. 3 del dispositivo. Nello stesso
senso vedi la Ris. dell'UNCTAD n. 152 (VI) del 2 luglio 1983.
19)
Per riferimenti normativi si veda il volume United States Economic
Measures Against Cuba, cit., p. 336.
20)
Del pari, in un documento informale fatto circolare tra i delegati alla
46a sessione dell'Assemblea generale per convincerli a opporsi
all'iniziativa cubana, si dice: "Every Government is free to choose with
whom it wishes to have relations" (riprodotto nel volume United States
Economic Measures Against Cuba, cit., p. 25).
21)
Si vedano gli affidavit sottoposti nel 1984 alla Corte Suprema degli
Stati Uniti nel caso Regan v. Wald dall'Aiuto Segretario di Stato per
gli affari interamericani, T.O. Enders e dall'allora Direttore
dell'Ufficio Affari cubani del Dipartimento di Stato, M.R. Frechette
(riprodotti in United States Economic Measures Against Cuba, cit., p.
169 ss.). La giustificazione relativa all'aiuto alla sovversione compare
ancora lo scorso anno, ad es. nei comunicati stampa del 21 agosto e 13
novembre 1991 (ibid., pp. 6 e 48) e in comunicazioni informali inviate a
delegazioni di Stati terzi in funzione del dibattito all'Assemblea
generale (ibid., p. 28).
22)
Cfr. il comunicato stampa del 13 novembre 1991 (citato alla nota
precedente)
23)
Cfr. i comunicati stampa del 21 agosto e 13 novembre 1991 (citati alla
nota 21). Si vedano anche i documenti informali fatti circolare tra le
delegazioni di paesi terzi alla 46a sessione dell'Assemblea generale (ibid.,
pp. 25 e 28). In generale sulle varie motivazioni addotte a sostegno
dell'embargo si veda ibidem, p. 169 ss.
24)
In una dichiarazione resa l'8 aprile 1992 da R.S. Gelbard, Principal
Deputy Assistant Secretary of State, alla Commissione esteri della
Camera dei rappresentanti si legge:
"The United States has followed a policy of isolating Cuba
diplomatically and economically for three decades. We continue that
policy today, in an effort to encourage a change to a democratic
government in Cuba".
"Da tre decenni gli Stati Uniti perseguono una politica di isolamento
diplomatico ed economico di Cuba. Continuiamo con tale politica ancora
oggi, allo scopo di incoraggiare un cambiamento verso un governo
democratico a Cuba".
Ricordiamo che nel "Cuban Democracy Act of 1992", sezione 8, si
stabilisce che le misure di embargo potranno essere abolite quando il
governo di Cuba avrà tenuto elezioni libere, con pluralità di partiti,
avrà dimostrato di rispettare i diritti dell'uomo e avviato un'economia
di mercato.
25)
Ricordiamo che nel 1964 la Corte Suprema degli Stati Uniti nell'affare
Banco Nacional de Cuba v. Sabbatino, riguardante appunto le
nazionalizzazioni cubane, osservava
"there are few if any issues in international law today on which opinion
seems to be so divided as the limitations on a State's power to
expropriate the property of aliens"
"esistono poche questioni nel diritto internazionale, semmai ce ne
siano, che suscitano così tanti contrasti nell'opinione pubblica come
quella dei limiti al potere di uno Stato di espropriare la proprietà di
cittadini stranieri".
(376 U.S.398, 428 (1964)).
26)
L'art. 2, par. 2(c), è così formulato:
"Every State has the right to nationalize, expropriate or transfer
ownership of foreign property, in which case appropriate compensation
should be paid by the state adopting such measures, taking into account
its relevant laws and regulations and all circumstances that the State
considers pertinent. In any case where the question of compensation
gives rise to a controversy, it shall be settled under the domestic law
of nationalizing State and by its tribunals, unless it is freely and
mutually agreed by all State concerned that other peaceful means be
sought on the basis of the sovereign equality of States and in
accordance with the principle of free choice of means".
"Ogni Stato ha il diritto di nazionalizzare, espropriare o trasferire la
proprietà di beni stranieri, nel qual caso un indennizzo appropriato
dovrà essere pagato dallo Stato che abbia adottato siffatte misure,
conformemente alle proprie leggi e ai propri regolamenti e a tutte le
circostanze che lo Stato consideri pertinenti. Nel caso in cui la
questione dell'indennizzo dia luogo a controversie, questa dovrà essere
risolta sulla base del diritto interno dello Stato nazionalizzante e ad
opera dei suoi tribunali, a meno che tutti gli Stati coinvolti non
acconsentano liberamente e reciprocamente a utilizzare altri mezzi
pacifici sulla base dell'uguaglianza sovrana degli Stati e in conformità
al principio della libera scelta dei mezzi".
27)
I.C.J. Reports 1986, p. 133.
28)
Ibid., pp. 130-133.
29)
V. infra, par. 4.
30)
In questo senso si esprime il progetto di art. 12, par. 1(a), sottoposto
nel maggio 1992 alla Commissione del diritto internazionale dal Relatore
speciale sulla responsabilità degli Stati, G. Arangio-Ruiz (doc. A/CN.4/444,
p. 40). Per il commento si veda ibid., p. 20 ss.
31)
L'art. 13 del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati
sottoposto dal Relatore speciale, G. Arangio-Ruiz, alla Commissione del
diritto internazionale, recita:
"Any measure taken by an injured State... shall not be out of proportion
to the gravity of the internationally wrongful act and of the effects
thereof".
"Qualsiasi misura presa da uno Stato leso... non dovrà essere
sproporzionata rispetto alla gravità del fatto illecito internazionale e
delle relative conseguenze".
Per il commento si veda il doc. A/CN.4/444/Add. 1, p. 2 ss.
32)
Ricordiamo che in base all'art. 14, par. 1(a) e 2 del Progetto sulla
responsabilità degli Stati presentato da G. Arangio Ruiz, lo Stato leso
da un fatto illecito internazionale non può ricorrere alla minaccia o
all'uso di
"any extreme measures of political or economic coercion jeopardizing the
territorial integrity or political independence of the State against
which they are taken".
"qualsiasi grave misura di coercizione politica o economica che attenti
all'integrità territoriale o all'indipendenza politica dello Stato nei
cui confronti è presa".
33)
Cfr. Fourth Report on State Responsibility, doc. A/CN.4/444/Add. 3. Per
il commento cfr. doc. A/CN.4/444/Add. 1, p. 22 ss.
34)
I.C.J. Reports 1986, pp. 134-135.
35)
Sulla illiceità di tali misure v. MATHY, Les mesures économiques
américaines et de l'O.E.A. contre Cuba, in Revue belge de droit
international, 1984-1985, p. 183 ss. e l'ampia documentazione e
bibliografia ivi citata. Nello stesso senso v. LATTANZI, Sanzioni
internazionali, in Enciclopedia del diritto, vol. XLI, Giuffrè, Milano,
1989, p. 536 ss.
Dal libro "Riflessioni sulla conformità o
meno al diritto internazionale dell'embargo economico commerciale e
finanziario attuato dagli Stati Uniti nei confronti di Cuba
a cura di Aldo Bernardini, Flavia Lattanzi, Marina Spinedi.
Pubblicato da Nova Cultura Editrice
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