10 marzo del 1952: il colpaccio de Fulgencio Batista
GUSTAVO B. ESTORINO – Speciale per SiporCuba
• Il popolo
dell’Avana festeggiava il carnevale quel 9 marzo del 1952 e nessuno
sospettava che si stava tramando una sinistra cospirazione per
impadronirsi del potere a Cuba.
Il colpo aveva
come figura principale Fulgencio Batista, coluí che era stato per i
nordamericani l’uomo forte nell’Isola tra il 1934 e il 1944, ma che
nelle elezioni del 1952 non aveva possibilità d’essere rieletto come
presidente.
Parteciparono al
colpo di stato militari ritirati, funzionari di governi precedenti e
ufficiali in attivo, tra i quali l’assassino tenente della polizia,
Rafael Salas Cañizares.
La mattina del 10
marzo i cospiratori occuparono le caserme principali della capitale,
mentre Batista marciava verso la fortezza militare di Columbia, la
principale dell’Isola, con una carovana scortata da sicari della polizia
radio-motorizzata, comandati da Salas Cañizares.
In questo modo si
presero le istituzioni ministeriali, gli aeroporti e i mezzi
d’informazione.
Alcuni ufficiali
di altre province non volevano appoggiare il colpo di stato, ma le
promesse di carriera e di ricchezze li portarono a sostenere il generale
Batista.
Le guarnigioni
dell’Avana ebbero nuovi capi in quella mattina fatale.
La cospirazione
aveva trionfato e, fatto più importante, aveva l’approvazione
dell’ambasciata degli Stati Uniti.
Ma chi era questo
generale golpista?
Rubén Fulgencio Batista y
Zaldívar (1901-1973). Sergente
dattilografo, aveva partecipato al colpo militare del 4 settembre del
1933 e, approfittandone, aveva iniziato una carriera di tradimenti che
lo avrebbero portato ad essere un servitore dell’imperialismo
statunitense.
Fece cadere il governo di Grau San
Martín nel gennaio del 1934 e come capo dell’esercito, praticamente,
divenne il dittatore di Cuba (1934-1938), reprimendo a sangue e fuoco
tutto il movimento popolare di protesta.
Dal 1938, con le pressioni del crescente
movimento delle masse e la congiuntura internazionale di lotta contro il
fascismo, fece alcune concessioni politiche e sindacali e fu presidente
della Repubblica tra il 1940 il 1944.
Impose però con il colpo di stato
un’altra sanguinosa dittatura con il beneplacito degli USA, il cui
appoggio veniva pagato dal dittatore con nuove e onerose concessioni
alle imprese e ai consorzi del capitale nordamericano.
Il governo eliminato fu quello di Carlos
Prio, che cadde senza gloria, anche quando la Federazione degli Studenti
Universitari andò a chiedergli armi per resistere ai golpisti.
Il presidente Prio rispose: “Stiamo
studiando la situazione per attuare nel modo migliore. Lotterò sino a
quando me lo permetterà la situazione...”
Le armi non giunsero mai all’Università.
Una sparatoria davanti al Palazzo presidenziale provocò le prime vittime
della tirannia. Tre morti.
Prio andò a studiare la situazione
nell’ambasciata del Messico, dove chiese asilo diplomatico e poi
ricevette da Batista il salvacondotto per andarsene dall’Isola.
Così come aveva
predetto Eduardo Chibás, leader del Partito Ortodosso, con Batista al
potere ritornarono le torture e i crimini nel paese e dopo l’assassinio
di Rubén Martínez Villena, cominciò un’orgia di sangue il cui zenit nel
1953 fu il massacro di 60 persone nella Caserma Moncada, tra assaltanti
e civili estranei all’azione.
La dittatura di
Fulgencio Batista lasciò un saldo di decine di migliaia di morti.
L’assalto al
potere provocò un totale svilimento dei detti partiti tradizionali
dell’epoca: Conservatori e Liberali si sommarono a Batista. Gli
Autentici eliminati dal governo si frammentarono in numerose correnti,
tutte senza valore e il Partito Ortodosso cadde in preda di passività,
divisione e disordine.
A quattro giorni
da quei tristi episodi nei quali si calpestò la Costituzione e si burlò
il popolo cubano, un giovane avvocato, Fidel Castro, lanciava alla
nazione il suo Manifesto.
“Rivoluzione No!
Colpaccio!” Il proclama di marcato carattere rivoluzionario denunciava
l’essenza reazionaria del colpo di stato e di un’obiettiva dichiarazione
di guerra alla tirannia. Diceva così:
“Il suo assalto al
potere manca dei principi che lo legittimano: che rida se vuole, ma i
principi saranno sempre più poderosi dei cannoni; coi principi si
formano e si alimentano i popoli; con i principi si alimentano gli
scontri e e per i principi si muore. A Cuba c’è un tiranno, un’altra
volta, ma un’altra volta ci saranno i Mella, i Trejos e i Guiteras, C’è
oppressione nella Patria, ma un giorno ci sarà di nuovo libertà e io
invito i cubani di valore, i bravi militari del Partito glorioso di
Chibás. È l’ora della lotta e del sacrificio e se si perde la vita non
si perde nulla”!
Dopo quelle
profetiche parole, quel giovane avvocato, alla guida della generazione
del centenario, riprese l’impegno di José Martí, Carlos M. De Céspedes,
Ignacio Agramonte, Máximo Gómez, Antonio Maceo, Julio A. Mella e Antonio
Guiteras e con le armi in pugno distrusse la sanguinosa tirannia di
Batista sette anni dopo, facendo divenire una realtà, definitivamente,
l’indipendenza di Cuba.(Traduzione Gioia Minuti)
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