I POETI CUBANI PIÙ
FAMOSI
Non si può slegare la poesia cubana dal concetto delle lotte per
l’indipendenza sostenute nell’Ottocento che stimolarono l’opera di molti
scrittori tra i quali emergono José Martì, G. de la Concepción Valdes e
J. M. de Heredia. Molti sono i poeti cubani che hanno lasciato la loro
impronta come J. del Casal, N. Guillén, José Lezama Lima, Diego Vitier,
H. Padilla e R. Fernández Retamar...
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(traduzione Gioia Minuti)
Il
15 agosto del 1964, riferendosi a un discorso sull’importanza che egli
attribuiva al lavoro, il Che pronunciò, durante un atto pubblico, alcuni
versi del poeta Leon Felipe. Diversi giorni dopo egli scrisse al poeta
per confessargli:
“L’altro
giorno ho assistito a un atto per me molto significativo. La sala era
zeppa di operai pieni di entusiasmo e c’era un clima di uomo nuovo
nell’ambiente. Mi affiorò qualcosa del poeta fallito che ho dentro e
utilizzai i Suoi versi per “polemizzare a distanza”. Il mio voleva
essere un omaggio e la prego di interpretarlo così….”
Molto
tempo prima il Che aveva dimostrato il suo grande amore per la poesia e
anche le sue capacità di esprimere in versi i suoi sentimenti e le sue
esperienze.
Nel 1955
egli scrisse il poema “Vieja Maria”, ispirato da una anziana che egli
curò quando lavorava nella sala del reparto per le allergie
dell’Ospedale Generale di Città del Messico:
Un
frammento della poesia “Vieja Maria”:
“Vecchia
Maria, stai per morire
e io ti
parlerò con serietà.
La tua
vita fu un eterno rosario di agonie
senza
amore, salute o denaro,
solamente la fame da dividere;
voglio
parlare della tua speranza
di tre
speranze diverse
che tua
figlia ha creato senza sapere come.
Prendi
questa mano d’uomo che ti sembra un bambino
tra le
tue, consumate col sapone giallo,
strofina
i duri calli contro le nocche lisce,
lieve
vergogna delle mie mani di medico.
Ascoltami nonna proletaria:
credi
nell’uomo che arriva,
credi in
un futuro che non conoscerai,
non
pregare un dio inclemente
che
tutta la vita ti mentì, tradendo la speranza.
non
chiedere clemenza alla morte
per
vedere crescere le tue scure carezze.
I cieli
sono sordi e in te sovrasta il nero;
Avrai
davvero una rossa vendetta, lo giuro
per
l’esatta dimensione dei miei ideali.
I tuoi
nipoti la vivranno l’aurora
Tu Muori
in pace vecchia battagliera…
La
poesia termina così:
Tu dormi
in pace vecchia lottatrice,
i tuoi
nipoti vivranno questa aurora
Sì che
la vivranno! Lo Giuro!
Un’altra
poesia del Ernesto Guevara, conosciuta come il “Canto a Fidel” fu
composta il 7 di luglio del 1956 mentre il Che era prigioniero nel
carcere messicano con alcuni rappresentati del gruppo rivoluzionario
cubano che si stava addestrando in Messico prima di riprendere la lotta
armata a Cuba.
Che
Ernesto, come lo chiamavano i cubani, conferma in questa poesia i suoi
vincoli con Fidel Castro e la causa dei cubani:
“Andiamo,
ardente
profeta dell’aurora
per
reconditi sentieri senza fili
a
liberare quel verde caimano
che tu
ami tanto.
Andiamo,
ad
affrontare con la fronte alta
piena di
stelle ribelli di Martí
giurando
di trionfare
o di
trovar la morte.
Quando
udiremo lo sparo del fucile
Che
sveglierà la vergine manigua
Al tuo
lato sereni combattenti
ci
incontrerai.
Quando
griderai ai quattro venti
Riforma
agraria, giustizia, pane e libertà
al tuo
fianco, con gli stessi accenti
ci
incontrerai.
E quando
giungerà la fine
di
questa operazione anti - tiranno
Al tuo
lato nell’ultima battaglia
ci
incontrerai.
Il
giorno in cui la fiera
Leccando
la ferita là dove
Il dardo
la colpì, nazionalizzando,
col
cuore attivo al tuo fianco
ci
incontrerai.
Non
pensare che ci possano comprare
dorate
pulci false di regali…
Noi
vogliamo un fucile, pallottole e una roccia
e niente
più.
Se nella
strada troveremo il piombo,
dacci un
sudario di lacrime cubane
per
coprire queste ossa di ribelli
di una
tappa nella storia americana,
e niente
più.”
Altri
due brevi poesie, più intime furono scritte dal giovane Ernesto tra il
1954 e il 1955 durante gli ultimi giorni del suo soggiorno in Guatemala
o quando si trasferì in Messico:
“Volevo
mettere nella mia valigia
il
sapore fugace del tuo sesso
Ma restò
nell’aria circolare, vero,
Solo un
insulto alla mia viril speranza
Già me
ne vado per strade più distanti di un ricordo
Con
ermetica solitudine da pellegrino
Ma al
mio costato circolare e autentico
Segna
qualcosa il compasso del destino.”
Quando
al termine della mia giornata
Senza un
futuro che appaia innanzi a me
Verrò a
ringiovanirmi nel tuo sguardo,
Ridente
brandello del mio destino
Andrò
per strade più lunghe dei ricordi
Incatenando addii nel flusso del mio tempo.
L’altra
poesia dice :
“In
piedi, il ricordo perso nel cammino,
Stanco
di seguirmi senza storia,
Dimenticato in un albero del percorso…
Andrò
così lontano che il ricordo morirà,
Annientato tra le pietre del sentiero.
Sarò
sempre lo stesso pellegrino
Che
piange dentro, ma sorride fuori
Questo
tuo sguardo forte e circolare
in una
magica piroetta di muleta
schivò
dell’ansia mia tutte le mete
e
divenni vettore di tangente.
Io non
volli guardar, per non vederti,
eccitato
torero della sorte
invitarmi con un gesto negligente.”
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