|
di Ferdinando Dubla
In Italia, ma non solo, la fortuna di Guevara è legata ad una certa suggestiva
iconografia, che negli anni ha fatto prevalere l'immagine tipologica ad un
approfondito studio dei testi, dei suoi testi e opere e della cosiddetta
letteratura "critica". Non che quella simbologia abbia arrecato danni, tutt'altro:
se il mito è positivo, l'emblema non può che raffigurarne il fulgido esempio e
ispirare lotte coerenti, infondendo coraggio: così nel '68, la figura del
rivoluzionario latinoamericano ha rappresentato l'aspirazione alta alla
liberazione dal capitalismo per una generazione intera di militanti, che è stata
trasmessa, seppur modificata, fino ai giorni nostri. Così come il mito di
Spartaco, l'esempio di Guevara è tutt' uno con l'idea stessa di comunismo.
Dal 1992, venticinquesimo anniversario della tragica morte in Bolivia (che
avvenne il 9 ottobre 1967) del guerrigliero di origine argentina, in avanti, si
sono succeduti numerosi incontri e convegni nell'ambito della sinistra di
classe. Abbiamo visto riproporsi, molto negativamente, alcuni stereotipi che
hanno accompagnato l'immagine del "Che" in tutti questi anni:
quello del comunista "umanista"-libertario, attento alla dimensione
dell'individualità nell'ambito del pensiero marxista (di cui riprenderebbe le
suggestioni e le analisi giovanili, quelle dei Manoscritti del 1844, per
intenderci), contrapposto al comunista di tradizione leninista, rappresentato
dall'effettiva realizzazione del socialismo a Cuba ad opera di Fidel Castro e
del successivo stretto legame con l'Unione Sovietica e in genere con il
movimento di ispirazione terzinternazionalista, differenza che si renderebbe
davvero palpabile solo dopo lo sbarco dei fuoriusciti cubani sostenuti
dall'imperialismo nordamericano nella Playa Giròn, nell'aprile 1961 e quindi
dovuta all'immersione nei problemi concreti dell'edificazione del socialismo,
susseguenti anche alla "crisi dei missili" dell'ottobre '62.
Si spiegherebbe così, dopo la vittoria del gruppo della Sierra Maestra che
riesce a por fine alla sanguinaria dittatura di Batista (1959), la volontà di
Guevara di abbandonare i prestigiosi incarichi statali (era stato ministro
dell'industria dal 1961 al '64, nonché rappresentante internazionale del nuovo
governo rivoluzionario cubano) e tentare l'avventura boliviana, che doveva
costargli la vita.
L' impressione che l'opera complessiva del Che venga ancora analizzata con lenti
per una lettura precostituita, ci viene confermata da alcuni recenti scritti di
Antonio Moscato, a cui generosamente Liberazione ha aperto le proprie pagine,
senza alcun confronto dialettico né repliche possibili, come fosse una linea
storico-politica ufficiale e acclarata. Ne esce un profilo del Che indagato o
per l'impatto che il suo esempio ha avuto nell'immaginario collettivo della
sinistra rivoluzionaria (oggetto d'indagine importantissimo, sia chiaro, ma che
ancora deve realmente essere condotto), oppure in una contrapposizione tra gli
interessi materiali del nuovo sistema socialista cubano (che cercò e trovò
l'aiuto dell'URSS) e il ribelle indomito recalcitrante ad una presunta
obbedienza filosovietica. (1)
E' necessario, invece, un vero studio filologico e della sua azione e delle sue
teorizzazioni in tutti i suoi scritti e appunti, piuttosto che cercare di
rintracciare inediti che dovrebbero dar ragione di quella lettura precostituita.
Individuiamo alcuni nuclei tematici:
a) l'ideale dell'unità antimperialista latinoamericano
b) i problemi della tattica e della strategia rivoluzionaria (che richiama
quello dei rapporti tra principi e creatività nel fuoco della lotta concreta)
c) il tema dell'alienazione e della formazione della coscienza di classe, oltre
(ma non fuori) l'oggettività dei fattori economici e la più rigorosa analisi
delle classi sociali, questioni strettamente intrecciate alla società di
transizione e alla costruzione del socialismo.
Solo se si tiene fermo il primo punto, e cioè la necessità di battere
l'imperialismo affamatore dei popoli e fautore della guerra, con l'unità
politica del continente sudamericano, dunque con una strategia di mobilitazione
permanente contro ciò che viene considerato il fattore determinante per la
riproduzione dell'iniqua divisione del lavoro sociale a livello planetario e,
nel caso, sub-continentale, può comprendersi la scelta di Guevara, che non è
degli ultimi anni: egli, argentino, si è formato nella stessa Bolivia e nel
Guatemala di Arbenz, ha sposato una prima volta una peruviana (Hilda Gadea) in
Messico; è a Città del Messico che incontra per la prima volta Fidel, reduce
dalla battaglia contro la caserma "Moncada" e con lui, insieme ad altri 81
uomini, organizza, il 2 dicembre 1956, lo sbarco del "Granma", poi la resistenza
sulla Sierra Maestra e la vittoria decisiva di Santa Clara, la "città dai mille
tetti rossi", che lo vide entrare trionfante insieme a Camilo Cienfuegos, il
primo martire della rivoluzione, dopo aver attaccato e fatto deragliare il treno
blindato di Batista.
Lo stesso Castro chiarirà questo punto, anche in anni recenti, nel discorso
commemorativo da lui tenuto a Pinar del Rio (provincia emblematica, lo
ricordiamo per inciso, dato che lì era avvenuto il sabotaggio, uno dei più
criminali, delle miniere di Matahambre), l'8 ottobre 1987:
"Né si deve trascurare l'insistenza con cui il Che volle esaudire un suo antico
desiderio, una vecchia idea, di ritornare nell'America del Sud, nella sua
patria, per fare la rivoluzione, con tutta l'esperienza acquisita nel nostro
paese (…) ho spiegato quali fossero le origini di quell'idea, come, nel momento
in cui si era unito a noi, egli avesse posto una sola condizione: che una volta
realizzata la rivoluzione, nel momento in cui egli avesse voluto fare ritorno in
Sudamerica non sarebbero sorte obiezioni o ragion di stato tali da interferire
con quel desiderio, che non gli sarebbe stato impedito. (...) Non solo venne
mantenuta la promessa di acconsentire alla sua partenza, ma lo si aiutò per
quanto possibile a realizzare l'impegno".
Quanto alla formazione teorica, sia Castro che Guevara diventerebbero
incomprensibili senza il legame strettissimo che deve porsi con Simon Bolivar e
Josè Martì: ma ricompresi con l'assimilazione del marxismo, che anzi agli inizi
era più forte nel Che che in Fidel. Un marxismo che riverberava potente nella
guida dell'azione pratica: dunque al servizio di una rivoluzione concreta, e per
questo leninista, che internazionalmente non poteva non collegarsi all'Ottobre
sovietico.
Da qui l'insistenza, sempre presente nel guerrigliero e uomo d'azione, ma
personalità riflessiva e metodica caratterialmente, nonché attento studioso
dell'analisi marxiana, alla fermezza nei principi teorici del marxismo e del
leninismo e alla coerenza fra principi e strategia per il comunismo. Egli
giudicava gli avvenimenti secondo questi parametri non ripiegabili per le
apparenze contingenti, per cui il rapporto tra tattica e strategia, diventava
funzionale al nesso principi/creatività: nell'indissolubilità delle correlazioni
tra questi, era inscritta la possibilità della vittoria contro l'imperialismo e,
in generale, contro l'organizzazione capitalista della società e le sue
sofisticate sovrastrutture ideologiche (vedi la legge del valore-lavoro e il
"valore" ideologico che può ancora funzionare in una struttura socialista) per
il dominio oligarchico, che tendevano ad offuscare la coscienza di classe.
É in questa complessità, teorica e di prassi rivoluzionaria nello stesso tempo,
che si inquadra la prefazione che Guevara scrive nel 1963 al Manuale di
marxismo-leninismo di Kuusinen, leader del comunismo finlandese, legato
strettamente ala cultura cominternista (tanto da essere definito "mastino" dello
stalinismo, secondo le solite etichettature di comodo che, anche a sinistra,
fanno da schermo all'analisi scientifica) che provoca l'"indignazione" di chi
vuole a tutti i costi dimostrare la consonanza tra le concezioni trotskiste e il
Che, confortata anche dal fatto che gli fu trovato nel marzapane, alla sua
morte, una copia de "La storia della rivoluzione russa" di Trotsky.
In quella prefazione, che va inquadrata in tutto l'operato di Guevara e non
"stralciata" dalla sua biografia intellettuale, egli difende il ruolo d'esempio
e guida del PCUS e dei partiti fratelli marxisti e leninisti di tutto il mondo
e, in modo tutto personale e suggestivo scrive che
"I marxisti devono essere i migliori, i più capaci, più completi degli esseri
umani.. militanti di partito che vivono e vivono con le masse; orientatori che
plasmano in direttive concrete i desideri qualche volta oscuri delle masse;
lavoratori infaticabili che danno tutto di se stessi al loro popolo, che
sacrificano alla Rivoluzione le loro ore di riposo, la loro tranquillità
personale, la loro famiglia e per fino la loro vita, ma che non sono mai
indifferenti al calore del contatto umano" (III, 61).
E ancora nell'aprile 1965, ne Il socialismo e l'uomo a Cuba, il Che espone in
forma sistematica il proprio ideale di "partito operaio", non molto diverso dai
modelli storici della tradizione leninista:
partito d'avanguardia; ammissione selettiva; minoranza di quadri formati;
impegno ad elevare il livello delle masse; comunismo come programma (in realtà
come ideologia); carattere esemplare e pedagogico della militanza; spirito di
abnegazione e sacrificio.
Nessuna incoerenza, dunque, semmai sembra che non ci si renda conto che il tema
dell'etica comunista è tutt'intero inscrivibile nella concezione guevariana
della massima fermezza dei principi teorici (che sono quelli del marxismo più
conseguente e del leninismo assunto come filosofia dell'azione "coerente ai
principi") e della loro applicazione alle situazioni specifiche.
Applicazione concreta, non fumisteria ideologizzante, si badi: e qui si tocca lo
spinoso problema dell'utopia, anzi, del mito dell'utopia.
Guevara è consegnato in qualche modo, negli studi di Moscato, come anche in
altri interventi di tendenza, alla tradizione dei pensatori utopistici: ora, lo
slancio ideale nella progettazione e costruzione della società socialista, è
presente nello stesso Marx e in tutti i teorici del comunismo che da lui
prendono le mosse; ma, certo, in polemica con l'utopismo, che è corrente ben
presente nel movimento operaio sin dalle origini e contro cui, come si sa, sia
Marx che Engels combattono nella I Internazionale.
All'avversario di classe, va contrapposta un'analisi scientifica della società,
delle classi sociali, della struttura economico-produttiva e non lo sterile
sogno che si frantuma nelle asperità del presente (la 'New Harmony' e i
'falansteri' di Owen e Fourier).
Caratteristica della carica utopica del "Che" sarebbe individuabile soprattutto
nel tema dell'alienazione, e che costituirebbe il sottofondo teorico della
critica ai paesi del socialismo realizzato nella celebre Conferenza di Algeri
del 1965.
A noi sembra invece che proprio lo stretto legame che così viene a instaurarsi
tra il pensiero guevariano e la teoria del giovane Marx, ponga la critica alle
esperienze delle società socialiste, a cui non viene mai meno l'appoggio di
fondo contrapposto all'imperialismo guerrafondaio, su un terreno di molto più
avanzato che quello della semplicistica categoria della 'degenerazione
burocratica' a cui sembra molto legato Moscato.
Innanzitutto, proprio perché il comunismo deve configurarsi come società
superiore dal punto di vista dei rapporti sociali e umani (da qui il suo
"umanesimo socialista rivoluzionario" e non semplice umanesimo idealistico) non
può concorrere sullo stesso terreno e condividere gli stessi parametri di
valutazione del grado di benessere (altrimenti funzionerebbe ancora la legge del
valore) dell'organizzazione sociale capitalista; c'è dunque bisogno di una più
elevata coscienza, capace di individuare l'autentica ricchezza sociale:
"Noi non concepiamo il comunismo come la somma meccanica dei beni di consumo in
una data società, ma come il risultato di un atto cosciente; da ciò l'importanza
dell'educazione e, quindi, del lavoro sulle coscienze degli individui
nell'ambito di una società in pieno sviluppo materiale" (II,285).
Il socialismo come massima liberazione del soggetto storico concreto, che è il
proletariato e i ceti che il capitalismo rende subalterni, sia materialmente che
"fenomenologicamente" attraverso i suoi feticci:
"Il socialismo economico senza la morale comunista non mi interessa. Lottiamo
contro la miseria, ma lottiamo al tempo stesso contro l'alienazione" (intervista
a Jean Daniel, luglio 1963)
E ancora:
"Vincere il capitalismo coi suoi stessi feticci, ai quali è stata tolta la loro
caratteristica magica più efficace, il lucro, mi sembra un'impresa difficile"
(lettera a José Medero Mestre, febbraio 1964).
I diretti testi del grande rivoluzionario latino-americano, dunque, fanno
giustizia di molte interpretazioni 'forzose' del suo pensiero e della sua
azione. Già novità di rilievo a questo riguardo, in Italia, è stata, nell'anno
del venticinquesimo della sua tragica morte in Bolivia, la pubblicazione della
sue ultime lettere a cura di Roberto Zanetti e realizzata dall'Associazione
Italia-Cuba di Montagnana, per i tipi della Isonomia Editrice di Este (Padova).
Ma anche qui, si tratta non di inediti; semmai pone il lettore comune, così come
il ricercatore, davanti alla limpidezza del suo autentico messaggio
rivoluzionario.
La novità più consistente, però, si è avuta nel 1994, dopo la quale molti dei
cliché sul Che Guevara non possono rimanere inalterati. Si tratta della
pubblicazione del diario inedito scritto in Africa, esattamente nel Congo
lacerato dai colpi di stato antilumumbisti ad opera dell'imperialismo, nel 1965,
l'anno che costituiva fino a quel momento, un vero "buco nero" nella biografia
del Che e che dette la stura a tutta una serie di immaginifiche illazioni sul
luogo ove egli si trovasse, a Cuba o fuori di Cuba, vivo o morto, complice Fidel
o addirittura lo stesso accusato di averne deciso l'esecuzione per via dei
sempre presunti, ricercati, insanabili contrasti dovuti di volta in volta a
molteplici fattori, con spiccata preferenza ai problemi dello stretto legame con
l'URSS, oppure a quelli fatti risalire alla sua gestione ministeriale del
settore industriale (e gli esempi potremmo elencarli numerosissimi, perché è
insuperabile la creatività degli imperialisti quando scambiano e spacciano la
droga delle loro speranze con la realtà). (2) (3)
Non che il diario congolese aggiunga qualcosa di straordinario: ma è una
conferma, per chi non ama l'utopismo fine a se stesso e l'utopismo decretato
come la principale componente culturale del Che, della sua concezione leninista
e coerentemente marxista della prassi rivoluzionaria. La pratica dell'azione
insurrezionale è finalizzata, nei paesi ove il margine di lotta politica legale
è stato annullato, a creare i quadri per una guerra di movimento che abbia le
caratteristiche di lotta progressivamente popolare, cioè coinvolgente le masse.
E i quadri devono scaturire non da un movimentismo empirico e spontaneista, ma
dalla massima organizzazione e disciplina possibile.
Le condizioni oggettive della rivoluzione, per un comunista marxista e
leninista, debbono comporsi con le condizioni soggettive: coincidenza di due
"maturazioni" necessarie, quelle derivanti dalla classe dominante e
dall'imperialismo che deve mutare le forme politiche per mantenere gli stessi
rapporti di produzione e attraversa forti crisi di consenso risolti di volta in
volta con la forza o con coercizioni istituzionali, e quelle derivanti dalle
forze antagonistiche e il livello qualitativo e quantitativo dei quadri
dirigenti delle lotte, che devono essere quanto più possibile allargate alle
masse popolari (studiando in modo determinato il rapporto città/campagna, la
composizione sociale urbana e la composizione sociale rurale).
Alcuni passi significativi del diario congolese:
- sulle intenzionalità politiche del Che, testimonianza di Rivalta:
"Il Che parlò delle sue intenzioni con me prima di intraprendere la missione. Il
Congo poteva servire come base, cioè come detonatore, per rivoluzionare tutti
gli altri paesi africani ed era essenziale soprattutto per la sua posizione di
vicinanza al Sudafrica. La lotta, l'addestramento e l'attivazione del Movimento
di liberazione in Congo sarebbero serviti a tutti gli altri paesi e in modo
particolare al Sudafrica. Questa era la sua idea. Soprattutto nella riunione con
i dirigenti dei movimenti di liberazione africani, dove lui sostenne con enfasi
che invece dell'addestramento a Cuba e dell'invio di fondi, come avrebbero
voluto loro, occorreva addestrarsi direttamente in Congo, che era vicino." (cfr.
pag.68).
- sull'addestramento e formazione quadri:
"La situazione era sempre più critica e il progetto di formare un esercito, con
il relativo potenziale di uomini, armi e munizioni, si stava sfaldando fra le
nostre mani. Ancora impregnato di non so quale cieco ottimismo, ero incapace di
vedere la realtà e nel fare il resoconto del mese di settembre, scrivevo: Tutti
i miei sforzi devono concentrarsi sul creare una colonna indipendente,
perfettamente armata e ben rifornita, che costituisca una forza d'assalto e al
tempo stesso un esempio per gli altri; se riusciremo a ottenere ciò, la
situazione cambierà in modo sostanziale, in caso contrario sarà impossibile
organizzare un esercito rivoluzionario; la scarsa qualità dei comandanti lo
impedisce." (cfr. pag.193)
- sulla disciplina come elemento necessario, testimonianza di Alexis:
"I cubani erano disciplinati. Tatu diceva: questo non si può fare, e nessuno si
azzardava a controbattere. Se noi mangiavamo yucca, tutti dovevano mangiane
yucca; se c'era del riso, era riso per tutti. Se non c'era niente, allora niente
per nessuno. Era sempre così. Ne restai molto impressionato. Se il Che diceva:
oggi tu devi restare qui e non puoi indietreggiare, i cubani non facevano un
passo indietro." (cfr. pag.213).
Di contro, Guevara si accorge immediatamente dell'indisciplina delle forze che
dovevano animare la resistenza interna, aggravata da alcuni fattori che
impedivano lo sviluppo della lotta in senso popolare: l'inettitudine dei
comandanti, la scarsezza dei quadri e la latitanza della coscienza di classe, la
divisione fratricida tra fazioni contrapposte (non caratterizzata
ideologicamente e politicamente, ma causata da prestigio personalistico), le
superstizioni, da cui comunque bisognava partire per radicare lo spirito
rivoluzionario. Diventava dunque il superamento di questi fattori soggettivi, il
realistico programma del contingente cubano, nella speranza che l'esempio
potesse servire da sviluppo qualitativo e quantitativo delle forze soggettive
per la rivoluzione, e per una resistenza che si trasformasse, appunto, in guerra
popolare. Per cui l'esito delle missioni guidate da Guevara, in Congo e in
seguito in Bolivia, dove le condizioni soggettive per un piano rivoluzionario
erano ancora più arretrate, non può essere il metro di giudizio a posteriori
delle idealità e programmi che il combattente comunista elaborava per poi
trovare una coerenza nell'azione.
Non di spontaneismo o di velleitarismo, quindi, bisogna parlare, ma di
internazionalismo proletario operante. Semmai uno dei punti più controversi
della prassi guevarista, dovrebbe essere più al centro dell'attenzione
analitica, rispetto ai tradizionali canoni del marxismo-leninismo: può una
rivoluzione svilupparsi (e vincere se si trasforma in guerra popolare) solo sul
piano politico-militare, con il massimo dell'organizzazione e della disciplina,
nonché con un'adeguata preparazione dei quadri che costituisca l'avanguardia
trainante delle masse? In breve, rispetto all'analisi classica marxista, pur
creativamente sviluppatasi dopo la Rivoluzione bolscevica del '17 e con la
conseguente opera del leninismo, la classe proletaria che deve assumere la guida
delle lotte rivoluzionarie (in difensiva resistenziale o in controffensiva)
perché la rivoluzione si incammini verso la prospettiva socialista, come si
connota in un paese del 'lumpensviluppo', coloniale o semicoloniale? E', cioè,
il tema dell'analisi sociale, che, nella prassi rivoluzionaria comunista, lega
fattori oggettivi e fattori soggettivi. Come ha notato Guillermo Almeyra, che
pure ha cercato tutti i punti di contatto tra correnti trotskiste e elaborazione
guevarista (l'originale elaborazione del 'Che', senza le interpolazioni del
Debray), anche su questo punto le differenze sono sostanziali.
I gruppi 'posadisti' brasiliani, peruviani e soprattutto argentini ed uruguagi,
il Partito operaio rivoluzionario boliviano, erano gruppi settari testimoniali e
solo propagandisti, che non si ponevano il problema dei contadini, maggioranza
della popolazione latinoamericana. Invece "Guevara" proprio a differenza di
Trotsky - "credeva che il motore della rivoluzione sarebbero stati i contadini
ribelli, e non gli operai (...) .integrati nel capitalismo e più o meno
privilegiati. Influenzato dall'esempio argentino, credeva che gli operai, come i
sindacati peronisti, non potessero sfuggire al dominio burocratico. Di qui il
suo interesse per la rivoluzione cinese". (4)
Dunque Mao, leader e teorico della "guerra di popolo", era un consistente punto
di riferimento dell'azione guevarista, sebbene con una lettura "in traduzione"
nelle specifiche condizioni del continente latinoamericano; e dopo il 1964, Vo
Nguyen Giap, il grande comandante militare vietnamita, croce dei francesi prima
e degli statunitensi dopo.
I contadini furono mossi, nella rivoluzione cubana, e dalle oggettive barbare
condizioni in cui li aveva costretti la dittatura di Batista, e dall'esempio dei
"barbudos" nelle zone liberate:
"Nella nostra piccola guerriglia di estrazione cittadina (...) il popolo aveva
dimenticato la paura, si era deciso a lottare, imboccava senza esitazioni la via
della propria redenzione. Su questo cambiamento incideva la nostra politica
verso i contadini e i nostri trionfi militari, che ci mostravano già come una
forza invincibile nella Sierra Maestra. Posti di fronte all'alternativa, tutti i
contadini scelsero la strada della rivoluzione. Il cambiamento di carattere
(...) appariva ora in tutta la sua chiarezza, la guerra era un fatto, doloroso,
certo, ma transitorio, una condizione non definitiva a cui l'individuo doveva
adattarsi per sopravvivere."
Pur con le necessarie differenziazioni, i celebri 18 punti per la funzione
strategica della guerra partigiana nello scritto di Mao Problemi della guerra e
della strategia del novembre 1938 - costituivano parte delle conclusioni
presentate alla sesta sessione plenaria del sesto Comitato Centrale del Partito
Comunista Cinese - , sembrano essere il materiale punto di riferimento del
combattente proletario, trait d'union tra lo stesso Mao, Che Guevara e Giap
(fasi difensive, di equilibrio e di controffensiva; "7. massimo sviluppo del
partito comunista (...) per organizzare in ogni villaggio una cellula di
partito; (..) 11. miglioramento delle condizioni di vita del popolo in zone
quanto più ampie possibili", ecc..). Guevara presenta l'edizione spagnola del
libro del generale Vo Nguyen Giap "Guerra di popolo, esercito di popolo", nel
1964, convinto che l'opera
"affronta problemi di interesse generale per quella parte del mondo che è in
lotta per la propria liberazione. Problemi che possono così riassumersi: la
fattibilità della lotta armata in situazioni particolari in cui siano falliti i
metodi pacifici di lotta di liberazione, le modalità di essa in luoghi con
grandi estensioni di terreno favorevole alla guerriglia e con popolazione in
maggioranza o in misura rilevante contadina."
E per Giap, come per Mao, grande era stato l'esempio e l'elaborazione leninista
sull'organizzazione militare e il suo rapporto con le classi sociali:
"(...) una forza armata rivoluzionaria (è) formata da tre componenti: a) il
proletariato e i contadini armati; b) i distaccamenti d'avanguardia organizzati,
formati dai rappresentanti di queste classi; c) le unità dell'esercito
schieratosi con il popolo. La rivoluzione ha potuto edificare in tal modo una
forza armata che comprendeva essenzialmente le larghe masse operaie a contadine
armate combattenti sotto la direzione del partito comunista, funzionanti da
forza d'urto della spinta rivoluzionaria delle masse. Questa forza ha avuto un
ruolo determinante nella vittoria della rivoluzione di febbraio, poi della
Rivoluzione d'Ottobre". (5)
Qui è uno dei punti dirimenti: la spinta rivoluzionaria, messa in movimento
dalla situazione oggettiva, è diretta e organizzata dal partito comunista, per
cui si crea la necessaria "forza d'urto" che decide le sorti del rivolgimento
rivoluzionario. Dunque, leninisticamente, l'insurrezione può diventare
rivoluzione, ma la presenza e l'attività disciplinata di un partito che
rappresenti le masse popolari e sia guidata da quadri dirigenti d'avanguardia, è
condizione non dello scoppio, ma dell'esito della rivoluzione. Prima, è semmai
condizione soggettiva che accelera e dirige l'insurrezione, crea e rafforza la
coscienza di classe, spinge verso obiettivi avanzati: costruisce un processo
rivoluzionario, pronto ad essere l'avanguardia dell'eventuale punto di rottura
con il sistema sociale dominante:
"Essere un partito d'avanguardia significa stare alla testa della classe operaia
nella lotta per la conquista del potere e saperla inoltre condurre al potere
guidandola per scorciatoie. É questa la missione dei nostri partiti
rivoluzionari, e l'analisi deve essere profonda ed esauriente per non incorrere
in errori".
Fermo restando l'"analisi differenziale", l'obiettivo strategico del partito
rivoluzionario non può non essere la presa del potere. Citando la Seconda
Dichiarazione dell'Avana del 1962, dopo che il 25 gennaio di quell'anno la
Conferenza dei cancellieri latinoamericani riuniti a Punta del Este aveva
espulso Cuba dall'OSA, e che concludeva la conferenza dei popoli, Guevara
sottolinea un passaggio importante:
"Le condizioni soggettive di ciascun paese e cioè i fattori coscienza,
organizzazione, direzione, possono accelerare o frenare la rivoluzione, a
seconda del suo grado maggiore o minore di sviluppo, ma presto o tardi in ogni
periodo storico, quando le condizioni oggettive maturano, la coscienza si
acquisisce, l'organizzazione si fa, la direzione si forma e la rivoluzione ha
luogo. (6)
Si appalesa qui il grande ruolo che il Che attribuisce alla forza delle
condizioni oggettive (non viceversa) per cui, anche in assenza della compiuta
strutturazione di un partito d'avanguardia, con tattica e strategia coerenti e
volto alla conquista del potere politico, che spinga e adegui la coscienza
rivoluzionaria delle masse, questo ruolo può essere assolto dall'esempio
rivoluzionario, purché poi tutte le tessere del mosaico (le condizioni oggettive
costituiscono il terreno sociale dello scontro, l'esempio rivoluzionario forma i
quadri e organizza l'insurrezione nella massima disciplina e unità d'azione, il
partito rivoluzionario guida le masse popolari agli obiettivi avanzati della
presa del potere politico e al socialismo, la guerra "de guerrillas" si
trasforma in un più generale rivolgimento rivoluzionario con basi di massa) si
incastrino correttamente nelle specifiche condizioni storiche determinate. In
questo senso, il giudizio di G. Almeyra, secondo cui
"si possono anche vedere il peso eccessivo che lui - e dirigenti cubani -
attribuivano al fattore cosciente, all' 'esempio, al ruolo soggettivo, alla
volontà rivoluzionaria e l'insufficiente padronanza delle caratteristiche
storiche, etniche, culturali, dei paesi caratterizzati dallo sviluppo disuguale
e combinato, nei quali coesistono settori proletari (come i minatori boliviani)
o intellettuali politicizzati (come nel Congo) e altri marcati da rapporti
precapitalistici e segnati da motivazioni etniche e da forme di pensiero magico"
(7),
dovrebbe quanto meno essere corretto da un'importante considerazione: che le
condizioni oggettive sono comunque preminenti e che le condizioni soggettive non
si creano dal nulla, ma dalla disciplina e dall'organizzazione, seppure
surrogando in prima istanza il ruolo dei partiti comunisti d'avanguardia, ma
favorendone semmai la formazione, lo sviluppo e/o la correzione di linea. Il
leninismo di Guevara, dunque, è molto più evidente che non letture tutte basate
su elementi "coscienza soggettiva" e "rivoluzione permanente", astratti e non
inquadrati nell'interpretazione marxista-leninista propria del Che.
Certo, e anzi, proprio per questo, non esiste il partito che costituisce esso
stesso il "punto di rottura", con schemi prefabbricati e con il rigidismo
ideologico, avulso dal reale movimento delle masse. Per cui è da questo punto di
vista che va considerato il metodo di lotta guevarista, dopo la vittoria con
Fidel sulla Sierra Maestra: pur su un impianto fortemente leninista
dell'elaborazione, il Che prova ad intrecciare correttamente, nell'analisi e
dunque nell'azione, il rapporto tra organizzazione militare, formazione dei
quadri e individuazione delle forze motrici rivoluzionarie, in paesi a forte
connotazione contadina e scarsa presenza quantitativa proletaria in senso
stretto.
L'assenza e/o l'insufficienza di un partito comunista che dirigesse le lotte dal
punto di vista politico, erano in pratica sostituiti dal volontarismo
soggettivo, dall'esempio in funzione della formazione della coscienza di classe.
E questo, probabilmente, era ben presente e calcolato nella testa del Che, se è
vero che continuamente egli ritorna sulla reale possibilità di esito negativo (
e perdita della sua stessa vita) sul breve periodo; coscienza, cioè, di
preparare un'accelerazione del processo rivoluzionario contando sulle oggettive
contraddizioni sociali, non l'insurrezione né il punto di rottura, né
l'immediato impeto rivoluzionario. Compito più che di supporto, nelle sue
esperienze, in particolare l'ultima boliviana, di surroga dei compiti del
partito comunista di quadri e legato alle masse popolari. Questa "insufficienza
soggettiva" poteva essere colmata? No, ma potevano essere sviluppate le
condizioni perché si colmasse.
I partiti comunisti, come quello cubano durante e immediatamente dopo la
rivoluzione, potevano essere spinti ad adeguarsi non ad un marxismo-leninismo di
facciata, liturgico nel formulario, ma vuoto nella sostanza, senza profondi
rapporti con le masse, ma al contrario leninisti nella loro azione politica e
strategica. Una sfida e scommessa ardui: ma per un comunista, si sa, la
rivoluzione non è mai "un pranzo di gala". Comunista non da tavolino, ma
coerente combattente proletario:
"… e ci toccò scalare i monti. Alcuni compagni svenivano. Il Che era il primo a
salire, nonostante l'asma. Quell'uomo non aveva limiti, faceva per primo quel
che voleva facessero gli altri. Beveva il tè senza zucchero e diceva: "Che
buono." Più passano gli anni più ci si rende conto di che razza d'uomo fosse."
(dalla testimonianza di 'Nane' nel diario congolese).
Il 12 agosto 1965 il Che scrive un messaggio ai combattenti, in cui ribadisce
con forza quali comportamenti debbono adottarsi da parte dei cubani per legarsi
alle finalità politiche, tattiche e strategiche della missione congolese, con
profondo realismo e senza i tanto decantati scatti utopici:
"L'indisciplina e la mancanza di spirito di sacrificio sono le caratteristiche
dominanti di tutte (queste) truppe guerrigliere. Naturalmente con truppe simili
non si vince alcuna guerra."
Ma per capire la filosofia dell'azione guevarista fino in fondo, non si potrà
mai disgiungere questo realismo dalla speranza, speranza non fideistica che ogni
comunista conseguente e coerente deve possedere nella trasformazione
rivoluzionaria e che non si aspetta "dal cielo", ma si rende concreta con
l'esempio, la modestia e l'amore rivoluzionari, finalizzati alla creazione e
formazione di veri combattenti per il socialismo, che sappiano cogliere e
sviluppare positivamente le contraddizioni dell'imperialismo:
"La nostra missione è aiutarli a vincere la guerra. (...) L'ansia di insegnare
deve prevalere in tutti noi ma non in maniera pedante, guardando gli altri
dall'alto in basso, bensì facendo sentire il nostro calore umano negli
insegnamenti che impartiamo. La modestia rivoluzionaria deve guidare il lavoro
politico e deve essere una delle armi fondamentali, unendo quello spirito di
sacrificio che dovrebbe essere di esempio non solo verso i compagni di qui, ma
anche verso i più deboli fra noi".
Realismo e virtù rivoluzionarie, una grande lezione di didattica operativa del
marxismo e del leninismo, tutt'uno con la sua concezione generale che un
combattente proletario deve possedere: bisogna amare il popolo per essere amati
dal popolo. Più che romanticismo visionario, un grande insegnamento leninista.
Oltre il mito dell'utopia, dunque: perché il modo migliore di rendere vivo
l'esempio di Ernesto Guevara, non è quello di rinchiuderlo in schermi
pregiudizievoli né accarezzare solo la sua immagine così come recepita
dall'immaginario collettivo giovanile, che pure va alimentata con la giusta
coscienza, quella di classe; ma individuare nell'analisi una corretta prassi per
le trasformazioni rivoluzionarie dei nostri tempi.
In quest'ottica, ci pare che possa essere continuato il sentiero tracciato da
questo grande comunista del nostro secolo, che nessun Barrientos potrà avere la
pretesa di fermare in una qualsiasi 'Quebrada del Yuro' del mondo.
NOTE
1) Cfr. A.Moscato, Riscopriamo il Che sconosciuto, Liberazione 28 settembre 2005
Id., Viaggio negli inediti di Guevara. Seconda puntata, Liberazione 30 settembre
2005
Id. Guevara e l'Urss, quel giorno a Praga da clandestino, Liberazione 5 ottobre
2005
Id. L'Urss ha rimpiazzato l'internazionalismo con lo sciovinismo, Liberazione 7
ottobre 2005
Novità vere rispetto ad altri scritti e testi di Moscato su Guevara realmente
non ve ne sono, cfr. Che Guevara, 1994, nr. 574 del Calendario del Popolo - Che
Guevara: storia e leggenda, 1996, Espresso della Storia/Demetra , Breve storia
di Cuba. Le ragioni di una resistenza, Datanews, 1996 (n.e.2004)
2) Il testo, nel quale il diario inedito africano del Che è inserito (frammenti
manoscritti o dettati ricomposti) si intitola infatti significativamente L'anno
in cui non siamo stati da nessuna parte, e in cui possono leggersi, seguendo il
filo cronologico degli avvenimenti, testimonianze di straordinaria importanza di
alcuni dei protagonisti di quell'avventura congolese, primi fra tutti Victor
Dreke ('Moja'), Pablo Rivalta, Erasmo Videaux, comandanti guerriglieri e uomini
di fiducia di "Tatu" (nomignolo affibbiato a Guevara in Congo), ma anche di
Antoine Godefroi (detto "Chamaleso-Tremendo Punto") rivoluzionario congolese che
stabilì il contatto tra il Movimento di liberazione nazionale e il contingente
cubano, e in cui compaiono nitidamente le figure di Harry Villegas detto "Pombo",
inseparabile braccio destro del Che fino a tutto il 1967, di José Maria Martinez
Tamayo, ribattezzato "M'bili" ("due volte"), infaticabile guerrigliero cha
troverà poi la morte in Bolivia, di Herrera y Garrido detto "Genge" oppure di
Pio Pichardo e Moro Perez (che non torneranno più), di Fernandez Mell, Sanchez
Bartelemy, Terry Rodriguez e di altri ancora. Il ritrovamento e la pubblicazione
del diario (che era nell'archivio del Che a Cuba in forma dattiloscritta con il
titolo Passaggi della guerra rivoluzionaria. Il Congo) si deve ai curatori del
volume in questione, Paco Ignazio Taibo II, storico messicano, e Froilan Escobar
e Felix Guerra, giornalisti cubani, edito in Italia dall'ed. Ponte alle Grazie,
1994, con l'introduzione di P.Cacucci.
3) Esempi delle illazioni che circolarono: - testimonianza di Elmar May:
"Secondo 'France Presse', il Che e Fidel si erano presi a revolverate durante
una lite, e il Che era rimasto ucciso. Il quotidiano peruviano La prensa mise in
giro la voce che il Che era stato eliminato dai sovietici a causa delle sue
tendenze filocinesi." -testimonianza di Gilly: "Fidel Castro, secondo il
giornale trotzkista di J.Posadas, teneva nascosta la morte del Che." (cfr. ivi,
pag.194)
4) Cfr. G.Almeyra/E.Santarelli: Guevara - Il pensiero ribelle, Datanews, 1993,
pag. 35
5) Cfr.Vo Nguyen Giap: Masse armate ed esercito regolare, tr.it.Teti, 1975, pag.27.
Le citazioni di Guevara in Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Einaudi,
1969, pp.279 e 445/446; l'articolo di Mao in Opere, vol.7 (1938/1940), ed.
Rapporti Sociali, 1992, pag.65. Il presupposto di tutti è profondamente
leninista e del suo sviluppo creativo e combattente del marxismo:
"Irriducibilmente ostile a ogni formula astratta, a ogni ricetta dottrinale, il
marxismo esige attenta considerazione della lotta di massa in atto, che, con lo
sviluppo del movimento, con l'elevarsi della coscienza delle masse, con
l'inasprirsi delle crisi economiche e politiche, suscita sempre nuovi e più,
svariati metodi di difesa di e attacco. Non rinuncia quindi assolutamente a
nessuna forma di lotta, non si limita in nessun caso a quelle possibili ed
esistenti solo in un determinato momento, riconoscendo che inevitabilmente, in
seguito al modificarsi di una determinata congiuntura sociale, ne sorgono delle
nuove, ancora ignote agli uomini politici di un dato periodo. Sotto questo
aspetto il marxismo impara, per così dire, dall'esperienza pratica delle masse,
ed è alieno dal pretendere di insegnare alle masse forme di lotta escogitate a
tavolino dai 'sistematici'.(..) In secondo luogo, il marxismo esige
categoricamente un esame storico del problema delle forme di lotta".
Cfr. Lenin, La guerra partigiana, in Proletari, n. 5, settembre 1906, e più
complessivamente i saggi Dalla difesa all'attacco (1906), Programma militare
della rivoluzione proletaria (1916), Il marxismo e l'insurrezione (1917),
considerati studi necessari preliminari ed indispensabili per l'analisi delle
situazioni rivoluzionarie e le conseguenti forme di lotta anche da Pietro
Secchia:
"La sua tesi è sì, che occorre studiare seriamente i problemi, ma non perdersi
in troppi schemi e in troppi piani, soprattutto agire, poiché il moto lo si
prova camminando (credo che balzi qui evidente la consonanza tra
l'interpretazione leninista di Secchia e Guevara, (ndr) (..) (il) saggio sulla
"guerra partigiana" (.) è un vero e proprio gioiello di arte militare e nel
tempo stesso di direttive politiche sulle diverse forme di lotta. (..) Senza
alcuna pretesa, avverte, di imporre alcuna forma di lotta "da noi inventata", né
di voler risolvere a tavolino problemi che solo nel corso stesso della lotta
partigiana troveranno la loro soluzione. Saper imparare dalla vita, dalla lotta
e dalle masse è il consiglio che ripete costantemente mentre conduce una lotta
implacabile contro ogni forma di schematismo. Al pari di Marx, Lenin pose sempre
l'iniziativa storica delle masse al di sopra di tutto (..)" cfr. P Secchia,
Lenin e la scienza militare, in Il Calendario del Popolo, maggio 1971, pag.
2595.
6) Cfr. Che Guevara, La guerra di guerriglia è un metodo, in Cuba socialista, n.25,
settembre 1963, raccolto in Scritti, cit., pag.428/429. Il saggio è basato su
questi importanti presupposti:
"La guerra di guerriglia è stata utilizzata un numero incalcolabile di volte nel
corso della storia, in condizioni diverse e con fini diversi.(...) Nella
polemica in corso si suole criticare quelli che vogliono fare la guerra di
guerriglia adducendo che si dimenticano la lotta di massa, come se si trattasse
di metodi contrapposti. Noi rifiutiamo la concezione implicita in questa
posizione: la guerra di guerriglia è una guerra di popolo, è una lotta di massa.
Pretendere di fare questo tipo di guerra senza l'appoggio della popolazione,
significa andare incontro a un disastro inevitabile. La guerriglia è
l'avanguardia combattente del popolo, situata in un luogo determinato di un
certo territorio, disposta a sviluppare una serie di azioni di guerra tendenti
al solo fine strategico possibile: la presa del potere. Questa guerriglia è
appoggiata dalle masse contadine e operaie della zona e di tutto il territorio
in questione. Senza queste premesse la guerra di guerriglia è inammissibile".
ivi, pag. 425/427.
7) Cfr.G.Almeyra, op.cit., pag. 42.
|