STORIA
TRIBUTO AL CHE
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Omaggio dedicato al comandante
Ernesto Che Guevara, in occasione dell'anniversario della sua morte.
contributi di Manola Mineo, Pierre Kalfon,
Roberto Massari, Aldo Galvagno
"Aprendimos a quererte, desde la
historica altura donde el sol de tu bravura le puso cerco a la muerte..."
quando un uomo diviene leggenda, è inevitabile porsi degli interrogativi,
scavare nelle sue origini fino a comprenderne l'intrinseca essenza e poter
tentare un'interpretazione del suo carisma e del suo mistero. E' possibile
capire cosa conducesse Guevara sulla strada della rivoluzione? Quali furono i
segnali forti che incisero indelebilmente sulla sua coscienza? Quale sogno
lontano inseguiva quando cercò di accendere una prematura rivoluzione in
Bolivia? Perché combatté sempre per altre patrie? Come arrivò a considerare
marginale la propria vita rispetto agli ideali rivoluzionari? Ma forse non si
può rintracciare in un singolo episodio, un'unica persona che ha
determinato cosa il Che diventò. Egli é stato il frutto di circostanze
soggettive e storiche che, intersecandosi con una personalità sensibile e
complessa, sviluppata in un ambiente intellettualmente fecondo, ne hanno fatto
un moderno eroe.
Domenica,
8 ottobre 1967
Il capitano dei Ranger Gary Prado stenta
a credere a ciò che gli vanno dicendo. In fondo ad un vallone sperduto
nella Bolivia meridionale, su una pietraia invasa dai rovi, ha davanti a sé
il guerrigliero più ricercato e più temuto del continente, l'uomo che ha
fatto mettere in stato d'assedio l'intero paese. Due soldati lo tengono
sotto tiro.
E' visibilmente spossato. La tuta
mimetica cachi sporca, piena di fango, strappata e un giubbotto blu in
pessimo stato, che copre appena una camicia a brandelli, cui resta un solo
bottone.
L'aspetto di un bandito. Dal collo gli pende un altimetro. Esala un odore
forte, un miscuglio acre di tabacco e sudore. Barba, baffi, capelli
intrisi di polvere e arruffati gli divorano parte del volto. Ma i suoi
occhi continuano a splendere sotto il basco verde scuro. "Il suo
sguardo faceva impressione", osserva Gary Prado che, al momento,
finge di non dare eccessiva importanza all'incredibile rivelazione.
Sono le tre del pomeriggio di domenica 8 ottobre 1967. Ma era un'alba
gelida quando un contadino era corso al villaggio di La Higuera per dare
l'allarme all'esercito. Ora il sole è caldo e, a 1500 metri di
altitudine, l'atmosfera limpida. Colpi di arma da fuoco risuonano in un
canyon lontano. Lo scontro della quebrada del Churo dura già da quasi
quattro ore. Accanito.
Tre pallottole di mitragliatrice hanno raggiunto Guevara senza metterlo in
reale difficoltà. Una ha soltanto perforato il basco, l'altra ha reso
inservibile la canna del fucile M-1 che gli serve da appoggio. La terza
l'ha colpito al polpaccio destro, in basso. Non ha più scarpe. I piedi
sono avvolti in pezze di pelle cuciti a mano in modo approssimativo.
Un filo di sangue gocciola lungo la caviglia.
"Sono Che Guevara", ripete con
voce ferma.
Il capitano scorre i molti ritratti di guerriglieri in dotazione ai
Ranger. Con i suoi uomini, ha appena terminato un periodo di addestramento
intensivo durato cinque mesi. Alcuni "Berretti Verdi"
statunitensi, esperti in tecniche antiguerriglia, veterani del Vietnam,
sono venuti appositamente dal campo di Fort Bragg e da Panama per
perfezionare l'addestramento delle truppe boliviane. E lui stesso ha
partecipato ai corsi di intelligence che la CIA ha riservato agli
ufficiali.
I ritratti, molto rassomiglianti, sono stati eseguiti da un guerrigliero
occasionale: il pittore argentino Ciro Bustos che Guevara aveva chiamato
in Bolivia perché aderisse alla guerriglia. L'argentino, arrestato sei
mesi prima a centocinquanta chilometri da lì, ha immediatamente
raccontato tutto e anche qualcosa in più. Il suo arresto é avvenuto
assieme a quello di Regis Debray, il cui processo, a Camiri, ha suscitato
grande scalpore in tutto il mondo. Bustos ha tracciato con precisione i
lineamenti di ciascuno dei membri della guerriglia.
Prado verifica con attenzione. Le
caratteristiche protuberanze delle arcate sopraccigliari lasciano pochi
dubbi. Per ulteriore conferma chiede al prigioniero di mostrare il dorso
della mano sinistra, dove risalta la cicatrice. E' il Che.
Ha catturato una leggenda... |
LE RADICI
Ernesto Guevara de la Serna, nacque il 14 giugno 1928 a Rosario (Argentina),
primogenito cui seguirono altri quattro fratelli (Celia,Roberto,Juan
Martin,Beatriz) da Celia de la Serna ed il costruttore edile Ernesto Guevara
Lynch, appartenenti alla borghesia benestante.
Quando Ernesto ebbe cinque anni, la famiglia si trasferì nella provincia di
Cordoba, ad Alta Gracia, cittadina dal clima mite e secco; trasferimento dettato
dalla necessità di offrire al piccolo, ammalato da un'asma cronica che lo
seguì fino alla morte, causata da una broncopolmonite contratta da neonato.
La vita in campagna, a contatto con la natura, accese l'interesse di Ernestito
per gli animali, la poesia, l'introspezione.
Non meno essenziale, per la formazione, fu la figura integerrima del padre che
gli inculcò pochi ma fondamentali principi morali, e quella della madre che lo
guidò nella preparazione per la scuola elementare ed alla conoscenze delle
opere di Cervantes, Dumas, Salgari, Stevenson, Verne e con la quale il Che
mantenne sempre un profondo rapporto affettivo ed intellettuale.
Se tra le sue prime amicizie, Ernesto, annoverava figlio di minatori e
contadini, poté contemporaneamente contare su un ambiente intellettuale vivace
ed intriso di politica grazie ai numerosi militanti spagnoli rifugiatisi in
Argentina che frequentavano abitualmente casa Guevara grazie alla fede
democratica dei padroni di casa, certamente non marxisti ma decisamente
illuminati. Anche la nonna, Ana Lynch e la zia Beatrice, contribuirono alla
formazione intellettuale del Che, trasmettendogli l'amore per la poesia e la
natura. I suoi approfondimenti durante gli anni del liceo furono i più vari: da
Freud a Neruda, da Quiroga a London, da Jung a Baudelaire, fino ad arrivare a
"Il Capitale" di Marx e all'amicizia con Tita, una militante comunista
che influì sull'ideologia di Ernesto e gli fu lungamente amica.
LA FORMAZIONE
Gli interessi culturali del giovane Guevara erano altalenanti e scarsamente
collegati al rendimento scolastico che non risultava tra i suoi valori primari.
Nel 1950, dopo il trasferimento della famiglia a Buenos Aires, si iscrisse alla
facoltà di Medicina. Nei mesi di vacanza percorreva l'Argentina del nord su una
bicicletta motorizzata, poi con l'amico Alberto Granado, intraprese un viaggio
di otto mesi lungo il Cile, il Perù, la Colombia ed il Venezuela del quale
racconterà nel suo libro LatinoAmericana (ed. Feltrinelli).
Guevara ricavò impressioni forti dalla visita al Machu Picchu, dal percorso del
Rio delle Amazzoni ma, in misura rilevante, restò scosso dalla visita ai
lebbrosi peruviani dove, con l'aiuto di un amico medico, Ernesto e l'amico
Alberto si spacciarono per esperti in materia, per essere accettati dalla
comunità dei lebbrosi.
Furono proprio questi, i primi disperati delle cui sofferenze il Che si fece
carico. Da questa esperienza tornò in Argentina molto più motivato sulla
funzione sociale della professione medica, tanto da superare in pochi mesi tutti
gli esami mancanti e conseguire la laurea con una tesi sulle allergie.
Il suo scopo, però, non era l'inserimento nella quotidianità bensi un percorso
di conoscenza che lo portò, inizialmente, in Bolivia, Perù, Ecuador, Venezuela
e, infine, in Guatemala dove era in corso l'esperienza riformista di Jacobo
Arbenz.
LA RICERCA
L'esperienza del Guatemale di Arbenz fu, per il Che, decisamente formativa
nonostante le delusioni che fecero seguito all'iniziale entusiasmo.
Arbenz, infatti, rifiutando di armare il popolo si rivelò poco adeguato alle
circostanze privando, così, il paese di un'arma invincibile e compromettendo,
con il suo atteggiamento rinunciatario, l'anelito di libertà e indipendenza del
Guatemala e terminando l'aggressione contro il suo governo organizzata dalla
CIA.
Guevara, tuttavia, fece tesoro dell'esperienza guatemalteca e crebbe
politicamente grazie anche al confronto con Hilda Gadea, una comunista peruviana
che fu la sua prima maestra di marxismo e che divenne, in seguito, la sua prima
moglie.
Risale a quel periodo l'acquisizione del nomignolo "Che", vocabolo
argentino di origine guarany, che significa "mio" e che Guevara
adottò assumendolo come nome proprio. Fu proprio la Gadea ad inserire Ernesto
nel gruppo di rivoluzionari cubani sopravvissuti all'assalto della caserma
Moncada: Dario Lopez, Mario Dalman, Armando Arancibia e Nico Lopez. Erano tutti
compagni di quel Fidel Castro Ruz che, dalla prigione di Isla dos Pinos a Cuba,
tramite il "Manifesto alla Nazione", denunciava i crimini commessi
dalla dittatura di Batista ed incitava il popolo alla rivolta.
Quando, nell'estate del 1954 le truppe mercenarie del colonnello Armas si
scatenarono contro il governo Arbenz il Che, dopo aver inutilmente tentato di
organizzare una resistenza armata, si rifugiò con i rivoluzionari cubani presso
l'ambasciata argentina, dove venne registrato quale elemento comunista. Non
rientrò in Argentina ma partì per il Messico dove, inizialmente, si mantenne
facendo il fotografo ambulante.
LA SCELTA
Nell'estate del '55, a CIttà del Messico, Guevara sposa Hilda Gadea dalla
quale ebbe la figlia Hilda Beatriz. Il matrimonio durò pochi anni, infatti la
coppia decise di separarsi poco dopo la battaglia di Santa Clara.
Nello stesso periodo il Che si presentò ad un concorso dell'Ospedale Generale
di Città del Messico e vinse un posto nel reparto Allergie dell'Istituto di
Cardiologia.
Pochi mesi dopo conobbe Fidel Castro, di cui sentì profondamente il fascino, il
fratello Raul e altri rivoluzionari cubani.
Fidel, da parte sua, apprezzò il giovane dottore marxista e gli propose di
partecipare al progetto dello sbarco a Cuba, in qualità di medico della
spedizione.
Nonostante il ruolo assegnatogli, il Che partecipò attivamente
all'addestramento militare sotto le direttive del generale repubblicano
spagnolo Alberto Bayo diventando, contestualmente, istruttore politico dei
militanti cui insegnava i rudimenti del marxismo.
Malgrado si fosse ormai votato alla causa rivoluzionaria ed alla lotta armata o,
forse, appunto per questo, nel Che si andava accentuando quella carica -che lo
avrebbe sempre accompagnato- di umana compassione ed immediata empatia verso gli
umili, i poveri, i diseredati.
LA CONQUISTA
Il 25 novembre 1956, 82 uomini tra cui Guevara si stiparono sullo yacht
Granma e salparono da Tuxpan alla volta di Cuba. L'appoggio interno era affidato
a Frank Pais a Santiago de CUba e a José Antonio Echevarria, leader
dell'organizzazione degli studenti universitari, all'Avana.
L'eccesso di carico dell'imbarcazione e un errore di rotta condussero il Granma
lontano dal punto previsto per lo sbarco, oltretutto con tre giorni di ritardo
rispetto all'insurrezione di Santiago che avrebbe dovuto distrarre le forze
militari impegnandole in città. Il tentativo insurrezionale, fissato per il 30
novembre era miseramente fallito lasciando spazio all'esercito di dare la caccia
agli insorti del Movimento 26 Luglio (il nome del gruppo di Fidel) che, il 5
dicembre vennero bombardati e mitragliati nella piantagione di Alegria de Pio.
La stampa annunciò la morte di tutti i combattenti, compresi i fratelli Castro
e Guevara che, comunque, venne ferito.
In realtà si salvarono solo una dozzina di uomini fra cui i due Castro,
Cienfuegos, Guevara e Almeida: costoro, pervicacemente, continuarono la loro
marcia nella Sierra Maestra.
La loro salvezza va attribuita all'incontro con Crecencio Perez, sostenitore di
Castro ed animatore della lotta contro i proprietari terrieri della zona.
Crecencio aveva numerosi legami famigliari in tutta la Sierra e riuscì ad
assicurare ai guerriglieri sia i collegamenti che gli approvvigionamenti.
L'inizio del 1957 vide i primi successi dei sopravvissuti in azioni rapide
contro caserme isolate, che fruttarono loro armi e prestigio. Nel febbraio,
infatti, iniziarono ad arrivare i primi rinforzi rappresentati da giovani
volontari e si potè stabilire un contatto permanente con Santiago de Cuba.
Che Guevara, nonostante fosse tormentato da continui violenti attacchi d'asma,
combatteva con impegno e imparò a dirigere gli uomini, malgrado una certa
riluttanza iniziale.
Il rapporto del Che con i campesinos era, comunque, sempre ambivalente: da un
lato era il guerrigliero impavido e pronto ad affrontare pericoli e disagi,
dall'altro non dimenticava mai il suo ruolo di medico, nè tantomeno
l'attenzione verso il popolo affamato, facendo sempre costruire in ogni
accampamento cucine, dormitori e ambulatori d'emergenza. Forse grazie anche a
questa costante attenzione alle miserie della povera gente i campesinos unirono
le loro forze a quelle dei ribelli.
L'organizzazione del M-26 luglio, frattanto, era stata sbaragliata all'Avana e
lo stesso leader Echevarria era stato ucciso; i superstiti, per non sbandarsi
ulteriormente, sotto il comando di Faure Chomon, formarono una colonna
guerrigliera che collaborò con Guevara per la conquista di Santa Clara.
Nel maggio dello stesso anno, la battaglia di El Uvero decise per il nuovo ruole
del Che in campo militare: per la sua abnegazione, per il coraggio e lo spirito
organizzativo dimostrati venne nominato Comandante della seconda colonna
dell'Esercito Guerrigliero, che si era andato rafforzando via via tramite
reclutamenti locali e con l'afflusso di volontari delle città.
Mentre la colonna comandata da Fidel Castro rimaneva nella zona di Pico
Turquino, quella affidata alla responsabilità di Guevara si spostava più
celermente assicurandosi numerosi successi con attacchi a caserme isolate e
convogli militari. In ottobre, dopo la battaglia di El Hombrito, nell'omonima
valle si costituì la prima zona liberata, dove i guerriglieri organizzarono
scuole e ambulatori, iniziarono a stampare la rivista "El Cubano
Libre" e amministravano la giustizia, reprimendo severamente il banditismo.
Il 29 novembre fu Guevara a dirigere le operazioni di Marverde contro le truppe
governative guidate dal feroce capitano Mosquera. Nella battaglia trovò,
però, la morte il grande combattente Ciro Redondo.
Nel febbraio del '58, dopo nuovi successi militari della colonna di Guevara,
iniziarono regolarmente le trasmissioni dell'emittente dei guerriglieri: Radio
rebelde.
Nell'autunno successivo, malgrado le condizioni meteorologistiche sfavorevoli,
partì una grande offensiva dell'esercito ribelle con una marcia verso ovest
sotto la guida di Guevara e Cienfuegos.
Nel dicembre l'avanzata delle forze guerrigliere era già irresistibile ed il
panico cominciava a provocare fughe e defezioni tra le forze di Batista. Il 1°
gennaio 1959 cadde Santa Clara ed il giorno successivo Che Guevara e Camilo
Cienfuegos entrarono all'Avana, facendo abortire il tentativo del generale
Cantillo e del magistrato Piedra di assicurare una transizione morbida dopo la
fuga del dittatore Batista.
Il primo governo, sotto la presidenza di Manuel Urrutia, con Cirò Cardona primo
ministro, venne costituito con forze moderate, anche per tranquillizzare i
vicini Stati Uniti. Castro non ebbe incarichi di governo, ma rimase alla testa
dell'esercito ribelle, che si guardò bene dal disarmare.
LA POLITICA
Quando, il 2 gennaio 1959 la colonna del Che entrò all'Avana, occupò
immediatamente la fortezza militare "La Cabana". Uno dei primi impegni
del Comandante fu quello di organizzare una scuola di alfabetizzazione per tutti
gli ex combattenti che, in verità, erano notevolmente riluttanti
all'apprendimento, benché in combattimento avessero dimostrato il massimo
sprezzo del pericolo.
Ma che il Che riuscì a vincere, nei guerriglieri, anche il timore del sapere;
spronandoli, sgridandoli, esortandoli anche con la frase che divenne famosa
"Ser mas cultos par ser mas libre".
Nelle settimane seguenti Guevara riuscì anche ad incontrare i genitori e i
fratelli, che non vedeva da sei anni, e la moglie Hilda Gadea con la figlia
Hildita. Quest'incontro sancì anche la fine ufficiale del loro matrimonio.
Ernesto, infatti, aveva costruito un nuovo rapporto con la compagna del M-26,
Aleida March, che sposò il 2 giugno dello stesso anno e che gli diede quattro
figli.
L'abnegazione del Che a favore di Cuba -riconosciutagli ufficialmente con un
decreto del governo rivoluzionario che lo dichiarò "cittadino cubano per
nascita" - si intensificò ulteriormente dopo la nomina di Fidel Castro a
Primo Ministro; Guevara si recò, in rappresentanza del governo rivoluzionario,
in Asia e Medio Oriente a capo di una delegazione economica finalizzata
all'apertura di nuovi mercati.
In Egitto ebbe l'occasione di incontrare Nasser, Nehru in India, Sukarno in
Indonesia, Tito in Jugoslavia, oltre ad una serie di ministri dei vari paesi
visitati.
A Gaza, in Palestina, venne acclamato quale "liberatore di tutti gli
oppressi".
Al suo ritorno a Cuba fu nominato Presidente del Banco Nacional e, in seguito,
Ministro dell'Industria.
La sua attività, sia riguardo agli incarichi pubblici che nell'organizzazione
interna, fu sempre intensa e frenetica, pur senza trascurare l'approfondimento
degli studi o le pubblicazioni nè, tantomeno, gli interventi ufficiali come
quelli -che ebbero grande risonanza politica- al convegno economico
interamericano di Punta del Este, in Uruguay. Il suo libro "La guerra di
guerriglia" pubblicato dal Departemento de Instruccion del Ministerio de
las Fuerza Armadas Revolucionarias, vide la luce nell'ottobre del 1960, con una
dedica al grande amico Camilo Cienfuegos, morto l'anno precedente in un
incidente aereo.
L'attività del Che all'interno della repubblica Rivoluzionaria CUbana si
alternava continuamente con la sua missione di ambasciatore itinerante.
Dall'URSS alla Cina, dalla Corea alla RDT, in tutte le nazioni che visitava,
riusciva ad ottenere acclamazioni, consensi e, spesso, interessanti trattati
commerciali.
Ma Guevara non dimenticava il suo essere guerrigliero: quando, nell'aprile del
1961, i 1500 mercenari armati dalla CIA sbarcarono sulla Playa de Cochinos, la
celebre "Baia dei Porci", il Che occupò il suo posto di
combattimento nelle forze armate e si recò alla Prefettura di Pinar
del Rio.
In pochi giorni i cubani riuscirono ad avere la meglio sui mercenari, che si
arresero; il Presidente degli USA, John Kennedy, fu costretto ad ammettere la
responsabilità degli Stati Uniti nell'infausta operazione e annunciò l'embargo
totale contro Cuba.
Che Guevara non si stancava mai di insistere sull'unità dei lavoratori e del
popolo tutto. In proposito ebbe a dire in televisione: "Dobbiamo unirci
con forza intorno ai nostri fucili per l'unità dei lavoratori, unirci intorno
all'unica voce che guidi tutto il popolo verso la sua meta definitiva,
unirci con spirito intransigente, non permettere che si semini la divisione, perché
i fratelli che litigano -diceva Martin Fierro- sono facile preda dei nemici. E
l'impero conosce bene questa massima popolare, che il poeta ha semplicemente
trascritto; l'impero sa che bisogna dividere per vincere...
Se la massima può essere applicata ad un popolo, deve essere applicata a tutti
i popoli il cui sviluppo non sia completo. Dobbiamo unirci tutti: tutti i popoli
devono unirsi per ottenere la cosa più sacra che è la liberta, il benessere
economico, l'assenza di problemi irrisolvibili, sapere che il lavoro di tutti i
giorni, entusiasta e costruttivo, possiamo raggiungere la nostra meta, senza che
nulla ostacoli il nostro cammino".
Riguardo alla politica di divisione dei popoli portata avanti
dall'imperialismo, il Che affermava "Arrivano dove le masse sono uguali
e cercano di dividerle in neri e bianchi, in più capaci e meno capaci, in
istruiti e analfabeti; poi operano successive divisioni fino ad ottenere
l'individuo e a fare dell'individuo il centro della società...Noi dobbiamo
dimostrare al popolo che la sua forza non consiste nel credersi migliore o
peggiore degli altri, ma nel conoscere i propri limiti così come la forza
dell'unione, nel sapere che due persone contano più di una, dieci più di due,
e cento più di dieci. E sei milioni più di cento!"
Il Che sosteneva, a proposito del suo essere rivoluzionario e marxista: "Ci
sono verità così evidenti, così assimilate dai popoli, che é inutile
discuterle. Si deve essere marxisti con la stessa naturalezza con cui si é
newtoniani in fisica o pasteuriani in biologia, perché se nuovi fatti
determinano nuovi concetti, ciò che é passato mantiene comunque la sua parte
di verità. E' il caso, ad esempio, della teoria della relatività di Einstein e
della teoria dei "quanti" di Planck in rapporto alle scoperte di
Newton: le nuove scoperte non tolgono nulla alla grandezza dello scienziato
inglese. Grazie a Newton, la fisica si é potuta avanzare fino a formulare
una nuova concezione dello spazio. Lo studioso inglese rappresenta il necessario
scalino intermedio. A Marx, come pensatore, come studioso delle dottrine sociali
e del sistema capitalistica in cui dovette vivere, si possono ovviamente
imputare alcune imprecisioni.
Noi latino-americani, ad esempio, possiamo non essere d'accordo con la sua
interpretazione di Bolivar o con l'analisi della situazione messicana compiuta
da lui e da Engels in base a certe teorie delle razze e delle nazionalità oggi
inammissibili. Ma i grandi uomini destinati a scoprire verità luminose vivono
nonostante i loro piccoli difetti, che servono soltanto a dimostrarci che
anch'essi sono esseri umani, persone che, nonostante la grandezza del loro
pensiero, possono sbagliare. Per questo motivo, riconosciamo le verità
essenziali del marxismo come facenti parte del patrimonio culturale e
scientifico dei popoli, e le assumiamo con naturalezza, come qualcosa che non ha
bisogno di essere discusso. Il merito di Marx é stato di aver prodotto nella
storia del pensiero sociale un immediato cambiamento di qualità; ha
interpretato la storia, compreso la sua dinamica, previsto il futuro. Ma in
questa previsione ca al di là del compito scientifico ed esprime un concetto
rivoluzionario: non ci si deve limitare ad interpretare la natura, bisogna
trasformarla. L'uomo cessa di essere schiavo e strumento del mezzo e diventa
architetto del proprio destino..."
Tra il 1962 e il 1965, nel continuare le sue consuete attività e
nell'inaugurare sempre nuove iniziative, Che Guevara approfondì i suoi rapporti
politici con diverse popolazioni africane.
Algeria, Congo, Guinea, Mali, Dahomey, Tanzania, furono tutte tappe
coerentemente finalizzate all'internazionalismo rivoluzionario, nell'ottica di
una indispensabile unità d'azione fra il continente africano, quello asiatico e
l'America Latina. A proposito dei movimenti di liberazione internazionale in
America Latina, Guevara sosteneva che: "La lotta rivoluzionaria contro
l'intervento degli USA sta assumendo sempre più carattere continentale. In
America Latina, il potere rivoluzionario sta attraversando, per il momento, la
tappa dell'azione armata. Lasciar passare il tempo significa solo aumentare i
rischi di un violento scontro frontale tra i popoli latino-americani ed il
governo degli Stati Uniti".
Dai suoi viaggi e dagli incontri con i dirigenti politici Guevara riportò,
sostanzialmente, la convinzione che fosse possibile creare un fronte comune di
lotta contro il colonialismo, l'imperialismo ed il neocolonialismo e, con la
coerenza attiva che gli era propria, agì di conseguenza fino all'ultimo
sacrificio.
LA SCOMPARSA
L'imperativo categorico che sempre improntò l'azione politica del Che si
può compendiare nella frase "Nessun uomo é libero finché anche un sol
uomo nel mondo sarà in catene".
E, coerentemente con questo assunto, nel 1965 -aveva trentasette anni- Ernesto
Che Guevara scomparve agli occhi del mondo.
Si ritirò per modificare le sue troppo note sembianze ed arrivare, attraverso
la Tanzania, nel Congo Belga, senza perdere di vista la Bolivia, sulla quale
aveva già maturato dei progetti.
Già nell'aprile del 1965 Guevara, con una diversa figura, ingrassato e fornito
di una nuova identità, si trovava in Congo (l'attuale Zaire) dopo aver scritto
lettere di addio ai suoi genitori ed ai figli.
Mentre Che Guevara, con un gruppo di altri compagni della Sierra -che lo
avrebbero poi seguito in Bolivia- combatteva a fianco dei rivoluzionari zairesi,
una negativa campagna di disinformazione della stampa borghese internazionale
insinuò -trovando eco immediata- che Guevara fosse stato assassinato da Fidel e
da Raul Castro a causa di insanabili divergenze politiche e lotte di potere.
La risposta di Fidel, nel corso di una manifestazione pubblica, fu la lettura
della lettera di addio inviatagli dal Che prima della partenza da Cuba:
A Fidel Castro, Ano de la Agricultura, La
Habana -- 31 marzo 1965
Fidel:
in questo momento mi ricordo di molte cose, di quando ti ho conosciuto in casa
di Maria Antonia, di quando mi hai proposto di venire, di tutta le tensione dei
preparativi. Un giorno vennero a chiederci chi bisognava avvertire in caso di
morte, e il pensiero che questo potesse capitare davvero mi sconvolse. In
seguito comprendemmo che era vero, che in una rivoluzione (quando é vera) o si
trionfa o si muore. Molti compagni sono rimasti lungo la strada verso la
vittoria.
Oggi ogni cosa rappresenta in tono meno drammatico perché siamo più maturi, ma
la situazione si ripete. Sento di aver compiuto la parte di dovere che mi legava
alla rivoluzione cubana in territorio insulare, e saluto te, i compagni e il tuo
popolo che ormai é il mio. Rinuncio formalmente ai miei incarichi nella
Direzione del Partito, al mio posto di ministro, al mio grado di Comandante,
alla mia condizione di cubano. Non ci sono più vincoli legali, ma ciò che mi
lega a Cuba non può essere rotto da una dichiarazione.
Ripensando alla mia vita passata, credo di aver lavorato con sufficiente
dignità e dedizione al consolidamento del trionfo della rivoluzione. L'unica
colpa di una certa gravità è stata quella di non aver riposto la massima
fiducia in te fin dai primi momenti sulla Sierra Maestra e di non aver compreso
con sufficiente velocità le tue qualità di dirigente e rivoluzionario. Ho
vissuto giorni magnifici e stando al tuo fianco mi sono sentito orgoglioso di
appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della Crisi dei
Caraibi. In quei giorni hai mostrato una brillantezza da statista difficilmente
eguagliabile, e sono orgoglioso di averti seguito senza tentennamenti,
identificandomi nel tuo modo di pensare e di vedere, di concepire i pericoli e i
principi. Altre terre del mondo reclamano i miei modesti sforzi. Io posso fare
ciò che la tua responsabilità nei confronti di Cuba ti vieta di fare, è
arrivata l'ora di separarci. Sappi che lo faccio con un misto di allegria e
dolore; a Cuba lascio la mia più pura speranza di costruttore e la più amata
tra le persone amate...e lascio un popolo che mi ha accettato come un figlio;
ciò lacera una parte del mio spirito. Porterò sui nuovi campi di battaglia la
fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la
sensazione di compiere il più sacro dei doveri: lottare contro l'imperialismo
in qualunque parte del mondo; questo riconforta e cura abbondantemente qualsiasi
ferita.
Ripeto, ancora una volta, che libero Cuba da qualsiasi responsabilità, che non
sia quella derivante dal suo esempio. Se la mia ora arriverà sotto altri cieli,
il mio ultimo pensiero sarà per questo popolo e specialmente per te. Ti
ringrazio per i tuoi insegnamenti e il tuo esempio, a cui cercherò di rimanere
fedele fino alle estreme conseguenze dei miei atti. Ho sempre partecipato alla
politica estera delle nostra Rivoluzione e continuo a farlo. Ovunque andrò
sentirò la responsabilità di essere un rivoluzionario cubano, e come tale
agirò. A mia moglie ed ai miei figli non lascio nulla di materiale, e questo
non mi spiace: mi fa piacere che sia così. Non chiedo niente per loro, perché
lo Stato darà loro il sufficiente per vivere e studiare.
Dovrei dire molte altre cose a te e al nostro popolo, ma sento che sono inutili,
le parole non possono esprimere quello che vorrei, e non vale la pena imbrattare
la carta. Fino alla vittoria sempre. Patria o Morte!
Ti abbraccio con tutto il mio fervore rivoluzionario. Che"
Nel frattempo, era terminata la permanenza del Che nell'ex Congo
Belga, dove era stato decretato, a seguito di accordi tra gli Stati africani ed
i vari fronti di Liberazione nazionale, il "cessate il fuoco".
Che Guevara, sempre sotto falsa identità, dopo un breve passaggio in Tanzania
ed in Europa, si recò a Cuba per una breve visita alla moglie ed ai figli, per
poi ripartire alla volta della Bolivia, dove si erano verificate numerose
manifestazioni contro il governo rendendo, a suo giudizio, i tempi più che
maturi per determinarvi la guerriglia prima, poi la rivoluzione.
LA BOLIVIA
Il 3 Novembre del 1966 il Che partì per La Paz, capitale della Bolivia, con
un falso passaporto uruguayano e, dopo aver preso contatto con le sue basi, si
dedicò alla perlustrazione delle zone strategiche.
Tra i contatti più importanti in Bolivia vi era Mario Monje, segretario
generale del Partito Comunista Boliviano che, dopo un'iniziale incondizionata
adesione ai progetti rivoluzionari del Che, si ritirò senza preavviso pochi
mesi dopo.
Nel marzo del 1967 iniziarono le azioni di guerriglia, già parzialmente
pregiudicate dalle numerose infiltrazioni spionistiche nel gruppo. L'appoggio
dei cittadini alla guerriglia fu -nonostante gli arresti, le torture e le
uccisioni- abbastanza intenso, anche se la propaganda successiva volle sminuirle
il ruolo. Gli scontri tra le forze governative e i guerriglieri videro spesso
questi vittoriosi; ogni vittoria, però, costava perdite amarissime di uomini e
materiali.
Le rappresaglie dell'esercito, intanto, cominciavano a colpire anche nelle
città quanti erano schedati come elementi di sinistra: sindacalisti, studenti,
simpatizzanti.
Nel frattempo gran parte del gruppo dirigente del Partito Comunista Boliviano si
era schierato contro la guerriglia del Che, adoperandosi per convincere i
militanti a non associarsi alla lotta. Certamente questo atteggiamento politico
indebolì il gruppo rivoluzionario, tuttavia la sconfitta finale è da
attribuirsi soprattutto alle infiltrazioni dei servizi segreti e
all'inaffidabilità di alcuni elementi sui quali Guevara contava. Il fattore
determinante che portò all'epilogo finale fu, comunque, la divisione in due
gruppi della guerriglia. Il Che, infatti, dovette provvisoriamente lasciare i
malati alla cure di alcuni compagni per andare a recuperare altri guerriglieri
rimasti indietro, ma i due gruppi non riuscirono più a riunirsi; alla notizia
che l'altro gruppo era stato attaccato, tentò di raggiungerlo per portare
aiuto, ostacolato dalla presenza di malati e feriti che non volle abbandonare,
scegliendo lucidamente di non percorrere un sentiero che l'avrebbe certamente
portato in salvo, bensì un'altro più percorribile da malati e feriti, anche se
molto più rischiosamente esposto.
Ad un certo punto, infatti, il Che fu costretto a fermarsi ed opporre resistenza
all'esercito che li aveva raggiunti, mentre i malati si mettevano in salvo.
Questa perdita di tempo gli fu fatale. I soldati riuscirono ad accerchiarlo,
ferirlo e catturarlo. Era l'otto ottobre del 1967.
Lunedì,
9 ottobre 1967
Appoggiato alla meglio su uno dei
piccoli banchi della scuola, il Che è oramai allo stremo. E' quasi un
giorno che subisce angherie, torture, interrogatori. Sempre però i suoi
aguzzini entrano baldanzosi e escono con la testa bassa. DI piegarlo o di
farlo parlare non c'è verso, e spesso, è lui che mette in crisi le loro
coscienze riaffermando sempre la sua dignità e il suo coraggio. A chi lo
accusa o lo insulta, lui risponde con calma e fierezza. fissandoli dritto
negli occhi, facendogli sentire vergogna per quello che stanno facendo, e
rimorso per quanto si sono asserviti a un potere stupido e violento che li
usa come dei boia contro i loro fratelli. Ha perso la calma solo una
volta, di fronte a un traditore cubano che si è venduto alla CIA. Con la
forza restante che aveva, gli ha dato un pugno e sputato in faccia. Poi lo
hanno legato e picchiato. Dopo un ufficiale, più umano degli altri, lo ha
fatto sciogliere, bere dell'acqua e gli ha offerto un sigaro. Gli ha
raccontato che ha un fratello comunista, che anche lui è qui solo perché
deve vivere. Da quel momento in poi lo hanno lasciato in pace, dolorante e
debole per la ferita, con il petto a pezzi per l'asma.
Pensa a che fine hanno fatto i suoi compagni. Li crede quasi tutti in
salvo. Non può sapere che i quatto feriti e Pablito, che ha solo ventidue
anni ed è il più giovane dei guerriglieri, tra poco cadranno in un altro
agguato e saranno finiti a colpi di mitra; né che un piccolo gruppetto
capeggiato da Pombo é riuscito a rompere l'accerchiamento e ora marcia,
soffrendo e combattendo, verso il Cile, dove saranno salvati dal futuro
presidente Allende.
Gli riappaiono i volti di tutti quelli che hanno combattuto con lui e che
sono caduti lungo il cammino della rivoluzione. Sono tanti, quasi tutti
suoi amici.
Ricorda i mille posti del mondo che ha visto, con una sterminata umanità
che ci vive, soffrendo soprusi, ingiustizie, violenza. Per questa gente si
é battuto e ora sta per morire. Ha voluto dimostrare che i poveri e gli
emarginati, i deboli e i diversi, hanno la fierezza di ribellarsi e la
forza di vincere. Se lui non c'é riuscito ci saranno altri che
continueranno. E' pronto a morire senza alcun rimpianto. E' una cosa
normale, lo sapeva che poteva accadere questo.
Sua moglie e i suoi figli capiranno tutto questo? Le loro immagini gli
toccano il cuore. I suoi bambini! Qualcuno é così piccolo che non si
ricorderà di lui. Vorrebbe avere la possibilità di poterli ancora una
volta stringere a sé.
Ma il dolore lo scuote, la ferita continua a perdere il sangue, la febbre
a salire. Ora é quasi in delirio. Come dopo il suo sbarco a Cuba, quando
credeva di essere moribondo, adesso il suo pensiero galoppa.
Ad un tratto la porta si apre e capisce che è venuta l'ora.
L'uccisione del Che, decretata in alto
loco, fu affidata ad un giovane soldato, Mario Terran.
Al suo esitare il Che gli gridò "Dispara, cojudo, dispara! Cierra
los ojos y dispara!" . Erano le ore 13. Ernesto Che Guevara aveva
trentanove anni. |
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