L’INDIFFERENZA
ALLA GUERRA
Ci chiediamo se sia da definirsi come dato acquisito come
normale il concetto di “guerra”. La guerra che, inevitabilmente,
richiama lutti, dolori, brutalità, sofferenze, pianti, disperazione,
e di tutti questi fatti sia la sola generatrice.
Pare proprio di si.
Ce ne rendiamo conto quando arrivano notizie che fanno la
cronaca di mortali agguati contro le truppe italiane di pace. Un po’
un controsenso, definire missione di pace, persone esperte e
professionisti di conflitti che si presentano armati di tutto punto
e tecnologicamente attrezzati per annichilire il ‘nemico’ che poi,
guarda un po’, magari è anche il padrone di casa.
Una casa che non ci appartiene e che non appartiene ad
alcuno fuorché al legittimo proprietario, a meno che, non ci siano
armi di distruzione di massa che si intenda resettare con
chirurgiche azioni preventive. Se poi queste armi non si trovano
proprio pazienza, tanto resta il petrolio come vero scopo di una
spartizione di potere fantoccio.
Ma si da il caso che non tutti vogliano sottostare a questa
fantasmagorica protezione di una libertà (sic!) acquisita e che si
ribelli, con mezzi e modi propri, a quelle truppe di ‘pace’ che
inviano militari che hanno un senso di ‘dovere’, ‘patria’, ‘onore’
che riporta alla mente squadracce in orbace delle quali anche
l’Italia fece la sua conoscenza.
Per tornare al discorso principale e, cioè, l’indifferenza
alla guerra, crediamo che sia un’abitudine sentire svogliatamente i
tg e sfogliare i quotidiani, prestando la minima attenzione
possibile quando si parla di morti ammazzati. A meno che, questi
morti non siano eccellenti, cioè soldati italiani o guardie armate
al soldo di qualche oscura multinazionale di security.
Allora rientra prepotentemente il senso civico di noi
‘italiani’ che ci sentiamo offesi e feriti nel nostro orgoglio
nazionale come quando perdemmo i mondiali di calcio ai rigori.
Questo senso di appartenenza, dura poco. Giusto il tempo di
un paio o tre di trasmissioni speciali in tv, qualche notizia
spiluccata dentro la vita dei caduti, il rimpatrio delle salme e le
esequie di Stato con diretta televisiva.
Poi, rientriamo nel nostro guscio fatto di partite in pay
per view, calciomercato, veline e politica da bar.
Almeno fino al prossimo morto italiano.
In Italia, non interessa a nessuno che in Iraq o in
Afghanistan, le popolazioni siano vessate e vivano all’ombra di un
terrore coatto imposto dagli USA. Non ci importa se questo vale
anche per qualche altra nazione sulla faccia della terra che ha
guerre dimenticate delle quali nessuno ne parla perché non fa
audience. Non ci interessa se in Sudan, in Zaire, nel corno d’Africa
si muoia di fame come se nulla fosse. Non ci occupiamo dello
sfruttamento dell’uomo sull’uomo causato sempre da ingiustizie
riconducibili a chi controlla il potere da generazioni.
Pensiamo a come comprarci l’Ipod magari o a cambiarci
l’auto approfittando di una nuova produzione che, a 99 euro rata
mese, ci offre l’auto di grido con cambialone da pagare dopo 36
piccoli versamenti. E cosa ci vuole? In tre anni magari possiamo
anche vincere al superenalotto e, per i più ottimisti, vige la
regola ‘quanto non accaduto fino ad oggi potrebbe accadere domani!”,
per eliminare anche l’ultima barriera che separa il raziocinio al
consumismo di spot televisivi sempre più invadenti e che, ormai,
troviamo nelle mails quotidiane ma anche sul cellulare dell’ultima
generazione.
Vittime sacrificali di un mondo capitalista e consumista
ormai ridotto a raschiare il barile, siamo assuefatti alle guerre,
alle morti, alle ingiustizie e scuotiamo la testa solo per dire che
‘ai nostri tempi’ era tutt’altra cosa.
Pensiamo che tutti i tempi siano uguali e che non sia
giusto rinunciare a lottare per un mondo che sia differente. Non lo
cambieremo, non ce lo faranno cambiare ma almeno saremo coerenti con
la nostra coscienza.
Sempre se ne abbiamo una.