MIRADA CUBANA
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La liberazione ancora da venire
Sono ormai 61 anni che il 25 aprile si
festeggia la liberazione dell’Italia dall’occupazione tedesca,
iniziata l’8 settembre 1943 dopo la firma dell’armistizio. Quella
“liberazione” fu in larga parte il frutto della lotta di decine di
migliaia di partigiani che combatterono sulle montagne e nelle
città, rischiando - e spesso perdendo – la propria vita, e di tutti
coloro che ai partigiani dettero appoggio e sostegno.
Quei partigiani non combattevano solo
contro l’occupazione; combattevano innanzitutto per un futuro
migliore, per una società i cui valori fondamentali fossero quelli
della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà,
della fratellanza tra i popoli, della lotta contro ogni
ingiustizia, del rifiuto della guerra e dello sfruttamento.
Ma subito dopo il 25 aprile del 1945
quegli ideali di lotta furono accantonati.
Gli operai tornarono ad essere
sfruttati nelle fabbriche e in modo ancora più intensivo che nel
passato. Le disuguaglianze sociali continuarono ad approfondirsi. I
partigiani, e tutti coloro che avevano combattuto il regime di
Mussolini, furono emarginati. Chi aveva avuto potere al tempo del
fascismo tornava ad avere potere. Chi era stato oppresso dal
fascismo, veniva ora oppresso dalla “democrazia”.
Il perché è chiaro: fascismo e
“democrazia” non sono che due varianti dello stesso sistema sociale:
il capitalismo.
L’antifascismo dei partigiani,
costruito su valori magari “istintivi” ma chiari, venne diluito in
un “antifascismo” da parata, istituzionalizzato e reso innocuo;
reso, anzi, sempre più funzionale ad una logica di “identità
nazionale” – di stile neo-risorgimentale - che oggi trova la sua
piena espressione nell’insopportabile retorica sull’“italianità” del
“presidente partigiano” Carlo Azeglio Ciampi - primo alfiere dei
grandi potentati economico-finanziari italiani ed europei, da un
ventennio in prima fila in tutte le operazioni di attacco alle
condizioni di vita delle “masse italiche” (che pure tanto sembrano
riverirlo) –; una retorica che serve solo all’espansione commerciale
del “made in Italy” e che per questa ragione si combina
perfettamente con la concessione della medaglia d’oro al “valor
civile” al mercenario Fabrizio Quattrocchi, non eroe “italiano” ma
vergogna dell’Italia ed espressione, semmai, dell’interventismo
imperialista italiano in giro per il mondo (10.000 militari che si
dicono in “missione di pace”, ma che in realtà difendono gli
interessi strategici di grandi imprese come l’Eni, e le cui missioni
anche il prossimo governo di “centro-“sinistra” si appresta a
ri-finanziare).
Prima si cominciarono a raccontare ai
giovani delle favole sulla Resistenza, poi si smise proprio di
parlarne. I genitori smisero di trasmettere ai figli la memoria di
cosa era stata la guerra e di cosa era stato il fascismo, fino a che
il fascismo fu trasformato in “storia”; non capito per combatterlo,
ma “messo lì”, tra un governo Giolitti e un governo democristiano,
per farne oggetto di migliaia di ore di “documentari storici” e di
“approfondimenti culturali”.
Nessuno, ovviamente, volle più
riconoscere che lo scontro tra fascisti e antifascisti era stato,
innanzitutto, una guerra civile con una fortissima connotazione
di classe. Solo la classe operaia, che dell’antifascismo era
stata protagonista assieme ad alcuni settori contadini e
intellettuali, mantenne per qualche decennio la memoria di sé e
della propria storia. Le altre classi, che col fascismo erano state
conniventi o che si erano “turate il naso”, vollero chiudere al più
presto quel capitolo e tuttora rimuovono tutto ciò che di sgradevole
quel ricordo riporta alla mente.
Ogni anno, il 25 aprile, siamo in
piazza a portare, da un lato, il ricordo della lotta partigiana e,
dall’altro, la memoria di ciò che fu il fascismo, affinché
soprattutto i giovani – non adeguatamente informati né dalla scuola
di regime, né dalle proprie famiglie omologate alla società dei
consumi - non cadano preda, come sempre più spesso avviene, di
“idee” “neo” o “vetero” fasciste.
Siamo qui per combattere quel
dilagante relativismo che fa dei partigiani e dei “ragazzi di Salò”
“vittime di una comune tragedia” (Luciano Violante, “democratico” di
“sinistra”) e per dire che, invece, i partigiani - e con loro tutti
gli italiani che non volevano sottomettersi alla violenza fascista -
furono vittime, mentre i fascisti, giovani o meno giovani, furono
sempre e solo carnefici e specialmente quelli di Salò che si fecero
forti dell’appoggio dei nazisti e con questi furono protagonisti di
stragi efferate, stragi che la nostra terra ancora ricorda, seppure
in modo sempre più sbiadito, per le migliaia e migliaia di morti e
feriti che fecero.
Per dire che ai partigiani dobbiamo
quel poco di dignità che parte del popolo italiano ha dimostrato
nella sua storia recente e che ai fascisti dobbiamo invece tutto il
nostro disprezzo.
Non abbiamo mai pensato che l’Italia
sia stata davvero “liberata” il 25 aprile 1945.
Semmai, il 25 aprile 1945 segna il
passaggio dall’occupazione militare tedesca all’occupazione
politico-culturale (ma anche militare) degli USA, i “liberatori”.
Non abbiamo mai pensato che la
Costituzione, che pure conteneva norme che in qualche modo
registravano un rapporto di forza stabilitosi grazie anche alla
Resistenza e agli equilibri nell’Assemblea Costituente, sia mai
stata veramente applicata in ciò che di positivo conteneva per gli
interessi delle classi popolari.
Non abbiamo mai pensato che la
“democrazia” fosse molto migliore del fascismo. Di sicuro non è
migliore del fascismo la “democrazia” delle torture e delle “bombe
intelligenti” o delle “missioni umanitarie” fatte attraverso i
bombardamenti sui civili con l’uranio impoverito e con il fosforo
bianco.
Non abbiamo neppure mai pensato che la
“democrazia” fosse effettivamente molto più “democratica” del
fascismo, giacché ha mantenuto e peggiorato leggi fasciste come il
Codice Penale Rocco che colpiscono i reati di opinione politica
(ovviamente antifascista e anticapitalista).
Se preferiamo la “democrazia” al
fascismo è solo in quanto nella democrazia le persone possono capire
meglio (quando lo capiscono) che i loro problemi di vita non
dipendono dalla mancanza di libertà politica, ma dalla mancanza di
libertà sociale, cioè dal sistema capitalistico.
La “democrazia” ci permette di dire
quello che pensiamo, si dice. Ma - premesso che non può esistere una
vera libertà di espressione quando se alcuni hanno come strumento
qualche volantino e altri hanno televisioni, radio, giornali… - fino
a quando potremo farlo ? La risposta evidente è: fino a che saremo
sostanzialmente ininfluenti. Fino a che la larga parte delle classi
popolari continueranno ad appoggiare partiti e coalizioni che si
differenziano solo nel modo di portare avanti gli stessi
programmi e le stesse politiche. Fino a che l’85% degli italiani
voterà per uno qualsiasi dei tanti partiti che formano il “blocco
unico” capitalistico.
Aveva proprio ragione Berlusconi: chi
vota contro i propri interessi è un coglione.
E può essere interesse dei lavoratori,
dei precari, dei disoccupati… votare per partiti e personaggi, di
destra o di “sinistra”, che in questi anni si sono resi
responsabili, tra le altre cose, del più gigantesco processo di
privatizzazioni del dopoguerra, della legge Turco-Napolitano con i
suoi CPT, della concertazione con la sua politica del contenimento
dei salari, dell’Europa di Mastricht e del grande capitale,
dell’aggressione imperialista alla Jugoslavia, del finanziamento
delle missioni in Afghanistan, in Iraq e in tanti altri paesi, del
Pacchetto Treu e del lavoro interinale, della privatizzazione della
formazione attraverso l’autonomia scolastica della “riforma”
Berlinguer, della contro-riforma delle pensioni di Dini, della
legge Bossi-Fini, della legge Moratti, della legge Biagi,
dell’appoggio alla “guerra al terrorismo” di Bush, delle leggi “ad
personam”, delle mattanze di Napoli e Genova del 2001, dell’attacco
all’art.18, della diminuzione progressiva dei posti di lavoro
attraverso la delocalizzazione e la deindustrializzazione, del
malaffare mafioso e degli intrallazzi dei “furbetti del quartierino”
insediati nella Banca d’Italia, nelle grandi Banche o nella Unipol…?
Può essere interesse dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati…
dare il potere a partiti e personaggi che in nome del pensiero unico
del mercato, in nome della competitività delle imprese, in nome del
profitto… smantellano progressivamente i diritti più elementari
(scuola, lavoro, casa, salute, cultura…) attraverso parlamenti
completamente egemonizzati da professionisti e imprenditori
(direttamente o indirettamente) con gli operai che rappresentano lo
0% e i lavoratori dipendenti meno dell’1% ? Quali interessi
difenderanno quei parlamentari ?
No davvero, non era questa l’Italia
per cui gli antifascisti combatterono durante la Resistenza. E non è
questa l’Italia per cui combattiamo noi. Questa è l’Italia “piccola
piccola” contro cui noi combattiamo.
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