IL RE NUDO
di Abel
Prieto
Hans Christian Andersen racconta che due furbi che si facevano
passare per sarti e tessitori, avevano promesso al re di confezionargli
il più bell’abito immaginabile. «Tutti ammireranno il suo vestito ad
eccezione di quelli nati da una relazione adultera». Il re entusiasmato,
diede denaro ai ciarlatani per comprare tele, nastri, ricami, fili d’oro
e decise d’inaugurare il suo vestito nuovo alla prossima festa popolare.
I due furbi fecero finta di lavorare chiusi in un’abitazione, sino a
quando annunciarono che l’abito era pronto. Il re venne a provarselo,
accompagnato da un gruppo di cortigiani,
ma nessuno vide l’abito. Tutti ( anche lo stesso re) pensarono
con angustia d’essere figli di padri sconosciuti, finsero d’apprezzare
il lavoro e lo lodarono teatralmente. Il re si vestì il giorno della
festa con il presunto vestito e montato sul suo cavallo uscì in
processione per le strade della città. I cittadini si rendevano conto
della realtà mentre il re
sfilava, ma per paura d’essere moralmente rimproverati, tacevano… Sino a
quando un bambino innocente esclamò: «Il re è nudo!» e senza proporselo
fece sì che la farsa fosse scoperta. Con il grido del bambino della
fiaba di Andersen andò a
pezzi la menzogna generalizzata.
Oggi la natura disumana del
capitalismo e la sua versione più oscena, il neoliberalismo, è stata
denudata dal coronavirus. Il suo volto satanico è restato esposto senza
maschera né trucco. Si sono
aperte crepe molto profonde nel miraggio fabbricato durante tanti anni
dalle macchine del dominio informativo e culturale. Fidel lo ha ripetuto
molte volte: «Il neoliberalismo conduce il mondo intero al genocidio; il
capitalismo è un genocidio per il mondo di oggi». E lo disse con
un’enfasi particolare quando crollò il socialismo in Europa e il coro
trionfale della destra celebrò l’avvento del Regno Assoluto del Mercato
come sinonimo di “libertà” e “democrazia”, mentre buona parte della
sinistra mondiale si ripiegava demoralizzata. Come il re “il sistema è
nudo, e già non è possibile
occultare la sua realtà fatale con
l’alienazione culturale”, sostiene
Juan Manuel P. Domínguez. Molte
altre valutazioni di economisti, filosofi, giornalisti, politologi,
reiterano che il coronavirus ha ritirato bruscamente il velo della
presunta prosperità per scoprire la ferocia del sistema, i suoi abissi
d’ingiustizia e disuguaglianza. Ha funzionato, come il grido di quel
bambino di Andersen, come uno strumento che stappa, smaschera e affronta
crudamente la realtà. Secondo Anne Applebaum: «Le epidemie rivelano
verità sotterrate sulle società in cui sono rilevanti. Il coronavirus
già lo ha fatto a una velocità terrificante».
E conclude:«La crisi attuale è il risultato di decenni di
mancanza d’investimenti nella funzione pubblica, della dispregiativa
burocrazia nella sanità pubblica e altre aree e soprattutto della
sottovalutazione della pianificazione a lungo tempo». Franco "Bifo"
Berardi considera che la pandemia è scoppiata in un momento di crisi
profonda del sistema: «Da tempo il capitalismo si trovava in uno stato
di ristagno irrimediabile. Ma continuava a dare frustate agli animali da
soma che siamo per obbligarci a continuare a correre, anche se la
crescita era diventata un miraggio triste e impossibile. Non possiamo
sapere come usciremo dalla pandemia le cui condizioni sono state create
da neoliberalismo, per i tagli alla salute pubblica per l’iper
sfruttamento nervoso». E Marco Teruggi ci ricorda opportunamente che la
tendenza anti – neoliberale, promossa dal coronavirus, “cresceva in
America Latina, con i sollevamenti dell’anno scorso in Ecuador e in Cile
o la vittoria elettorale del Fronte di Tutti in Argentina.
Uno degli elementi de sistema che
la pandemia ha messo in luce
ha a che vedere con il dilemma
etico in cui si sono visti i medici obbligati a scegliere ( di fronte
alla scarsità di respiratori e di medicinali indispensabili, di letti
negli ospedali e di unità di terapia intensiva ) tra malati che si
possono considerare “salvabili” e quelli “non salvabili”, più vecchi,
più fragili e con maggiori complicazioni. Ingar Solty avverte:« … dal
punto di vista medico, la grande maggioranza di morti si potrebbe
evitare. I meccanismi di
selezione stanno rompendo i cuori del personale sanitario, la cui
missione è salvare le vite». Il médico pneumologo argentino Ricardo Gené
ha pubblicato un testo perturbatore intitolato “Questo sì, questo
no”:«…nonostante i passi avanti della conoscenza, lo sviluppo e la
tecnologia, vedo e ascolto assorto i medici di Spagna e Italia
raccontare che fanno questo ogni giorno : scegliere per età chi
ventilare o meno o peggio ancora per aspettativa di vita: lasciarli a
casa, con analgesici potenti, a morire in solitudine senza l’assistenza
necessaria, dando l’addio ai loro cari per telefono». Il dottor Gené
riassume la sua angoscia con questa parole che fanno rabbrividire:«
Cos’è successo in questo mondo ingiusto, disuguale e criminale? Perché
hanno applicato politiche che - ora è ben chiaro – sono politiche che
uccidono? Vivo ogni giorno con il
timore che la pandemia giunga con questa infettività tremenda e che si
debba passare per questo maledetto limite, per questa scelta tremenda di
dire: sì o no. Ossia: questo sì, questo no».
La classificazione di “salvabili” e “non salvabili” l’abbiamo
vista in un’altra scala, tra governi, tra paesi, ha detto
Judith Butler. E pone come
esempio grottesco lo sforzo di Trump di annotare “punti politici” per la
sua rielezione con l’acquisto dei diritti del vaccino contro il
coronavirus di una compagnia tedesca: «Trump immagina che la maggioranza
della gente pensa che è il mercato che dovrebbe decidere come si
sviluppa e si distribuisce i vaccini?» Evidentemente sì. Per lui la
“razionalità” del mercato è l’unica comprensibile. Era sicuro che
avrebbe ricevuto molti applausi con il colpo ad effetto che gli avrebbe
permesso di fare lo sbruffone,
sostenendo d’aver ottenuto in forma esclusiva il detto vaccino, parlando
alle telecamere e in Twitter come un Super Eroe, mentre il resto del
pianeta soffriva per la crescita del contagio e l’umiliazione.
«La
disuguaglianza sociale ed economica (continua Butler) assicurerà che il
virus discrimina. Il virus da solo non discrimina, ma gli umani lo
facciamo, modellati come siamo dai poteri intrecciati del nazionalismo,
il razzismo, la xenofobia e il capitalismo. L’intimo conflitto, tanto
drammatico e doloroso, che obbliga oggi i professionisti della salute di
molti paesi ad applicare meccanismi di selezione tra i loro pazienti non
è giunto al mondo con il coronavirus. Per Solty (come per tutti gli
analisti che non stanno al servizio del sistema), è ovvio
che è giunto da lontano: «Il
carattere privato e lucrativo dell’assistenza sanitaria è stato la
garanzia che sarebbe sorto il Covid – 19, così com’e stato. Oggi
raccogliamo i frutti di quelle misure economiche». La visione dei
servizi di salute e dell’industria farmaceutica come un affare lucrativo
dove non ci sono pazienti ma clienti, pone
le basi che giustificano definitivamente la divisione tra “salvabili” e
“non salvabili”. David Harvey assicura che “l’industria farmaceutica
privata prova appena interesse -se lo ha – di realizzare investigazioni
non remunerative sulle malattie infettive. L’industria farmaceutica
investe nella prevenzione assai di rado. Non è molto interessata ad
investire perché si sia
preparati di fronte ad una crisi pubblica. Amano disegnare rimedi.
Quanto più si ammala la gente, più denaro guadagnano.
Il modello di affare applicato al
servizio pubblico di salute ha eliminato le capacità
in eccedenza che servono in un
caso d’emergenza. Appena
sette anni fa, un vice primo ministro e ministro alle Finanze del
Giappone aveva incitato aspramente gli anziani del suo paese a il
harakiri per alleviare il bilancio da pesi non necessari (El
País,26-1-2013). È mostruoso ma
si dovrebbe ringraziarlo per la sua franchezza didattica. (Comunque il
vicegovernatore del Texas, Dan Patrick, lo scorso 23 marzo ha fatto un
commento molto simile.). Di fatto la coppia sinistra di
malthusianismo e neoliberalismo è
stata denunciata da vari anni. «È comune ascoltare i neoliberali che
dicono che quando si tratta di salvare il corpo può essere
raccomandabile l’amputazione di una gamba. Socialmente questo equivale
alla teoria maltusiana secondo la quale sono di troppo circa 3 000
milioni di poveri. I neoliberali sono stati molto chiari in quanto ai
loro propositi: la giustizia è quella stabilita dal mercato con la
concorrenza e le opportunità che offre agli” efficienti”. Gli
“efficienti” trionfano, gli “inefficienti” falliscono.
(Julio Escalona)
Si ha impressione che il sistema neoliberale e l’economia di mercato
siano venuti a ridurre la popolazione e a frenare la crescita
demografica, come reclamava Malthus duecento anni fa. La forza che
esprimono le idee malthusiane è
quella degli affari, né più che meno. Il guadagno è al di sopra della
gente, soprattutto quella la cui vita risulta scartabile. (…)
Centinaia di milioni di persone hanno smesso d’importare . Sono
restate escluse, e le loro vite e la loro dignità già non importano. Se
qualcosa si dovesse considerare sacra nei tempi che corrono, è la
persona umana, uomini e donne ammanettati e svalutati dal sistema neo
liberale Ma quello che si considera sacro in realtà è il mercato, al
disopra della dignità umana.” (Elías Neuman) Questo modello implica,
ovviamente, che lo Stato abbandoni ogni responsabilità rispetto alla
popolazione e si trasformi “in un servitore dei grandi consorzi
finanziari”. Per Neuman: «Si è diluito il sentimento etico rispetto alla
vita come la sicurezza. L’insicurezza sociale costituisce il paradigma
del modello di società raccomandato dal neoliberalismo da parte della
globalizzazione e del capitalismo finanziario, che necessitano, nella
loro voracità, debilitare lo Stato. Lo Stato assente dalla vita della
maggioranza esclusa e senza occasioni, fa abortire in modo violento
l’aspirazione di giustizia e toglie legittimità alla democrazia». Nel
mezzo della pandemia, Juan Manuel P. Domínguez sottolinea come si
manifesta ora questo barbaro
malthusianismo:«… di fronte a questa situazione d’annichilimento e morte
di massa ( le cupole) non nascondono il loro disprezzo per le vite di
quelli con i quali convivono in questo
mondo. Nè per gli Stati che tentano d’applicare misure
provvidenziali nel tema. In un
momento di morte imminente, il capitale mostra in maniera aperta la sua
irrazionalità, il suo isterismo e il suo egoismo. Non appare casuale che
tre leaders politici che nel
continente americano avevano atteggiamenti simili di disprezzo per la
grave situazione: Trump, Bolsonaro e Piñera, fossero nello stesso tempo
i più forti rappresentanti dell’ideologia neoliberale nella regione».
Ha ragione: non è casuale. Risulta totalmente naturale che la
prima reazione dei politici neoliberali
di fronte al focolaio epidemico sia stata togliergli importanza e
guardare da un’altra parte, soprattutto per non danneggiare l’economia.
Ovviamente nella loro logica ispirata a Malthus e al detto
“darwinismo sociale”, il
coronavirus si doveva concentrare tra i “ perdenti” e i “meno adatti”,
in “gente inefficiente” senza assicurazione medica né risorse minime per
sopravvivere, “nelle razze inferiori”, migranti e no, nel “popolaccio
scartabile”, in quelli di cui vita e dignità non hanno alcun valore per
il sistema, in quelli che devono farsi una volta per tutte il harakiri.
Ma l’epidemia come sappiamo è andata al di là del previsto, e potrebbe
apportare conseguenze politiche e elettorali ed ha dovuto cambiare in
maniera opportunista il discorso. David Gómez Rodríguez usa un episodio
della Francia della Restaurazione per illustrare la filosofia
malthusiana-neoliberale del presente. Ci ricorda la spedizione verso la
colonia del Senegal nel 1816 della fregata “La Medusa” e il
comportamento del suo capitano, il Visconte Hugues Duroy De Chaumareys.
Quando l’imbarcazione s’incagliò, questo aristocratico capitano decise
chi lo poteva accompagnare nelle barche salvavita
e lasciò indietro in una zattera
precaria i 147 marinai senza alcuna speranza. Questi “ scartabili” nella
loro disperazione giunsero al cannibalismo.
Morirono 132 tra tormenti atroci.
“Trump ha fatto come De Chaumareys (lo sottolinea
Gómez Rodríguez), e oggi gli USA
sanno che perderanno tra 100.000 e 240.000 vite come minino, ma il
presidente si preoccupa solo por la elite; è lo stseso atteggiamento
del presidente Lenin Moreno in Ecuador, annunciando come un
successo del governo, un piano per raccogliere cadaveri per la strada
dopo i giorni d’abbandono. In questo contesto è importante ricordare che
secondo la OMS più di cento milioni di persone vivono in povertà e dato
che non hanno previdenza sociale sono obbligati a pagare l’assistenza
sanitaria, marinai di questa zattera
(…) è l’umanità
quella che oggi lanciano dal bordo. La vera crisi si manifesta nel
collasso di una struttura di potere piramidale sulla
base insostenibile di un’economia
che pone come centro il capitale e non lo sviluppo umano, una struttura
che personaggi come Trump
pretendono seguire salvando a costo del cannibalismo, e questo sarà il
loro naufragio. È demagogico e falso il discorso delle cupole che
assicura che il coronavirus “ci rende uguali”,
dato che attacca ricchi e poveri
ugualmente. “La pandemia sì che s’intende di classi sociali”, risponde
Carmen San José. E aggiunge: «No, no usciremo unite e uniti da questa
pandemia perché non lo siamo né
in questa come in nessun’altra situazione». Ingar Solty ci ricorda che
«così com’è successo con la mortale influenza spagnola del 1918-1919, le
vulnerabilità durante una crisi hanno un marcato e forte segno di
classe”. E pone vari esempi attuali molto amari: «La maniera più
evidente e diretta in cui le disuguaglianze sociali danneggiano in modo
differente la classe capitalista e la classe lavoratrice durante una
crisi sanitaria, la mostra il nuovo fenomeno dei medici-custodi. Si
tratta di medici che solo prestano servizio a clienti privati ricchi che
li pagano per la loro assistenza 24 ore su 24. Mentre cresce la crisi
del coronavirus, la gente ricca si può sottoporre alla prova di
positività del virus, anche se non presenta sintomi, riceve concentrati
di ossigeno, maschere respiratorie e altro, mentre
lavoratori con i sintomi di Covid- 19 devono lottare perché
facciano loro il test, e poi pagare la fattura. Quando tutto il mondo
deve optare per fuggire invece di lottare, i capitalisti più ricchi (…)
fuggono in maniera esclusiva. I viaggi in aereo privati si sono
moltiplicati per dieci. I
multimilionari (…) si rifugiano nelle loro sicure seconde residenze nel
paese o all’estero, dove l’isolamento si sopporterà in modo molto
diverso da quello che deve soffrire la classe operaia.
Un reportage del The New York Times di Alex Williams e Jonah
Engel Bromwich, spiega in dettaglio come le cupole “non badano alle
spese per minimizzare la
loro esperienza con il coronavirus”. Si costruiscono installazioni
isolate più inaccessibili del bunker di Hitler, con il massimo confort;
pagano quelle che chiamano “visite
boutique”, con equipaggiamento medico e assistenza specializzata a
domicilio; viaggiano in
yachts o aerei privati in luoghi
dove il virus non è ancora arrivato e si permettono curiosi capricci e
stravaganze. Ci sono famosi che comprano gel anti batteri di marca e
mascherine eccezionali e molto care. Inoltre si fanno selfies nelle reti
per mostrarle. Alcuni preferiscono un’elegante “mascherina urbana” di
una compagnia svedese di nome Airinum, che ha cinque cappe filtro e
rifiniture ideale nel contatto con la pelle”. Altri acquistano quello
che fabbrica la Cambridge Mask Co., un’impresa britannica che quello che
chiama “cappe filtro di
particole e carbonio di grado militare”. Agli antipodi di questi
milionari ci sono i gruppi enumerati da Boaventura
de Sousa Santos. «Hanno in comune una vulnerabilità speciale che precede
la quarantena e si aggrava con lei. «Questi gruppi formano quello che
chiamo il Sud. Nel mio concetto,
il Sud non designa uno spazio geografico. Designa uno spazio-tempo
politico, sociale e culturale. È la metafora della sofferenza umana
ingiusta, provocata dallo sfruttamento capitalista, dalla
discriminazione razziale e sessuale. Donne,
lavoratori, precari e informali, venditori ambulanti, gli abitanti del
periferie più povere delle città (favelas, slums, canico e altro),
anziani, internati nei campi dei rifugiati, immigranti senza documenti,
popolazioni sfollate internamente, persone invalide – con la precisione
di un chirurgo Sousa Santos esamina ogni tragedia specifica di questi
gruppi vulnerabili. E fa e si fa domande che sono dardi: «Come sarà la
quarantena per quelli che non hanno casa? Persone che senza casa passano
le notti in viadotti, stazioni abbandonate della metropolitana o dei
treni, tunnel dell’acqua pluviale o tunnel fognari in tante città del
mondo. Negli USA li chiamano “tunnel people”. Come sarà la quarantena
nei tunnels?» Anche se il
panorama che traccia Sousa Santos è terrificante, lui stesso ci
chiarisce che «la lista di coloro che stanno nel Sud
della quarantena è lontana dall’essere esaustiva». Basta, senza
dubbio, per dimostrare la sua tesi: «…la quarantena non solo si fa più
visibile, ma rinforza l’ingiustizia, la discriminazione, l’esclusione
sociale e la sofferenza provocata. Queste asimmetrie diventano
invisibili di fronte al panico che colpisce coloro che non sono abituati
a tutto questo. Ai gruppi vulnerabili citati da
Sousa Santos andrebbero sommati i
latini e i negri degli USA. Un’inchiesta pubblicata il 25 marzo scorso
segnala che gli ispanici sono più facili al contagio del Covid – 19. L’8
aprile sono circolate dichiarazioni del chirurgo generale Jerome Adams,
uno dei portavoce del governo in tema di salute:«Molti negri
statunitensi , ha detto,
corono maggior pericolo con il Covid – 19». Gi ispanici sono il 29%
della popolazione di Nuova York e rappresentano il 34% dei morti per il
virus nella città.
La comunità negra di NY è
particolarmente minacciata e accumula il 28% dei morti, anche se
rappresenta solo il 22% della popolazione. Che succederà dopo
l’epidemia? , si chiedono molti. Tra loro re Slavoj Zizek,
che ha visto nel Covid – 19 un
colpo di Kill Bill al
capitalismo”, l’ arrivo di “un comunismo rinnovato” o, in cambio, “la
barbarie”. Altri, molto pessimisti vedono nella pandemia un’opportunità
per il sistema di rinforzare il suo controllo e di farlo più crudele.
Molti non osano fare predizioni ma coincidono che non è concepibile
tornare allo stato di cose precedente. Lo stesso
António Guterres, Segretario Generale della ONU, ha sentenziato:
«Semplicemente non possiamo ritornare dove stavamo prima che ci colpisse
il Covid – 19 , con società non necessariamente vulnerabili alla crisi.
La pandemia ci ha ricordato, nel modo più duro possibile, il prezzo che
paghiamo per le debolezze nei sistemi di salute, le protezioni sociali e
i servizi pubblici. La pandemia ha sottolineato ed esacerbato le
disuguaglianze e soprattutto la disuguaglianza di genere. Ha posto in
rilievo le sfide attuali in materia di diritti umani includendo lo
stigma e la violenza contro le donne. Ora è i momento di raddoppiare i
nostri sforzi per costruire economie e società più inclusive e
sostenibili che siano più resistenti di fronte alle pandemie, il cambio
climatico e altre sfide globali».
Javier De Lucas dichiara in modo tagliente che non vuole tornare
alla precedente normalità: •«…questo modo
d’intendere la politica che dimentica o subordina sempre quello
che realmente importa(…). Non voglio tornare in questa realtà nella
quale gli anziani sono un fastidio, coloro che poi piangiamo con
ipocrisia dopo averli confinati, confinati sì, al di fuori della nostra
vista». Juan Manuel P. Domínguez ascolta con attenzione “le voci
critiche sempre più presenti nelle reti sociali e i media alternativi”
ed esprime la speranza che
la crisi le faccia sempre più influenti di fronte a un neoliberalismo
“immobilizzato dal virus”. Inoltre nessuno vuole, al di fuori del pugno
di magnati arricchiti con la selvaggia rapina perpetrata nell’era
neoliberale, che il mondo torni ad essere come prima – afferma Atilio
Borón, nella più lucida riflessione scritta attorno a questa crisi. Per
Atilio, “la prima vittima fatale” della pandemia “è stata la versione
neoliberale del capitalismo”; anche se non crede “che il virus in
questione abbia operato il miracolo di far finire non solo il
neoliberalismo ma anche la struttura che lo sostiene: il capitalismo
come modo di produzione e come
sistema internazionale”.
“Ma l’era neoliberale
(segnala) è un cadavere
ancora insepolto ma impossibile da resuscitare.” Il capitalismo, in
cambio, come ha detto Lenin, “non cadrà se non esistono le forze sociali
e politiche che lo fanno cadere”. È
sopravvissuto alla detta influenza spagnola e al tremendo crollo globale
della Grande Depressione. Ha dimostrato una non usuale resilienza, già
avvertita dai classici del marxismo per processare la crisi e anche
uscirne rinforzato da questa: «Pensare che in assenza di quelle forze
sociali e politiche segnalate dal rivoluzionario
russo (che al momento non si percepiscono né negli USA né nei paesi
europei) ora si produrrà il
tanto anelato decesso di un sistema immorale, ingiusto e predatorio,
nemico mortale dell’umanità e della natura, è più l’espressione di un
desiderio che il prodotto di un’analisi concreta». Atilio ci propone
come ipotesi di lavoro: “…una transizione sino al
post capitalismo (…) con passi
avanti profondi in alcuni terreni: l’eliminazione della
finanziarizzazione dell’economia, l’eliminazione della
mercantilizzazione della
sanità e della previdenza
sociale, per esempio, e altri più vacillanti, inciampando con le
maggiori resistenze della borghesia in aree come i rigorosi controlli
del casinò finanziario mondiale, la statizzazione dell’industria
farmaceutica (…), le industrie strategiche e i media di comunicazione,
oltre al recupero pubblico delle dette “risorse naturali…” Un mondo
post-pandemia con “molto più Stato e meno mercato” e masse popolari più
coscienti e politicizzate (grazie alle amarissime lezioni de virus
del neoliberalismo) e “propense a cercare soluzioni solidali,
collettive ed anche socialiste”. Nel mezzo inoltre di una nuova
geopolitica, con l’imperialismo statunitense screditato, carente del
potere di altri tempi e col suo prestigio internazionale molto
debilitato. La Cina ha potuto controllare la pandemia e gli USA no;
Cina, Russia e Cuba aiutano a combatterla in Europa e Cuba, esempio
mondiale di solidarietà invia medici e medicinali ai cinque continenti,
mentre la sola cosa che fanno coloro che transitano per la Casa Bianca è
inviare 30.000 soldati per un esercizio militare con la NATO e indurire
le sanzioni contro Cuba, Venezuela e Iran, in quello che costituisce un
evidente crimine di guerra. Lo scenario successivo alla pandemia
rappresenta per Atilio, una tremenda sfida per tutte le forze
anticapitaliste del pianeta e una’opportunità unica, non sperata, che
sarebbe imperdonabile non approfittare. Si
deve formare coscienza, organizzare e lottare, lottare sino alla fine.
E ricorda Fidel in quella
riunione della Rete “In difesa dell’Umanità”, nella Fiera del Libro del
2012: «…se vi dicono : siate sicuri che scompare
il pianeta e scompare questa specie pensante, che cosa fate? Vi
mettete a piangere? Credo che si debba lottare, che è quello che abbiamo
fatto sempre». Fa molto bene Atilio a ricordare Fidel di fronte alla
crisi, l’incertezza, l’orrore e lo
spettacolo del neoliberalismo, nudo e ridicolo come il re della fiaba. E
anche di fronte alle speranze che si possono aprire. Cuba, grazie
a Fidel, alle sue idee, alla sua opera monumentale, ha posto la
medicina, la scienza e tutte le forze dello Stato al servizio
dell’essere umano e in particolare dei più vulnerabili, nel loro
territorio e in ogni luogo. Se
pensiamo sul serio a un mondo futuro post capitalista, dobbiamo
ricordare come Atilio, Fidel e Cuba. I nostri medici e infermieri
internazionalisti anticipano ogni giorno questa utopia con la quale
molti sognano adesso.