di Sandro
Scardigli
“Il
vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d’amore. E’ impossibile
concepire un autentico rivoluzionario che non abbia questa qualità. Forse è
proprio questo uno dei maggiori drammi del dirigente, che deve unire a uno
spirito appassionato una mente fredda, e deve saper prendere le più dolorose
decisioni senza che un solo muscolo gli si contragga”.
(Ernesto “Che” Guevara, da “Il socialismo e l’uomo a Cuba”)
Di Cuba solitamente si
parla poco. Mito politico giovanile nella seconda metà degli anni sessanta e
fino all’inizio dei settanta, assimilata dai più al sistema “sovietico”
negli anni seguenti, si ricominciò a prestare un po’ di attenzione a questa
realtà parallelamente alla riscoperta della figura di “Che” Guevara,
avvenuta in Italia ed in Europa verso la fine degli anni ottanta.
A Cuba era il periodo del
“Processo di Rettifica”, un tentativo (fra l’altro) di revisione critica da
sinistra del parziale appiattimento sulle posizioni dell’Urss e delle
tendenze al burocratismo e al conformismo che si erano estese e consolidate
durante tutti gli anni settanta.
Con l’avvento di Gorbaciov
alla guida del Pcus i cubani cominciarono a mettere seriamente in conto la
possibilità di una restaurazione capitalistica in quel paese, con la
conseguente necessità di evitare che la “Perestroika” attecchisse anche a
L’Avana, vanificando la Rivoluzione. Il recupero del pensiero di Josè Martì
e di Guevara, l’approfondimento delle radici nazionali della Rivoluzione
ebbero una forte spinta. Ne derivò una maggiore vivacità anche in campo
culturale, con l’affermazione di giovani scrittori e registi
cinematografici, con uno “svecchiamento” del dibattito sia politico che
culturale.
Unendo tutto ciò ad una
situazione di relativo benessere economico su basi pressoché egualitarie, si
può dire che gli anni ottanta furono un periodo molto buono per i cubani.
Purtroppo durò poco. A
partire dal 1990 la morente Urss troncò quasi di netto i propri rapporti
economici e politici con L’Avana, provocando un crollo dell’83% del
commercio estero cubano (1991-92). Iniziava il “Periodo Speciale”, del quale
parlerò più estesamente nella seconda parte di questo articolo.
All’estero quasi tutti si
aspettavano un rapido crollo della Rivoluzione. Quando si vide che ciò non
avveniva, si smise semplicemente di parlare di Cuba. Da allora dell’“Isola
Rossa” si parla quasi soltanto (con l’eccezione del caso Elian e della
visita papale) quando ci sono problemi migratori con gli Usa, quando vengono
condannati supposti dissidenti o quando il suo governo è costretto ad
accordi di compromesso con il capitale straniero.
Evidentemente, la cattiva
coscienza di una “sinistra” che ha buttato a mare ogni riferimento classista
e socialista per abbracciare (nel migliore dei casi) teorie
liberal-cattoliche di libertà individuale e “diritto di cittadinanza”, ha
bisogno di convincere soprattutto se stessa che qualsiasi tentativo di
liberazione sociale e politica del proletariato e delle classi subalterne è
improponibile e che gli stati che vi si richiamano sono residui autoritari
del passato.
Il culmine di questa
isteria anticomunista si è raggiunto in concomitanza con le condanne a pene
detentive di 78 “dissidenti” cubani e, soprattutto, con la fucilazione di
tre terroristi dirottatori di un’imbarcazione.
Nei limiti di spazio di un
pur lungo articolo cercherò di inquadrare la questione, non limitandomi alla
cronaca dell’oggi.
CUBA
DALLA CONQUISTA ALL’ “INDIPENDENZA”
Cuba è scoperta da
Cristoforo Colombo il 27 ottobre del 1492, durante il suo primo viaggio
verso le Americhe. Il navigatore genovese sbarca sulla riva della località
di Baracoa. Il nome Cuba forse deriva dalla parola con la quale gli indigeni
chiamavano il proprio territorio.
La popolazione autoctona fu
sterminata. Il capo degli indigeni Hatuey venne condannato al rogo. Nella
Cuba di oggi non resta alcuna traccia di quelle popolazioni. Il genocidio fu
pressoché totale. Quando gli spagnoli iniziarono la conquista di Cuba, si
calcola che gli indigeni fossero circa 100.000. Nel 1550 ne erano rimasti
5.000.
L’Avana diventò uno dei più
grandi porti del mondo, ma anche ritrovo di scorribande di pirati e
contrabbandieri che cercavano di assaltare la flotta spagnola. L’isola
acquistò la funzione di punto per la sosta durante la traversata verso o
dalle Americhe. Il simbolo di Cuba diventò quindi una chiave, la chiave
d’accesso da un punto all’altro del continente americano.
Diego Velazquez, nel nome
di Spagna e Compagnia delle Indie, inizia la distribuzione delle proprietà e
fonda le città principali dell’isola.
La coltivazione su larga
scala di zucchero e tabacco inizia nel 1614. Questi diventano presto
prodotti pregiati per tutto il mercato europeo. Intorno alle suddette
attività economiche, nel Settecento si forma una borghesia creola.
Di pari passo con lo
sviluppo del commercio via mare inizia a prosperare la tratta degli schiavi
neri, provenienti dall’Africa. Lo schiavismo era necessario per la mancanza
di una sufficiente forza-lavoro autoctona. In quattro secoli (1500-1800)
furono deportati a Cuba dall’Africa quasi quindici milioni di schiavi. Alla
fine del Settecento cinquecento famiglie controllavano la ricchezza
dell’isola.
Le scorrerie dei pirati
rappresentarono la minaccia più grave per i commerci spagnoli, che passavano
obbligatoriamente da Cuba. Un’altra minaccia era costituita dagli inglesi,
che nel 1762 riuscirono ad occupare L’Avana per undici mesi.
Nonostante la brevità di
questa presenza, i più avanzati modelli economici inglesi si affermarono in
sostituzione di quelli spagnoli e fu introdotto il libero commercio.
Tra la fine del Settecento
e l’inizio dell’Ottocento, a seguito della rivolta degli schiavi ad Haiti,
Cuba vede un incremento vertiginoso della produzione ed esportazione dello
zucchero.
Nonostante i progressi
economici Cuba non partecipa, nei primi decenni dell’Ottocento, alle lotte
di indipendenza dalla Spagna, che investono il resto dell’America Latina.
Ciò perché la borghesia creola teme che neri e schiavi (il 56% della
popolazione) prendano il potere in mancanza della presenza spagnola.
Ma una parte della
borghesia nazionale inizia a guardare con favore ad una possibile
annessione di Cuba agli Usa, ipotesi caldeggiata anche negli Stati Uniti
dalla “Dottrina Monroe” del 1823 (“L’America agli americani”, cioè agli
yankees).
La percentuale di neri
residenti a Cuba tocca il 58% nel 1841. Si verificano in quegli anni diverse
rivolte di schiavi. Lo sviluppo dell’industria dello zucchero da l’avvio
alla contaminazione tra cultura bianca e cultura nera, che diventa una delle
principali caratteristiche cubane.
Nel 1848 la borghesia
cubana teme che i movimenti rivoluzionari europei mettano a rischio i propri
mercati. Il deterioramento dei rapporti tra Inghilterra e Spagna fa temere
l’implosione dell’impero spagnolo. Ciò da forza alla tendenza annessionista
verso gli Stati Uniti. Nel 1850 questi settori di borghesia organizzano una
ribellione contro gli spagnoli. Contemporaneamente comincia a prendere forma
un movimento per l’indipendenza nazionale di Cuba.
La prima fase della lotta
per l’indipendenza di Cuba dalla Spagna (la “Guerra dei Dieci Anni”) dura
dal 1868 al 1878. Questa fase è egemonizzata dalla borghesia creola ed
inizia il 10 ottobre 1868, quando il proprietario terriero Carlos Manuel De
Cespedes libera gli schiavi urlando lo slogan “Viva Cuba libre!” davanti a
centinaia di persone. Dopodiché si mette alla testa di duecento uomini in
armi.
La borghesia creola assunse
questo atteggiamento indipendentista a causa del superato sistema economico
che si basava sulla schiavitù e per i problemi irrisolti nei rapporti tra
Cuba e la Spagna.
Nell’aprile 1869 fu varata
la prima Costituzione per i territori liberati, nella parte orientale
dell’isola. Tra i suoi principi: l’abolizione della schiavitù, l’elezione
democratica di Presidente della Repubblica e Camera dei Deputati. De
Cespedes viene eletto Presidente.
La guerra indipendentista
infiamma anche il resto di Cuba e, nel 1874, Maximo Gomez guida un tentativo
di liberazione della sua parte occidentale. Cespedes e altri leaders furono
uccisi ma, sotto la guida di Antonio Maceo: “La lotta deve continuare fino
all’abolizione della schiavitù e all’indipendenza dell’isola” (Giuramento di
Baraguà). Non andò bene: Gomez e Maceo furono esiliati.
La lotta da comunque i suoi
frutti: la schiavitù viene abolita ufficialmente e la raccolta dello
zucchero avviene tramite lavoratori salariati. Ciò provoca la trasformazione
capitalistica dell’economia cubana.
L’intellettuale Josè Martì
guida la fase finale della seconda guerra di indipendenza (1895), dopo aver
riunito le varie componenti indipendentistiche nel Partito Rivoluzionario
Cubano. Questa agognata sintesi unitaria del movimento patriottico in una
sola forza politica costituisce la base ideale della scelta del partito
unico dopo il trionfo rivoluzionario del 1959: in un paese sottosviluppato e
dipendente solo il popolo politicamente unito può costruire uno stato
indipendente dall’imperialismo.
Josè Martì cadde in
combattimento il 19 maggio del 1895. Il giorno prima aveva scritto una
lettera nella quale, a proposito degli Usa, affermava: “Ho vissuto nel
mostro e conosco le sue viscere”.
Prima di Martì e degli
altri leaders politico-militari indipendentisti furono Felix Varela e suo
nipote Josè de la Luz y Caballero gli artefici principali di una coscienza
nazionale cubana e di un pensiero progressista e anticolonialista.
Dopo il trattato di pace
del 10 dicembre 1898, si arriva all’indipendenza formale di Cuba. Con la
firma dell’”Emendamento Platt”, che accompagna la sigla della pace (mediata
dall’Amministrazione statunitense): “Cuba acconsente che gli Usa conservino
il diritto di intervento per il mantenimento dell’indipendenza e di un
governo stabile nell’isola”. Cuba non può firmare trattati internazionali
senza l’autorizzazione di Washington e concede agli Usa l’usufrutto della
base militare di Guantanamo su territorio cubano. Si da vita alla “Pseudo-Repubblica”,
come viene definita dai cubani.
La bandiera nazionale è
composta da: tre bande blu che rappresentano le antiche province dell’isola;
due bande bianche che rappresentano la pace; il triangolo rosso il sangue
sparso per l’indipendenza; i tre lati, ispirati alla Rivoluzione francese,
la libertà, l’uguaglianza, la fratellanza; la stella bianca al centro la
libertà conquistata dopo trenta anni di lotte (“un rubin, cinco franjas y
una estrella” della canzone “Que linda es Cuba”).
DALLA
PSEUDO-REPUBBLICA AL TRIONFO RIVOLUZIONARIO
Dopo l’occupazione militare
nordamericana (1898-1902) fu proclamata la Repubblica di Cuba. Si succedono
vari governi conservatori legati agli interessi economici statunitensi. Nel
1925 Julio Antonio Mella fu tra i fondatori del Partito Comunista Cubano.
Per questo partito, il primo obiettivo è l’unità nazionale tra bianchi e
neri come rifondazione dell’idea di nazionalità cubana. Si forma nello
stesso anno la Confederazione nazionale operaia.
Mella fu assassinato in
Messico ufficialmente da due sicari del dittatore cubano Machado. Va però
detto che, negli ultimi anni della propria vita, questo giovane
rivoluzionario fu perseguitato dalla Gpu sovietica, guidata in Messico da
Vittorio Vidali (l’assassino di Andres Nin in Spagna). Mella era fautore
della rivoluzione latinoamericana e questo cozzava contro la dottrina del
“Socialismo in un solo paese” dell’Urss.
Dal 1925 al 1933 Cuba vive
sotto il tallone della dittatura fascista di Machado, defenestrato da una
rivolta popolare e militare. Il successivo governo di Grau San Martin si
poneva obiettivi progressisti che andavano a cozzare contro gli interessi
Usa. Dopo un semi-blocco economico dell’isola gli Stati Uniti portano al
potere con un golpe il colonnello Fulgencio Batista (dietro il paravento del
moderato Carlos Mendieta). I presidenti si succedono, la dipendenza dagli
Usa aumenta, Batista esercita il potere effettivo.
Durante l’Amministrazione
Roosevelt, Batista (Presidente della Repubblica dal 1940 al 1944) intesse
buoni rapporti con i comunisti, appoggia alcune riforme sociali e una nuova
Costituzione molto avanzata. Ma, con la Guerra Fredda, la situazione cambia
ed il movimento operaio e popolare viene perseguitato.
La corruzione dilaga,
denunciata principalmente dal progressista Partito Ortodosso.
Il 10 marzo 1952 Batista,
con un golpe militare, destituisce il Presidente Prio Socarras, dando vita
ad una sanguinaria dittatura di destra.
Il primo tentativo
rivoluzionario contro Batista avvenne nel 1953, centenario della nascita di
Josè Martì. Il 26 luglio un gruppo di giovani guidati dall’avvocato Fidel
Castro, ex leader degli studenti e proveniente dal Partito Ortodosso, da
l’assalto alla Caserma Moncada di Santiago di Cuba e ad altri edifici
strategici della città. L’impresa fallisce ed i rivoluzionari vengono
sopraffatti. Su 160 partecipanti, 70 vengono uccisi dopo la cattura, 32
processati e una quarantina riesce a darsi alla macchia.
Durante il processo Castro
pronuncerà una celebre autodifesa, diventata famosa con il titolo “La storia
mi assolverà”. E’ il primo manifesto programmatico della futura Rivoluzione
e, secondo la storiografica cubana, il documento che ne definisce
implicitamente il carattere socialista.
Per dare una risposta
politica alla crescente simpatia popolare verso gli insorti, il regime
indice elezioni farsa e promulga una amnistia. Gli insorti del Movimento 26
luglio si trasferiscono in Messico, da dove preparano lo sbarco armato a
Cuba.
Il 2 dicembre 1956 lo yacht
“Granma”, con a bordo 82 guerriglieri, sbarca sulla costa cubana. Nei mesi
precedenti il Movimento 26 luglio, l’organizzazione studentesca “Direttorio
Rivoluzionario” ed il Partito Socialista Popolare (nuovo nome del PC),
avevano organizzato scioperi, attentati, manifestazioni, alle quali il
regime aveva risposto con una sanguinosa repressione.
I guerriglieri sbarcati
vengono intercettati dall’esercito batistiano. Fu una strage: solo 12 furono
i superstiti ancora in grado di combattere. Con il passare dei mesi questo
piccolo nucleo (“i dodici apostoli della libertà”) acquisisce nuovi elementi
e supera la diffidenza dei contadini. Nel 1958 il PSP ed il Direttorio si
uniscono al Movimento 26 luglio.
Contemporaneamente allo
sviluppo della guerriglia in montagna si sviluppa la guerriglia urbana e, il
13 marzo 1957, il Direttorio Rivoluzionario, guidato da Josè Antonio
Echevarria, assalta il Palazzo Presidenziale. Batista riesce a fuggire ed
Echevarria viene abbattuto a colpi di fucile.
Nella notte tra il 31
dicembre 1958 ed il 1° gennaio 1959 Batista fugge dal paese. L’Avana, che
era diventata una città casino, piena di prostitute, mafiosi e giocatori
d’azzardo, si prepara ad accogliere i “Barbudos”.
SUI
FONDAMENTI TEORICI E POLITICI DELLA RIVOLUZIONE CUBANA
Il pensiero e la vita di
Josè Martì costituiscono il riferimento di fondo dell’ideologia del
Movimento 26 luglio prima e del “martiano e marxista” Partito Comunista di
Cuba (nato nel 1965 dalla definitiva fusione di tutte le correnti
rivoluzionarie) poi.
Dal forte contenuto sociale
ed antimperialista, gli scritti dell’”apostolo” Martì (scrittore, poeta,
uomo d’azione) costituiscono una sintesi matura del pensiero sociale e
indipendentista latinoamericano che si era sviluppato in tutto l’Ottocento.
Josè Martì fu costretto, tra l’altro, ad emigrare negli Stati Uniti e, dalla
conoscenza di quella realtà, trasse una chiara consapevolezza della
pericolosità del nascente imperialismo Usa per la libertà e l’indipendenza
degli altri popoli del continente.
Ne scaturisce un pensiero
valido per le lotte di liberazione di tutta l’America Latina e ricco di
indicazioni per l’emancipazione sociale delle classi subalterne.
Il profondo umanesimo della
Rivoluzione cubana, l’importanza quasi maniacale data all’educazione,
l’internazionalismo costitutivo del patriottismo cubano, sono un lascito del
pensiero martiano.
Marxismo e leninismo, in
questo quadro, costituiscono la sistematizzazione scientifica e la
prosecuzione logica di una scelta di campo a favore degli sfruttati e degli
oppressi che, negli anni sessanta, si inserisce nel vasto movimento
anticolonialista e antineocolonialista che individua nella scelta socialista
la risposta al sottosviluppo, all’esclusione sociale, all’imperialismo.
“Si può fare la rivoluzione
se si interpreta correttamente la realtà storica e se, altrettanto
correttamente, si utilizzano le forze che vi intervengono, anche senza
conoscere la teoria. E’ chiaro che una adeguata conoscenza della teoria
semplifica il compito e impedisce di cadere in pericolosi errori: purchè
però la teoria corrisponda alla verità. Parlando concretamente di questa
Rivoluzione, va sottolineato il fatto che i suoi principali protagonisti
non erano proprio dei teorici, anche se non ignoravano i grandi fenomeni
sociali e l’enunciazione delle leggi che li governano. Questo ha consentito,
sulla base di alcune conoscenze teoriche e di una profonda coscienza della
realtà, la nascita graduale di una teoria rivoluzionaria” (Ernesto “Che”
Guevara, “Note per lo studio dell’ideologia della Rivoluzione Cubana”,
1960). Mi sembra che queste parole di Guevara sintetizzino chiaramente il
metodo prassi-teoria-prassi seguito dai rivoluzionari cubani, che ha portato
ad un’adesione pragmatica e non dogmatica al marxismo e al leninismo.
L’arringa difensiva
pronunciata da Castro durante il processo contro i partecipanti all’assalto
della Caserma Moncada del 26 luglio 1953 contiene le rivendicazioni
principali della Rivoluzione, tra le quali la riforma agraria, la lotta
all’analfabetismo, una sanità pubblica e gratuita, l’indipendenza nazionale
dall’imperialismo Usa. Secondo la storiografia ufficiale cubana è qui che
sostanzialmente si compie in maniera implicita la scelta socialista di
Fidel. La cattolicità di molti cubani e l’influenza culturale nordamericana
avrebbero reso impopolare una scelta da subito esplicitamente marxista.
Questa doveva maturare nel corso della lotta e con la chiarificazione a
livello di massa del vero volto del capitalismo imperialista.
Una sistematizzazione
teorica del socialismo cubano è contenuta nel testo “Il socialismo e l’uomo
a Cuba”, scritto da Guevara nel 1965. Vi si ripercorrono le varie fasi della
Rivoluzione: presa di coscienza e azione di un nucleo guerrigliero dove il
fattore individuale volontaristico era fondamentale; contaminazione tra
avanguardia e mobilitazione popolare (con conseguente progressiva
proletarizzazione del pensiero rivoluzionario) mantenendo e incoraggiando il
ruolo fondamentale dell’individuo cosciente animato da spirito di servizio
ed emulazione; vittoria militare e presenza dell’Esercito Ribelle come
garanzia armata del potere rivoluzionario; mobilitazione di massa permanente
in rapporto diretto e dialettico con Fidel ed il Comando della Rivoluzione,
circolo virtuoso per la creazione graduale della nuova società e delle sue
istituzioni; costituzione del nuovo Partito Comunista di Cuba come
organizzazione di avanguardia tendente ad ingrandirsi proporzionalmente allo
sviluppo culturale e politico delle masse. Tutto ciò in una ricerca continua
degli strumenti e dei metodi per mantenere ed ampliare una politicizzazione
e partecipazione permanente della società, trasformando questa (in tutti i
propri aspetti) in una “scuola” permanente di formazione dell’uomo nuovo
comunista, vittorioso sull’asservimento e sull’alienazione.
Nella sua sinteticità
questo testo è molto bello ed interessante. Sicuramente condensa il meglio
del pensiero teorico del “Che” e delle aspirazioni della Rivoluzione.
Superato (grazie all’esperienza diretta) il periodo dell’adesione quasi
acritica al “Socialismo Reale”, Guevara sviluppa qui una critica
intelligente del dogmatismo nell’arte, criticando il “Realismo Socialista”;
afferma inoltre che “non dobbiamo creare dei docili stipendiati ossequienti
al pensiero ufficiale, né dei ‘borsisti’ che vivano al riparo del bilancio
statale, fruendo di una libertà tra virgolette. Ormai verranno i
rivoluzionari, che intoneranno il canto dell’uomo nuovo con l’autentica voce
del popolo”.
Purtroppo, negli anni
seguenti, ci furono sia gli ossequienti che i borsisti, ed era inevitabile.
La mancata estensione della Rivoluzione ad altri paesi dell’America Latina
ed il legame economico con Urss e compagnia favorirono una parziale
involuzione burocratica e un minor spirito di ricerca nel campo artistico ed
intellettuale.
Ma Fidel e la generazione
di quadri provenienti dal Movimento 26 luglio, insieme allo spirito ribelle
del popolo cubano, hanno contribuito in maniera decisiva a mantenere sane le
radici del sistema, impedendone l’involuzione autoritaria che Mosca, ma
anche alcuni settori del Partito cubano provenienti in massima parte dal PSP
(come Anibal Escalante) avevano (in buona fede, perché era la loro linea
politica), perseguito.
Il tanto vituperato
(fuori da Cuba) partito unico è, come ho già accennato, uno dei fondamenti
politici della Rivoluzione Cubana.
Nello statuto del Partito Rivoluzionario Cubano di Josè
Martì si affermava che il Partito si costituisce, concretamente, per
arrivare all'indipendenza di Cuba, fomentare e aiutare quella di Porto Rico;
condurre una guerra generosa e breve indirizzata ad assicurare nella pace e
nel lavoro la felicità degli abitanti dell'isola; unire gli elementi
rivoluzionari esistenti e coinvolgerne di nuovi, senza accordi immorali con
nessun uomo o nazione, con il fine di fondare una nazione capace di
assicurare la felicità dei suoi figli e svolgere nella vita storica del
continente i compiti difficili che la sua situazione geografica le additava;
fondare un popolo nuovo e di sincera democrazia, capace di vincere i
pericoli della libertà in una società segnata dalla schiavitù; salvare il
paese dai pericoli esterni o interni che lo minacciano e sostituire il
disordine economico con un sistema pubblico che permetta le diverse attività
dei propri abitanti.
Martì concepì e organizzò
il Partito come organizzazione democratica tendenzialmente di massa, fronte
unico di tutti gli indipendentisti non legati agli Usa, organizzatore della
guerra, strumento politico pluralista per la gestione del futuro stato. Le
diverse opzioni politiche al suo interno dovevano verificarsi nell'azione
("Fare è il miglior modo di dire").
Questo progetto fallì, il
Prc post-Martì si dissolse dopo essere passato in mano a Estrada Palma,
filo-Usa e primo Presidente di Cuba.
La storia della
Pseudo-Repubblica, come abbiamo visto, dimostra quanto i principali partiti
fossero appendici dell'imperialismo Usa e quanto la divisione dei
rivoluzionari abbia inciso negativamente nella storia cubana.
Il primo Partito Comunista
guidato da Julio Antonio Mella intuì l'importanza non solo della liberazione
di classe, ma della necessità di rifondare la "cubanità" sulla base di un
nuovo concetto di nazione, senza discriminazioni razziali e sociali.
Il concetto di patria e di
patriottismo si pone in maniera diversa in un paese imperialista rispetto ad
un paese oppresso dall'imperialismo. Se nel primo caso "i proletari non
hanno patria", nel secondo è proprio liberando la propria di patria che si
può realizzare un regime emancipato ad un tempo dall'oppressione di classe e
da quella straniera.
In questo senso l'odierno
Partito Comunista di Cuba è "martiano e marxista": la scelta socialista è
vista come realizzazione sostanziale dell'indipendenza, della giustizia
sociale e della dignità personale.
In una situazione di
permanente attacco dall'esterno e con rapporti di forza internazionali
favorevoli nettamente all'imperialismo, l'introduzione del pluripartitismo
favorirebbe solo la creazione di gruppi politici fittizi (e
controrivoluzionari) tenuti in piedi dai finanziamenti statunitensi e
occidentali. Il Partito Comunista di Cuba è un'avanguardia pluralista e
composita. Non è un Partito-Stato. E le istituzioni politiche di Cuba, per i
loro criteri di elezione e funzionamento, permettono una concreta democrazia
partecipativa.
Chi agisce concretamente
per far tornare Cuba una colonia è un fuorilegge.
E' un bene che sia così.
LA POLITICA ESTERA DELLA
RIVOLUZIONE: “CUBA PRIMO TERRITORIO LIBERO D’AMERICA”.
“…I proiettili morali sono
un’arma di efficacia così distruttiva, che tale elemento diventa il più
importante nella determinazione del valore di Cuba”. Questa frase del Che,
tratta dal suo articolo “Tattica e strategia della rivoluzione
latinoamericana”, pubblicato dopo la sua morte, sintetizza bene a mio avviso
i principi che hanno ispirato la politica internazionalista della
Rivoluzione e che continuano ad ispirarla ancora, nonostante quel che è
successo nel mondo dal 1989 ad oggi: il principale apporto che Cuba, “primo
territorio libero d’America”, può offrire alla causa della liberazione
sociale e politica del Terzo Mondo è il suo esempio.
Un internazionalismo che
affonda le proprie radici nel pensiero latinoamericanista di José Martì e
nel primo programma politico del Partito Rivoluzionario Cubano, parte
essenziale di un patriottismo che non è sciovinista ma, al contrario,
pienamente cosciente di quanto sia interdipendente il destino di tutti i
popoli oppressi e di quanto lottare per la libertà di un popolo significhi
aiutare la causa di tutti gli altri. Come recitava nel 1962 la Seconda
Dichiarazione de L’Avana: “Cos’è la storia di Cuba se non la storia
dell’America Latina? E cos’è la storia dell’America Latina se non la storia
dell’Asia, dell’Africa e dell’Oceania? E cos’è la storia di tutti questi
popoli se non la storia dello sfruttamento più spietato e crudele
dell’imperialismo sul mondo intero?”
Il governo rivoluzionario
cominciò subito ad aiutare materialmente le lotte di liberazione, inviando
armi al Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) algerino dal 1961 ed ospitando
a Cuba feriti ed orfani di guerra da quel paese. Subito dopo l’indipendenza
la giovane Algeria fu minacciata militarmente dal Marocco neo-coloniale e
Cuba regalò al governo del FLN armi e mezzi blindati avuti dall’Urss per la
propria difesa.
Il legame politico tra Cuba
e l’Algeria di Ben Bella fu molto stretto e portò a momenti di coordinamento
effettivo nell’aiuto politico-militare ai movimenti anticolonialisti e
rivoluzionari: “Durante uno dei suoi soggiorni ad Algeri, il Che mi fece una
richiesta da parte di Fidel e della direzione rivoluzionaria cubana. Per
loro non era più possibile intervenire efficacemente a partire da Cuba in
aiuto alla rivoluzione armata in America Latina. Poiché Cuba era sottoposta
ad una rigida sorveglianza, non si poteva organizzare nulla di serio in
direzione dell’America del Sud, per inviarvi le armi ed i quadri militari
che erano stati addestrati a Cuba. L’Algeria non si sarebbe potuta
sostituire a Cuba? (…) La mia risposta fu ovviamente spontanea e positiva. E
così cominciò immediatamente l’organizzazione delle strutture necessarie ad
accogliere i movimenti rivoluzionari dell’America Latina, poste sotto il
controllo diretto del Che (…) Uno stato maggiore composto dai vari movimenti
si stabilì sulle alture di Algeri” (Ahmed Ben Bella, discorso commemorativo
nel 20° anniversario della morte del Che; da Roberto Massari, “Che Guevara,
l’uomo dal mito alla storia”).
Durò poco: nel 1965 un
golpe militare destituì Ben Bella, portando al governo Houari Boumedienne.
La politica algerina divenne compatibile con l’imperialismo.
America Latina ed Africa
sono stati terreni di scontro tra movimenti di liberazione ed imperialismo
che hanno visto un massiccio e concreto intervento politico e militare di
Cuba per circa trent’anni.
Nella prima metà degli anni
’60 si sviluppano movimenti armati in diversi stati latinoamericani, dei
quali il più forte è quello venezuelano. Cuba addestra sul proprio
territorio i guerriglieri, fornisce armi ed assistenza di ogni tipo. Il
Ministero degli Interni (MININT) cubano si dota di un “Viceministero
tecnico”, guidato da Manuel Pinneiro Losada (il leggendario Barbarroja),
avente il compito di aiutare i movimenti di liberazione e di indagare su
eventuali tentativi di aggressione all’Isola da parte dei
controrivoluzionari.
I movimenti di liberazione
in Sud America vengono purtroppo soffocati nel sangue e gli unici che negli
anni sono riusciti (pur senza vincere) a svilupparsi sono stati quelli
colombiani FARC ed ELN. Migliore sarà la sorte del Centro America con la
vittoria del FSLN nicaraguense nel 1979 e lo sviluppo di forti guerriglie in
El Salvador e Guatemala. Quel che anche in quest’area è successo dopo il
1989 lo sappiamo.
L’unica guerriglia
latinoamericana degli anni ’60 che sia oggi un po’ conosciuta in Europa al
di fuori di circoli ristretti è quella boliviana del 1966-1967, ma solo
perché lì morì il Che.
Nel suo messaggio alla
Tricontinentale, noto con la parola d’ordine “creare due, tre, molti
Vietnam”, Guevara teorizza la moltiplicazione degli scenari di guerra tra
movimenti di liberazione ed imperialismo, allo scopo di impegnare
simultaneamente gli Usa su più campi di battaglia, frazionando e indebolendo
le loro forze.
In questo quadro la Bolivia
era stata scelta per la tradizionale combattività del suo popolo e per la
disponibilità dichiarata alla lotta armata da parte del Partito Comunista
locale. Compito dei cubani doveva essere quello di attivare un piccolo
movimento armato che poi i rivoluzionari boliviani di ogni tendenza
avrebbero dovuto prendere in mano e trasformare in un vero esercito di
liberazione nazionale.
La guerriglia in Bolivia
avrebbe dovuto “incendiare” gli altri paesi del Cono Sud.
Ma la fiducia riposta da
L’Avana nel Partito Comunista Boliviano si rivelò infondata. Nonostante una
sua parte consistente, soprattutto l’organizzazione giovanile, aderisse
onestamente al tentativo guerrigliero, la frazione guidata dal segretario
Mario Monje tentò in ogni modo di estromettere i cubani dalla sua guida e di
espellerne i rivoluzionari appartenenti a gruppi rivali del PCB. A ciò va
aggiunta l’influenza dell’Urss sul Partito, contraria alla politica
interventista de L’Avana e desiderosa di non disturbare troppo il
rivale-interlocutore a stelle e strisce nel proprio giardino di casa.
A causa del sabotaggio del
PCB, delle difficoltà materiali e forse anche della sopravvalutazione delle
possibilità reali di successo, l’esperienza fallì tragicamente con la morte
di quasi tutti i suoi partecipanti. Inutilmente si cercò di farla rivivere
negli anni immediatamente seguenti.
Come abbiamo visto,
l’intervento internazionalista in Africa iniziò già almeno dal 1961, ma gli
avvenimenti simbolicamente più importanti sono la missione del Che in Congo
nel 1965 e la vittoria cubana di Cuito Cuanavale contro l’esercito
sudafricano in Angola nel 1988.
Dopo l’assassinio di
Patrice Lumumba, perpetrato dagli imperialisti dietro la copertura
dell’intervento militare Onu che doveva evitare la secessione della regione
mineraria del Katanga, la guerra civile in nell’ex Congo-Belga continuò e si
formarono gruppi guerriglieri che si dicevano eredi e continuatori
dell’esperienza di Lumumba.
Guevara capeggiò una
spedizione militare cubana di poco più di cento uomini, scarsamente
equipaggiati, aventi il compito di addestrare i guerriglieri congolesi. Ma
in realtà toccò ai primi sobbarcarsi il peso quasi esclusivo della guerra, a
causa di una dirigenza “rivoluzionaria” locale più occupata a gozzovigliare
nella vicina e ospitale Tanzania che a portare avanti la lotta di
liberazione del proprio paese. Fra questi leaders c’era anche la buonanima
Laurent Kabila, che trent’anni dopo riuscì a diventare presidente del Congo,
senza differenziarsi troppo dai cleptocrati sanguinari che continuano ad
infestare l’Africa.
Contro migliaia di soldati
regolari belgi e mercenari sia europei che statunitensi, costantemente
riforniti e avvicendati, c’era poco da fare in quelle condizioni. Il
contingente cubano venne dolorosamente ritirato.
Con l’aiuto alla Guinea
Bissau contro i colonizzatori portoghesi, in Etiopia contro le truppe somale
di Siad Barre, in Angola contro i razzisti sudafricani ed anche in altri
luoghi, l’internazionalismo politico-militare di Cuba in Africa è continuato
almeno fino al 1990, anno dell’indipendenza namibiana.
L’Angola ha festeggiato
quest’anno il 28° anniversario della propria indipendenza. Quando, in
conseguenza della Rivoluzione dei Garofani, il Portogallo iniziò a ritirare
le proprie truppe dalle colonie, si instaurarono in quasi tutti i nuovi
stati (Angola, Mozambico, Guinea Bissau e Capo Verde, Sao Tomè e Principe)
delle Repubbliche Popolari di orientamento marxista. L’Angola si proclamò
Repubblica l’11 novembre 1975. La Repubblica Sudafricana, sia con un proprio
contingente che appoggiando i gruppi armati angolani pro-imperialisti UNITA
ed FNLA, tentò di invadere il paese e di rovesciare il governo dell’MPLA
(Movimento Popolare per la Liberazione dell'Angola). Su richiesta di Luanda
i cubani inviarono migliaia di soldati (che arrivarono a 20.000 unità nei
momenti più acuti dello scontro). Per circa quindici anni il contingente
militare cubano ha così garantito l’indipendenza angolana senza avere in
cambio praticamente niente, neanche petrolio, (dal momento che la sua
estrazione rimase sempre in mano alle multinazionali) e sacrificando
migliaia di giovani vite.
Con la vittoria nella
battaglia di Cuito Cuanavale, sferrata da angolani, namibiani e cubani
contro le truppe d’aggressione sudafricane, viene aperta la strada
all’indipendenza della Namibia ed alla fine dell’apartheid in Sud Africa.
Bolivia, Congo, Angola,
Nicaragua, El Salvador. Per questi e tanti altri popoli il nome di Cuba
significa solidarietà militante, disinteressata e leale.
La caduta del cosiddetto
Campo Socialista ed il conseguente isolamento economico-politico di Cuba,
hanno portato ad una ridefinizione della politica estera e
dell’internazionalismo di questo paese.
Se negli anni ’70
l’avvicinamento di Cuba all’Urss, pur non diventandone mai un satellite, era
stato certamente eccessivo e foriero di burocratizzazione interna, a partire
dagli anni ’80, ma soprattutto dopo il ’90, la politica estera del governo
de L’Avana ha puntato in maniera sistematica a favorire un processo di
integrazione sia politica che economica dei paesi latinoamericani, cercando
prima di riallacciare le relazioni diplomatiche con i nuovi governi
costituzionali liberisti nati dopo il crollo delle dittature, poi
appoggiando come ha potuto i vari tentativi di integrazione economica
regionale che potessero portare ad una maggiore autonomia dagli Usa, come il
Mercosur.
In questo quadro ritengo
sia molto intelligente la politica cubana tesa a stipulare accordi di
collaborazione in campo sanitario, educativo e talvolta sportivo, che il
governo dell’Isola ha stipulato anche con alcuni governi non certo
progressisti dell’America Latina (Honduras, Nicaragua, ecc.). Infatti una
politica di questo tipo non è altro che un intervento internazionalista
condotto con altri mezzi, in uno scenario geo-politico nel quale un
intervento militare diretto in aiuto di qualsiasi popolo trasformerebbe
immediatamente Cuba in un nuovo Iraq.
Le migliaia di medici ed
alfabetizzatori inviati nel Terzo Mondo contribuiscono a liberare gli
oppressi da ignoranza e malattie, sparando le pallottole più pericolose per
le oligarchie: “i proiettili morali”. Gesti come regalare all’Uruguay
farmaci necessari alla popolazione che il governo di quel paese si è
rifiutato di comprare proprio perché fabbricati in quel paese,
contribuiscono a rafforzare nell’opinione pubblica latinoamericana la
contrarietà alla continuazione dell’isolamento politico-economico di Cuba
nel subcontinente.
L’affermazione in vari
paesi del Sud America del movimento bolivariano, che ha trovato la sua
massima espressione nell’assediata ma in marcia Rivoluzione venezuelana,
contribuisce parallelamente allo sviluppo concreto degli ideali di unità
continentale, in una battaglia apparentemente di bassa intensità contro
l’affermazione dell’ALCA, la cui entrata in vigore porterebbe la regione
alla completa colonizzazione economica da parte degli Stati Uniti.
I segnali non sono
incoraggianti. Il Brasile di Lula, che non ha finora fatto niente per il
miglioramento del tenore di vita del proprio popolo, sta mostrando
preoccupanti segnali di cedimento sull’ALCA; il presidente ecuadoriano
Gutierrez è saltato sul carro yankee non appena vinte le elezioni.
Nonostante che gli accordi
economici di questi ed altri stati con Cuba aumentino, che il Brasile stia
portando avanti una politica estera di amicizia con Cuba, se l’ALCA passa
per l’Isola Rossa saranno guai seri, vista anche la nuova politica dell’UE
nei suoi confronti, allineata a Washington.
L'ECONOMIA CUBANA FINO
AL "PERIODO SPECIALE".
Con l'"indipendenza" e la
nascita della Pseudo-Repubblica l'economia cubana viene monopolizzata dagli
Usa e questa condizione sussiste sostanzialmente fino al 1959. Durante
questo mezzo secolo la monocoltura della canna da zucchero è la
caratteristica produttiva di questa economia. L'esportazione negli Usa dello
zucchero venne contingentata a seconda delle esigenze dei produttori di quel
paese.
I prodotti statunitensi
importati a Cuba godono di un vantaggio tariffario del 20% sulle altre
nazioni. Ciò stronca la concorrenza.
Il trattamento
preferenziale accordato dalla "quota" allo zucchero cubano fa sì che nessun
altro tipo di raccolto per l'esportazione sia competitivo.
Quindi le uniche due
attività agricole rilevanti (senza considerare il tabacco) sono la
coltivazione della canna da zucchero e l'allevamento di un bestiame di
scarsa qualità sui pascoli che servono da riserva per i proprietari delle
piantagioni di canna da zucchero.
La disoccupazione rurale
porta all'inurbamento, senza una contestuale industrializzazione. Ciò
determina un commercio estero di tipo coloniale, con l'esportazione di
materie prime e l'importazione di manufatti.
Per molti anni la borghesia
cubana, legata alle importazioni, ostacola l'industrializzazione del paese.
Negli anni quaranta e cinquanta la borghesia si allea con settori
manifatturieri Usa per creare industrie con impianti, materie prime,
tecniche nordamericane e forza-lavoro locale. La formazione di
un'aristocrazia operaia meglio pagata della parte restante del proletariato
è una delle conseguenze sociali di questa "industrializzazione".
Il modo di vita, le mode, i
tipi di consumo nordamericani influenzano sempre più gli abitanti dell'isola
(almeno quelli che possono permetterselo).
Alle crisi economiche degli
anni '50 si risponde soprattutto con l'incoraggiamento creditizio degli
investimenti privati nell'industria e l'aumento delle voci di bilancio per
costose e poco utili opere pubbliche.
Le industrie si dividono in
due gruppi: quelle di livello tecnico alto, proprietà dei monopoli Usa, che
godono dei crediti dello stato cubano; poche fabbriche cubane vetuste ed
antieconomiche, i cui proprietari acquistano nuovi macchinari Usa anch'essi
con crediti dello stato cubano.
Malversazioni di fondi,
arricchimenti illeciti ed aumento del debito pubblico coronano il tutto.
Nel 1958 il 25% della
popolazione potenzialmente attiva è disoccupata e le importazioni coprono il
35% del reddito nazionale.
I primi problemi economici
che dovette risolvere il governo rivoluzionario a partire dal 1959 furono
quelli della disoccupazione e della mancanza di divise estere.
Un grosso passo avanti
nella soluzione del primo problema si compie con la Riforma Agraria, che
eliminò buona parte degli ostacoli che impedivano un pieno utilizzo della
forza-lavoro rurale. I latifondi e le grandi piantagioni capitalistiche
furono rapidamente trasformate in grandi aziende statali e cooperative. Ciò,
fra l'altro, ostacolò la tendenza all'eccessivo spezzettamento della
proprietà fondiaria, che non consentiva l'utilizzo di tecniche moderne per
migliorare la produttività.
Uno sforzo di
diversificazione delle colture, teso all'autosufficienza alimentare, si fece
soprattutto in questi primi anni. Ma fu condotto in maniera troppo rapida e
molto ideologica (il desiderio di eliminare la monocoltura, simbolo del
neocolonialismo, con una eccessiva differenziazione), e ciò portò ad una
riduzione della produzione di zucchero senza un contestuale sufficiente
incremento produttivo delle altre colture.
Si ritornò alla priorità
dello zucchero pur senza abbandonare i tentativi di diversificazione.
In campo industriale lo
sviluppo fu notevolmente favorito dal rapido aumento della domanda creato
dalla redistribuzione del reddito, dal monopolio statale del commercio con
l'estero e da una politica protezionistica sulle importazioni. La carenza di
combustibile, macchinari e pezzi di ricambio, causata dall'embargo Usa, fu
superata tramite accordi economici con l'Urss e gli altri paesi dell'Est.
Molto importante, verso la
fine della prima metà degli anni sessanta, fu il dibattito (e la
sperimentazione economica) che si tenne pubblicamente su "sistema di
finanziamento di bilancio" e "calcolo economico". Questo dibattito è noto
semplicisticamente come alternativa tra "incentivi morali" e "incentivi
materiali" nell'organizzazione socialista del lavoro. In realtà si tratta in
primo luogo di due forme diverse di gestione aziendale e di rapporto tra
azienda singola, aziende dello stesso settore produttivo, azienda e stato.
I sostenitori del sistema
di "calcolo economico", marxisti economicisti, sono fautori di unità
produttive con personalità giuridica propria, gestite in quanto tali, che
dispongono di fondi propri (autogestione). Le relazioni con le banche sono
simili a quelle dei produttori privati in quanto l'azienda deve presentare
piani e dimostrare di essere solvibile.
Per quanto riguarda le
norme di lavoro, le imprese del calcolo economico usano il lavoro
regolamentato a tempo e il cottimo. Le inadempienze sono punite con pene
pecuniarie.
Nel sistema del
"finanziamento di bilancio" (propugnato principalmente dal Ministero
dell'Industria guidato da Guevara) l'impresa è un conglomerato di fabbriche
o unità di produzione che hanno una base tecnologica simile, una comune
destinazione della produzione, a volte una medesima localizzazione
geografica. Per esempio: tutti gli zuccherifici vanno considerati Impresa
Consolidata dello Zucchero.
Il denaro opera come
riflesso, in prezzi, della gestione d'impresa, analizzato dagli organismi
centrali per verificarne il funzionamento.
Le imprese non dispongono
di fondi propri. Possono essere fatti prelievi in banca in base al conto
generale di spese e da quello speciale per pagare i salari, ma i depositi
effettuati passano automaticamente allo stato.
In entrambi i sistemi il
piano generale dello stato è la massima autorità ma, mentre nel "calcolo
economico" c'è un decentramento aziendale e i premi economici per i
lavoratori sono determinati dal risultato monetario della gestione, nel
"finanziamento di bilancio" la gestione è accentrata a un livello superiore
e l'incentivo monetario, pur presente, è limitato e non direttamente
dipendente (dal diverso rapporto con le banche e la mancanza di autonomia
aziendale) dall'andamento economico.
Per metterla sul piano
teorico i sostenitori del "finanziamento di bilancio" si rifanno
principalmente al giovane Marx dei "Manoscritti Economico-Filosofici" del
1844 e sono fautori dell'"atto cosciente" soggettivo come elemento fondante
della transizione al comunismo. Di conseguenza la centralità dell'incentivo
materiale come leva fondamentale nella produzione viene visto come causa
della formazione di una "aristocrazia operaia" che tendenzialmente volge a
proprio favore i rapporti di forza rispetto agli altri.
Per i sostenitori del
"calcolo economico" invece l'incentivo materiale è determinante nell'aumento
della produzione ed è proprio questo risultato, cioè l'aumento graduale dei
beni di consumo per il popolo, che alla fine renderà inutili gli incentivi
materiali e parificherà tutti verso l'alto.
Fu un dibattito questo al
quale presero parte eminenti marxisti di tutto il mondo, fra i quali Mandel
e Bettelheim.
Negli anni successivi
furono adottati criteri misti, ma il grande dibattito economico si esaurì.
Riprese parzialmente col "Processo di Rettifica" che, anche in campo
economico tentò di riprendere le tematiche guevariane.
IL "PERIODO SPECIALE".
La rapida dissoluzione dei
regimi politici scaturiti dalla progressiva deviazione post-rivoluzionaria
dell'Urss e dalla spartizione dell'Europa in due aree di influenza nel 1945,
pose fine al rinnovamento socialista degli anni ottanta e inaugurò il
difficile "Periodo Speciale" che dura tuttora.
Ciò perchè, a partire dal
1990, l'Urss taglia di netto la collaborazione economica con Cuba, preceduta
dai nuovi governi reazionari dell'Est europeo.
Le esportazioni cubane che,
a causa del blocco economico Usa e (di fatto) occidentale, avvenivano quasi
esclusivamente con gli stati del Comecon, crollano in un anno dell'83%.
Il relativo benessere di
cui godevano i cubani viene rapidamente a svanire e si pone il problema non
solo di salvare la Rivoluzione, ma di garantire l'alimentazione minima
necessaria per i cittadini.
Tra il 1989 ed il 1993
l'economia subì un tracollo complessivo del 35% e si stabilizzò solo a
partire dal 1994.
La Rivoluzione Cubana ha
cercato di affrontare la crisi sulla base di quattro capisaldi: a) salvare
le conquiste essenziali della Rivoluzione, a cominciare dall'indipendenza e
dalla sovranità; b) non lasciare nessun cubano in mezzo alla strada; c) non
fare concessioni sui principi; d) agire con il consenso della maggioranza
del popolo.
La misura probabilmente più
dolorosa, sia simbolicamente che (soprattutto) per le contraddizioni sociali
che ha comportato, è stata l'introduzione del dollaro Usa come moneta a
fianco del Peso cubano. Ma, se da un lato questa introduzione ha causato
differenziazioni sociali non trascurabili tra i cubani, dall'altro bisogna
riconoscere che questa è stata una scelta obbligata per rilanciare
l'economia e salvare il sistema di sicurezza sociale, all'avanguardia
soprattutto in campo sanitario e scolastico. Lo scenario più che probabile
di una scelta diversa sarebbe stato un rapido deterioramento del sistema e
la fame nera, con tutto ciò che ne sarebbe conseguito politicamente e
militarmente (invasione Usa a seguito di una probabile crisi interna).
Nell'affrontare la
situazione di emergenza creatasi a partire dal 1990, secondo Dario Machado
Rodriguez ("La conyuntura socio-politica a Cuba" in Critica Politica nr.
12/95), Cuba ha dovuto fare i conti con tre contraddizioni: a) quella tra i
propri interessi e l'imperialismo Usa; b) quella tra sviluppo delle forze
produttive e i rapporti di produzione, con i secondi assai più avanzati
delle prime; c) quella tra l'egualitarismo sviluppato nel paese e
l'introduzione di disuguaglianze in alcuni aspetti della distribuzione del
prodotto sociale e del livello di vita della gente.
Il rapido sviluppo del
settore turistico e delle relative infrastrutture, è stato ed è il volano
fondamentale della ripresa economica cubana post-Comecon. L'ingresso di
valuta nel paese determinata da questo settore economico ha favorito una
ripresa degli investimenti nell'industria, nell'agricoltura ed è il motore
per il progressivo rilancio di tutti i settori dell'economia.
Tra gli aspetti negativi
dell'andamento economico c'è il crollo dei prezzi di zucchero e nichel sui
mercati internazionali. L'estrazione del nichel è aumentata in modo
vertiginoso in pochi anni e sulla sua esportazione il governo cubano contava
molto. Per quanto riguarda le piantagioni di canna da zucchero i terreni
sono in gran parte in fase di riconversione ad altre coltivazioni ed i
lavoratori percepiscono il salario egualmente, frequentando corsi di
riqualificazione professionale.
L'estrazione del petrolio
grezzo è in notevole aumento e copre il 45% del fabbisogno nazionale. Ci
sono però vari problemi: questo petrolio è ricco di zolfo e richiede una
accurata raffinazione; manca una rete efficiente di oleodotti (la maggior
parte del petrolio è trasportata da cisterne sui treni); buona parte delle
riserve sono situate in aree ad alto valore paesaggistico e quindi
turistico.
Le minacce sui paesi terzi
delle leggi statunitensi sui rapporti economici con Cuba, continuano ad
impedire la brevettazione e la commercializzazione dei rilevanti risultati
di Cuba nel campo delle biotecnologie.
Se a tutto ciò si somma la
flessione del turismo registrata dopo l'11 settembre 2001, si ha il quadro
di una situazione ancora precaria.
"E' Cuba che decide ciò che
le conviene e dipende da noi impedire che persone indegne appariscano in
affari con noi (...) E' interesse del paese mantenere una partecipazione
importante nella proprietà delle imprese, anche se la legge contempla che
esistano casi dove il 100% del capitale è straniero. Si tratta però di casi
eccezionali perchè al paese conviene sempre mantenere una quota
maggioritaria nelle imprese miste".
Questo ha affermato Fidel
Castro intervenendo nel dibattito sull'economia del paese.
I lavoratori del settore
statale sono tutt'ora il 67%; l'8% quelli del settore cooperativo; 10% nel
privato; 8% nel settore misto. Il resto lavora nel settore "informale" o è
disoccupato. Occorre tener presente che la maggior parte dei disoccupati
desidera essere tale, dal momento che ha comunque diritto ad una abitazione,
all'assistenza sanitaria e scolastica, all'alimentazione. Preferiscono
traffici più redditizi con i turisti, ai margini o fuori della legalità.
"Molte imprese vogliono la
libera contrattazione e fanno pressioni per ottenerla. Se si permette questo
si creano privilegi e influenze incalcolabili (...) Esse avrebbero
un'influenza tremenda sulla gente negli altri settori e imprese (...) Le
possibilità che ha un imprenditore o che si stanno discutendo, non possono
costituire un pericolo per il lavoratore".
Come si capisce da queste
affermazioni di Fidel il problema della tutela dei diritti dei lavoratori
nelle società a partecipazione straniera è ben presente nel dibattito
politico cubano. E' un problema da risolvere giorno per giorno (così come
quasi tutti gli aspetti della vita dei cubani da tredici anni a questa
parte), tenendo presente che (per molti versi come per l'adozione della NEP
in Urss nel 1921-1927) l'introduzione di elementi di economia mista nel
sistema socialista cubano è un notevole passo indietro rispetto al
socialismo egualitario vigente in precedenza.
Un "Termidoro" necessario,
gestito dai rivoluzionari come "ripiegamento tattico" teso ad evitare lo
strangolamento economico del processo rivoluzionario.
Il tutto discusso e deciso
con la partecipazione fondamentale delle rappresentanze operaie e di tutto
il popolo tramite i suoi strumenti di democrazia partecipativa.
Il problema resta quello di
sempre: quando un regime socialista introduce opzioni economiche che portano
alla formazione di fasce di popolazione privilegiate è poi molto difficile
eliminare pacificamente questi privilegi una volta che la situazione lo
permetta.
DISSIDENTI O MERCENARI?
Secondo la Carta delle
Nazioni Unite il popolo di ogni nazione ha il diritto di scegliere
liberamente il proprio sistema politico. Tramite una rivoluzione popolare,
decenni di sacrifici per edificare una società diversa, da ultimo anche con
un referendum popolare dove la grande maggioranza degli elettori cubani ha
deciso la non reversibilità dell'opzione socialista, questo popolo ha scelto
liberamente e continua a scegliere ogni giorno di vivere in un sistema che,
nonostante i problemi e gli errori, è il più giusto e democratico che abbia
mai avuto.
Contro questo diritto, da
quarantaquattro anni gli Usa hanno imposto a Cuba un ferreo blocco
economico, finanziario, commerciale, aggressioni e azioni terroristiche,
seicento piani di attentati, alcuni dei quali realizzati (come la bomba su
un aereo passeggeri cubano che nel 1976 causò 73 morti), sabotaggi,
diffusione di epidemie, 3478 tra morti e invalidi permanenti a seguito di
atti di terrorismo:
Un paese a 90 miglia dagli
Usa, senza una forte coesione interna, non può reggere una simile pressione.
E quando si parla di
repressione politica a Cuba bisogna tener presente prima di tutto questo
contesto. In molti stati, anche europei, si dichiarerebbe lo stato di
assedio e la legge marziale per molto meno.
Le Amministrazioni Usa che
si sono succedute hanno cercato in tutti i modi di fabbricare a Cuba
un'opposizione interna ai propri ordini, che rispondesse direttamente ai
propri interessi economici e politici, allo scopo di provocare una
situazione che favorisse un intervento militare diretto ed il ritorno alla
Pseudo-Repubblica, se non ad una annessione di tipo portoricano. Per
realizzare (fallendo) ciò, hanno utilizzato leggi promulgate ad hoc,
finanziamenti, stimoli, servizi segreti.
Un salto di qualità
nell'organizzazione di questo lavoro è stato fatto con la nomina di James
Cason a responsabile dell'Ufficio di Interessi Usa (SINA) a L'Avana. Cason
(e quindi l'Attuale Amministrazione) si è subito posto il problema di
unificare i vari gruppuscoli controrivoluzionari intorno a obiettivi comuni.
Organizzazione di viaggi all'estero, premi internazionali, ecc. rientrano in
questa attività di manipolazione dell'opinione pubblica tesa a convincere
dell'esistenza di una divisione politica all'interno della società cubana.
Finanziamenti anche in
natura, come generi alimentari e medicine, servono per tentare di far
diventare i "dissidenti" punti di riferimento per una popolazione che
subisce l'embargo.
Molti di questi individui
godono di un permesso permanente di ingresso al Sina e Cason ha organizzato
nei primi mesi di quest'anno numerose riunioni, perfino nella propria
abitazione, fondando "partiti liberali" e cose simili.
Come reazione, il governo
cubano decide l'arresto, a metà marzo, di decine di questi mercenari, che
ricevevano denaro e davano informazioni tese a far applicare il blocco e la
legge Helms-Burton, che hanno cercato di dare credibilità alle motivazioni
Usa per la condanna di Cuba a Ginevra chiesta dagli Usa.
Il 19 marzo 2003, subito
dopo gli arresti, inizia una serie di dirottamenti di aerei e imbarcazioni
cubani verso gli Stati Uniti. i dirottatori contano sulla "Legge di
Aggiustamento Cubano", che concede la cittadinanza Usa e un lavoro a
qualsiasi cubano metta piede sul suolo statunitense. Ciò nonostante gli
accordi migratori del 1994 tra i due paesi prevedano la lotta contro
l'emigrazione illegale da Cuba verso gli Usa e la concessione annuale di
20.000 permessi di ingresso da parte dell'Amministrazione a stelle e
strisce.
Questo accordo non è stato
rispettato e i visti di ingresso tra il 1° ottobre 2002 e il 28 febbraio
2003 sono stati solo 505.
Perche? Evidentemente per
incoraggiare l'emigrazione illegale.
A seguito di processi
"sommari" a 75 arrestati nel mese di marzo sono state comminate pene tra i 6
e i 28 anni di carcere. Il processo "sommario" (da noi chiamato per
direttissima) prevede la riduzione dei tempi di esecuzione del processo. E'
previsto dalla legislazione di 100 paesi (Usa compresi) e a Cuba è eredità
del periodo coloniale.
Dei 54 avvocati della
difesa solo 10 erano designati d'ufficio. i tribunali giudicanti erano
ordinari e non costituiti ad hoc; le udienze erano pubbliche. Nessun
detenuto è stato messo in isolamento per impedirgli di concordare con altri
imputati la propria difesa.
C'è una bella differenza
con i Tribunali Militari Segreti degli Usa ed i loro desaparecidos
legalizzati!
Si è detto che è stato
condannato il fior fiore dell'intellettualità cubana. Ebbene: su 37
giornalisti indipendenti dichiarati solo 4 erano laureati in giornalismo o
sono stati giornalisti.
In realtà erano
"giornalisti" in quanto pagati dallo Zio Sam per scrivere "testimonianze"
sul Bau-Bau comunista Fidel Castro e sulla sua "dittatura"; per difendere la
giustezza del blocco.
Le condanne non hanno
punito idee, ma atti tesi a danneggiare l'economia cubana propugnando
l'inasprimento dell'embargo e sostenendo con le proprie azioni la politica
Usa verso Cuba. Il tutto adeguatamente finanziato dalla SINA.
Qualsiasi legislazione, in
primis quella Usa, punisce chi agisce in accordo con uno stato straniero a
detrimento dell'indipendenza e dell'integrità del proprio stato.
Ma alla parte maggioritaria della "sinistra" italiana ciò
non interessa. Ridotta ad una cupola di magnaccia e caporali (nella sua
parte governista) e di invertebrati che navigano a vista nella sua parte
cosiddetta alternativa, vede Cuba come il fumo negli occhi.
Osserviamo quindi da una
parte l'agglomerato politico-affaristico denominato "Democratici di
Sinistra" che si fa paladino della liberazione dei condannati e che si vanta
pubblicamente di appoggiare anche monetariamente l'opposizione cubana.
Dall'altra assistiamo alla spaccatura del capello in quattro da parte di
quella confezione di molluschi surgelati denominata "Rifondazione
Comunista", che è tanto amica della Rivoluzione ma...
In questo panorama
desolante stupisce positivamente la posizione coraggiosa e ferma che (per
una volta), ha tenuto il Partito dei Comunisti Italiani. Da chi è rimasto
nel governo durante la guerra di aggressione alla Jugoslavia era legittimo
non aspettarsi tanta fermezza. Al di là delle sue motivazioni ha costituito
un fatto molto importante nel dibattito politico italiano e un aiuto non
indifferente per Cuba.
Per tornare ai dirottamenti
avvenuti dopo gli arresti (e che quindi non sono in relazione con essi), la
fucilazione di tre dei dirottatori di una imbarcazione è il fatto che ha
suscitato più scalpore. La campagna internazionale controrivoluzionaria che
aveva tratto spunto dagli arresti si è così amplificata a dismisura ed ha
provocato anche l'allontanamento dalla Rivoluzione (non aspettavano altro?)
di intellettuali come Saramago e di politici come Ingrao.
Anche all'interno della
sinistra rivoluzionaria internazionale il dibattito è stato aspro e spesso
serio e motivato.
Ma il punto di vista di un
popolo assediato non è lo stesso di quelle forze politiche e di quei
compagni che vivono in una situazione diversa e possono quindi permettersi
una (giusta) petizione di principio contro la pena di morte.
Occorreva inviare un
segnale ben preciso all'Amministrazione Bush e alla "opposizione" interna
che non sarebbero stati tollerati atti tendenti a creare un casus belli con
gli Usa, a cominciare da un blocco navale apertamente minacciato dal vicino
del Nord. Giustiziando tre delinquenti si è evitato un bagno di sangue ben
maggiore, scongiurando il tentativo in atto di creare una crisi e di
militarizzarla.
Il problema è risolto?
No. La lotta continua. E la difesa di Cuba rivoluzionaria non è solo un
imperativo etico per noi, ma una necessità politica di fronte ai tentativi
di cancellare non solo de facto ma anche de iure ogni tentativo di
realizzare concretamente una società intrinsecamente giusta e solidale.