STORIA
“Hasta el tope”. Novembre
1989, l’offensiva finale del FMLN: quando la guerra scese dalle
montagne alle città
L’11 novembre di ventuno anni fa il
Frente Farabundo Martì para la Liberacion Nacional (FMLN),
l’organizzazione guerrigliera salvadoregna, dava il via ad una vasta
azione militare diretta all’occupazione delle aree urbane di San
Salvador e dei maggiori centri abitati del Paese. Cominciava così
l’offensiva finale, battezzata in seguito come “Hasta el tope”, uno
degli ultimi e tragici atti della sanguinosa guerra civile
(1980-1992) che avrebbe portato, da lì a tre anni, le due parti in
lotta a negoziare una pace definitiva.
L’anniversario dell’Offensiva
finale è stato celebrato in tutto El Salvador con il ricordo
delle migliaia di vittime civili e di caduti su ambo i fronti, pur
rappresentando un evento significativo e cruciale soprattutto per il
FMLN, da poco convertito in partito di governo dopo aver
sorprendentemente vinto le elezioni presidenziali del 2009.
Nel 1989, attraverso l’offensiva
“Hasta el tope”, lo stato maggiore del FMLN decise di intensificare
gli attacchi all’esercito salvadoregno con lo scopo ultimo di
costringere il governo a sedersi, in via definitiva, al tavolo del
dialogo. A quel punto, in verità, dopo quasi dieci anni di lotta
senza quartiere e di logoramento, la guerra era giunta ad un punto
di stallo e tutti e due i contendenti cominciarono a rendersi conto
dell’impossibilità di prevalere sull’avversario.
In una congiuntura internazionale
piuttosto sfavorevole alle forze rivoluzionarie di sinistra - che
stavano lottando in tutta l’America latina per le riforme sociali -,
conseguenza del crollo imminente del blocco socialista in Europa e
delle preoccupazioni per una possibile sconfitta elettorale dei
sandinisti in Nicaragua, i capi del FMLN presero - alla fine - la
fatale decisione. Fu diramato l’ordine a tutte le unità ribelli di
prendere posizione per l’Offensiva finale.
Joaquin Villalobos, l’allora
comandante dell’ERP (una formazione guerrigliera integrante il FMLN),
spiegò in seguito quale fosse il reale intento politico e
propagandistico di quell’attacco: “l’obiettivo che cercavamo era
quello di penetrare nelle città e di fortificarci nei quartieri
popolari così, quando l’esercito fosse intervenuto, non sarebbe
riuscito facilmente a snidarci”. Queste azioni eclatanti e mai
tentate prima di allora nei centri urbani “avrebbero suscitato un
tale impatto sulla CNN, sui media e sull’opinione pubblica
internazionale da provocare - così credevamo - un intervento
immediato dell’ONU. Tutto ciò avrebbe presto favorito una
negoziazione per mettere fine al conflitto armato”.
L’Offensiva finale cominciò con
l’impiego di quasi 3.000 miliziani del FMLN. Nella capitale San
Salvador i guerriglieri, appena scesi dalle montagne, venivano
ospitati e nascosti dalla popolazione in centinaia di abitazioni,
mentre gli attacchi andavano estendendosi rapidamente anche nelle
città di Santa Ana, Zacatecoluca, San Miguel e Chalatenango.
L’esercito salvadoregno, preso in
contropiede, decretò in tutto il paese lo stato d’assedio e reagì
ovunque con veemenza, arrivando ad impiegare l’aviazione per
bombardare i settori urbani in mano ai guerriglieri. Ma l’escalation
della barbarie fu raggiunto la mattina del 16 novembre, quando un
commando del famigerato battaglione “Atlacatl” - un reparto
speciale dell’esercito già noto per essersi macchiato di numerosi
crimini di guerra - fece irruzione nei locali dell’UCA (Università
Centroamericana José Canas) trucidando i sei rettori gesuiti,
accusati di attività sovversive ed ormai “bollati” come nemici dello
Stato.
Intanto, anche nel resto della
capitale gli scontri si andavano intensificando senza neppure
risparmiare la zona nordovest di San Salvador, il simbolo del potere
economico dell’epoca con i suoi quartieri più ricchi: San Benito,
Campestre, Lomas Verdes ed Escalon. A seguire, il 19 novembre, con
un blitz da manuale militare un gruppo di guerriglieri si
impadronì della torre “Vip” dell’Hotel Sheraton, prendendo in
ostaggio per diverse ore il segretario dell’OSA, Baena Soares,
insieme ad alcuni marines e giornalisti statunitensi, tutti
quanti rilasciati il giorno stesso grazie ad una tregua pattuita.
Alla fine dell’offensiva, quando la
guerriglia cominciò a ritirarsi dalle città per ritornare ai più
sicuri rifugi sui monti, dopo un mese di feroci combattimenti sul
terreno rimasero quasi 5.000 morti (tra soldati, guerriglieri e
civili), senza che nessuna delle due parti potesse prendere il
sopravvento sull’altra. Fu una vittoria strategica per il Frente, un
successo tattico dell’esercito, o piuttosto un’inutile carneficina?
Nel Salvador odierno, 21 anni dopo, le
parti si sono invertite. Ora a governare il piccolo paese
centroamericano è il FMLN, pur tra fragili equilibri interni e con
le destre ridotte all’opposizione ma sempre pronte a complottare per
rovesciare il governo farabundista. Solo qualche mese fa sono
circolati rumors di un possibile - ed imminente - colpo di
stato, sullo stile di quello attuato in Honduras (2008)
dall’oligarchia locale con la consueta complicità degli Stati Uniti.
Andrea Necciai
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