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E' NATO IL NUOVO
BLOCCO CENTRISTA
Di questo nuovo blocco
centrista (nato intorno a Sinistra critica e Rete 28 Aprile, ma col
sostegno esplicito dei Cobas, della Rete dei comunisti/Rdb, dei
Disobbedienti di Casarini, D'Erme ecc.) dovremo purtroppo occuparci nei
prossimi anni e avremo quindi tutto il tempo per descrivere le sue
prevedibili oscillazioni programmatiche tra posizioni di salvaguardia
del sistema capitalista-imperialistico italiano (dette un tempo
"riformismo") e l'esigenza di una fuoruscita rivoluzionaria da detto
sistema che, con fasi alterne, esprimeranno alcuni settori della
radicalizzazione anticapitalistica. Tale blocco viene a riempire lo
spazio, per l'appunto "centrista", lasciato libero da Rifondazione dopo
il suo passaggio al centrosinistra (cioè al programma di un settore
temporaneamente maggioritario dell'imperialismo italiano), avendo però
molte meno possibilità di strumentalizzare i movimenti emergenti e senza
prospettive a breve termine di riuscire a inserirsi nell'apparato di
governo della borghesia.
E' un centrismo più
eterogeneo dei suoi precedenti storici (dal 1969 al 2006, da
Avanguardia operaia, Pdup, Mls, Dp a Rifondazione) e, agli occhi di
alcuni settori radicalizzati, appare già abbastanza screditato dal
fatto che la sua componente più nota, a causa dei due parlamentari di
cui dispone - cioè Sinistra critica - ha pur sempre alle spalle due
anni di sostegno al governo imperialistico di Prodi, oltre alla
politica del doppio binario tra Camera e Senato e il voto favorevole
ad alcuni tra gli aspetti più reazionari del governo Prodi.
E' facile prevedere,
quindi, che durerà molto meno dei 15 anni che sono stati necessari a
Rifondazione (1991-2006) per passare dalla demagogia antiriformista,
fatta di astratti richiami al "comunismo", all'accettazione del
programma attualmente (ma per poco) ancora maggioritario del grande
capitale italiano. Ma sempre qualche anno sarà, se non interverranno
radicali movimenti di massa a spazzarlo via, insieme alla tanta altra
zavorra che occupa gli interstizi politici della radicalizzazione e
impedisce oggigiorno la formazione di un'aggregazione rivoluzionaria
nazionale e internazionale dei movimenti potenzialmente
anticapitalistici attivi nel nostro Paese.
Per ora mi limito a
fornire alcune date, una sorta di promemoria riguardo alle tappe
recenti che hanno portato alla sua costituzione. Lo faccio per
chiarezza tra i compagni non-centristi ai quali possa interessare, ma
lo faccio soprattutto pensando ai giovani che si affacceranno alla
politica nel prossimo periodo e vorranno sapere come si sia arrivati
alla situazione disperata in cui si trova l'anticapitalismo
rivoluzionario in Italia dopo ben 39 anni di lotte di massa (se
vogliamo cominciare a contare dal '68)..
Quando nacque
ufficialmente la sottocasta dei Forchettoni rossi (19 luglio 2006,
il giorno della votazione unanime per la missione italiana in
Afghanistan - vedasi libro omonimo), una componente dell'attuale
blocco centrista (Sinistra critica, con i parlamentari
Cannavò, Turigliatto, Malabarba) era già pienamente inserita nella
sottocasta rossoforchettonica: aveva aiutato fin dal primo momento
Bertinotti nella marcia verso il governo Prodi, aveva accettato il
programma di tale governo imperialistico, nonché la sua composizione
ministeriale, e si accingeva a votarne tutte le misure più odiose,
comprese le missioni di guerra, l'indulto salvacorrotti, la prima
finanziaria di guerra, i 12 punti di Prodi, l'omertà con Visco ecc.
Si tenga anche a
mente che il Pcl (che si colloca in una posizione di sostegno
esterno al blocco centrista, ma che purtroppo molto ha contribuito
nell'ultimo anno alla sua formazione) non ha mai fatto parte della
sottocasta rossoforchettonica, sia per precedenti posizioni espresse
per anni nella lotta dentro il Prc e sia perché la candidatura di
Ferrando nelle liste (ahimè) del centrosinistra fu soppressa
burocraticamente da Bertinotti. Priva di parlamentari e di un
qualsiasi coinvolgimento nella formazione del governo
imperialistico, l'area di Progetto comunista era uscita dal Prc
contestualmente alla sua entrata nel governo, dividendosi in due
correnti (Pcl e Pdac): un itinerario, come si vede, ben distinto da
Sinistra critica che invece nel Prc governativo ci è rimasta quasi
due anni e nel modo che si è detto.
Il 30 settembre
2006 si costituì un primo Coordinamento politicamente
eterogeneo, ma chiaramente orientato in senso antigovernista,
formato da Cobas, Rete dei comunisti/Rdb, Pcl, Utopia rossa,
Campo antimperialista, Forum Palestina, Red Link (col sostegno
all'inizio esterno e poi interno dei Carc, del Partito
umanista e del Pdac, e mi scuso se dimentico qualche
altra sigla): suo scopo, la convocazione di una manifestazione
contro la missione italiana in Libano (senza se e senza Onu) e
contro tutte le altre missioni. Era la prima manifestazione
organizzata su una piattaforma realmente antimperialistica che si
vedeva in Italia dopo molti anni di manifestazioni
pseudopacifistiche, con scarsa chiarezza antimperialistica oppure
antimperialistiche a senso unico (sempre contro il solo imperialismo
Usa, ma mai contro quello italiano). Di Sinistra critica, nel
Coordinamento, all'epoca non c'era nemmeno l'odore perché i suoi
parlamentari, oltre a sostenere tutte le misure governistiche di cui
sopra, erano anche fermamente convinti di aver fatto bene a votare a
favore della missione in Libano in quanto sottoposta all'egida
dell'Onu. Sarebbe interessante sapere se hanno cambiato idea o se
considerino la cosa irrilevante.
Fu una
manifestazione di circa 4.000 persone, ma stranamente, invece di
moltiplicare per 4 o 5 la presenza dei dimostranti - come si farà in
seguito nelle successive manifestazioni - si ridusse addirittura la
partecipazione effettiva dividendo per due: alcuni membri del
Coordinamento (Bernocchi in primis) dissero che eravamo 2.000, allo
scopo di far capire che costituivamo un'area troppo ristretta per
poter andare avanti. Eppure, anche la cifra non-vera di duemila
persone disposte a denunciare fin da quel primo momento il carattere
guerrafondaio e imperialistico del governo Prodi appena
costituitosi, e ostili alla teoria che sotto l'egida dell'Onu si
potessero inviare missioni militari all'estero, non era poca cosa,
visti i precedenti e l'aria filogovernistica che tirava e che ancora
tira nell'area degli aspiranti Forchettoni rossi "di movimento". Era
l'inizio del processo di formazione di una coscienza politica
avversa anche all'imperialismo italiano (oltre che a quello
statunitense) all'interno di un movimento allo stato nascente, che
si sarebbe potuta sviluppare sul terreno dell'appoggio alle
resistenze che combattono frontalmente le truppe dell'alleanza
interimperialistica e che invece fu costretta ad abortire nel giro
di pochi mesi. Quell'area oggi non esiste più in forma visibile e
organizzata. Al suo posto si è installato il nuovo raggruppamento
centrista .
Vi fu poi la
manifestazione per la Palestina del 18 novembre 2006, alla
quale Sinistra critica e la Rete di Cremaschi non aderirono perché
indetta dal Forum Palestina (fu la manifestazione dei fantocci
bruciati che tanto "orrore" provocarono nell'area forchettonica e
che spinsero Giordano a equiparare l'antisionismo
all'antisemitismo).
Seguì a ruota la
modesta manifestazione (in realtà una sorta di picchettaggio
ampliato) per Vicenza del 19 gennaio 2007 a Montecitorio, in
cui non si valutò affatto il significato politico della comparsa
ufficiale di Sinistra critica che vi partecipò ufficialmente pur
essendo ancora impegnata a sostenere il governo Prodi che a sua
volta era impegnato a far costruire l'aeroporto degli Usa a Dal
Molin. Quell'ambiguità - che noi di Utopia rossa provammo a
denunciare fin dal primo momento, nella totale sordità delle altre
componenti antigoverniste del Coordinamento (Cobs, Rete dei
comunisti, Pcl, Red Link, Forum Palestina, Partito umanista ecc.) -
era in realtà la prima crepa che si apriva nell'alleanza di forze
raccoltesi intorno alla manifestazione sul Libano del 30 settembre.
A partire da quel momento la crepa si allargherà, arrivando alla
formazione dell'attuale blocco centrista.
Personalmente (e
come Utopia rossa) ritenni, tuttavia, che la prima vera sconfitta
dell'ipotesi di un coordinamento stabile, antimperialistico e
anticapitalistico, avviata con la manifestazione del 30 settembre,
sia stata indotta dal modo in cui si svolse la manifestazione di
Vicenza del 17 febbraio 2007. A quella manifestazione (molto
grande nel numero, ma assolutamente opportunista per composizione
politica) parteciparono con un ruolo di primo piano le componenti
centriste di cui sopra (con l'aggiunta vistosa dei Disobbedienti e
Casarini), ma anche le direzioni ufficiali del Prc, Pdci e Verdi,
vale a dire le stesse che in Parlamento votavano e avrebbero
continuato a votare per la costruzione del secondo aeroporto degli
Usa. I segretari rossoforchettonici (Giordano e Diliberto in primis)
poterono sfilare senza prendere le legnate che si meritavano, senza
nemmeno il lancio di un pomodoro fradicio, senza nemmeno un insulto
nella stampa di sinistra. Non so se all'epoca mi colpì di più la
scemenza, l'ingenuità o l'opportunismo o tutte e tre le cose insieme
di coloro che, accettando di scendere in piazza insieme
all'establishment rossoforchettonico, non capirono che quella rete
di connivenze era il modo peggiore per impedire la costruzione
dell'aeroporto (questione concreta numero 1, da allora aggravatasi
anche e in seguito al carattere ambiguo di quella manifestazione che
garantiva a Prodi un relativo controllo della protesta vicentina
tramite Rifondazione e Forchettoni vari) e che non era il modo per
costruire un movimento antimperialistico su posizioni chiaramente
opposte all'imperialismo italiano, alleato dell'imperialismo Usa
(questione concreta numero 2). Era invece il classico modo centrista
di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, consistente nel
contentarsi di fare un corteo spettacolare senza raggiungimento di
alcun obiettivo, considerando decisivo il numero di persone portate
in piazza, ma non le modalità politiche in cui la cosa avviene: nel
caso specifico si tacevano i nomi di una parte dei responsabili
politici per il trionfo più generale del programma prodiano,
includente esplicitamente anche la costruzione dell'aeroporto (da
Bertinotti ai dirigenti di Prc, Verdi e Pdci, comprese le
responsabilità politiche meno dirette delle ali critiche come
l'Ernesto e Sinistra critica che consentivano la sopravvivenza del
governo e che pochi giorni dopo avrebbero ancora testardamente
votato i 12 punti del Prodi-bis).
Devo dire che mi ha
fatto estremamente piacere vedere che in occasione della nuova
manifestazione a Vicenza del 15 dicembre 2007 questi miei
concetti di allora - sul necessario rifiuto a manifestare insieme ai
responsabili rossoforchettonici - sono apparsi esplicitamente in
tutte le dichiarazioni pubbliche del comitato Dal Molin. Questi -
proprio perché gli errori li paga sulla propria pelle - a differenza
di chi si limita a manifestare di qua e di là, in giro per l'Italia
o seguendo anche i nuovi flussi esteri del turismo politico - sembra
aver ormai cominciato a capire quale tragico errore sia stato
manifestare insieme ai governisti della sinistra "radicale" a
febbraio del 2007. Spero che la lezione sia servita per il futuro
(che, detto per inciso, appare molto nero per chi si oppone
realmente alla costruzione dell'aeroporto, ma non se la sente ancora
di lottare allo stesso tempo per la caduta del governo che ha
giurato agli Usa di volerlo fare).
I responsabili di
Cobas, Rete dei comunisti e Sinistra critica (oltre a Casarini,
Cremaschi e altri) tornarono euforici da Vicenza, gridando chissà
quale vittoria e annunciando che i loro "corpi" (sic!) avrebbero
impedito la costruzione dell'aeroporto militare (demenza totale!).Il
18 febbraio, invece, io scrissi il primo di una serie di 3
comunicati, intitolato, perché intendesse chi voleva intendere: "E'
ricominciato il dopo-Genova. Ora si chiama 'Dopo-Vicenza'". In
quel testo spiegavo ciò che chiunque in buonafede può oggi
verificare senza difficoltà, e cioè 1) che dopo la kermesse
manifestarola di Vicenza si ricominciava a costituire, intorno ai
Forchettoni "critici" una "intellighentsia" centrista analoga a
quella del dopo-Genova (priva ovviamente di Bertinotti, l'Arci, il
Tavolo della Pace e i vari Forchettoni organici, di mestiere, ormai
arrivati al sospirato Parlamento), e che 2) essa avrebbe utilizzato
le successive manifestazioni per riallacciare rapporti "di
movimento” con alcune frange della sinistra "radicale" più o meno
governistica. Inutile dire che, a Vicenza, Sinistra critica era già
in prima linea in questo processo di annacquamento dei contenuti
antigovernisti e di rimescolamento delle carte in vista di
un'apertura verso l'area più disinvolta e meno compromessa del
forchettonismo governativo. Il guaio era che nessuna delle correnti
citate (Cobas, Disobbedienti e Rete dei comunisti, compreso il Pcl)
fece nulla per impedirglielo.
Anzi, alla recente
manifestazione di Genova, le componenti citate sono andate tutte
insieme (e anche insieme, ovviamente, ai capi dell'apparato
rossoforchettonico), confermando anche topograficamente (geopoliticamente?)
la mia previsione. Ma poiché a quella manifestazione di Genova è
seguita la nuova manifestazione di Vicenza (con la presenza in
piazza, ancora una volta, di Giovanni Russo Spena e altri esponenti
forchettonici filogovernativi), posso tranquillamente ripetere che "Continua
il dopo-Genova. E continua a chiamarsi 'Dopo-Vicenza'".
Pochi giorni dopo
Vicenza ci fu l'espulsione del sen. Turigliatto per non aver
partecipato al voto sulla relazione di politica estera di D'Alema.
Tale non-voto fu contrabbandato nella stampa estera della Quarta
internazionale come un voto contro l'Afghanistan, cui invece
Turigliatto aveva sempre dato e avrebbe continuato a dare ancora per
qualche tempo il proprio sostegno. (Quella menzogna, un grossolano
falso storico, è approdata addirittura in un recente libro delle
edizioni Alegre). Alla crisetta di governo, seguirono il reincarico
a Prodi e la campagna nazionale di solidarietà con quello stesso
Turigliatto che, espulso dal Prc, aveva votato ancora i 12 punti
di Prodi (che includevano l'Afghanistan, Vicenza, la Tav, lo
scalone pensionistico, le liberalizzazioni ecc.), solo e soltanto
per salvare il governo Prodi (e forse anche il proprio seggio cui
aveva spudoratamente detto in un primo momento di voler
rinunciare...). La campagna di solidarietà con Turigliatto che
Sinistra critica organizzò in tutta Italia - col sostegno attivo dei
principali esponenti del nuovo Coordinamento - si trasformò
oggettivamente in una campagna politica propedeutica alla formazione
del nuovo blocco centrista.
Vi fu poi la
manifestazione per l'Afghanistan del 17 marzo, ambigua su
molte questioni (il LIbano e il sostegno alle Resistenze) che si
concluse con un comizio a piazza Navona. A quella manifestazione non
aderì il Campo antimperialistico, mentre Utopia rossa non volle
parlare dal palco, sia perché non se la sentiva di fornire una
copertura al notevole spazio politico che venne concesso a Cannavò
(esponente di un'area politica all'epoca ancora corresponsabile
della spedizione in Libano e responsabile diretta dell'esistenza del
governo Prodi, oltre che dei voti di Turigliatto a favore della
guerra in Afghanistan) e sia perché considerava ridicola (una sorta
di minisocietà dello spettacolo) la solita sfilata sul palco, come
oratori, di capi e capetti delle varie componenti (per giunta senza
alcuna parità di trattamento nella ripartizione del tempo di
parola). A piazza Navona - nonostante la presenza molto corposa e
qualitativamente caratterizzata del Partito umanista - cominciava,
in pratica, la commistione tra chi al carattere imperialistico del
governo si era opposto nettamente e dall'inizio, chi un po' meno
nettamente e un po' in ritardo, chi ancora ne negava la natura
imperialistica dandogli il proprio sostegno complessivo e
differenziandosi col voto solo a volte e su singole questioni (e
comunque, mai al Senato, per paura di far cadere il governo).
Non si può tacere -
anche per come sono andate e stanno andando le cose - il
boicottaggio da parte di tutte le componenti del Coordinamento
(tranne Utopia rossa che partecipò ad organizzarla) nei confronti
della Conferenza di Chianciano per l'Iraq (24-25 marzo)
organizzata da Iraq Libero (e in particolare dal Campo
antimperialistico). Vi sarebbe molto da scrivere sul metodo di
lavoro politico tipicamente piccolo-borghese per il quale ognuno va
solo alle cose che convoca in prima persona. E ancor di più vi
sarebbe da scrivere sull'idea infantile di ritenere solo i cortei di
strada (sempre inconcludenti e per lo più fortemente
esibizionistici) come l'unica forma di lotta a favore dei popoli che
lottano in prima persona contro l'imperialismo. Ma il discorso è
complesso per svolgerlo in questa sede e comunque i centristi non lo
capirebbero per il modo stesso in cui vivono la politica: che per
loro è fondamentalmente un luogo di spettacolo, quando non anche
terreno di promozione sociale individuale, di aggregazione
burocratica ecc. (vedasi, ancora una volta, l'analisi contenuta nel
libro sui Forchettoni rossi). A Chianciano non c'era spettacolo (e
nemmeno i media). C'erano invece gli esponenti di vari movimenti di
resistenza mediorientale, afghana e irachena che, per una volta
tanto si ritrovavano a discutere in pubblico tra loro, attorniati
per giunta da "miscredenti" marxisti della più varia estrazione. Per
loro stessa ammissione fu qualcosa di utile, un piccolo passo
concreto in avanti. Mentre la scelta del boicottaggio da parte del
costituendo Coordinamento centrista fu la riprova di quanto poco
interessassero ai suoi esponenti i problemi reali dei paesi oggetto
di aggressioni da parte dell'imperialismo (statunitense, britannico,
italiano ecc.). La storia adesso si ripete per la campagna per Gaza.
Io feci i miei spot
pubblicitari per invitare a partecipare alla conferenza di
Chianciano in un paio di riunioni del Coordinamento, non solo perché
ci credevo, ma anche perché vedevo la china opportunistica che il
Coordinamento cominciava ad assumere sui problemi delle guerre e
delle resistenze.
Ne avemmo purtroppo
la riprova nella preparazione della manifestazione del 9 giugno (contro
la visita di Bush a Roma). Nel Coordinamento era cresciuto ormai il
peso di Sinistra critica, di Casarini e della Rete 28 aprile di
Cremaschi, in piena sintonia con i Cobas, la Rete dei comunisti e,
purtroppo, anche il Pcl (che pure la sua battaglia contro Sinistra
critica e contro le varie forme di governismo in seno a Rifondazione
l'aveva fatta: acqua passata ormai, perché l'importante era la
visibilità che le manifestazioni della nuova area centrista
fornivano al miniapparato in formazione). Ci fu una discussione in
più fasi nel Coordinamento (soprattutto per l'opposizione
praticamente isolata di Utopia rossa) e si dovette comunque
raggiungere una soluzione di compromesso sulla piattaforma (in cui
non si denunciava la politica imperialistica del governo Prodi, ma
semplicemente la sua politica militaristica, con bocca cucita sulle
resistenze). Il compromesso fu raggiunto nel corso di un'assemblea
quasi-democratica (18 maggio, di quelle in cui i primi
parlano tre quarti d'ora e poi mano a mano si arriva a cinque
minuti), ma ciononostante il testo fu ulteriormente mitigato dopo
una telefonata di Cremaschi a Cannavò, in barba ai princìpi della
più elementare democrazia di dibattito. E così, per via telematica o
telefonica, lo slogan centrale della piattaforma divenne "contro
l'interventismo del governo Prodi", che politicamente non voleva
dire assolutamente nulla, e non includeva più nemmeno l'odore di un
riferimento alle responsabilità governative per la base di Vicenza,
per lo scudo antimissili e tutti gli altri progettini governativi
nel campo degli armamenti.
[Una cronistoria
abbastanza dettagliata di come lo schieramento del 30 settembre si
sia lasciato smembrare e snaturare nel carrozzone centrista del 9
giugno è contenuta in un corposo articolo di Michele Nobile che
facemmo circolare ai primi di giugno 2007.]
E fu così che nelle
stesse ore in cui ventimila persone (centomila per gli
organizzatori) sfilavano per le strade di Roma, Prodi poteva
incontrarsi con Bush e firmare l'accordo definitivo per l'aeroporto
di Vicenza, ben sapendo che più di tanto l'area dell'opposizione
centrista non era disposta a spingersi. A piazza del Popolo - nella
manifestazione contro Bush e a sostegno di Prodi - l'ala
maggioritaria del forchettonismo rosso (Prc e Pdci) si contava in
qualche centinaio di persone, dimostrando di non aver capito la
lezione di Vicenza: e cioè che nei cortei di ciò che volta a volta
appare come "il movimento" bisogna andarci e anzi far finta di
aiutare (ferrovie, articoli sulla stampa) ecc., tanto poi in
Parlamento si può continuare a fare tutto il contrario, facendosi
belli agli occhi della gente e non perdendo fette di consenso
elettorale.
Si dirà: "ma perché
cavillare su una parola - imperialismo, militarismo,
interventismo... - cosa vuoi che gliene freghi a Bush e a Prodi,
oppure all gente che vuole scendere in piazza a protestare". Vero,
verissimo. Infatti, nel momento in cui si sono messi a cavillare su
una parola e hanno sostituito "militarismo" con "interventismo",
Cannavò e Cremaschi non stavano pensando a Bush-Prodi o alle masse:
pensavano infatti a come mantenere aperta una porta con
Rifondazione e Pdci che si sarebbero potuti risentire di
formulazioni troppo esplicite nei confronti del governo di cui
facevano parte. Non a caso Cremaschi, dopo aver "cavillato" sulla
parola interventismo aderì ad entrambe le manifestazioni, mentre
Cannavò mantenne un atteggiamento "costruttivo" nei confronti della
manifestazione rossoforchettonica di piazza del Popolo. Il guaio è
che nel Coordinamento nessuno si oppose loro (né Pcl, né Red Link,
né Partito umanista - per non dire di Bernocchi e Sergio Cararo che
a Cannavò avevano spalancato la porta) e Utopia rossa che invece
tentò di contrastarli, vistasi completamente isolata, si dovette
ritirare dal Coordinamento per non essere coinvolta nemmeno
indirettamente nel nuovo corso centrista, ambiguo e opportunista.
Al di là della
botta politica ricevuta dal Prc (che però non ha avuto alcuna
influenza sulla tenuta di apparato della segreteria di Giordano), il
9 giugno confermava la classica metodologia centrista "di movimento"
per cui 1) i cortei vanno bene indipendentemente dai risultati
pratici che ottengono, purché siano imponenti nel numero e 2) per
far venire più gente possibile è bene annacquare la piattaforma.
Pure idiozie - e
per giunta diseducative - perché era tale l'indignazione contro Bush
che la gente sarebbe venuta anche con una piattaforma che avesse
denunciato Prodi come socio coimperialistico e non solo come
"interventista". Anzi, spero proprio che un giorno sia data
nuovamente a noi rivoluzionari, anche qui in Italia, la possibilità
di far vedere che più le cose sono nette e chiare, radicali e
contundenti, più le masse partecipano in forma consapevole e
combattiva. E' solo un problema di abituarle alla chiarezza, cosa
che il centrismo non ha mai fatto e mai potrà fare, per le ambiguità
della sua stessa natura genetica. In questo senso, il suo contributo
pluridecennale alla diseducazione delle masse in via di
radicalizzazione vale oro per gli apparati di potere della
borghesia.
Il 7 ottobre vi
fu l'assemblea del Coordinamento a Roma (di quelle in cui si
iscrivono a parlare in 45 e quindi contano solo gli interventi
iniziali - altra pratica di movimento che sembra tanto democratica,
ma in realtà va bene solo per gli organizzatori perché contribuisce
a non discutere politicamente i problemi... politici). In
quell'occasione, oltre a Casarini e ai Forchettoni rossi di Sinistra
critica, cominciarono ad apparire altri volti forchettonici
(Francesco Caruso, Haidi Giuliani per il momento, in avanscoperta
per altri che seguiranno). E il 9 novembre si è svolto lo
sciopero del sindacalismo di base che, nonostante le energie
generose in esso impiegate, è passato praticamente inosservato sulla
scena politica e sindacale, non ha modificato i rapporti di forza
sui luoghi di lavoro nemmeno di un pollice, e in più ha avuto anche
una scarsa valenza propagandistica per l'ambiguità mantenuta da
parte delle forze che l'hanno indetto e delle personalità che
l'hanno rappresentato pubblicamente, sulla questione governativa
(che era invece una questione politica decisiva trattandosi di uno
sciopero chiaramente politico-propagandistico e non rivendicativo,
checché abbiano detto gli organizzatori).
Del resto, pochi
giorni prima, il 20 ottobre, il Prc aveva dato una
dimostrazione di poter competere con l'area centrista in maniera
vincente sul terreno dei cortei di strada e di avere ancora un forte
sostegno militante per la sua politica governista, portando in
piazza ben centomila persone (che sono veramente tante,
indipendentemente dalla loro pazzesca menzogna di averne portate un
milione). Il 20 ottobre avrebbe dovuto rappresentare un colpo duro
per chi crede che la politica di scontro con un governo della
borghesia sostenuto dalla sinistra e dalla ex estrema sinistra si
faccia a colpi di cortei. Ma a noi non è pervenuto nemmeno il soffio
di un'autocritica, di un ripensamento.
E allora avanti con
i cortei - come incitavo ironicamente a fare questa estate, in un
mio intervento del 4 agosto intitolato per l'appunto "Corteo!
corteo!". Scrivevo: "Corteo! corteo!, gridano Prodi, i Centristi
autonomi, i Forchettoni Rossi, quelli Verdi, la direzione della
Cgil, le opposizioni di sua maestà interne alla Cgil... Insomma,
l’intero paese sembra non chiedere più panem et circenses - come
faceva accortamente la plebe romana - ma solo circenses: si vede che
di panem ne ha ad abundantiam oppure non è più la plebe a
gridare. Resta il fatto che ci hanno preso proprio per scemi.
Evidentemente qualche nostro comportamento del passato recente deve
averli convinti che ci si può far ballare e sfilare indefinitamente
e senza costrutto alcuno. Corteo! corteo! E noi che facciamo? Non lo
facciamo anche noi un bel corteo?".
In realtà, facendo
dell'ironia sulla mania di fare cortei senza costrutto (cioè
cortei che non prevedono il raggiungimento di un obiettivo preciso -
atteggiamento tipico della piccola borghesia che i lavoratori non
possono condividere per la loro stessa collocazione nel processo
produttivo e per i prezzi che pagano a lottare) non immaginavamo di
essere presi sul serio. Se si dà uno sguardo alla lista dei cortei
fatti in questi ultimi mesi e quelli da fare dopo le ferie natalizie
viene già l'affanno. Sono centinaia e centinaia di chilometri che si
dovranno percorrere per temi importantissimi, ma tutti disparati tra
loro, senza che vi sia mai un obiettivo, minimo, insignificante
quanto si vuole, ma sul quale gli organizzatori del corteo dicano:
qui ci fermiamo e non ci muoviamo più finché l'obiettivo non venga
conseguito. Ma poiché i cortei hanno una funzione essenzialmente
spettacolare, mediatica in quanto ad esposizione dei loro
organizzatori (tutti in prima fila a reggere lo striscione o
impegnati a farsi rincorrere dalle varie televisioni ansiose di
intervistarli, e comunque litigiosi l'indomani su chi avesse più
bandiere con manifestante incorporato nel proprio tratto di corteo)
è matematicamente escluso che possano servire a qualcosa che non sia
il loro semplice effetto spettacolare. Mi si chiederà: fai presto a
parlar male delle nostre sfilate mediatiche: facci un esempio di
lotta seria e dura...
E' presto detto e
l'esempio lo ricavo paradossalmente proprio dalla pratica dei Cobas
- dei quali è portavoce Bernocchi, proprio lui che da più parti è
invece indicato come il responsabile principale per il dissolvimento
del Coordinamento del 30 settembre e per la crescita del ruolo di
Sinistra critica nel nuovo Coordinamento centrista. Avete mai
osservato come i Cobas lottano per ottenere il diritto di assemblea
sindacale nell'orario di lavoro? Se non l'avete presente, vi siete
persi uno degli esempi più rigorosi di come si possa condurre una
lotta quando si vuole veramente raggiungere l'obiettivo (o, come in
questo caso, quando dal conseguimento dell'obiettivo dipende lo
sviluppo o l'arretramento del movimento stesso). Sul diritto
d'assemblea i Cobas lottano con grinta durissima da anni, senza
interruzioni di sorta, a livello locale e nazionale, con cortei e
senza cortei, utilizzando tutte le forme di mobilitazione possibili
(dai sit-in allo sciopero della fame), usando tutti gli strumenti di
propaganda scritta di cui dispongono e imponendo a tutte le forze
politiche (governative o extra) di pronunciarsi nel merito,
decidendo poi sulla base di tali pronuciamenti quali alleanze
difendere e quali denunciare. Come sintesi di tutto questo gran
lottare in lungo e in largo, c'è la volontà dichiarata di non
cessare la mobilitazione fino al conseguimento dell'obiettivo - e
ognuno sa che non scherzano e fanno sul serio. Forse ce la faranno a
vincere (e noi tutti glielo auguriamo), ma anche in caso che non vi
riescano, resta il fatto che una simile forma di lotta è educativa,
crea coscienza politica, dà coraggio per proseguire e in ultima
analisi trascende l'obiettivo stesso, visto che ciò che è in gioco è
la democrazia sindacale oggi nella prospettiva della democrazia
diretta sui luoghi di lavoro un domani, chissà.
Ecco, ditemi voi
che cosa abbia in comune il modo di lottare dei Cobas per
l'assemblea con le sfilate esibizionistiche, i cortei inconcludenti
e lo sfoggio di un numero maggiore o minore di partecipanti al
proprio pezzo di corteo.
Tutto il male che
si può dire del continuo ricorso ai cortei - come strumento di sfogo
catartico ed esibizionistico con cui tenere occupate periodicamente
le sempre nuove leve della radicalizzazione politica - vale ancor
più per le raccolte di firme ai referendum. Lì siamo proprio
alla truffa: ci si autoproclama - senza autorizzazione alcuna -
paladini della lotta contro un determinato sopruso che affligge un
qualche settore del mondo del lavoro; si organizza la raccolta di
firme per il referendum nazionale (quello plebiscitario in cui
possono votare tutti, anche i padroni, i ladri, il clero o
lavoratori estranei a quella determinata problematica); si sa
benissimo che il referendum verrà perso (è un fatto dapprima
matematico, poi di semplice constatazione dei rapporti di forza in
campo politico e mass-mediatico); si finge cinicamente che la
vittoria sia possibile e, mentre ci si accinge a dare questa
ennesima coltellata alla schiena dei lavoratori, si tenta di
ottenere visibilità, audience e possibilmente qualche nuovo rapporto
politico; gli operai pagheranno sulla propria pelle (come quelli
dell'art. 18 nel referendum a perdere voluto da Bertinotti e area
centrista più ampia); il tema oggetto di referendum diventerà
innominabile per chissà quanti anni (vedi la scala mobile); ma i
militanti saranno stati impegnati a fare cose, ad andare in giro, a
vedere gente, a non ragionare e soprattutto a non studiare
criticamente.
Al momento, la
nuova area centrista si sta preparando a far perdere ai lavoratori
italiani ben tre referendum su problemi del lavoro, senza tirare il
benché minimo bilancio di come avevano portato a perdere il
referendum sull'art. 18. Viene il sospetto che i cortei
inconcludenti e la raccolta di firme per i referendum a perdere
stiano diventando le forme privilegiate di attività per questa nuova
area centrista, centralmente animata da Sinistra critica e
Cremaschi, ma sorretta con maggiore o minore complicità da
Disobbedienti, Cobas, Rete dei comunisti, Pcl e qualche "furba"
sigletta minore.
La nuova area
centrista si è formata ufficialmente nel "fuoco" dell'ultimo corteo
di Genova e nell'incontro nazionale del 7-8 dicembre,
convocato da Sinistra critica ma con l'adesione di tutte le
componenti centriste del Coordinamento. Sinistra critica ha poi
fatto la sua dichiarazione di uscita da Rifondazione (17
dicembre, pur avendo cercato di mantenere un rapporto fino
all'ultimo momento con la promessa di partecipare al prossimo
congresso del Prc - promessa insostenibile nel momento in cui il
congresso slitta a novembre del 2008). Di quel testo vale la pena di
citare una frase veramente sintomatica, quando si dice che "In
realtà siamo di fronte al fallimento di Rifondazione che coincide
con il suo snaturamento".
Evidentemente la
lezione non è servita. Rifondazione non ha fallito affatto!
L'apparato che ha sapientemente diretto la baracca fin dal 1991 ha
ottenuto obiettivi ambìti e preziosissimi che all'epoca non si
sognava neanche di poter raggiungere: 110 parlamentari in Italia,
includendo i Verdi e l'altro spezzone dell'originaria Rifondazione
che va sotto il nome di Pdci! due ministri e una caterva di
sottoministri, nonché presidenti e vicepresidenti di commissioni
parlamentari (tutti dati rintracciabili ovviamente nel libro sui
Forchettoni rossi) oltre all'ambizione personale pienamente
soddisfatta di chi presiede addirittura la Camera dei deputati. Come
si può chiamare sconfitta qualcosa che Rifondazione ha perseguito
fin dall'atto della sua nascita, senza avere avuto il coraggio - lo
ripeto - di aspirare a tanto smisurato successo per la propria
sottocasta rossoforchettonica!?
Chi è stata
sconfitta è invece proprio Sinistra critica (cioè la sezione
italiana della Quarta internazionale di Livio Maitan - gli epigoni,
ex sostenitori di un governo imperialistico, non oso nemmeno
considerarli come parte della Quarta) che dopo 15 anni di entrismo
nel Pci, dopo gli anni di entrismo in Dp, dopo altri 15 anni di
entrismo nel Prc, dopo aver contribuito a creare il mito politico di
Bertinotti, dopo aver dato ogni possibile copertura "movimentistica"
all'entrata del Prc nel governo, dopo aver impedito lo sviluppo
della corrente antibertinottiana di Progetto comunista, si ritrova a
costruire il consueto raggruppamento centrista, senza alcun seguito
di massa, in un'Italia caratterizzata dall'assenza di una classica
sinistra riformista, con un governo imperialistico sostenuto dagli
stessi compagni di partito (Prc e Pcdi): peggio di così non poteva
andare al progetto politico della Sinistra critica maitaniana, quale
esso veniva formulato nel 1991 e ribadito ad ogni congresso di
Rifondazione. Se non sono i militanti di Sinistra critica gli
sconfitti, il cui fallimento coincide con il loro snaturamento
rispetto al patrimonio teorico del marxismo rivoluzionario, chi
altri lo è? Non sono stati forse questi i comodi idioti della
straripante vittoria di Bertinotti e della sottocasta dei
Forchettoni rossi? Mi si dirà che la straripante vittoria si
trasformerà prima o poi in cocente sconfitta. Bene, questo è tutto
da vedere, compresi i tempi e i modi del processo. Ma una cosa è
certa: nell'eventuale futura sconfitta di Rifondazione, Sinistra
critica e l'area centrista che la circonda non potrà avere alcun
ruolo determinante, a differenza di quanto è avvenuto nella fase
della vittoria rifondarola e bertinottiana dove l'aiuto dei comodi
idioti è stato fondamentale.
1) Il nuovo
carrozzone centrista vi chiederà in continuazione di fare cortei,
per centinaia di chilometri e per le cose più disparate.
Rifiutatevi, senza mezzi termini, oppure chiedete garanzie che si
perseguirà senza soluzione di continuità un qualche obiettivo
specifico. Consiglio in alternativa delle lunghe passeggiate nei
boschi.
2) Il nuovo
carrozzone centrista vi chiederà di raccogliere firme per 3 (e
chissà quant'altri) referendum su questioni del lavoro per i quali
la sconfitta è certa anche se (come pare) Rifondazione vorrà
parteciparvi. Rifiutatevi e basta. Anzi rovesciate i banchetti in
cui si raccolgono le firme e dite - a chi di loro lo fa solo per
ingenuità - che non hanno alcun diritto di pugnalare i lavoratori
alla schiena solo per farsi un po' di pubblicità.
3) Il nuovo
carrozzone centrista tenterà in tutte le prossime scadenze
elettorali di farvi votare per loro. Non lo fate. Astenetevi e
ricordate che fine hanno fatto nel passato i vostri voti per
Rifondazione, Pdci e Verdi. Questa volta andrà ancora peggio perché
il carrozzone centrista, nella sua sezione principale, parte già
corrotto e già provato da un'esperienza filogovernativa e
filoimperialistica.
4) Il nuovo
carrozzone centrista vi esporrà la teoria per la quale chi dirige i
cortei inconcludenti ha diritto, per questo fatto stesso, a dettare
la linea politica dell'intero movimento di classe (presunzione
iniziata nel '69 con Avanguardia operaia, poi trasferitasi a Dp, poi
a Rifondazione e ora al nuovo carrozzone centrista). Rispondetegli
che non tutte le linee sono uguali e che non si misurano nella
quantità di persone che sfilano in strada o depositano il voto
nell'urna. Dite loro che la linea politica del centrismo - nella sua
ubiquità o inesistenza - è forse la più dannosa per i movimenti (in
fase di ascesa) perché li illude, ma poi li abbandona (Lotta
continua) oppure li porta alla sconfitta (Potere operaio, Autonomia
operaia ecc.). E insistete molto sul fatto che dirigere dei cortei
inconcludenti non significa capacità di leggere politicamente la
realtà, né garantisce che si saprà indicare una strada percorribile
ai movimenti rivoluzionari qualora se ne presenti l'occasione.
5) Non fidatevi più
di chi ha già tradito gli ideali una volta, votando la fiducia al
governo imperialistico di Prodi, votando il suo programma
antioperaio e le sue Finanziarie di guerra, votando le missioni
colonialistiche dell'imperialismo italiano. Ricordate che la cosa
più difficile è tradire la prima volta: dopo diventa via via più
facile. Almeno così mi dicono, visto che personalmente, questa
esperienza di appoggiare l'imperialismo italiano o di qualsiasi
altro paese al mondo, non l'ho mai fatta, né direttamente né
indirettamente, mai. E non saprei come si possa riuscire a farla o
perlomeno come si possa far tacere la coscienza.
6) State attenti ai
Forchettoni rossi di questa 15a legislatura. Sono i più agguerriti e
quando saranno usciti dal governo (da cui la borghesia sta tentando
di cacciarli a suon di sberle per avvenuto completamento della loro
funzione di utilità: ma loro... niente) - quando saranno usciti dal
governo, dicevo, dilagheranno in ogni direzione per rifarsi una
verginità. Ogni miniapparato o gruppetto che dir si voglia, avrà la
sua scorta di Forchettoni pentiti e vi giurerà che di questi il
pentimento è autentico mentre di quelli nel gruppetto avversario...
Vi faccio solo un esempio "bipartisan": in testa alla delegazione
del Campo antimperialista in partenza per Gaza ci sta l'unico membro
che può fregiarsi del titolo di senatore: ed ecco a voi... Fernando
Rossi - l'equivalente di Turigliatto in campo Pdci - con
performances analoghe in campo Libano e Afghanistan.
Non li state a
sentire e diffidate del Forchettone pentito ancor più di quello
gongolante attuale. La sua azione - quando vedrà sfuggire di mano la
disponibilità delle ricche e agognate prebende - sarà ancor più
devastante nella fase che ci sta di fronte, perché sarà dettata da
odio e risentimento per coloro che il posto nella sottocasta saranno
invece riusciti a salvarlo..
La fase che ci sta
di fronte... Sembra un sogno, in cui sarebbe tanto bello poter
partire da zero, cominciando a coniugare la sana teoria
rivoluzionaria con i bisogni concreti delle masse (che poi son
quelli della salvaguardia della specie su scala planetaria). E
invece si parte male, peggio che male, coi Forchettoni ancora al
governo, quelli pentiti all'opposizione e il nuovo raggruppamento
centrista intenzionato a far da tramite tra gli uni e gli altri.
Vedo nella palla di
vetro che questa nuova operazione centrista (la quarta, per
l'esattezza, nella storia del dopo '68, e non ho contato il Psiup)
per qualche tempo sembrerà funzionare e attirerà i più ingenui (ma
anche i più corrotti). Poi, inaspettatamente, esploderà come tutti i
carrozzoni centristi precedenti sotto il peso di contraddizioni che
i dirigenti centristi non avranno saputo prevedere, analizzare e
affrontare politicamente. Qualche altro annetto sarà comunque
passato e la borghesia avrà già incoraggiato lo sviluppo di altre
carte di ricambio, di altre valvole di sfogo e di altri utili
idioti.
Aiutatemi a far
circolare questa filippica tra i giovani che si avvicinano ora alla
politica.
DIXI ET SERBAVI
ANIMAM MEAM
CaneSciolto
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