AVVENIMENTI
Cuba: andata e ritorno
di
Gloria Malaspina
Si arriva a Cuba in un
modo e si riparte in un altro. Mi spiego: si arriva a Cuba pensando
di sapere più o meno tutto e si riparte con la consapevolezza di
avere ancora molto da capire. In più, se si è avuta la fortuna di
poter vedere anche un po’ più in là della superficie – capire meglio
alcune caratteristiche ed implicazioni della realtà cubana, o
parlare direttamente, al di là del “protocollo”, con alcuni dei
compagni che abbiamo conosciuto e vivere con loro alcuni momenti di
svago – resta anche dentro una specie di “mal di Cuba” (almeno, a
noi cinque è successo), che ci fa già programmare un prossimo
ritorno. Bruno, Gloria, Maria Antonietta, Mario e Stefano: con
qualche ansia sul filo di lana della partenza, dovuto a un paio di
ritardatari causa traffico verso l’Aeroporto, partiamo caricati
dalla curiosità e, anche, un po’ in attesa di diventare “delegazione
ufficiale”. Il viaggio, nonostante duri undici ore, passa senza noia
e non sembra neanche così lungo: ben altro sarà al ritorno, un po’
perché nessuno aveva voglia di partire, un po’ perché le notti sono
state lunghe, a Cuba, e il riposo breve.
L’arrivo in un
aeroporto, il José Martí, la cui scritta di benvenuto fa riferimento
all’uguaglianza sociale, già di per sé dà una strana sensazione:
siamo in un altro mondo, se questa è l’accoglienza. Scendiamo e
inizia il protocollo: ci accolgono, saltiamo tutte le procedure di
sbarco (quanto era da verificare è già stato verificato) e con un
pulmino ci portano a La Habana, in una casa per ospiti, protetta,
dove faremo anche colazione, pranzeremo e ceneremo, se il programma
non prevede diversamente.
La città mi dà
una sensazione particolare: non me ne ero fatta un’idea e avevo
volutamente evitato di guardare guide. Così, non so ancora se mi
piace o no. Mi impressiona un po’ qualche area urbana per il degrado
discontinuo di alcune case di abitazione e non sono preparata a
vedere il tipo di trasporto che c’è: le macchine e i macchinoni
degli anni ’50, con i colori più improbabili per una produzione,
perché riverniciate chissà quante volte; autobus degli anni ’40,
’50, ’60 e ‘70 di tutti i tipi e provenienti da tutte le
“tradizioni” europee e nordamericane; carretti trainati da cavalli
attrezzati per il trasporto di almeno sei persone (che saranno molto
più frequenti nelle altre provincie); bici per trasporto di persone
modello “Rimini”, ma non così moderne; sidecar come se piovessero;
camion tipo militare per il trasporto merci utilizzati come autobus;
camion da ortofrutta (quelli con le spallette) usati anch’essi per
portare le persone; biciclette non certo da cross, né da corsa;
qualche rara moto o lambretta…Una sarabanda pittoresca e povera, ma
vivace, di mezzi tante volte risistemati e passati di mano in mano,
con qualche mezzo moderno e qualche auto di marca europea e
fabbricazione recente che, però, sapremo poi essere quelle delle
imprese.
Imparerò molte
cose, ma per ora sono sconcertata e l’insieme de La Habana sembra il
terreno utile alle scorribande e alle speculazioni propagandistiche
contro Cuba, sulle condizioni di ristrettezza e difficoltà in cui il
popolo cubano vive, che gli Usa, per primi, ma pochi per ultimi,
portano avanti.
L’impatto con
la casa che ci ospita è positivo: si trova in un quartiere più
moderno e non centrale, con aspetti di residenzialità più simili
alle nostre buone periferie. Stanze grandi, belle, con il bagno.
Verde tutt’intorno (che, però, è una caratteristica diffusa). Mi
sistemo. Intanto, sta finendo questo giorno dell’arrivo ed è quasi
ora di andare a cena, per poi uscire con un taxi (non è previsto
nulla) e andare al centro.
La cena è uno
spasso, perché nessuno degli altri è abituato a vedersi servire la
frutta (tropicale, con la guanagua che la fa da padrona, ananas e
banane) come antipasto, il secondo come primo comprensivo di
contorno e il primo come contorno, né a vedersi servire le banane –
quelle verdi fuori e gialle dentro, ma non sanno che sono un
ortaggio – come contorno…scherziamo e mangiamo: tutto molto buono.Al
centro in taxi con 6,00 euro…circa da C.so d’Italia a Piazza
Venezia, solo che il percorso è almeno otto volte tanto. Due passi e
poi in Piazza della Cattedrale, bellissima. Un bar con musica dal
vivo, all’aperto, cubana, naturalmente, e meno male! Ci sediamo e
partiamo con i mojitos, qualche dolce e tanti cagnetti…Cuba è piena
di cagnetti, tutti di taglia piccola. Ci godiamo una mezz’ora
agitandoci sulla sedia al ritmo della loro musica e l’unica nota
sgradevole è stata l’arrivo di un viscido 70enne con due belle
ragazze (20 anni?) che si è seduto al tavolino vicino al nostro,
ostentando sicurezza, familiarità e quattrini: siamo già dalla parte
dei cubani, a prescindere dalla politica.È molto bello questo
mescolio delle razze e le persone di pelle scura sono mediamente più
belle delle altre. Andiamo via e giriamo un po’ per le stradine…buio
e pozzanghere (abbiamo avuto, stasera, il benvenuto anche del
temporale tropicale per un’ora nel tardo pomeriggio). Brancoliamo di
tanto in tanto, ma in linea di massima dovremmo riuscire a
raggiungere la piazza per riprendere il taxi. Infatti, ce la
facciamo.Con varie peripezie relative alle chiavi di ingresso, delle
quali una non apre (per fortuna è quella che porta alle stanze di
Bruno, Mario e Stefano), riusciamo ad andare a letto…È l’una e,
giacché qui siamo sei ore indietro col fuso orario, siamo svegli da
trenta ore…
23 settembre
Comincia il viaggio
attraverso la realtà cubana e il Partito Comunista di Cuba, con una
buona guida che è Yamila Pita Montes, Comitato centrale del Pcc e
responsabile per il Dipartimento Esteri dell’area europea che
comprende il nostro Paese. Dopo una colazione-shock per Bruno e
Stefano, che non si aspettano prosciutto, formaggio e uovo di prima
mattina, vogliono il caffelatte (che comunque portano) e salgono a
prendere le ciambelline che Bruno ha portato da Albano, ci avviamo
all’incontro previsto questa mattina con Oscar Martinez Cordovés,
vice-capo del Dipartimento dei Rapporti internazionali.
Approdiamo – è
il caso di dirlo – alla grandiosa Piazza della Rivoluzione - ci
entreranno almeno due milioni di persone – con i Ministeri, il
Consiglio di Stato (ossia, il Governo) e il Comitato centrale del
Partito Comunista cubano. Quasi al centro della Piazza, il Mausoleo
di Martí, che è il padre spirituale della Rivoluzione cubana e che
vedremo più tardi: bellissimo, anche all’interno, con mosaici
italiani, è l’edificio che, essendo su una collina di trenta metri,
offre la vista più dall’alto dell’Avana. La Piazza è molto verde,
come del resto tutta la città. Sul Ministero degli Interni
campeggiano, a tutta facciata, i contorni del viso del Che, che
degli Interni è stato Ministro dopo la vittoria rivoluzionaria e sul
palazzo accanto, il Ministero della Difesa, mi pare, le cinque
immagini giganti degli attuali prigionieri cubani negli Usa. Foto a
tutto spiano…
Entrare nel
palazzo del Comitato Centrale del PCC è piuttosto emozionante e, fra
l’altro, notiamo che la “lift” dell’ascensore ha una postazione
davanti alla pulsantiera con sedia, poggiapiedi e ventilatore
disposto strategicamente verso di lei. Un po’ di qualità della vita,
anche in ascensore.
Oscar Martinez si rivela essere un uomo notevole, per la capacità di
esprimere con estrema chiarezza e lucidità la situazione cubana,
interna ed internazionale. La nostra conversazione spazia dalle
relazioni Usa-Europa e dalle riflessioni sui diversi – e
contraddittori – livelli di interdipendenza, alla situazione
economica strutturale di Cuba, alle politiche programmate di
sviluppo dei singoli settori, con la chiara evidenziazione delle
difficoltà, allo stato del Partito e della società civile, alla
dimensione sociale della politica cubana verso la popolazione, agli
indicatori – notevoli – degli interventi su istruzione e scuola,
alimentazione, sanità, assistenza, sviluppo scientifico.
Il piano per
l’istruzione, ad esempio, prevede obiettivi concreti in via di
realizzazione, che tengono insieme la funzione educativa culturale
della scuola a quella sociale: non più di venti bambini per classe,
quindici alle superiori; programmi interattivi; ogni scuola è dotata
di televisore, pc e programmi di software educativo prodotti a Cuba,
dove si sta sviluppando una buona ingegnerizzazione del sistema
informatico e sta crescendo una generazione di informatici, dati
alla mano. Nelle scuole dove ci sono da uno a quattro bambini
(realtà limitate, ma esistenti nelle montagne a sud) e
l’elettrificazione tradizionale è problematica, si provvede
all’energia con i pannelli solari. A scuola, poi, viene impartita
una forte e coerente educazione alla salute, a partire da quella
alimentare.
Ricaviamo un’immagine di grande fatica e di grande progetto, di
tensione verso le radici del socialismo, di lavoro vero verso il
livellamento delle opportunità, di grande dignità culturale, teorica
anche, e di una condizione di eccellenza per le ricerca scientifica,
soprattutto medica e biomedica. Già lo sapevo, ma sono eccezionali
nell’ambito delle neuroscienze, delle tecnologie cliniche avanzate,
nella ricerca e applicazione farmaceutica.
In questo primo
incontro, ahimé, viene fuori il fatto che parlo lo spagnolo:
elemento che mi renderà, per una serie di circostanze sfortunate
relative alla comunicazione, una specie di apripista nel “rilancio”
della discussione, dopo l’intervento del nostro ospite di turno e la
prima risposta del nostro capo-delegazione (che, per varie
situazioni di simpatica autoreferenzialità, sarà da noi
soprannominato “Sua Santità”, per felice intuizione di Bruno).
Una cosa posso
dirla già da ora, perché se ne tenga conto: mano a mano che si
succedevano gli incontri e le conversazioni, la nostra
partecipazione alla discussione era sempre più attiva e curiosa,
perché la visione della realtà cubana e degli intrecci delle
problematiche ci metteva via via in grado di interloquire con dei
commenti su di loro e di proporre una lettura della nostra realtà
utilizzando i loro punti di riferimento, per renderla più
comprensibile al di fuori dei nostri schemi, mentali e culturali. Ci
lasciamo temporaneamente con Martinez, che ci ospiterà a pranzo,
quando riprenderemo con lui la discussione sulle diverse
interpretazioni politiche di eventi internazionali, per visitare il
Mausoleo di José Martí, al centro della piazza, assolata. Strani
uccelli, come piccoli avvoltoi, girano alti nel cielo: ce ne sono
molti e offrono uno spettacolo singolare. Il pranzo è ottimo,
preceduto da un aperitivo e servito con attenzione e professionalità
alta. L’aragosta mi crea qualche problema, perché non mangio animali
uccisi con crudeltà, ma mi impongo di fare finta di niente e la
finisco in un tempo record, per non pensarci più. Salutiamo Oscar e
ci avviamo al secondo incontro della giornata.
Il pomeriggio del 23 incontriamo la Segreteria nazionale della
Gioventù comunista di Cuba, l’Unione della Gioventù Comunista (UJC),
nella persona di Enrique Dìaz, responsabile delle Politiche sociali,
con due compagne funzionarie del suo ufficio. Scopriamo due cose:
che Enrique è un ragazzo pieno di entusiasmo, curioso, assolutamente
convinto dell’impegno che gli è affidato e che la Gioventù comunista
a Cuba porta davvero avanti politiche rivolte ai giovani,
effettivamente delegate loro, nell’operatività e nello sviluppo
possibile, dal Partito (pare che Enrique sia un ragazzo molto
promettente, il cui lavoro è apprezzato da Fidel): insomma, non
fanno “promozione” della politica tra i giovani, ma attuano le
iniziative sociali che da essa conseguono. Ci siamo soffermati in
particolare sul ruolo della UJC per la formazione dei “lavoratori
sociali”, che sono i ragazzi e le ragazze impegnati nella
realizzazione dei programmi sociali definiti nel quadro delle
politiche di consolidamento e di sviluppo del sistema cubano. “La
battaglia delle idee”, che sembra uno slogan un po’ abusato, qui è
un vero e proprio programma attuativo delle politiche individuate
nel medio periodo, sia nei confronti delle scelte interne, che
estere. Per esempio, si sta lavorando sui giovani “drop out”,
diremmo noi, tra i 16 e i 20 anni, per recuperarli alla vita sociale
attiva. Partendo dal rapporto tra livello culturale (che implica
scolarità, relazioni familiari e sociali in genere, lavoro) e tipo
di delitto – non ci sono omicidi, ma solo furti, appropriazioni
indebite, liti, piccole truffe – si sono individuati dati e linee di
tendenza possibile per un vero e proprio programma di recupero,
attraverso un tutoraggio da parte dei giovani “avvantaggiati” nei
confronti di quelli svantaggiati, con l’obiettivo di tirarli fuori
dalla loro condizione, farli studiare e dare loro un salario, con
corsi pomeridiani. Nella valutazione, si pone la massima attenzione
ai progressi, piuttosto che al successo individuale complessivo in
un tempo dato. Dal punto di vista del metodo, non si lavora per
statistiche e campionamenti, ma si personalizza l’intervento sulla
popolazione e si “contano” le persone coinvolte, valutandone la
mutata condizione. Questo progetto ha anche trovato una sponda
importante nel programma educativo (scolastico), per l’ampliamento
delle opportunità culturali attraverso software informatici e
trasmissioni televisive su tutto l’arco delle discipline, comprese
quelle artistiche, che a Cuba rivestono una grande importanza e sono
seguite con molta attenzione: sono 779 le scuole medie all’Avana che
seguono programmi artistici specifici. Parliamo con Enrique anche
dei rapporti tra Partito e rappresentanza istituzionale, formandoci
l’idea di un sistema complesso, necessariamente diverso – nel
processo elettivo – dal nostro, che è pluralista nelle espressioni
partitiche: e tuttavia esiste una separatezza reale tra Partito e
percorso elettorale, effettivamente riservato ai diversi livelli
elettivi della rappresentanza popolare. Questo non vuol dire che tra
gli eletti non vi siano persone importanti, a livello locale, del
Partito, ma solo perché evidentemente esse rappresentano un
affidamento per chi le elegge in una posizione istituzionale e non
di Partito. È un po’ complicato, per noi, da afferrare bene e un
qualche grado di scetticismo ci resta dentro, anche se colloqui
successivi contribuiranno a farci comprendere meglio le relazioni e
il rapporto della popolazione con i livelli istituzionali, che
partono – praticamente – dal caseggiato, considerato istanza
elettiva.
Salutiamo Enrique e le
due compagne che erano con lui, lasciandoci con l’intenzione di
rispondere all’appello che a dicembre la UJC lancia ai partiti
comunisti per la formazione di “brigadas” di giovani - che vanno a
Cuba per conoscerla e per impegnarsi in programmi politico-sociali -
a cominciare dai nostri figli (qualcuno fra noi ha figli
diciottenni), dal momento che, fin qui, ci siamo convinti che faccia
bene alla salute morale conoscere questa realtà.
La giornata non è finita: ci incontriamo alle 17.30 con l’Icap
(l’Istituto per l’amicizia tra i popoli), nato nel 1960 per
canalizzare il lavoro di solidarietà per e da Cuba. Sono circa 2000
le organizzazioni con le quali si sono stabiliti rapporti, in 130
Paesi, molti in Europa. Il ruolo dell’Istituto nell’Unione europea è
importante, per la solidarietà a Cuba e sono circa 92 i “circoli”
costituiti direttamente su iniziativa dell’Icap: le Associazioni
Italia-Cuba sono figlie di questa politica. Ragioniamo insieme su
quali potrebbero essere gli obiettivi e i canali di informazione per
stimolare l’attenzione e la comprensione della realtà cubana di
fronte all’assedio del mondo, anche sollecitando iniziative dai
risvolti economici, che alleggeriscano un po’ il peso dell’embargo –
feroce e senza fine – da parte degli Usa. L’impressione che ne
ricavo è di preoccupazione e mi coglie una tristezza profonda: Elio
Rodriguez, il Direttore per l’Europa dell’Istituto, è un uomo mite e
consapevole delle difficoltà e dei danni che la “doppia morale”,
introiettata come lente per leggere i rapporti politici all’interno
dei Paesi e che vede tanta differenza se si giudica Cuba o se si
giudica un altro paese (la Turchia? La Bolivia? Gli stessi Usa?) per
la sua politica interna, sta facendo riguardo la percezione del suo
Paese dall’estero, grazie anche alla pigrizia intellettuale e morale
(dico io) della gente occidentale. Ma tant’è: l’importante è
continuare a lavorare per informare e controinformare, per dialogare
e sostenere le opportunità di sviluppo dello Stato cubano. Si è
fatta sera. Torniamo a casa, un po’ frastornati, ma con l’idea di
uscire dopo cena. Siamo stanchi, ma non vogliamo perderci il tempo
di questa visita. Ci capiteranno un po’ di cose: un bellissimo
ragazzo nero (promoter di un locale di recente apertura) ci proporrà
di andare a bere qualcosa e ci accompagnerà in un palazzo ducale
(ex), bellissimo, dove daremo seguito ai nostri mojitos e daiquiri.
Poi, in una piazza centrale, una cubana riuscirà a farmi comprare
per il suo bambino del latte in polvere in un negozio dove accettano
solo dollari (ne spenderò trenta, per cinque buste), tenendo
presente che un dollaro vale 29 pesos cubani e che un salario medio
è di 12 dollari…va, ovviamente, considerato che tutta la spesa
sociale è gratuita (sanità, scuola, assistenza e alimentazione
scolastica), che le auto non si possono comprare sul mercato del
“nuovo”, per non gravare sul consumo di carburante (poi conosceremo
nel particolare la questione), ma solo da altri privati (in modo che
non aumenti il parco circolante) o solo, ex novo, da parte delle
aziende, che ne hanno bisogno per il lavoro. A mezzanotte, dopo aver
comprato dei dolcetti per Bruno, che però mangeremo tutti, la
mattina dopo, Bruno ed io ce ne torniamo a casa in taxi, mentre gli
altri accetteranno la proposta di due ragazzi, di andare in un
locale dove si balla con musica dal vivo. Con un piccolo
stratagemma, risolveremo il problema “chiavi”….
24 settembre
La mattinata ha inizio,
dopo una colazione abbondante, con l’incontro al Comitato
provinciale del Partito di Città dell’Avana con Alfredo Roque,
membro della Segreteria. L’obiettivo è quello di conoscere la
Provincia, nelle sue caratteristiche sociali e produttive, e di
avere informazioni generali sul lavoro del partito a livello
provinciale.
Anche da questo incontro, emerge una realtà più viva e complessa di
quella che si immagina a prima vista e, soprattutto, più
profondamente tesa a migliorare condizioni sociali ed economiche
della città e della provincia. In pratica, viene ripresa tutta la
base di riflessioni qualitative e quantitative che abbiamo ascoltato
nell’incontro con Martinez, declinate nelle specificità – e nelle
difficoltà – della grande città-capitale e della sua provincia. Il
quadro di insieme che ne ricaviamo dà subito la dimensione di come,
a differenza di molte situazioni che viviamo nella realtà italiana,
lo sforzo che si fa e i progressi che si rilevano sono omogenei su
tutto il territorio provinciale, fatte salve alcune specificità che
impegnano a concentrarsi sull’Avana. Alcuni dati, che danno la
dimensione della situazione e, allo stesso tempo, dello sforzo per
superare continuamente le condizioni negative, sempre tenendo
d’occhio sia un progresso globale per la popolazione, sia le basi
nuove che questi miglioramenti gettano per il radicamento del
socialismo e l’avanzamento del processo rivoluzionario, visto –
appunto – come processo e non come conquista definitivamente
consolidata. Una densità di abitanti di 3000 per kmq., il 16% della
popolazione che supera i 69 anni di età, il 99,8% di abitazioni con
l’elettricità, il 29,8% dell’acqua che proviene da acquedotti, il 4%
di disoccupazione (contro l’8-10% dell’America Latina). Se è vero
che “le idee possono più delle muraglie di pietra”, si può dire che
la provincia dell’Avana (e l’intera Cuba) vivono senza confini
materiali, dato il progresso realizzato in pochi anni, dopo il
terribile “periodo speciale” seguito al 1989, in cui tutto è stato
ridefinito daccapo in quanto a capacità di autosufficienza, a
seguito della fine del socialismo sovietico e l’inasprirsi, di
fatto, dell’embargo di materie prime, prima fra tutte il petrolio
(che era interamente importato dell’Urss) e degli investimenti
stranieri a Cuba. Il principio dell’importanza di far conoscere e
informare la popolazione sulla situazione reale è una leva
importantissima, per la ricerca di consapevolezza, al fine di
garantire la rivoluzione attraverso un gruppo dirigente
continuamente impegnato nella formulazione e nell'attuazione di
programmi e piani di consolidamento di un’economia propria e di
eguaglianza sociale, segnata dal criterio e dalla ricerca delle
“pari opportunità”. Così, poiché l’aumento delle pensioni è
insufficiente, si fa in modo che 35.000 anziani abbiano una rete di
sostegno attraverso i municipi, che provvedono alla loro nutrizione,
ad esempio. Naturalmente, le politiche economiche passano per il
sostegno specifico e marcato ad alcune produzioni (quella del latte,
per citarne una, che costa più di quanto non sia il prezzo di
vendita): quindi, sostegno diretto e indiretto, alla persona e alla
produzione. In realtà, a ben guardare, non esiste paese che abbia
fatto un intervento simile a sostegno delle persone: quello sulle
disabilità, a partire dalla ricerca sulle cause di alcune patologie
neonatali o genetiche; per l’alimentazione, quale condizione di base
da garantire a tutti; sui giovani non impegnati nello studio e nel
lavoro, seguiti per l’inserimento sociale attivo. Sul terreno
dell’apparato produttivo, poi, ci sono molte cose da dire e molte
riflessioni da fare, considerando che esse si inquadrano
essenzialmente sulle riconversioni economiche e sulla ricerca di
relazioni internazionali. Il processo di miglioramento delle
imprese, nel senso del perfezionamento produttivo e
dell’ottimizzazione delle risorse impegnate in direzione
dell’efficienza, che riguardi il mercato, la contabilità economica e
finanziaria, la qualità di processo e di prodotto, la competitività
possibile sui mercati esteri, quali chiavi di volta per sostituire
l’import con l’export, assicurando circolazione monetaria delle
valute e, quindi, risparmio bancario, è un macroindicatore del
sistema e del suo orientamento…Insomma, un quadro ricchissimo e
ponderato di progetto e di iniziativa che ci ha appassionato, nella
discussione, fino a farci ragionare con loro sul sistema possibile
di contabilizzazione nel Pil dei costi sociali sostenuti. Sì, perché
ci sembrava di partecipare al loro sforzo e ci sentivamo coinvolti
nella ricerca delle soluzioni…mi spiace dirlo, ma quasi con più
entusiasmo che a casa nostra. Ci siamo lasciati con Roque e, dopo
aver pranzato lautamente a casa, siamo andati a visitare un “organopónico”,
dove si producono vegetali in grado di garantire l’autosufficienza
alimentare di verdure a L’Avana e, contemporaneamente, inserire
nella dieta dei cubani, appunto, le verdure, dato che sono abituati
solo agli ortaggi. Il problema nasce dal fatto che i vegetali,
coltivati nei campi, non arrivano facilmente sulle tavole perché il
trasporto dalla campagna costa: così, lo Stato ha pensato bene di
prendere due piccioni con una fava, abituando la popolazione ad un
consumo alimentare sano e – allo stesso tempo – individuando un
meccanismo di autosufficienza produttiva per evitare il dispendio di
carburante nel trasporto dalle campagne alla città. Il suo
responsabile è un militare in pensione e i 18 lavoratori occupati
sono quasi tutti pensionati con una pensione bassa, che si dividono
– al netto del reinvestimento produttivo – il ricavato, con un
sistema cooperativo (vero). L’estensione è di 0,9 ettari e produce
12 quintali di verdure a raccolto. Il responsabile, apparentemente
burbero, si dilunga con piacere a spiegarci le caratteristiche delle
colture e le varietà delle specie (di basilico, ce ne sono tre, con
sfumature diverse di aroma, una delle quali a noi sconosciuta) e
quando andiamo via ci darà volentieri un bacio di saluto, dopo aver
fatto – Antonietta ed io – una foto su un sidecar (mito!), con
soddisfazione e curiosità da parte dei lavoratori, che erano in
pausa per il pranzo.
Poiché abbiamo quattro
ore di tempo, decidiamo di farci lasciare nella piazza centrale,
dove c’è un mercato permanente (tranne la domenica e il lunedì) che
vende di tutto: Antonietta, Bruno ed io mangiamo qualcosa in un
chiosco dove preparano alcuni piatti e si può mangiare sotto un
pergolato, mentre Mario e Stefano si lanciano nelle spese. Mangiamo
bene, serviti da un cameriere che studia Italiano e Tedesco
all’Università ed è contento di esprimersi nella nostra lingua.
Quando arrivano Mario e Stefano, che si uniscono a noi, dopo aver
dato metà del gelato ad un cagnetto che ci girava intorno e un
dollaro qua, un dollaro là a qualche vecchietta che ci aveva bene
individuato, è il nostro turno per avventurarci nel mercatino…non è
un modo di dire, si tratta davvero di un’avventura. Quello che
abbiamo comprato (i prezzi sono buoni) non interessa nessuno, ma il
colore e il rapporto con i venditori è davvero singolare. A parte un
affollamento incredibile tra le file dei banchi e il conseguente,
insopportabile caldo – che ad un certo punto ci farà fuggire,
ignorando una delle file del mercato – le attrattive sono molte: si
vende di tutto, da oggetti artigianali coloratissimi e di vario
genere, a borse, scarpe e oggetti di pelle, monili di corallo nero e
di tartaruga, sigari, camicie – quelle caratteristiche, che
indossano tutti i membri del Partito che abbiamo incontrato – abiti
e abitini per bambine fatti con filati e uncinetti, amache, lampade
da tavolo, oggetti di legno, maracas,…insomma, di tutto. C’è pure la
simpatica parentesi di un bel tipo, un mulatto che vendeva oggetti
artigianali, che – piuttosto che vendermi qualcosa – ha deciso che
lo interessavo. Dal momento che, accettando la sua insistenza come
uno scherzo, me ne sono andata, è sbucato sul retro del suo banco
quando sono passata dall’altro lato e mi ha passato un biglietto con
l’indirizzo, invitando me e i miei amici ad una festa. Nel
biglietto, come indicazione per trovare la strada, c’era scritto
“entre animas y virtudes”, ossia “tra passioni e virtù”…capita, a
Cuba, senza troppi problemi. La gente è anche spiritosa. Appena
finito il nostro giro, tornate al pergolato per bere qualche cosa,
si è scatenato il classico temporale tropicale, con acqua a non
finire. Tutti ammucchiati intorno al tavolino, siamo diventati in
poco tempo il bersaglio di un paio di ragazzi che volevano venderci
sigari e rum (veri, di fabbrica), andandoceli a prendere non so bene
dove. Tra una contrattazione e l’altra – prezzi, orario, ecc. –
abbiamo intavolato con loro una chiacchierata, trovandoli molto
simpatici e scoprendo che uno era proprio un “recuperato” con il
programma sociale per i giovani che rischiano la marginalizzazione e
adesso sta studiando per diventare cuoco. Siamo anche diventati, con
la nostra allegria, una specie di attrazione e ad un certo punto ci
siamo accorti di avere intorno almeno una diecina di persone,
attente a che cosa facevamo e dicevamo…È arrivato il pulmino,
abbiamo salutato tutti e – nella confusione – abbiamo finito per
pagare due volte l’ultima consumazione…peggio per noi.
La tappa successiva è l’ospedale più grande della capitale,
intitolato ai Fratelli Ameijeiras, uccisi con i primi combattenti
dopo lo sbarco della Baia dei Porci. Erano tre. Inutile descrivere
l’ospedale, grandissimo e di alto livello tecnologico e
professionale per tutte le specialità, cliniche, terapeutiche e
chirurgiche. Oltre ad una visita in alcuni reparti, vediamo una
cassetta che illustra, appunto, reparti e tecnologie mediche e
chirurgiche. Ci accompagna il Direttore sanitario, un giovane
mulatto di circa 35 anni, medico internista, appassionato e molto
motivato, militante del Partito, che ha sotto la sua responsabilità
più di 2500 operatori, di cui 850 medici. Non ho altro da dire, se
non che penso a che cosa sarebbe il Policlinico di Roma con una
simile organizzazione del lavoro. Ovviamente, tutto è gratuito e non
esistono né tickets, né prestazioni private intramurarie. Le stanze
sono per due, massimo tre persone, tutte dotate di grandi finestre e
di televisore. Dimenticavo: i primi piani dell’Ospedale erano stati
costruiti per farne una banca, ma la rivoluzione ha deciso
diversamente. L’unica traccia di questa destinazione è l’atrio,
grandissimo (sembra quello di un grande albergo), con piani di
pavimentazione a diversi livelli, poltrone e tavoli bassi, grandi
vetrate ed un blocco centrale (l’originale cubatura per gli
sportelli?) dove è collocata l’accettazione, che sembra, appunto, il
bureau di un hotel. Tutto è lucido, pulito, anche se ai piani (è un
edificio molto alto, mi pare di 26 piani) si vede – e ce lo dicono –
che gli arredi sono mantenuti con molta cura perché non si può
spendere per essi, dato che sono in materiali particolari e – dopo
il l’embargo e il 1989 – non è facile procurarseli. Salutiamo il
Direttore sanitario con molta simpatia, ricambiata.
Dopo la cena a casa e le solite scene di Bruno in relazione
all’ordine delle vivande e al frutto tropicale chiamato “guanagua”,
che lui si ostina a chiamare “manguja” (chissà perché), andiamo a
vedere una cerimonia tradizionale, quella del “cañonazo” (colpo di
cannone) che tutte le sere, alle nove, viene sparato dalla muraglia
verso mare del Castello del Morro (che vuol dire promontorio), una
fortificazione a difesa dell’ingresso della baia dell’Avana,
perfettamente mantenuta e imponente. La cerimonia ricorda il periodo
degli scontri con gli inglesi e gli spagnoli ed è in costume:
richiama moltissima gente e non solo turisti, perché il Morro, nella
storia dell’Avana, ricorda le diverse dominazioni e il patriottismo
del popolo cubano. Alle nove, un plotone in costume militare del
‘700, con il proprio comandante, rappresenta il gesto storico del
colpo di cannone a difesa dell’ingresso dell’Avana sparato dal
bastione principale e più esposto ed è davvero molto suggestivo.
L’intera fortificazione è bellissima e magnificamente mantenuta. Con
un caldo da morire, alla fine della cerimonia e allontanatosi il
plotone al suono ritmato di un tamburo, ci ritroviamo in alcune sale
storiche, che illustrano la storia e le caratteristiche – anche con
grandi plastici della baia – delle fortificazioni che proteggevano
la città, a partire dal 1500: la Real Fuerza, San Salvador de la
Punta, Tre Reyes Magos del Morro (quella dove ci troviamo), Santa
Dorotea de Luna de la Chorrera y Cojímar, Torreón de San Lázaro, San
Carlos de la Cabaña, El Principe, Santo Domingo de Atarés. Inutile
dire che tutto è nato dopo Cristoforo Colombo e la colonizzazione
spagnola, tanto che alcune di queste fortificazioni hanno avuto
destini diversi, come l’isola, del resto, risentendo anche del
Trattato di Versailles. Accaldati, sorpresi e soddisfatti per questa
pausa di conoscenza storica, ci avviciniamo al piazzale interno,
dove un complesso dal vivo suona musica cubana e una marea di gente
balla. Balliamo anche noi, dopo aver lasciato Bruno, che non aveva
voglia di ballare, ai margini della “pista”, con due cineprese e tre
macchine fotografiche appese in tutti gli appigli possibili (sembra
un uomo-stampella). Non c’è niente da fare: il ritmo e la corrente
comunicativa dei cubani è irresistibile.
Finita la musica, ci allontaniamo come tutti, fermandoci a bere
acqua e a comprare magliette del Che in un negozio autorizzato:
finirà per essere divertente tutta la trafila per pagare, solo in
dollari e registrando i documenti degli acquirenti: si tratta di
valuta pregiata e – giustamente – stanno molto attenti. Dopo
mezzanotte, un po’ caricati e un po’ malinconici, ci avviamo al
pulmino che ci aspetta, cantando “Io vagabondo (chi son io)”, tra
qualche incuriosito sorriso dei pochi che – come noi – si sono
attardati…”I soliti italiani…”, vogliono forse benevolmente dire.
Qualcuno ha preferito – anche stasera – continuare con la
sperimentazione dei locali. Io, ricordo di essere andata a
dormire…anche se ho ampiamente recuperato nei giorni successivi.
25 settembre
Cominciamo la giornata,
dopo la colazione con frizzi e lazzi e un fantastico succo di
guanagua (manguja per qualcuno…), con la libertà di una passeggiata
autonoma nel “Casco storico”, che sarebbe la parte vecchia del
centro de L’Avana. La tappa per comperare francobolli, alle Poste
centrali, e spedire le cartoline (che, ad oggi, non sono ancora
arrivate), si rivelerà un singolare caso matematico: dati 67
francobolli, a 0,85 dollari l’uno, perché ne abbiamo pagati 67? Boh!
Non abbiamo ancora capito. Cominciamo il giro da Calle Obispo, che è
un po’ il “Corso”, turistico ma non solo, con molti negozi e belle
cose, inframmischiati da piccole rivendite di panini e gelati più o
meno artigianali (confesso di non averne assaggiato). Ci guardiamo
intorno, compriamo libri, CD, manifesti. Bruno è attratto da un
magazzino alimentare, dalla cui vetrata si vede una tizia che taglia
il burro per venderlo a peso da blocchi che sembrano quelli del
ghiaccio che si vendevano una volta per le strade…ancora ne parla.
Ci si appiccica un’altra giovane – cinque figli ed uno in arrivo –
che ci chiede di comprarle del latte in polvere da un negozio che lo
vende e nel quale si paga solo in dollari: ci guardiamo, con
Antonietta, memori dei 30 dollari di due sere prima, ma non sappiamo
dire di no. Questa volta va meglio: solo due buste e solo 10,50
dollari. Ma in questo posto noi siamo i ricchi, ed è giusto stare al
gioco. Con uno sgocciolio di dollari qua e là (un’altra donna, una
vecchietta, un vecchio che vende “Granma” e “Juventud rebelde”, i
quotidiani del Partito e della Gioventù comunista), ci avviciniamo
alla fine della strada e sbuchiamo nella piazza dove ci sono il
Museo della Rivoluzione e la teca (tipo Ara Pacis, per chi conosce
Roma) dove è conservato il Granma, il motoscafo d’altura con cui
Fidel, Raoúl, Che, Camilo Cienfuegos e altre 81 persone sbarcarono e
Cuba per dare il via alla rivoluzione. Intorno ci sono altri mezzi
militari – aerei, un carro armato, un’automobile, un tank, pezzi di
una carlinga di aereoplano – ed è sorvegliato a vista da cinque
militari armati. Non si accede dalla strada (il tutto è circondato
da un’inferriata), ma solo dal percorso interno del Museo della
Rivoluzione, alle spalle del Granma, da dove siamo arrivati noi. È
tardi, però, e decidiamo di tornarci il giorno della partenza,
perché avremo la mattinata libera. Ci limitiamo a fare qualche foto,
a fare due chiacchiere con qualche passante e ad offrire qualche
sigaretta a chi ce la chiede, perlopiù giovani. Poi, a pranzo!
Il pomeriggio ci aspetta un programma impegnativo: l’incontro con il
Vice Ministro degli Esteri, Angel Dalmau, e quello alla Scuola
Superiore del Partito “Nico Lopez” (poi dirò chi era) con il
rettore, Raoul Valdéz: rettore, perché quella si rivelerà una vera e
propria Università. È la prima volta che siamo in una sede
governativa e si coglie un che di burocratico – in senso positivo –
nell’efficienza e nei modi dell’accoglienza. Angel Dalmau è un
garbato signore dal colorito chiarissimo e dai capelli rossi e
sottili. Oggi ci hanno cambiato l’interprete e quella che ci segue,
simpatica e molto professionale, abbiamo saputo essere una di quelle
di Fidel. Dalmau ci racconta – di fronte all’inevitabile caffè
(dagli otto ai dodici al giorno), alla Coca Cola locale (buona, per
la verità) e a vari tipi di biscotti – quali sono i rapporti attuali
con gli altri Paesi, rappresentati a Cuba da 11 Ambasciate e dalla
sede della Commissione europea. La sintesi di questi rapporti, resi
molto complicati dopo le vicende di aprile, è che 8 ambasciatori e i
funzionari non hanno accesso diretto ai rappresentanti del Governo
cubano, come risposta all’ostilità dimostrata, che – a mio avviso –
ha raggiunto punte che definirei semplicemente “insultanti”. Fra le
altre cose, i tedeschi in Europa hanno posto la condizione di
inviare una loro Commissione per i diritti umani e l’Ambasciatore
inviterà (lo ha già fatto, ad oggi) l’8 ottobre i rappresentanti dei
dissidenti, operando con questo un vero e proprio atto di rottura
diplomatica con Cuba. Tra l’altro, questa storia dei dissidenti è
davvero una manipolazione: c’è senz’altro qualche dissenso, circa il
Partito unico soprattutto, di tipo politico, ma non raggiunge le
forme e la spinta di una controrivoluzione repressa nel sangue, come
vorrebbero farci credere. I dissidenti di cui si parla, quelli che
vengono imprigionati se scoperti, sono quelli prezzolati dagli Stati
Uniti per organizzare attentati (ad aprile, è venuto fuori che se ne
preparavano 29) e creare teste di ponte per un attacco militare,
che, fra l’altro, non viene ritenuto impossibile. È calmo e
riflessivo, Dalmau, mentre parla, ma noi ci sentiamo prendere
dall’ansia per questa dimensione delle relazioni internazionali, di
cui conoscevamo lo scenario, ma che con questa discussione viviamo a
partire dall'interno, dal punto di vista del Governo cubano e dal
timore per i rischi che corrono la piccola, grande Cuba e la sua
gente. Posta la situazione dei rapporti internazionali così come
descritta, con molte riflessioni – anche – sui rapporti tra Europa e
Usa, soffre anche la cooperazione, che per loro è vitale. La
cooperazione internazionale si pretende ora condizionata, per i
settori, dalle decisioni dei singoli Paesi su come e verso che cosa
orientarla: giustamente, Fidel annuncia che di una cooperazione
condizionata Cuba ne farà a meno. C’è, dietro, la dimensione della
dignità dello Stato sovrano, cui non si può rinunciare e resta,
così, solo la cooperazione delle Associazioni Ong. La situazione mi
risulta subito chiara: l’obiettivo è la forzatura politica verso un
processo di socialdemocratizzazione, su cui si stanno addensando gli
avvoltoi del “dopo Fidel”, che credono ancora che sia solo un
leader, e non un gruppo dirigente maturo e capace, a dettare le
linee della politica e dello sviluppo cubani. Intanto, si sta
cercando di capire chi stia tentando a sinistra – pare, riuscendoci
– di impedire che Cuba partecipi al Forum no-global di novembre, a
Parigi. Senz’altro trotzkisti e socialisti, che vogliono si parli di
Cuba solo per condannarla e, quindi, in sua assenza. Staremo a
vedere. Discutiamo con partecipazione dei problemi, finché non viene
il momento di andare via. E salutiamo Dalmau con la sensazione di
aver incontrato un uomo forte, tanto quanto è stata pacata e dai
toni misurati la sua conversazione.
Ci avviamo, ancora con in testa le domande e le riflessioni da
maturare, alla Scuola Superiore del Partito. Non mi è possibile
descrivere la conversazione avuta con questo personaggio di indubbio
livello che è Raoul Valdéz, ad Hanoi con Ho Chi Mihn ed altro
ancora, teorico e pensatore affascinante, che maneggia la dialettica
e la didattica con uguale capacità e, devo credere, risultato. Ci
parla subito della scuola, di come è nata e di che cosa era nei
primi anni, a ridosso della rivoluzione. Nata “segretamente”, ha il
nome di un operaio, Lopez, che aveva una formazione marxista,
sbarcato con il Granma, nel gruppo che – divisosi da quello di cui
facevano parte Fidel, Raoúl, Guevara e Cienfuegos - è finito con i
suoi compagni a chiedere ospitalità in una casa che credevano di
contadini e che era, invece, di un ufficiale di Batista. Costui,
chiamato dalla moglie, è arrivato con un gruppo di militari ed ha
ucciso tutti i componenti di quel gruppo. Casualità della storia: se
la direzione dei gruppi fosse stata invertita, forse non ci sarebbe
stata una rivoluzione cubana… Con lui parliamo degli indirizzi
scientifico-teorici della Scuola (tutti i membri del Comitato
centrale studiano lì, compreso Fidel, e periodicamente passano dei
periodi di aggiornamento ed approfondimento politico-teorico).
Valdez definisce “errore” l’aver copiato, dal ’70 all’86, il modello
educativo – ed economico – di scuola sovietica, da cui ci si è poi
discostati, per improntare un modello del tutto autonomo. Ci spiega
il sistema della Scuola, dal punto di vista metodologico ed
organizzativo, in riferimento ai corsi ed ai loro contenuti. Si
ricorre alla Scuola anche nelle fasi di preparazione del programma
politico, economico e sociale, impostando la prima giornata per la
valutazione dei bisogni formativi e proseguendo, poi, con gli
approfondimenti veri e propri. I deputati, ad esempio, fanno due
settimane di corso, in queste occasioni. Ci colpisce, in realtà,
l’approccio metodologico realmente rigoroso e…maieutico. Le notizie
sono tante e questa stessa conversazione diventa un breve corso di
approfondimento politico-teorico, dai danni della teorizzazione del
socialismo in un Paese solo, al terrorismo di Stato, alla
contraddizione ambientale. Ne usciamo piacevolmente colpiti e non
nego che mi sarebbe piaciuto ragionare ancora, magari un paio di
giorni, su metodi e contenuti. Ma lì gli “esterni” sono solo 215
studenti di 48 Paesi del terzo Mondo… Finiamo la serata al Tropicana,
un locale che è una via di mezzo tra il Moulin Rouge e le Folies
Berger, in mezzo al verde di uno scenario all’aperto, tropicale,
fatto di balletti e canzoni, con un corpo di ballo di più di cento
componenti, tutti bellissimi. Lo spettacolo è un’orgia di colori e
di movimento, di corpi vestiti o seminudi, con un’ottima orchestra e
un servizio raffinato. Non è descrivibile. Si può solo vedere.
Forse, per descriverlo, avremmo dovuto fare le foto ai tre uomini
del nostro gruppo, accompagnato per l’occasione da Yamila, che vi ho
già presentato: le loro facce alla vista di quelle splendide ragazze
erano uno spettacolo nello spettacolo e quando, alla fine, Stefano e
Bruno sono stati invitati a ballare fra i tavoli da due di loro, non
so davvero come si saranno sentiti. Ma anche per Antonietta, Yamila
e me c’era parecchio da vedere…Finito lo spettacolo, con il palco
che è stato trasformato in pista, abbiamo ballato anche noi: una
piccola soddisfazione, anche se l’ora tardissima (le due e oltre)
non ci lasciava più molte energie.
Dopo la solita trattativa di Mario sull’orario (ho dimenticato di
dire che per tutto il tempo Mario non ha fatto altro – si fa per
dire – che cercare di spostare di mezz’ora gli appuntamenti e
ossessionare Yamila perché avessimo l’opportunità di fare un bagno
al mare), ci salutiamo ed andiamo a letto.
26 settembre
Cienfuegos ci aspetta.
Penso che Bruno speri di non vedersi più proporre la guanagua, ma
sarà un’aspettativa delusa. Partiamo e dopo tre ore – sosta per
caffè compresa, con l’occasione di dare dei biscotti ad un
cuccioletto minuscolo ed affamato – arriviamo. Il viaggio è già
degno di nota: fra chiacchiere, canzoni e osservazioni su quanto
vedevamo (dalle colture, alla gente ferma in gruppo qua e là ad
aspettare mezzi di trasporto, del tutto eterogenei), il tempo è
passato rapidamente. A Cienfuegos ci aspetta l’incontro con il
Comitato provinciale del PCC. Santiago Alvarez è il Segretario
responsabile dell’Organizzazione e dell’impianto ideologico (la
Segretaria generale sta facendo un corso presso la famosa Scuola) e
ci parla dello sviluppo della Provincia e del lavoro del Partito.
Come tutti gli altri, anche questo è un incontro degno di nota. La
ripetitività di alcuni punti di riferimento, sullo sviluppo o sulle
politiche sociali, non è più tale, quando viene calata nella
dimensione concreta di luoghi reali e di popolazioni specifiche. In
una breve rassegna, posso dire che Cienfuegos, zona marina e
montana, con 8 municipi, ha sviluppato l’industria tra gli anni ’70
e ’80, prevalentemente in direzione del cemento, dei fertilizzanti,
dei cereali, dello zucchero, dei motori diesel, dell’agroalimentare,
della plastica, degli alimenti per animali, dell’energia,
dell’allevamento zootecnico. Ha una forte infrastruttura educativa,
con Centri Universitari ed un Politecnico. A fronte di una crescita
– Pil, sviluppo sociale – della Provincia negli ultimi anni del
3,5-4%, la città di Cienfuegos è cresciuta del 7%. Hanno
elettrificato il 96% del territorio, di cui il 4% con sistemi
energetici alternativi.
La Provincia di Cienfuegos ha una posizione di avanguardia a livello
nazionale nelle relazioni con altri organismi, per la vivacità degli
scambi e l’energia con cui il gruppo dirigente ha preso in mano il
programma di sviluppo.
Tralasciando altri dati di tipo sociale, dico solo, per comprendere
il rapporto tra sviluppo e integrazione delle politiche sociali e
crescita della coscienza, della solidarietà e della coesione
sociale, che la donazione di sangue è di 1 a 14: 1 persona su 14 è
donatrice. Ultima notazione: siamo nella zona degli uragani. Nel
’96, il 34% delle abitazioni furono distrutte e nel 2001 il 30%: non
è difficile capire come lo sforzo della ricostruzione abbia
assorbito energie e risorse altrimenti destinate a potenziare altri
fattori di sviluppo.
Ci salutiamo. Il Comitato provinciale è fatto di gente giovane e
interessata. Abbiamo parlato molto, soprattutto incuriositi dai
meccanismi messi in campo per lo sviluppo degli insediamenti
produttivi e la razionalizzazione di quelli esistenti: ma sono
curiosità che ci toglieremo, via via che proseguiranno gli incontri
in questa Provincia.
Pranziamo, in una casa del Partito dove abbiamo anche le stanze.
Bella, in riva al mare, in mezzo al verde…fra l’altro, questa è una
zona dove il turismo sta ricevendo grande attenzione e si stanno
ristrutturando ottimamente molte infrastrutture, alcune di alto
livello e qualità. Le case sono tre. In quella accanto, abbiamo
saputo, veniva Fidel, quando doveva incontrarsi con i sovietici,
prima del “periodo speciale”, per discutere della costruzione della
centrale termoelettrica, mai terminata.
Pranziamo, con Santiago e Roberto Morales (CC del Pcc, segreteria
provinciale del Partito, giovane medico, incaricato delle politiche
sociali, che ci accompagnerà, insieme a Pedro Carreño, funzionario
responsabile delle politiche turistiche e commerciali, nel nostro
soggiorno da queste parti). È tutto ottimo e ci promettono, per
l’indomani sera, una cena in nostro onore con pasta e pizza. Non
sappiamo se gioire o tremare…
Con il Comitato municipale del Pcc di Cienfuegos ci incontriamo dopo
pranzo. Parliamo più specificamente delle politiche comunali del
Partito, della sua organizzazione e delle particolarità della città,
davvero notevole. Lasciando da parte i dati, annoto solo che ci sono
163.000 abitanti su 138 Kmq e 15.436 iscritti al Partito. Il Partito
non amministra, ma segue l’orientamento politico e ha cura dei
gruppi socio-professionali, a tutti i livelli. Parliamo dello
sviluppo agricolo, industriale e turistico, dell’impegno, degli
obiettivi e delle difficoltà, con ragionamenti anche molto
interessanti, ad esempio, sui rischi della sovrapproduzione
agricola. Qui le coltivazioni sono tutte biologiche e gli animali
sono tutti al pascolo (ne abbiamo viste tante, di mandrie nelle
campagne). Veniamo a sapere che c’è un medico ogni 272 abitanti, che
negli ultimi mesi hanno cominciato a sorgere i centri-anziani, che
il sistema sanitario è intrecciato e fortemente radicato nel
territorio, Il sistema sanitario funziona molto bene anche qui e
tutto è monitorato, a partire dai Consultori di base, che vedono la
presenza del medico di medicina generale e salute pubblica, con una
funzione preventiva e di primo intervento, per poi passare al
Policlinico, che è una specie di Ospedale di
Comunità-poliambulatorio, con tutte le specializzazioni per la
terapia clinica e chirurgica. Ci sono poi gli Ospedali specializzati
per ambiti clinico-terapeutici, che sono anche sede di insegnamento
universitario. Per fare un esempio, nella città di Cienfuegos ci
sono 128 consultori, un Policlinico e tre Ospedali specializzati:
Medico-chirurgico generale, compresa la cardiovascolare, con
associata Ostetricia; Psichiatrico; Pediatrico. Ci parlano dei loro
obiettivi quali-quantitativi per il lavoro sociale volontario (è
molto sviluppato); della situazione abitativa (ci sono 47.000 case,
di cui il 60% in buone condizioni ed esiste un programma per aiutare
le giovani coppie); del tentativo di investire in un cambiamento
tecnologico per quanto riguarda la risorsa idrica, perché il 20%
degli insediamenti hanno ancora problemi; del fatto che nei
trasporti è risolto il 60% dei problemi, con 585 automezzi pubblici
circolanti. Per quanto riguarda i prezzi, il sistema statale
agricolo e zootecnico consente che li fissi l’offerta, stabilendolo
poi i termini calmierati. Ancora tante cose, ancora tante domande:
sembra impossibile, che dopo incontri interessanti e ricchi, ci sia
ancora da sapere e da chiedere. Naturalmente, i ragionamenti che
facciamo sono sempre anche inseriti in contesti di ordine politico,
nazionale e internazionale, o riguardante i rapporti Stato-Partito.
In ogni caso, se qualcosa ho capito davvero, è che anche stando su
una mattonella ci sono sempre un sacco di cose da vedere: dipende
dall’angolazione.
Dopo un piacevole giro, con una guida colta e simpatica, per il
centro storico (Cienfuegos è una città davvero singolare e, per
alcuni aspetti, sorprendente), andiamo a cena. Stasera ci servono il
gelato di guanagua, davvero ottimo. Lo assaggia persino quel
buongustaio di Bruno. È con noi Roberto, col quale continuiamo a
parlare. Per l’uscita serale (ci hanno programmato una serata che si
rivelerà particolarmente intrigante, forse loro malgrado, in un club
musicale, dove si balla, intitolato a un grande personaggio musicale
del luogo, Moré) ci accompagnerà Pedro, che si rivelerà simpatico
anfitrione e anche buon…sorvegliante.
La serata è scoppiettante. Tra Cuba libre e rum, la carica per
ballare non manca. Tra l’altro, è un bel locale, il cui gestore e la
sorveglianza ci controllano discretamente. Devo dire che le nostre
performances sono apprezzate, tanto che non mancheranno le
conquiste. Peccato che quel bel ragazzo mulatto che mi faceva il
filo neanche tanto discretamente non l’abbia incontrato in un’altra
occasione: Pedro non era geloso, ahimé, ma solo preoccupato che
potessimo trovarci in situazioni imbarazzanti, dal momento che si
trattava pur sempre di una delegazione ufficiale, seppure in libertà
vigilata…Alle due andiamo a dormire. La mia autostima è
discretamente alta.
27 settembre
Si prepara una giornata
intensa. Dopo la colazione, accompagnata anche dal succo di guanagua,
andiamo a Cumanayagua, un altro Comune della Provincia di Cienfuegos.
Passiamo attraverso alcuni paesi, popolosi e vivaci. Si vedono le
attività agricole e di allevamento. Incontriamo il Comitato
municipale del Pcc, il cui Segretario è Rafael. Cumanayagua, con
51.000 abitanti, comprende la parte più montuosa della Provincia ed
ha tutte le opportunità territoriali: mare, pianura, montagna. È
ricca di acqua, molto importante per lo sviluppo agricolo ed
industriale. Le attività produttive più importanti riguardano
l’agroalimentare, il caffè, la zootecnia, il tabacco, gli agrumi,
l’industria lattiero-casearia. Per quanto riguarda il Partito, il
Comitato municipale conta 65 membri, con 4300 iscritti e 2000
militanti della Gioventù comunista. Come altrove, sono organizzate
ed attive le forme non partitiche e associative che ruotano intorno
al sostegno alle politiche, come il Comitato per la Difesa della
Rivoluzione (che non è un vecchio arnese nostalgico, ma una
struttura organizzativa riconosciuta dalla popolazione, attiva e
rispettata nelle sue iniziative politiche e sociali) e il Comitato
delle Donne cubane. Ci sono più di 100 scuole ed è, Cumanayagua,
sede universitaria distaccata per le Facoltà di Scienze sociali,
Politecnico (integrato da corsi di Agraria), Cultura fisica. In
montagna, esiste la Facoltà di Agraria con gli insegnamenti di
Veterinaria, che raccoglie il bacino di utenza della Provincia. I
punti di base per le Politiche della salute sono 90 consultori e 2
centri-anziani. I lavoratori attivi sono 14.000 ed esistono nuclei
di zona, integrati da pensionati, per l’analisi dei problemi sociali
della popolazione. Sono 17 le scuole con bambini da 1 a 5 anni. Si
sta attuando una politica di decentramento produttivo e dei servizi
verso le periferie e le zone di montagna, come nel caso di
minicentrali elettriche, che forniscono energia per il funzionamento
di aree più circoscritte, per consolidare un livello
infrastrutturale simile a quello cittadino. In montagna, si presta
molta attenzione alle condizioni ambientali. Sostanzialmente, anche
a Cumanayagua riceviamo l’impressione – e l’informazione – che
questo Paese stia marciando ad una sola velocità, in accelerazione,
e che le zone più depresse negli ambiti territoriali siano
univocamente messe in condizione di “pari opportunità”. In fondo,
dall’Avana, a Cienfuegos, a Cumanayagua – aree socialmente e
strutturalmente dotate di condizioni differenti – le politiche per
obiettivi si attuano con la stessa intensità e gli stessi, positivi
risultati.
Prima di andare a pranzo, ci portano a visitare il “combinato” del
latte di Escambray. “Combinato” vuol dire che su un presupposto
produttivo – materia prima, servizi di impianto e direzione di
fabbrica – si articolano diverse linee di produzione. In questo
caso, latte, yoghurt, gelato e formaggio. È, oltreché un incontro
interessante, anche divertente: verremo rimpinzati come polli in
batteria, oltre a bere il quarto caffè della giornata. La fabbrica,
di Stato, creata nel 1975, occupa 670 lavoratori, in una produzione
continua, a turni. L’investimento produttivo è di 23.000.000 di
pesos ed il guadagno netto è pari a 2.700.000 pesos. Sono 150 i
militanti del Partito in Azienda e 30 i Comitati sindacali, che si
articolano anche per spezzoni di attività. La stabilità
occupazionale è certa. In Azienda, ci sono più di 50 figure di alta
professionalità e più di 10 medici e tecnici (biologi, chimici) che
seguono le fasi tecnologiche per la sicurezza alimentare dei
prodotti. Con la lavorazione di 50.000 litri di latte al giorno, che
viene tutto da animali a pascolo, l’Azienda garantisce
l’autosufficienza di latte per tutta la Provincia (fino alla
fornitura per la distribuzione) e il latte gratuitamente per tutti
fino a 6 anni (anche attraverso le scuole), di yoghurt per tutti
fino a 13 anni (anche attraverso le scuole), di prodotti lattei
dietetici per diete speciali, per tutti coloro che ne hanno bisogno,
gratuitamente. I formaggi sono di 7 tipi e due di essi sono
riconosciuti con marchio internazionale (il Cumanayagua e ilSol de
Cuba). La produzione del formaggio copre il fabbisogno della
Provincia di Cienfuegos e dell’Avana, mentre quella di gelato il
fabbisogno di Cienfuegos e di Viña Clara. Nel “periodo speciale”
(quello del tracollo economico, dopo il 1989 e il cambio di
atteggiamento da parte dei Paesi dell’Est), i guadagni e i prodotti
erano forniti allo Stato, data la necessità di centralizzare fonti
finanziarie per il reinvestimento pianificato e fonti alimentari per
una distribuzione, la più mirata possibile. Finito quel periodo, la
politica del decentramento ha consentito un migliore sviluppo
produttivo. Tutte le risorse sono reinvestite – al netto dei salari
– nella produzione. Come per altre industrie, qui è forte, nella
pianificazione e nella definizione dei salari, il computo della
quota accessoria per “obiettivi di produzione”, non sul modello
stackanovista, o del cottimo, ma trainante per una migliore
produttività e – allo stesso tempo – premiale per tutti i
lavoratori, al raggiungimento degli obiettivi. Il risultato di
questo scambio (anche noi abbiamo parlato di alcuni aspetti delle
nostre produzioni lattiero-casearie), è stato l’assaggio (si fa per
dire) di alcuni prodotti, che si è risolto in tre piatti di formaggi
misti (devo dire, tutti ottimi), un vasetto di yoghurt da 250 cc.
rigorosamente in vetro e un gelato nella stessa quantità. Pur
producendo diversi gusti, ci hanno fatto assaggiare sia il gelato
che lo yoghurt alla guanagua…non ho guardato se Bruno ha optato per
un più consistente assaggio di formaggi.
Ce ne andiamo, sazi e un po’ perplessi circa il pranzo che ci
aspetta. Pranzo, che consumiamo in un capannone in campagna,
accogliente. Provvedo a recuperare gli indirizzi dei compagni di
Cienfuegos che ci accompagnano e mi limito a mangiare frutti e
vegetali…e a bere un buon caffè…Tanto più che la prossima tappa è
l’impianto di produzione del caffè di Beneficio, a partire dalla
raccolta, dove scopriamo che quella della selezione e
dell’impacchettamento del caffè è un’operazione di alta precisione e
professionalità, per la taratura dei grani – con macchinari – e
l’ulteriore selezione delle risulte – a mano – e per la
differenziazione degli aromi, che viene fatta olfattivamente in un
piccolo reparto. Scopriamo anche che gli operai impiegati nella
raccolta (è una delle produzioni di area montana locale), una volta
finito il loro impegno, lungo dai quattro ai sei mesi, vengono
impiegati nel lavoro sociale e salariati in continuità, ad evitare
cadute occupazionali e contraccolpi sociali per le persone e le
famiglie…proprio come da noi, con gli stagionali. Naturalmente,
oltre ad essere inebriati dall’aroma persistente del caffè, che il
caldo rende ancora più intenso, il caffè ce lo offrono. È molto
buono. Cominciamo a sentirci molto svegli…Salutiamo il giovane
Direttore dell’impianto e partiamo per il Giardino botanico.
Come nel caso
del Tropicana, descriverlo non è possibile. Abbiamo una lunga
conversazione con il Direttore del Giardino, botanico, e la
Dottoressa, biologa, che lo coadiuva. La discussione spazia dalle
informazioni sull’area e le piante, la collocazione nella rete
internazionale dei Giardini botanici (qui ci sono alcune specie rare
e in qualche caso uniche), la diversità biologica, la conservazione
dei semi, le politiche ambientali. Ci portano, col pulmino, a fare
un rapido giro per darci un’idea delle specie, della dimensione del
Giardino – 9 kmq., se non sbaglio - delle curiosità vegetali di
alcune piante. Oltre a vedere paesaggi forestali tropicali di
bellezza rara, scopriamo anche che qui esiste viva la varietà di
palma che può essere considerata un fossile, risalendo a parecchie
migliaia di anni fa, ed altre cose ancora. Peccato che è piovuto e
che c’è un po’ di guazza, qua e là (il solito cagnetto festoso mi
stamperà due belle impronte di zampe anteriori sui pantaloni bianchi
di lino). Prima di andare via, ci offrono un caffè…!
Ce ne
andiamo…al mare! Ci portano in un bellissimo stabilimento a
Cienfuegos, dove faremo un bagno molto piacevole, in un oceano che
comunque, essendo Cienfuegos in una baia, limita molto le sue
ondate, nonostante il vento dopo il temporale. Naturalmente, io ho
dimenticato il costume a L’Avana e così ho fatto il bagno vestita.
Per fortuna, con una completo di lino ecrù con le spalline piccole,
così mi sono distinta per la classe anche in questa occasione…Tra
riprese, foto, lazzi e canzoni, dopo un paio di Cuba libre e gli
sguardi un po’ divertiti dei compagni del Partito cubano (alla
faccia del protocollo, devono aver pensato), ci avviamo a casa e a
cena. Arrivano le famose pasta e pizza…non avevamo il coraggio,
soprattutto per la pasta, ma non era possibile farne a meno. Abbiamo
accuratamente evitato commenti, spiegando loro la questione del
grano tenero, del grano duro e della cottura. Bruno era entusiasta
della pizza…! Si è mangiato anche quella di qualcuno che ha detto di
essere sazio…Gelato di guanagua, caffè… e poi un programma speciale:
la passeggiata tra le “zone” dei diversi Comitati di difesa della
Rivoluzione (CdR), in occasione del 43.mo anniversario della loro
fondazione. La cosa funziona così: ogni gruppo di tre o quattro
caseggiati, contigui e/o dirimpettai, sono compresi in una zona, che
fa capo ad un CdR. Il CdR si occupa di tutti i risvolti sociali e
solidaristici della vita di questi miniquartieri e rende possibile,
con iniziative culturali e associative, lo sviluppo politico dei
programmi governativi in materia sociale, sanitaria ed educativa. È
una vera e propria organizzazione, capillare e riconosciuta dalla
cittadinanza. Bene. In occasione dell’anniversario, i vicini si
organizzano e realizzano, per strada, cene, musica, balli, piccole
rappresentazioni teatrali, spesso burlesche. Ne abbiamo intercettate
moltissime, ma ci siamo fermate solo in tre. Nella prima, essendo
presentati come compagni comunisti italiani, non potevamo fare a
meno di dire qualche cosa e Mario mi ha spinto inopinatamente – dal
momento che parlo lo spagnolo – ad interpretare i sentimenti della
delegazione…Poi si è sciolto e nelle occasioni successive ha preso
il microfono e non lo lasciava più. Comunque, abbiamo bevuto,
mangiato, parlato, chiacchierato e fatto un po’ di politica, come si
dice da noi. Unico neo: Pedro, che aveva promesso di farmi ballare
tutta la notte, è venuto meno alla sua promessa. In compenso,
quando, seduti sul retro della casa all’una, sorseggiando un ottimo
rum offerto dalla sottoscritta, chiacchieravamo delle nostre
impressioni, Leonardo – uno dei responsabili cittadini della rete
dei CdR, che è stato con noi tutta la sera – ha detto che ballo come
una cubana…Un’idea della mia autostima? Sempre più alta, tanto che
ho cominciato a chiedermi perché sarei dovuta tornare a Roma.
28 settembre
Andiamo a visitare la
Fabbrica Plastimec, che produce oggetti “usa e getta” (piatti e
posate di plastica), carpenteria plastica e tubature idrauliche per
sanitari in polipropilene, su due linee, una ad estrusione ed una di
galvanica. I rapporti, per le materie prime, sono soprattutto con
produttori italiani, anche se attualmente la mancanza di
investimenti si fa sentire per queste forniture. La fabbrica nasce
nel 1979 su un progetto di collaborazione con Cuba da parte della
Bulgaria e con 20.000.000 di pesos di investimento, producendo 9.000
km di tubature per l’agricoltura. Il periodo speciale porterà alla
centralizzazione anche per la Plastimet, fino a che i tempi non
saranno di nuovo maturi per l’apertura del mercato. La necessità di
diversificazione spinge a sviluppare tecnologie diverse e, per l’usa
e getta, esiste un accordo con la Sandretto, italiana, che fornisce
iniettori. Attualmente sono attestati su una tecnologia avanzata,
quindi, ed anche impegnati sul riciclaggio energetico. Da questo
punto di vista, il Nucleo per l’innovazione e la ricerca ha studiato
sistemi introdotti nella tecnologia che lo consentono, permettendo
lo sviluppo di risorse proprie per alimentare le minicentrali
associate ad ogni fase dell’impianto, che consentono un grande
risparmio, avendo smantellato la grande centrale che serviva tutta
la fabbrica (enorme), ed anche un impatto ambientale positivo. Per
ottimizzare l’utilizzo delle risorse tecnologiche, però, è
necessario aumentare la produzione ed attualmente la loro
pianificazione punta a questo. La fabbrica occupa 300 lavoratori,
con 69 militanti del Partito. Facciamo insieme alcuni ragionamenti
sulla produttività e gli obiettivi e ci informiamo anche dei
problemi della salute dei lavoratori, dato l’impatto di queste
produzioni. La salute è monitorata, nella consapevolezza dei rischi,
con visite periodiche mensili per i lavoratori a rischio (sono
presenti medici del lavoro in azienda) ed esiste un controllo sia da
parte della direzione che sindacale, insieme all’attenzione del
nucleo della Gioventù comunista presente in fabbrica, impegnato
soprattutto nella dimensione delle politiche sociali. Ci informano
anche che l’astensione per maternità dura per 7 settimane dopo la
nascita del bambino e che, in caso di morte della madre, i benefici
collegati alla maternità vengono trasferiti al padre. Niente male.
Poi, dopo il caffè, visitiamo la fabbrica, molto estesa. Vediamo
solo quattro reparti di produzione (due di estrusione ed una
galvanica) e parliamo con i direttori dei reparti e alcuni
lavoratori. Scopriamo anche che stiamo parlando con ingegneri
chimici, chimici, chimici industriali e che, da un punto di vista
del modo di porsi e di presentarsi, nulla lo faceva supporre. Buona
lezione, per chi ci tiene a mettere avanti lo status al ruolo.
Quando ce ne andiamo, in
un clima molto amichevole e di simpatia, ci portano in giro a vedere
altri impianti industriali e agricoli nella zona, anche se solo
passando in macchina. Lo zuccherificio in collegamento con il porto
è particolarmente interessante. Ma noi siamo già con la testa a
Santa Clara, ultima tappa dopo pranzo e prima di tornare all’Avana.
Vediamo la statua del
mausoleo del Che prima di arrivarci e già ci assale un’emozione che
ci fa tacere. Dobbiamo lasciare tutto nel pulmino, perché dentro non
si può portare se non quello che si ha indosso. I militari di
guardia ci lasciano passare ed entriamo così in un locale sotto la
grande superficie del mausoleo. Entriamo poi in una cripta e ci
troviamo davanti ad una parete dove sono collocate le ceneri di
Ernesto “Che” Guevara e dei suoi compagni, racchiuse dietro piccoli
loculi con inciso, su ognuno, il volto e il nome. Non li ho contati,
ma sono tanti, forse un centinaio. Vedo il Che, Inti Peredo, Tania,
Camilo…tutti quelli i cui nomi ho letto nelle pagine di storia della
Rivoluzione cubana, nella biografia del Che, nei testi che parlano
della sua storia, nei video in cui parla Fidel o che riprendono
momenti della sua vita di rivoluzionario. Guardiamo quei volti
incisi in silenzio, ognuno preso dalla sua personalissima emozione,
sorvegliati da due custodi che ne avranno visti tanti, come noi. Non
riusciamo ad andare via, ma dobbiamo. Intanto si sente un
singhiozzo, ma non sarà l’unico. Usciamo in silenzio, fortunatamente
provvisti di occhiali da sole e fuori possiamo dare libero sfogo a
quello che proviamo. Ognuno per conto proprio, maturiamo dentro quel
pianto che non può essere un fatto collettivo. Roberto, Pedro,
Yamila, ci lasciano da soli, comprendendo questo sentimento. Il
fatto è che, tutto insieme, noi stiamo rendendo omaggio a una
persona che abbiamo davvero amato in gioventù, che rappresentava il
simbolo di una rivoluzione possibile ed insieme la forza, la
coerenza, la ricerca, l’estrema disponibilità personale contro
l’ingiustizia dello sfruttamento e dell’imperialismo…i nostri slanci
generosi, i nostri obiettivi di allora, la nostra speranza. Stiamo
vivendo l’emozione di una rivisitazione della nostra gioventù e
stiamo rivivendo la nostra gioventù…Ci rivediamo come eravamo e ci
si affollano nella testa le delusioni e le sconfitte, tanti anni di
lotte e di militanza e lui, il “Che”, che sappiamo ora essere stato
sempre nella nostra coscienza. Sono lacrime per lui e per noi. Mi
sono venute in mente le parole di una canzone di Guccini e la
ripetevo fra me “Quanto tempo è passato
da quel giorno d’autunno/ di un ottobre avanzato, con il cielo già
bruno;/ fra sessioni di esami, giorni persi in pigrizia,/ giovanili
ciarpami, arrivò la notizia./ Ci prese come un pugno, ci gelò di
sconforto/ sapere a brutto grugno che Guevara era morto./ In quel
giorno d’ottobre, in terra boliviana,/ era tradito e perso Ernesto
“Che” Guevara./ Si offuscarono i libri, si rabbuiò la stanza,/
perché con lui era morta una nostra speranza./ Erano gli anni fatati
di miti cantati e di contestazioni./ Erano i giorni passati a
discutere e a tessere le belle illusioni./ “Che” Guevara era morto,/
ma ognuno lo credeva/ che con noi il suo pensiero/ nel mondo
rimaneva…”. Intanto mi guardavo intorno e mano a mano che
incontravo gli altri ci scambiavamo occhiate lucide e silenziose.
Camminavamo sulla grande base del mausoleo, intorno alla statua con
incisa sul basamento la lettera del Che a Fidel, prima di partire da
Cuba verso la Bolivia, ad altri monoliti di marmo scuro con incise
parole, riflessioni, a quello con tracciato il percorso dopo lo
sbarco del Granma e i nomi dei paesi che erano stati toccati e
liberati. Poi scendiamo, abbracciati per qualche passo Stefano ed
io. È arrivato il momento di salutare i compagni di Cienfuegos, che
torneranno con un’auto che ci ha seguito, mentre noi rientreremo
all’Avana direttamente da Santa Clara. Il commiato qui è più triste,
perché non c’è tempo di spiegare loro il perché di questa emozione
che racchiude tante cose, anche la loro presenza e la loro esistenza
e il nostro essere stati insieme in questi giorni e il senso del
tempo che se n’è andato. Ci abbracciamo e via, sotto un cielo grigio
e le strade bagnate di pioggia. Il viaggio è silenzioso. Siamo
consapevoli del sentimento di ciascuno, che ci rende soli e solidali
insieme.
Arriviamo all’Avana. Ci
salutiamo con Yamila, che rivedremo domani. È l’ultima sera che
siamo a Cuba e decidiamo di andare a ballare dopo cena, in un locale
dove già alcuni erano stati, senza Bruno, che non ne ha voglia.
Prepariamo i bagagli, che domani dovranno essere lasciati perché li
possano venire a prendere mentre siamo fuori (partiremo alle 18.00)
e ceniamo, in tono minore, per la verità. Stasera ci lasciano
“liberi” di stare soli. Andiamo in una discoteca (ci accompagna
Mario, l’autista, che ci è venuto a prendere con il pulmino) molto
simpatica e ci lasciamo travolgere dalla musica, dai Cuba libre e
dallo spirito ironico e curioso dei cubani. Mi toccherà prendere il
telefono di uno che mi si è appiccicato (quasi nel senso letterale)
e promettergli di chiamarlo quando tornerò a Cuba. Non so come è
andata a Stefano, concupito da una biondona, che non ne sembra
particolarmente felice (forse non è il suo tipo). Carlos, il
gestore, è molto simpatico e molto bravo, come gestore e come disk
jokey. Ci ha accolto con simpatia – già conosceva Mario, Stefano e
Antonietta – e ci ha seguito per tutta la serata. Alle due tutto si
ferma e andiamo a bere qualcosa e a mangiare una pizza in quattro,
con Carlos, in una terrazza sopra la discoteca. Parlare con Carlito
è stato interessante e rivelatore insieme, dell’affezione di persone
come lui per Cuba, della difesa senza discussione della rivoluzione
e – allo stesso tempo – del rammarico per non poter perseguire, se
non a condizione di stare qualche mese a lavorare all’estero, il suo
sogno: quello di avere una motocicletta. È un ragazzo scatenato e
dolce allo stesso tempo e noi non resistiamo alla tentazione di
lasciargli – tanto, non ci serviranno – tutti i pesos cubani che ho:
sono circa quanti ne prende di stipendio e li accetta con
semplicità. Poi, fa una curiosa osservazione sul mio profumo, che
gli piace moltissimo e, dopo averci lasciato indirizzo e telefono e
aver preso i nostri, ci chiama un taxi e andiamo via.
Confesso di non aver
dormito molto, forse due ore, perché ho deciso di cominciare a
scrivere, a partire da Santa Clara e a ritroso, di queste giornate.
Alle cinque mi sdraio e alle sette mi alzo.
29 settembre
Non è la canzone dell’Equipe 84, ma l’ultimo giorno a Cuba. Beviamo
con gusto l’ultimo succo di guanagua a colazione e ci avviamo per
destinazioni diverse: Bruno, Stefano ed io andiamo a visitare il
Museo della Rivoluzione, mentre Antonietta e Mario si fanno
accompagnare alla Playa del Este, dove mangeranno aragosta a pranzo.
Ci diamo appuntamento a casa, alle due. Il Museo è molto
interessante, soprattutto fotografico e parte dai primi movimenti di
liberazione, della fine dell’’800, per arrivare agli ultimi anni.
Sono circa venti sale, che descrivono minutamente tutte le tappe
verso la libertà dall’imperialismo statunitense del popolo cubano, i
volti, gli episodi, gli eventi davvero storici, le strategie, i
rapporti politici, con immagini, didascalie, documenti e oggetti. La
sala dedicata all’assalto al Moncada è particolarmente raggelante,
per la crudeltà della repressione nei confronti dei rivolzionari
caduti prigionieri…Quella dedicata a Camilo Cienfuegos e ad Ernesto
“Che” Guevara particolarmente emozionante, nel vederli così uniti
nella vita e nella morte. Poi, lì, la teca con il basco del Che e la
sua mitraglietta e il cappello di Camilo e il suo fucile. Altro
colpo emotivo. Finiamo il giro in un paio d’ore e ci avviamo nel
percorso esterno, verso il Granma e gli altri mezzi bellici che
rappresentano momenti ed episodi delle tappe rivoluzionarie. Il
Granma bisogna vederlo da fuori, perché è custodito in una specie di
grande teca di vetro e, forse per evitare danneggiamenti, non è
consentito avvicinarvisi. Ma è sufficiente e sembra impossibile che
in quello che, in fondo, non è che un grosso motoscafo d’altura,
siano potuti entrare e restare per qualche tempo 85 uomini. Facciamo
alcune foto e ce ne andiamo. Ormai, si respira quest’aria di
partenza che ci rovina le ultime ore. Perché, per la verità, non ne
abbiamo alcuna voglia. Pranziamo in un locale nei pressi di Calle
Obispo e poi, in taxi, torniamo a casa. Lì, sarà soltanto attesa:
vengono a ritirare i bagagli, poi i passaporti con i 25 dollari
ciascuno per le tasse di imbarco e, infine, alle 16.30 arriva Yamila.
Parliamo un po’, in attesa del pulmino per l’aereoporto e chiede a
Stefano e a me di spiegarle le questioni della lista unica alle
europee e del partito riformista, perché sta cercando di capire il
senso delle proposte e le posizioni dei partiti, anche europei, e di
Prodi: è il suo lavoro, quello di comprendere le dinamiche politiche
dei Paesi di cui si occupa nello scenario europeo. Penso che abbia
compreso, anche se le rimane sempre qualche interrogativo…Ma è tempo
di partire. Salutiamo quelli che nella casa ci hanno accudito, dalla
cucina, alla vigilanza, alle stanze, riconsegniamo le chiavi e
saliamo in auto. All’aereoporto, stesso percorso per l’imbarco,
attraverso il Consiglio di Stato e senza check-in. Aspettiamo un po’
in una saletta, perché la partenza è ritardata di circa un’ora. Ci
offrono bibite e caffè e qualcuno trova anche il tempo per farsi
accompagnare al Duty-free per le ultime spese. Poi, l’imbarco. I
saluti sono sempre stressanti, anche se ci si promette di rivedersi
presto. In realtà, abbiamo in programma uno scambio con i compagni
della Provincia di Cienfuegos a marzo. Yamila è già impegnata a
verificare le compatibilità di date ed impegni. Saliamo a bordo.
Viaggeremo nella notte e il viaggio sembrerà molto più lungo che
all’andata. Intanto, io comincio a scrivere il mio diario. Non
dormirò affatto. A Roma, mi aspetta Salvatore, l’autista della
Provincia che si occupa dei miei spostamenti: mi porterà in
Provincia, dove ricomincio il lavoro esattamente da dove l’ho
lasciato il 22 settembre, con Cuba nella mente, però.
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