AVVENIMENTI
Intervista a Stefano Casini
di
Thomas Martinelli
L’Avana
nell’autunno 1957. Da un cargo portoghese sbarca il secondo
ufficiale toscano-corso Nero Maccanti. Resterà nella capitale cubana
per un po’, quanto basta per assistere e partecipare agli eventi
storici che capovolgerà l’assetto politico, sociale e culturale
dell’isola caraibica. La fiction s’intreccia con la realtà, con la
rivoluzione castrista, con il Che, con Cosa Nostra, i gangster Usa e
la fine della corrotta dittatura di Batista che li copre. Con tosto
atteggiamento labronico, Nero non emette giudizi ma infine –anche
per motivi suoi, un amore, un desiderio di distacco- si schiera
dalla parte giusta. In 4 volumi l’autore Stefano Casini ha
ricostruito in Hasta la victoria! (Edizioni Di) le
ambientazioni indolenti al ventilatore, il finto bel mondo di
superficie e l’energia vitale dalla montagna ribelle, gli interni
modesti dove si consumano amori eterni ma anche traffici loschi di
ogni tipo. E’ una narrazione visiva lineare e diretta, schiva da
eccessi estetizzanti e preciso nella ricerca storico-politica. Per
questo ha avuto bella accoglienza in Francia, fra premi e vendite, e
viene tradotto e distribuito in Svizzera, Belgio, Olanda e, ci
mancherebbe, anche in Italia dove il suo segno è molto popolare per
i disegni della serie Nathan Never. Prima della
ripubblicazione di Moonlight Blues
-storia d’atmosfera malinconica di un suonatore di sax nell'America
fine anni '40, con gangsters, box e prostitute- e di un suo nuovo
lavoro commissionato da Dargaud France, parliamo con Stefano Casini
della “sua” Cuba.
Sei stato a Cuba per realizzare questa storia?
Sì, ma solo dopo avere
già cominciato la serie. Ne ho sentito l’esigenza solo dopo essere
entrato nel vivo della questione, mi sembrava impossibile continuare
senza avere visto direttamente ciò che era adesso Cuba, o non
conoscere i luoghi delle battaglie, i panorami, la gente, i frutti
di quelle gesta. Anche se credo che nella storia non se ne
percepisca il cambiamento, è infatti dal terzo volume che
l’esperienza diretta è confluita nel racconto, mentre già dal primo
albo, i lettori con cui ho avuto modo di dialogare, tra chi era
stato a Cuba o chi conosceva le circostanze, trovavano tutto molto
credibile.
Che cosa ti ha spinto a cimentarti con la rivoluzione cubana?
Il caso. Non ci sono
state pulsioni né politiche né altro. Mi sono imbattuto in un libro
che parlava della “rivoluzione”, un libro di narrativa nascosto tra
le offerte di una stazione di servizio che sembrava aspettasse me, e
da quel momento non ho avuto che in testa l’idea di realizzare una
storia su Cuba.
In che modo ti sei documentato? Quanto è frutto di ricerca e quanto
invece di fantasia?
La prima documentazione
di informazioni e immagini è stata sul web, quelle che mi hanno
aiutato a riordinare le idee, avere una visione cronologica degli
avvenimenti e una panoramica sui fatti storici. Poi sono entrato
sempre più nel dettaglio, leggendo dei libri, due biografie di Che
Guevara (di Anderson e di Taibo II), fino a sentire l’esigenza di
andare direttamente sull’isola a vedere con i miei occhi. La
fantasia è entrata in gioco solo a livello narrativo, cioè nella
costruzione dei personaggi che animano la storia. Tutto il resto è
reale, o meglio, “realistico”. Il mio impegno è stato tutto
orientato a rendere credibile la convivenza dei miei personaggi con
quelli che hanno vissuto realmente la Storia: Batista, Che Guevara,
Lansky, Fangio, infatti il mio racconto scorre linearmente secondo
la cronologia della storia della “rivoluzione”, stando attento a non
prevaricarla e correndo in parallelo con i fatti e le date, magari
solo aggiungendo delle forzature narrative funzionali allo
svolgimento della storia.
Il protagonista
Nero Maccanti, marinaio disincantato ma romantico che si ritrova in
mezzo alla Storia, richiama due precedenti eroi di carta figli di
padri nobili del fumetto italiano: Corto Maltese di Pratt e Unknow
di Magnus. E’ un caso?
Sicuramente no e per
molti motivi. Il primo è che sia Pratt che Magnus sono autori che ho
amato moltissimo e che più mi hanno influenzato, sia dal punto di
vista narrativo che da quello grafico, due punti di riferimento
inevitabili per tutti gli autori della mia generazione. Altro motivo
è il mio amore per l’”eroe”, inteso come protagonista, solitario che
si trova invischiato nella vicenda suo malgrado e, gioco forza, deve
compiere delle azioni che finiscono per rivelarsi eroiche, ma più
per concomitanza di circostanze che per volontà personale, e qui sta
la somiglianza con l’Unknow di Magnus. E poi Maccanti è un marinaio,
espediente che mi permetterà, se il personaggio vivrà in altre
storie (com’era nelle intenzioni), di farlo muovere per altri porti
e altre situazioni con una motivazione legittima, come lo è stata
del più famoso Corto Maltese di Pratt, appunto. Ma la differenza tra
tutti sta nel contesto storico, le loro azioni e le loro personalità
sono figlie di uomini appartenenti ad epoche diverse, quella
romantica di inizio secolo, animata da gentiluomini di fortuna e
nobildonne affascinanti dove Corto Maltese si muove con elegante
disinvoltura, o quella contrastata degli anni ‘70, dove le pulsioni
di popoli che si ribellavano a situazioni politiche intricate
producevano uomini tormentati dai ricordi come Unknow. Nero Maccanti
invece vive stranamente in un’epoca a cavallo tra le due, dove
ancora si percepiscono gli ultimi fuochi di un romanticismo che
scomparirà per sempre e si costituiscono le idee per quella società
che sfocerà nella protesta del ’68 e nel periodo dei terrorismi.
Hasta la victoria! è stato pubblicato prima dalla
francese Mosquito edizioni. Ancora una volta un autore italiano come
te trova più diffusione oltralpe che da noi. Perché?
Non parlerei tanto di
diffusione quanto di produzione, oltre che ad una differenza
sostanziale di mercato. La produzione seriale oggi è principalmente
in mano a Sergio Bonelli Editore, che produce da 12 a 18 albi
mensili fra storie continuative o miniserie, per cui pensare ad una
storia per la SBE vuol dire immaginarla con queste caratteristiche.
Altrimenti si può proporla a qualche altro piccolo editore che però
generalmente non paga cifre accettabili, almeno per professionisti
che vivono di questo lavoro. Se si esclude il Giappone che ha una
notevole produzione autoctona, esistono l’America con i suoi
supereroi, o la Francia, ed è verso questi lidi che migrano gli
autori o disegnatori nostrani quando devono proporre storie con
caratteristiche differenti da quelle in edicola. E quello italiano è
un mercato che proviene per tradizione dall’edicola, con costi di
copertina bassi e quindi grande popolarità, formati ridotti, bianco
e nero, mentre quello francese ha l’attitudine al fumetto come
prodotto librario, con le dovute differenze e con tutte le
conseguenze del caso, distribuzione in libreria, promozione fatta di
marketing moderno, grande formato, colore, visibilità mediatica.
Sono due mondi piuttosto distanti, e che in Italia si toccano
soltanto in alcune librerie e fumetterie. Per cui mentre per la
Sergio Bonelli Editore mi trovo molto bene a fare il disegnatore,
quando devo pensare una storia come autore finisce che il mio
mercato di riferimento non può che non essere quello francese.
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