STORIA
Raúl
Roa: Ministro della Dignità
di
Gustavo B. Estorino
Speciale per SiporCuba
Era
il mese d’agosto del 1960. A San José, in Costa Rica, si svolgeva
una riunione della mal chiamata Organizzazione degli Stati
Americani, nota con la sigla in inglese OEA, un organismo di taglio
continentale, che in realtà è sempre stato uno strumento di dominio
imperiale.
Di
fronte alla certezza che nella riunione le denunce di Cuba su
un’imminente aggressione della CIA, l’Agenzia d’Intelligenza degli
USA, non avrebbero incontrato un’eco, il Ministro degli Esteri
dell’Isola chiese la parola per una quesione d’ordine ed annunciò
che la sua delegazione si ritirava:
“Me ne vado con il mio popolo e con il mio popolo se ne vanno anche
i popoli di Nuestra America.”
Chi
parlava così era Raúl Roa, ministro degli Esteri della giovane
Rivoluzione Cubana. Fuori lo aspettava una folla che gridava “Cuba
sí, yankee no!”
Roa
si guadagnò così il soprannome con cui passò alla storia: Il
Cancelliere della Dignità.
Era
nato nel quartiere La Víbora, della capitale, il 18 aprile del
1907, in una famiglia di ex proprietari terrieri impoveriti. Suo
padre, Raúl, modesto impiegato pubblico, era figlio di Ramón Roa,
tenente colonnello dell’Esercito Liberatore, aiutante di Ignacio
Agramonte nella guerra iniziata contro la metropoli spagnola nel
1968.
Alla madre, María Luisa García, lo univano l’affetto ed una
tenerezza infinita. Al principio era solo Raulito. Poi, in collegio,
lo chiamarono semplicemente Roa.
In
un autoritratto che offerse in un’intervista concessa nel 1968:
"Era abbastanza alto e magro, molto attivo, con la bocca grande,
grandi orecchie, piccoli occhi sognatori con lampi da scoiattolo, a
volte malinconici, chiacchierone ad ogni ora, e più peloso di un
hippie, anche se anti hippie per la sua natura.
Chi
lo ha conosciuto ricorda i suoi giri nel quartiere, giocando con gli
aquiloni, alla “quimbumbia”, graffiando le polverose strade con i
pattini o la bicicletta. Era un appassionato di baseball e maestro
nel raccogliere i tiri corti in prima base, i detti short-bounds.
Lettore sfrenato di Salgari, Giulio Verne, Fenimore Cooper, Daniel
de Foe, sognava d’essere un moschettiere del Re, o un protettore di
orfanelle, come Enrique de Lagardere, un ladro dalle mani di seta
con lo stile di Raffles, o un onnipotente Fantomas.
Fu
uno studente eccellente. Nel 1926, entrò nell’ Università, dove
conobbe i suoi due grandi amici: Rubén Martínez Villena e Pablo de
la Torriente Brau, con i quali si vincolò strettamente al movimento
studentesco.
Membro fondatore del Directorio Estudiantil Universitario (DEU) del
1930, Roa scrisse il manifesto distribuito nella giornata
rivoluzionaria del 30 settembre dello stesso anno, della quale fu
uno degli organizzatori e protagonisti. Per divergenze ideologiche
con il DEU, si separò e fondò con Gabriel Barceló, Pablo ed altri,
l’Ala Izquierda Estudiantil (AIE), di posizioni molto vicine al
primo Partito Comunista. Tra il 1931 e il 1933 fu recluso diverse
volte ed il dittatore Gerardo Machado lo fece rinchiudere nel
tenebroso Presidio Modelo.
Si
laureò nel 1935 in Diritto e pubblicò Bufa Subversiva, un
riassunto dei suoi lavori più significativi sino a quella data, ma
per la sua partecipazione allo sciopero di marzo del 1935 durante
la dittatura Caffery-Batista-Mendieta, dovette andare in esilio.
Nel
1940 ottenne la cattedra di Storia delle Dottrine Sociali,
nell’Università de L’Avana.
Nel
1949 fu pubbicato il primo libro della sua Storia delle Dottrine
Sociali, al quale si aggiunsero altri due volumi con tutti i suoi
lavori giornalistici, i sggi e le polemiche: Quince años después
(1950) y Viento Sur (1953).
Direttore di Cultura del Ministero d’Educazione dal 1949, finanziò
la pubblicazione d’importanti libri, sovvenzionò il Balletto di
Alicia Alonso, sostenne un movimento di recite teatrali, saloni
per le belle arti e l’umorismo.
Dopo l’opposizione al colpo di Stato di Fulgencio Batista del 10
marzo del 1952, s’incorporò all’organizzazione Resistencia Cívica,
molto vincolata al Movimento 26 di Luglio, diretto da Fidel Castro.
Nel 1959, apparve il suo libro En pie, che raccoglieva saggi ed
articoli giornalistici scritti sino ad allora.
Poi vennero Retorno a la alborada (1964), Escaramuza en las
vísperas (1966), La Revolución del 30 se fue a bolina (1969) e
Aventuras, venturas y desventuras de un mambí (1970). Postumo si
pubblicò El fuego en la semilla del surco (1982).
La Rivoluzione al potere necessitò rapidamente di Roa e lo nominò
ambasciatore nella OEA.
Nella sua presentazione come rappresentante di Cuba, dopo aver
chiarito "la profonda sfiducia del popolo cubano"
nell’organizzazione, avvertì: "Alla diplomazia della Rivoluzione
Cubana corrispondono doveri e responsabilità congruenti con la
sua natura democratica, la proiezione continentale e la
trascendenza universale".
Il
13 giugno del 1959 fu designato alla guida del Ministero di Stato,
che poi cambiò il nome con “Ministero delle Relazioni Estere”.
Fidel Castro ebbe in lui un interprete idoneo dei suoi concetti
sulla diplomazia rivoluzionaria.
Come ministro, Roa dipendeva dall’autista che non riceveva
stipendio per insufficienze burocratiche, dalla lavoratrice
ricoverata in ospedale, dai medicinali che qualcuno necessitava o la
nipote di qualcuno necessitava...
Il
suo senso dell’umorismo suscitava la simpatia ditutti e creò una
serie di leggende non sempre esatte, ma si sa per esempio, che
ricevette un ambasciatore straniero - che non si curava del procollo
nel vestire - in canottiera e lo minacciò: “La prossima volta che
lei viene in maniche di camicia io la riceverò in mutande”.
Mentre parlava a lavoratori mobiliati in un accampamento agricolo,
un mango cadde vicino a lui. “Questo è mio perchè io l’ho visto per
primo”, disse.
In
una riunione tra parlamentari, di fronte ad un diplomatico yankee
che esigeva con prepotenza di parlare, sottolineò: “Ha la parola il
delegato degli USA, ma senza arroganza”. Roa era così.
Mercoledì 10 ottobre del 1973 si discuteva nell’Assemblea Generale
della ONU il tema del genocidio fascista perpetrato dalla Giunta
Militare golpista in Cile. Il ministro cubano denunciò la
sanguinaria repressione scatenata nel paese australe, paragonabile
"a quella dei nazisti nei paesi occupati: esecuzioni sommarie,
massacri organizzati, distruzione di villaggi, bombardamenti di
università, torture orripilanti, campi di concentrazione, consegna
ai boia degli esiliati latinoamericani, falò di libri..."
Il
rappresentante dei fascisti cileni chiese la parola. Con sfacciato
cinismo assicurò che la Giunta "riconosce e rispetta i diritti
umani fondamentali". Lanciò contro Cuba e Fidel Castro false accuse
e calunnie.
Roa si alzò.
"Come se gli avessero applicato un elettrodo", ricorderà poi un
diplomático.
"Figlio di puttana! Miserable!
Schifoso!", gridava il cubano mentre avanzava per il corridoio per
raggiungere il cileno. Uno degli sbirri della delegazione
nicaraguense sfoderò una pistola.
Roa, senza fargli caso continuo ad avanzare.
Uno
dei cubani, disarmato, scoprendo il petto, gli faceva da scudo. Il
cileno, impaurito si nascose dietro il podio da dove lo riscattò un
poliziotto italiano.
Quando ritornò la calma dopo vari interventi, Roa tornò sul podio.
Replicò solo agli Stati Uniti e ignorò i satelliti
dell’imperialismo.
"Il
popolo cileno non sarà vinto dal fascismo e non sarà vinto dal
fascismo nonostante gli aiuti che daranno gli Stati Uniti”.
La
sua oratoria fu antologica in quell’epica battaglia verbale della
Cuba dei giorni di Girón, contro la diplomazia yankee, capeggiata
da Adlai Stevenson, che Roa schiacciò letteralmente .
Il
Ministro cubano mise in chiaro tutte le menzogne statunitensi,
dimostrò dettagliatamente che l’invasione mercenaria era stata
organizzata e preparata dalla CIA con la complicità dei governi
marionetta dell’America Centrale.
Fece giustizia, in quella battaglia e nelle altre che sferrò nello
scenario internazionale, a quel soprannome che i popoli di Nuestra
America avevano già dato a quel genuino cubano “Il cancelliere della
Dignità”.
|