“La
solitudine è una cosa terribile. Comprime il tuo spirito e debilita la
tua resistenza più efficacemente di qualsiasi altra forma di
maltrattamento. Siccome non hai nessuno su cui contare, condividere
confidenze, chiedere consiglio, cominci a dubitare delle tue convinzioni
e del tuo coraggio. Però alla fine t’abitui alla solitudine come di
fronte a qualsiasi difficoltà, architettando vari metodi per mantenere i
tuoi problemi lontani dalla mente ed approfittare smisuratamente di
qualsiasi opportunità di contatto umano.”
“Nel
1970, terminato il mio periodo d’isolamento, fui sommerso dal desiderio
irrefrenabile di parlare senza fermarmi…”
Se per
Lei è un tema interessante, attualmente negli Stati Uniti ci sono Cinque
prigionieri cubani, lontani uno dall’altro migliaia di chilometri. Non
hanno nessuna zona che potrebbero definire ironicamente “Hanoi Hilton”.
Le loro sofferenza e l’ingiustizia di cui sono vittime saranno
conosciute dal mondo, non ne dubiti assolutamente. Ho deciso di toccare
nuovamente il tema, ricordando che in alcune delle sue molte
dichiarazioni, Lei ha cercato di ubicare il luogo trasformato nella
prigione dei piloti dei bombardieri abbattuti durante gli attacchi sul
Vietnam.
Nel
1973, durante la mia visita in Vietnam, paese in cui giunsi il 12
settembre, dopo gli accordi tra gli Stati Uniti ed il Vietnam, a cui Lei
allude, fui alloggiato nell’antica residenza del Governatore francese di
tutta l’Indocina. Lì mi visitò Pham Van Dong, l’allora Primo Ministro,
il quale pianse ricordando i sacrifici umani e materiali imposti al suo
paese; da lì partì per visitare il Sud – ancora non interamente liberato
– fino alla Linea McNamara, dove i fortini d’acciaio erano stati presi
dai combattenti vietnamiti, nonostante i bombardamenti e gli incessanti
attacchi aerei degli Stati Uniti.
Tutti i
ponti, senza eccezione, visibili dall'alto lungo il tragitto tra Hanoi
ed il Sud, erano effettivamente distrutti; i villaggi, rasi al suolo, ed
ogni giorno le granate delle bombe a grappolo lanciate con
quell’obbiettivo, esplodevano nei campi di riso dove bambini, donne e
perfino anziani in età avanzata erano impegnati nella produzione
alimentare.
Si
potevano osservare un gran numero di crateri in entrambe le entrate dei
ponti. Allora non esistevano le bombe guidate dai laser, molto più
precise. Dovetti insistere per effettuare la visita. I vietnamiti
temevano che potessi essere vittima di qualche avventura yankee, se
avessero saputo della mia presenza in quella zona. Pham Van Dong mi
accompagnò tutto il tempo.
Sorvolammo la provincia di Nghe-An, dove nacque Ho Chi Minh. Nel 1945,
ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale, in quella provincia ed in
quella di Ha Tinh, morirono di fame due milioni di vietnamiti.
Atterrammo a Dong Hoi. Sulla provincia dove si trova quella città
furono lanciate un milione di bombe. Attraversammo su una chiatta il
Nhat Le. Visitammo un ricovero per feriti a Quang Tri. Vedemmo numerosi
carri armati M-48 catturati. Percorremmo sentieri di legno su quella
che un giorno era stata la Strada Nazionale, distrutta dalle bombe. Ci
riunimmo con i giovani soldati vietnamiti che si colmarono di gloria
nella battaglia di Quang Tri. Sereni, risoluti, scuri per il sole e la
guerra, un leggero tic della palpebra del capitano del battaglione. Non
si sa come hanno potuto resistere a tante bombe. Erano degni
d’ammirazione. Quella stessa sera del 15 settembre, ritornando per
un’altra strada, raccogliemmo tre bambini feriti, di cui due molto
gravi; una bambina di 14 anni era in stato di shock con un frammento di
metallo nell’addome. Mentre i bambini lavoravano nei campi, una zappa
aveva toccato casualmente la granata. I medici cubani appartenenti alla
delegazione li curarono direttamente per ore e gli salvarono la vita.
Sono stato testimone, signor McCain, delle prodezze dei bombardamenti
sul Vietnam del Nord, di cui Lei si vanta.
In quei
giorni di settembre, Allende fu abbattuto; il Palazzo del Governo fu
attaccato e molti cileni torturati ed assassinati. Il golpe fu promosso
ed organizzato da Washington.
Disgraziatamente, tutto ciò è successo.
Il
problema fondamentale in questo momento è sapere se il candidato
repubblicano McCain è cosciente della crisi economica che, a breve
termine o immediatamente, attraverserà gli Stati Uniti. Solo da questo
punto di vista sarà possibile valutare qualsiasi candidato con
possibilità di dirigere quel potente paese.
Due
giorni fa, il 12 febbraio, l'agenzia di stampa internazionale IAR, ha
pubblicato un articolo firmato da Manuel Freytas, giornalista,
ricercatore ed analista, intitolato “Perché una recessione negli Stati
Uniti può trasformarsi in una crisi globale”.
Non ha
bisogno di molti testimonianze per argomentarlo.
“Nell’attuale cupa previsione dell’economia statunitense – scrive –
s’incontrano istituzioni chiave dell’attuale sistema
economico-finanziario quali la Federal Reserve ed il Tesoro degli Stati
Uniti, la Banca Mondiale, il FMI, il G-7 (i sette paesi più ricchi) e le
banche centrali europee ed asiatiche che vedono nella convergenza crisi
ipotecaria, caduta del dollaro innalzamento del prezzo de petrolio, il
detonante centrale potenziale di un processo recessivo del capitalismo
su scala mondiale.
“La
paura di una recessione negli Stati Uniti e la sua influenza
sull’economia mondiale… hanno un impatto negativo sulla fiducia
dell’elite economico-politica del sistema”.
“Il
capo de la Federal Reserve degli Stati Uniti, Ben Bernanke, ha detto che
il suo paese può cadere in un processo recessivo e che affronta la
doppia sfida di un mercato immobiliare in caduta ed allo stesso tempo la
necessità di controllare che l’inflazione non aumenti a causa
dell’elevato prezzo del petrolio e dei generi alimentari”.
“In
gennaio, le Nazioni Unite hanno avvertito che esiste un elevato rischio
di cadere in una recessione economica globale…”.
“Al
Forum di Davos, svoltosi in gennaio sulle Alpi svizzere, i leader delle
potenze mondiali più ricche e forti hanno da poco avvertito di una
recessione negli Stati Uniti con implicazioni mondiali, segnalando cupe
previsioni per quest’anno”.
“In
base al comunicato finale di una riunione svoltasi a Tokio sabato
scorso, i ministri delle Finanze e le banche centrali dei sette paesi
più ricchi del mondo (il G-7) hanno valutato che le loro economie
avrebbero risentito di un rallentamento a breve termine...”.
“Esistono due elementi chiave che spiegano immediatamente perché una
crisi recessiva negli Stati Uniti si proietterebbe sull’intera economia
mondiale, tanto nei paesi centrali, come negli “emergenti” e nei
“periferici”.
a)
Nell’attuale modello globalizzato dell’economia mondiale, gli Stati
Uniti sono il principale compratore e consumatore di prodotti e risorse
energetiche e rappresentano, secondo gi ultimi calcoli della Banca
Mondiale il 22,5% dell’economia mondiale.
b) La
economia mondiale capitalista è “dollarizzata”. Il dollaro è la moneta
base di tutti gli scambi commerciali e finanziari su scala globale.
“Questi
due fattori centrali spiegano perché qualsiasi oscillazione o
disequilibrio economico-finanziario che abbia come protagonista gli
Stati Uniti, colpisce immediatamente e s’allarga a tutto il “sistema”.
“Una
crisi recessiva negli Stati Uniti… colpirebbe immediatamente le borse ed
i mercati globalizzati delle valute… completando il ciclo del crollo
dell’attuale modello economico capitalista su scala mondiale.
“Il
crollo del modello romperebbe l’equilibrio della “governabilità”
politica e scatenerebbe un’ondata di conflitti sociali e sindacali che
colpirebbero sia gli Stati Uniti che le potenze centrali ed i paesi
emergenti”.
Ieri,
13 febbraio, diversi articoli di noti giornalisti nordamericani
puntavano nella stessa direzione, anche se partivano da differenti
punti. Ne citerò solo due, da cui ho selezionato dei paragrafi che
riflettono l'attualità e l’importanza del loro contenuto, per mezzo di
concetti assolutamente accessibili per i livelli educativi del nostro
popolo.
Con il
titolo “Il modello statunitense è un'idea di cui è giunta la sua ora”,
Amy Goodman, presentatrice di Democracy Now, trasmissione internazionale
diffusa ogni giorno da oltre 650 emissioni radiotelevisive negli Stati
Uniti e nel mondo, scrive:
“Edward
Kennedy, senatore democratico del Massachusset, l’ha trasformata in una
questione personale: “Se il sottomarino lo facessero a Lei, lo
considererebbe una forma di tortura?” “Penso di sì”, ha risposto Mukasey
(il Procuratore Generale). Benché sfuggisse alle domande prima e dopo
quella di Kennedy, la sua risposta alla domanda personale sembrava
autentica.
“Il
nostro Procuratore Generale non dovrebbe essere sottoposto al
sottomarino per sapere che è una forma de tortura”.
“Suharto governò l'Indonesia per oltre 30 anni, dopo essere stato messo
al potere dal paese più potente del pianeta, gli Stati Uniti”.
“Durante l’intero regime di Suharto, le amministrazioni statunitensi -
democratiche e repubblicane - armarono, addestrarono e finanziarono
l’Esercito indonesiano. Oltre al milione d’indonesiani assassinati,
altre centinaia di migliaia di persone furono assassinate durante
l'occupazione indonesiana di Timor Est, un piccolo paese a 480
chilometri al nord dell'Australia”.
“Il 12
novembre 1991, mentre io facevo la copertura di una marcia pacifica a
Dili, la capitale di Timor, l'Esercito d’occupazione di Suharto aprì il
fuoco contro la folla uccidendo 270 persone”.
“I
soldati mi presero a calci con i loro scarponi e mi colpirono con il
calcio dei loro fucili M-16, di fabbricazione statunitense. Fratturarono
il cranio al mio compagno Allan Nairn che a quei tempi scriveva per la
rivista The New Yorker”.
“L'organizzazione Trasparenza Internazionale ha calcolato che la fortuna
di Suharto oscillava tra i 15 ed i 35 miliardi di dollari. L'attuale
ambasciatore in Indonesia, Cameron Hume, onorò questa settimana la
memoria di Suharto, dichiarando: “Il presidente Suharto governò
l'Indonesia per oltre 30 anni, un periodo durante il quale l'Indonesia
raggiunse un notevole sviluppo economico e sociale”.
“Sia
che si tratti del sottomarino, o di scatenare una guerra illegale, o di
mantenere per anni nella baia di Guantanamo, o in prigioni segrete della
CIA in tutto il mondo, centinaia di prigionieri senza imputazioni, tutto
ciò mi fa ricordare le parole del Mahatma Gandhi, uno dei più grandi
leader della non-violenza nel mondo”.
“Che
cosa importa ai morti, agli orfani ed a quelli che perdono le loro case,
domandava, se la distruzione insensata si porta a termine nel nome del
totalitarismo o nel sacro nome della libertà o della democrazia?”.
“Quando
gli domandarono che cosa pensasse della civiltà occidentale, Gandhi
rispose: “Penso che sarebbe una buona idea”.
Lo
stesso giorno, su CounterPunch, Robert Weissman ha scritto un altro
articolo intitolato “Il vergognoso stato dell’Unione", tradotto per
Ribellione da S. Seguì, dove, tra altre cose, ha affermato:
“Gli
Stati Uniti investono oltre 700 miliardi di dollari all’anno per le
spese militari. Destina 506.900 milioni di dollari al Dipartimento della
Difesa, oltre a 189.400 milioni di dollari per le operazioni militari in
Iraq ed Afghanistan”.
“Il
Congresso ha approvato circa 700 miliardi per le guerre in Afghanistan
ed in Iraq. Non comprende i costi sociali: perdite umane, feriti,
eccetera”.
“Secondo certi calcoli, oltre la metà della spesa federale discrezionale
è ormai destinato a fini militari”.
“La
ricchezza si sta concentrando in maniera vertiginosa”.
“Nel
1976, l’1% più ricco della popolazione incassava l’8,83% dell'entrate
nazionali; nel 2005, la stessa percentuale è stata del 21,93%.
“Nell'attuale economia iper-finanziaria, sono i guru delle finanze
quelli che stanno diventando realmente ricchi, nonostante le enormi
perdite che sta accumulando Wall Street”.
“Neanche le banche d’investimento tradizionali possono pagare i
scandalosi compensi che ricevono i gestori dei fondi di capitale
privati, alcuni dei quali ottengono oltre un miliardo di dollari in un
solo anno. Grazie ad un stratagemma fiscale, questi individui pagano
qualche imposta sull’entrate che equivalgono a meno della metà di ciò
che deve pagare un dentista che guadagni 200.000 dollari all'anno”.
“Le
grandi corporazioni si stanno impadronendo della gran parte della
ricchezza nazionale”.
“La
sfera immobiliare ed il collasso delle ipoteche ad alto rischio
(subprime) stanno espellendo milioni di famiglie dalle loro case”.
“Il
Centro per un Indebitamento Responsabile considera che 2,2 milioni di
prestiti ipotecari ad alto rischio concessi durante gli ultimi anni si
sono già trasformati in fallimenti o termineranno con un’esecuzione
ipotecaria. Le perdite derivate dalla caduta dei prezzi delle abitazioni
possono raggiungere i 2 miliardi di dollari”.
“Il
divario della ricchezza tra bianchi e neri non accenna a chiudersi, ed
in realtà si sta allargando”.
“Secondo l'associazione United for a Fair Economy, i cittadini
statunitensi d’origine africana raggiungeranno la parità con i loro
compatrioti bianchi solamente tra 594 anni. La catastrofe delle ipoteche
ad alto rischio si sta accanendo specialmente sulle comunità minoritarie
e sta provocando quello che United for a Fair Economy stima come il
maggiore impoverimento della popolazione nera nella storia moderna degli
Stati Uniti”.
“Oltre
un bambino su sei vive nella povertà”.
“Oltre
45 milioni di persone non hanno una polizza sanitaria”.
“Il
deficit commerciale statunitense ha raggiunto nel 2006 la cifra di
763.600 milioni di dollari. Ad un certo momento questo deficit
commerciale dovrà equilibrarsi. Man mano che il dollaro continua a
perdere il suo valore, bisogna aspettarsi un’inflazione maggiore e più
alti tassi d’interesse a medio termine. Il livello di vita reale, in
termini economici, s’abbasserà”.
“Attualmente l'efficienza energetica è peggiore di dieci anni fa”.
“L'infrastruttura sta cedendo. L'Associazione degli Ingegneri Civili
stima che saranno necessari 1,5 miliardi di dollari, per cinque anni,
per riportare le infrastrutture del paese ad uno stato accettabile”.
“Questa
situazione è peggiore - in alcuni casi molto peggiore – di quella
all'inizio del governo di George W. Bush, ma le sue radici affondano
nella politica bipartitica condotta per trent’anni, favorevole alla
deregulation, alla consegna d’attività pubbliche alle imprese private
(privatizzazione), la globalizzazione corporativa, il carattere
iper-finanziario dell'economia, alcune alte, stravaganti spese militari,
le riduzioni delle tasse ai ricchi ed i tagli alla rete della previdenza
sociale”.
Robert
Weissman, autore dell'articolo, è caporedattore del Multinational
Monitor, di Washington, D.C., e direttore di Essential Action.
Per non
abusare dei lettori, manca solo la quinta parte.