Le dichiarazioni su Cuba rilasciate da Pietro Ingrao al Corriere
della Sera, dichiarazioni piuttosto banali, hanno dissipato in
poche battute le parole per cui avevamo guardato con rispetto a
Pietro Ingrao lo scorso anno. Commentando l’invasione dell’Iraq,
Ingrao aveva detto che “la resistenza contro l’occupazione è la
prima condizione per la pace”. Parole chiare, una volta tanto, che
avevano avuto una funzione pedagogica positiva verso le migliaia
di giovani che si stavano battendo in tutta Italia contro una
guerra illegale e coloniale. Ma le cose dette su Cuba al Corriere
della Sera nella cornice di un congresso – quello del Partito
della Sinistra Europea – che gli aveva dedicato una vera ovazione,
ci hanno restituito l’Ingrao di sempre. Non una parola sulla
minaccia ormai reale di un’aggressione statunitense contro Cuba ma
banalità sulle spiagge e i bagnini di Stato a Cuba, banalità che
dovrebbero portarci a dire di non doverci più opporre alla
privatizzazione dei litorali come invece fanno giustamente tanti
compagni sinistra nelle varie amministrazioni locali.
Pietro Ingrao è tornato così ad essere un “leader morale” della
sinistra verso cui molti hanno sempre mostrato una indulgenza mal
riposta e superiore alla qualità del personaggio. Lo fecero i
fondatori del Manifesto, abbandonati da Ingrao quando il PCI
decise la loro espulsione. Lo fecero migliaia di militanti della
sinistra del PCI, che vedevano in lui una opposizione al
compromesso storico che non si è mai manifestata come tale. Lo ha
fatto per anni il quotidiano Il Manifesto, che lo ha intervistato
ossessivamente e sistematicamente per anni anche quando Ingrao non
aveva nulla di importante da dire al popolo della sinistra. Lo
hanno fatto i militanti che diedero vita a Rifondazione Comunista
mentre Ingrao rimaneva dentro il PDS scaturito dalla svolta della
Bolognina e dall’ultimo congresso del PCI.
Ma c’è un altro fattore che ci porta a dire pubblicamente che
noi, militanti nomadi o semplici attivisti di una sinistra
antagonista che si rivendica ancora come tale, “non vogliamo
morire ingraiani”. E’ la coincidenza quasi ossessiva con cui
giornali e opinionisti ci dicono che, ogni svolta liquidazionista
del nostro patrimonio storico e politico viene benedetta da “padri
nobili della sinistra” come Pietro Ingrao e Vittorio Foa, due
personalità agite strumentalmente come “vecchi innovatori” contro
giovani conservatori. Quali sono i risultati positivi per la
sinistra italiana che Ingrao o Foa possono rivendicare come
propri? A ben guardare non ce n’è uno che abbia retto alla realtà
dei fatti né ai grandi cambiamenti invocati come “madri di tutte
le svolte”.
La nostra storia, dentro la sinistra italiana, è storia diversa
da quella di Pietro Ingrao e con la sua non si è mai incontrata.
Forse per questo ha retto al tempo, alla crisi della sinistra e al
politicismo dominante. Il patrimonio storico del movimento operaio
continuiamo a sentirlo ancora come nostro e guardiamo ai
fallimenti delle suggestioni dell’iconoclastia di sinistra non
solo con distacco ma con la pretesa di costruire ad essa ipotesi
alternative. Se qualcuno volesse appiopparci come padri storici
Pietro Ingrao e Vittorio Foa dichiariamo apertamente di volerci
considerare volentieri orfani. La nostra è un’altra storia, un
altro approccio, un’altra prospettiva nella lotta per la
trasformazione sociale, una prospettiva che affonda le radici
nella storia del movimento di classe in Italia e nel mondo, Cuba
inclusa. E’ in questa prospettiva che non abbiamo mollato e non
intendiamo mollare sul piano della lotta politica, sindacale,
culturale anticapitalista ed è in questa prospettiva che ci
auguriamo di poter vedere e costruire presto una sinistra in
Italia e in Europa che non abbia voglia di “morire ingraiana”.