na Delegazione Italiana, composta da
Giordano Otello Marilli e Raffaele Timperi dei Comunisti Italiani
(rispettivamente di Catania e Roma), Erasmo Palazzotto di Rifondazione
Comunista di Palermo, Roberto Di Fede dell’ANAIC
— Circolo di Macerata e da chi
scrive, Violetta Nobili dell’ANAIC —
Circolo di Roma Litorale “Julio Antonio Mella” (che ha voluto in
questo modo dare seguito a una delle istanze emerse nel corso
dell’ultimo Congresso dell’Associazione, ovvero l’apertura ai
giovani), ha partecipato dal 28 aprile al 1 Maggio 2007 al
Primer Encuentro Juvenil
Internacional de Solidaridad con los Cinco Heroes Cubanos
Prisioneros del Imperio.
La UJC, Unión de Jovenes Comunistas Cubanos, che ha organizzato
l’Evento, ha richiamato da tutto il mondo giovani rappresentanti dei
partiti comunisti e delle associazioni di amicizia e solidarietà con
Cuba, provenienti da oltre 46 paesi, per un totale di circa 400
giovani.
La nostra sede era a La Habana del Este, dove, all’interno di un
teatro, si è tenuto il Convegno in cui hanno preso la parola di volta
in volta le varie Delegazioni presenti. La relazione della Delegazione
italiana è stata letta, davanti a centinaia di persone, dal più
giovane del gruppo, Raffaele Timperi. L’intervento ha destato grande
attenzione ed è stato accompagnato da un grande applauso finale.
Noi tutti abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare numerosi discorsi,
tra cui quello di Giustino Di Celmo, padre di Fabio, il nostro
connazionale, ucciso il 4 settembre 1997 a La Habana in seguito allo
scoppio di una bomba nell’Hotel Copacabana in un attentato il
cui mandante fu quel Luis Posada Carriles, terrorista di origine
cubana, che dopo un finto arresto (era
detenuto per violazione delle procedure migratorie, essendo entrato in
modo illecito negli Stati Uniti) è stato
messo in libertà nell’aprile scorso,
sotto cauzione, dal giudice
statunitense Kathlenn Cardone, della Corte Federale di El Paso nel
Texas.
Non abbiamo avuto il piacere di salutare personalmente Giustino, ma
abbiamo saputo della sua grande gioia nel venire a conoscenza che ad
un evento come questo, nel quale, è stato ricordato anche suo figlio,
partecipavano cinque ragazzi italiani, mossi dalle stesse convinzioni
etiche e politiche di tutta la gente che era lì, persone che stanno
con Cuba, che continuano a pensare che un altro mondo è possibile,
perché l’altro mondo c’è, ne abbiamo avuto la certezza camminando per
le vie di La Habana, incrociando gli occhi della gente, dei
trabadores sociales, ascoltando i dibattiti e partecipandovi,
leggendo i numerosi cartelli che colorano le già tanto colorate strade
cubane. Su questi manifesti viene costantemente ribadito il ruolo e lo
sforzo che la rivoluzione deve mantenere per poter continuare a essere
un soggetto di cambiamento e di consolidamento dei diritti
fondamentali.
I cartelli cambiano con frequenza; rispetto al mio ultimo viaggio nel
2002, ne ho visti moltissimi che in quel periodo non c’erano;
attraverso essi vengono lanciati messaggi e informazioni sul
terrorismo che da quasi 50 anni colpisce l’Isola; ritornano molto
spesso i nomi e i volti di Posada Carriles e George W. Bush accomunati
all’immagine di Hitler, o a immagini di bombe che stanno per
esplodere, ma forse quello che ho guardato più a lungo, sul Malecón,
vicino al Vedano, è un cartellone con la Statua della Libertà,
visibilmente preoccupata, con le mani in faccia, un’espressione
atterrita dipinta sulla bocca e un messaggio posto lateralmente che
ricorda come gli Stati Uniti abbiano liberato un terrorista, appunto
Posada Carriles.
Perché Posada Carriles fa il gioco dell’America, un gioco sporco che
ha seminato morte e distruzione in tutto il Latinoamerica (come non
ricordare Il Plan Condor, le dittature in Argentina, in Cile ed
altro ancora) ma questo continente, adesso, dopo anni di schiavitù e
sottomissione da parte delle forze imperialiste, sta rialzando la
testa, o come dicono gli argentini non è più un continente
arrodillado, i paesi stanno riappropriandosi delle loro autonomie
nazionali, partendo sempre dal basso, dalle forze popolari. I casi
sono molti e differenti tra loro, Cuba ha intrapreso questo processo
nel 1959, ma negli ultimi anni, dal 2000 in poi, molti paesi hanno
iniziato a cambiare, basta ricordare l’Argentina, il Perù, il Cile, la
Bolivia, l’Ecuador e per certi versi anche il Brasile.
Durante l’Evento parte della Delegazione italiana, posta sotto la
guida del trabajador social Fernando Luis Ramos Rodríguez, è
stata impegnata anche in bilaterali nei quali si sono instaurati, tra
i convenuti all’Evento, proficui scambi su importanti temi politici.
Sicuramente l’intervento più importante a cui abbiamo assistito si è
svolto al Pabellón Cuba, dove si è tenuto l’atto finale
dell’Evento, in cui Ricardo Alarcón, Presidente de la Asamblea
Nacional del Poder Popular, ha portato le prove e spiegato,
sventolando con fervore i fogli verso la folla che lo ascoltava, le
relazioni strette e sempre più forti che le varie amministrazioni che
si succedono negli Stati Uniti, hanno con il terrorismo, in questo
caso contro Cuba. Alarcón si è detto anche sicuro che entro questo
anno la questione dei Cinque verrà risolta e che Gerardo, René, Ramón,
Fernando e Antonio potranno nuovamente ottenere la libertà. Ha
ricordato a questo proposito che per il prossimo 20 agosto il
Tribunale d’Appello di Atlanta ha convocato un’udienza con le due
parti coinvolte: gli avvocati dei Cinque e la Procura della Repubblica
degli Stati Uniti, ed è probabile, tenendo in conto anche il lungo
processo a cui sono stati sottoposti, che questo Tribunale si
pronunci, in Appello, in merito agli aspetti pendenti. Il Presidente
del Parlamento cubano ha assicurato che la battaglia legale non
cesserà finché tutti i Cinque Eroi non saranno tornati in patria. La
cosa più importante da fare ora è riuscire a informare più gente
possibile, soprattutto negli Usa.
Alarcón ha chiuso il suo discorso con queste parole: “Ognuno dei
Cinque è portatore della speranza di un mondo migliore, con il loro
eroismo quotidiano dimostrano che si può, che è possibile non piegarsi
all’Impero, anche quando si è soli, nell’isolamento più totale, come i
nostri Cinque compatrioti”.
Prendendo spunto dalle parole di Alarcón, tutti noi siamo tenuti a
profondere il massimo degli sforzi, unendoci in un’azione comune, che
sola può garantire un peso specifico diverso da quello che si può
ottenere con le azioni, pur apprezzabili e importanti, organizzate dai
singoli Circoli dell’Associazione. Tutti dobbiamo sentire il dovere
morale di continuare a informare, sempre di più e in modo massivo
tutte le persone che possiamo raggiungere, sperando che gli organi di
informazione (ma meglio sarebbe dire “di dis-informazione”), prendano
coscienza della mobilitazione internazionale che ruota intorno a
questo caso, quasi completamente ignorato in Italia dall’opinione
pubblica.
Poi è arrivato il Primo maggio; siamo giunti nel punto stabilito da
cui sono partite le Delegazioni Internazionali, alle 6:30 del mattino.
Per le vie de La Habana la gente già affluiva in gran numero.
Qualcuno, che poco capisce e poco sa, si dice convinto che i cittadini
cubani siano costretti a partecipare all’atto dal governo cubano o
comunque dai vertici dello Stato. Beh, io non ho mai visto tanta gente
“costretta” con quei sorrisi sui volti, con quell’energia e quel senso
di responsabilità palpabili, che mi hanno dato ancora più emozione,
cosciente di partecipare ad una cosa così grandiosa e imponente.
Abbiamo sfilato, hicimos la marcha, fino al Mausoleo di José
Martì, dove era collocato il palco in cui ha preso posto Raúl Castro.
Nei giorni precedenti avevo chiesto a diversi cubani se pensavano che
Fidel potesse prendere parte alla manifestazione, tutti si dicevano
sicuri che non avrebbe partecipato personalmente. Io ho sperato fino
all’ultimo minuto, ma la soddisfazione di esserci è stata altrettanto
forte, essendo comunque convinta del fatto che è stato un Primo maggio
anomalo, diverso ad esempio da quello dell’anno passato, perché questo
è stato il primo senza Fidel.
I
Care compagne e cari compagni,
a nome di tutte le organizzazioni italiane presenti, esprimo tutta
la nostra solidarietà alla lotta per la liberazione dei Cinque Eroi
cubani detenuti illegalmente nelle carceri nordamericane, da una
amministrazione che ritiene essere a capo del mondo, crede di essere
la polizia internazionale che decide chi è buono e chi è cattivo.
Un’amministrazione che parla di democrazia, ma quale è la democrazia?
Non è quella che imprigiona chi lotta contro il terrorismo, non è
quella che si esporta con la guerra preventiva e permanente, non è
quella che non garantisce il diritto alla salute, all’istruzione e al
lavoro.
La democrazia è quella che nasce dalla lotta di un popolo per
l’uguaglianza e la giustizia sociale, quella che non si lega
all’imperialismo.
La democrazia è quella di Cuba e del Venezuela, perché non è
possibile democrazia senza socialismo.
In questi mesi in Italia abbiamo dato vita a una mobilitazione per
la causa dei Cinque Patrioti, per l’estradizione di Posada Carriles e
per fare giustizia per il nostro connazionale Fabio Di Celmo, ucciso
il 4 settembre 1997, dall’esplosione di una bomba collocata all’Hotel
Copacabana dai terroristi guidati da Posada Carriles.
Più di una volta abbiamo manifestato davanti all’Ambasciata degli
Stati Uniti, a Palermo, a Roma, a Napoli, a Milano e in altre città
italiane abbiamo organizzato iniziative di solidarietà e di
informazione.
Nella storia tanti patrioti sono stai imprigionati da governi
reazionari e imperialisti, governi fascisti, come in Italia dove hanno
rinchiuso in carcere un grande comunista, Antonio Gramsci. Li abbiamo
già sconfitti e lo rifaremo, per questo hanno paura, perché siamo il
futuro, perché non ci fermeremo e perché abbiamo ragione.
Libertà per i Cinque!
Viva Cuba!
Viva Fidel!
Siempre.