Non
so perché, ma quando i soldi non possono comprare i principi, gli
ideali…….allora devono gettare fango e bugie per cercare di offuscare
messaggi lineari, semplici e per questo scomodi. Succede sempre lo
stesso.
Lo
scorso 18 marzo 2007, data dell’arresto di 75 cittadini cubani, i
cosiddetti “dissidenti”, sono passati quattro anni dalla condanna a
pene che vanno dai 6 ai 28 anni di carcere per atti contro la
sicurezza dello stato.
Io
che sono una cittadina italiana residente permanente a Cuba mi sono
sentita in dovere di scrivere sull’argomento, ed intervistare uno dei
personaggi chiave di tutta questa faccenda, l’agente Miguel.
Il
mio dovere deriva dal fatto che questo anno cinque presunti “turisti”
italiani, dunque miei conterranei, il deputato europeo radicale Marco
Cappato, il deputato radicale Maurizio Turco, il rappresentante del
Partito Radicale Transnazionale presso l’ONU Matteo Mecacci (uomo di
connessione tra i radicali e i finanziamenti del governo statunitense
tramite la NED, National Endowment for Democracy), la tesoriera del
Partito Radicale Elisabetta Zamparutti e l'ex senatrice Maria Fida
Moro (che si dichiara, in questo momento, molto vicina al Partito
Radicale, dopo essere passata, nella sua carriera politica dalla
Democrazia Cristiana, poi a Rifondazione Comunista e in seguito al
Movimento Sociale Italiano: mi chiedo se l’assassinio del padre, Aldo
Moro, non le abbia un poco confuso le idee) tutti in incognito, sono
venuti a manifestare a Cuba in appoggio alle cosiddette “dame in
bianco”, alcune mogli dei 75 incarcerati per “richiamare l’attenzione
internazionale sulla libertà in generale e lo stato di diritto”.
Qui
sorge una domanda spontanea, se questi cinque italiani, che si
lanciano a favore della loro cosiddetta democrazia (o non è per questo
che si sono presi il disturbo di attraversare un oceano e manifestare
sulla 5˚Avenida?) fossero veramente corretti, al loro arrivo a Miami,
avrebbero dovuto convincere l’associazione di estrema destra cubana
“Madri contro la repressione” che gli ha finanziato il viaggio, a
manifestare in Calle 8 a favore della libertà dei Cinque cubani
(Antonio Guerrero, Gerardo Hernandez, Renè Gonzalez, Fernando Gonzalez
e Ramon Labañino) arrestati negli Stati Uniti dal 1998 per cospirare
per spiare ed per essere agenti cubani non dichiarati negli Usa senza
prove riconosciute?
O
forse, solo per essere un certo tipo di cubani, fedeli al governo del
loro paese, per essere parte della maggioranza dei cittadini di
un’isola un po’ scomoda, non hanno diritto alla giustizia e alla
libertà?
Forse
gli è sfuggito questo particolare, perché erano troppo impegnati a
reclamare il pagamento che Zio Sam aveva promesso, ma che poi alla
fine non ha sganciato. Miami non era tra le tappe del viaggio, sono
dovuti andare a reclamare uno stipendio che non gli è stato
retribuito. Si vede che ancora una volta i servizi di sicurezza de
L’Avana sono arrivati prima, cioè hanno dato l’informazione che la
manifestazione era stata fatta con lo scopo che fosse interrotta dalla
polizia e terminare con l’arresto dei cittadini italiani, e ancora una
volta puntare il dito contro Cuba e la mancanza dei diritti umani.
Bè, i
miei cari compatrioti non hanno subito nessun tipo di abuso dalle
forze dell’ordine cubane, mi immagino la frustrazione: ignorati e
senza il pagamento!!!
L’agente Miguel è il nome in codice di Manuel David Orrio Del Rosario,
un economista che oggi ha 53 anni, che nel bel mezzo del cosiddetto
“Periodo Speciale” è stato reclutato dagli “indipendenti” per scrivere
su Cubanet, agenzia di notizie nella web organizzata a Miami per
promuovere il cosiddetto “giornalismo indipendente”.
La
sua dimestichezza con i numeri gli ha permesso ben presto di essere il
contabile del gruppo, l’esperto di economia che ha potuto calcolare
perfettamente le entrate di questi signori amanti di una democrazia
che paga profumatamente per una critica spietata e cinica alla
Rivoluzione Cubana.
Un
articolo riprodotto il 25 giugno 2006, sul sito web del Centro per
l’Apertura e lo Sviluppo dell’America Latina (CADAL), sottolinea il
ruolo di Manuel, e afferma che “due anni fa Manuel David Orrio, un
agente cubano infiltrato come “topo” nella chiamata Cooperativa dei
Giornalisti Indipendenti di Cuba, ha rivelato tutto un sistema di
finanziamento per destabilizzare il governo di Fidel Castro, che dalla
rivoluzione del 1959 è stato il bersaglio di più di 600 attentati”.
Questo agente della sicurezza cubana è stato infiltrato per undici
anni nella rete della Sezione di Interessi di Washington a L’Avana di
James Cason, responsabile della missione statunitense.
La
scoperta più evidente che risalta agli occhi dell’agente Miguel è la
dipendenza totale di questi personaggi cosiddetti “dissidenti”, che
attuano spinti dai salari che vengono dal vicino del Nord, offerti
dalle organizzazioni statunitensi che hanno lo scopo di influenzare
certi elementi delle diverse società civili, ad esempio la stampa, i
partiti politici, le unioni sindacali e così via, per spingerli in una
determinata direzione, quasi sempre favorevole alle scelte politiche
sostenute dagli Stati Uniti
oppure a sostegno dell'opposizione ai governi di quei paesi, quando
non al
loro
rovesciamento. E già, perché i nostri cari politici radicali non mi
incominciano a spiegare cosa trovano di etico che un’ambasciata
straniera si intrometta nella sovranità di un altro paese?
D’altronde, è famosa la frase: “L’unico paese al mondo dove non ci
saranno mai colpi di stato sono gli Stati Uniti, perché là non c’è
un’ambasciata degli Stati Uniti”....
Miguel, mi piace chiamarlo così, ancora con lo pseudonimo con cui
firmava centinaia rapporti segreti della sicurezza, vive in una
modesta ma decorosa casa del Barrio Cino, senza lusso, senza sfarzo.
Lo
stesso non si può dire, per esempio, della casa di Gisela Delgado e
Hector Palacios, situata nel quartiere residenziale del Vedado, con
molti lussi che papà Bush alimenta; lei è una delle “dame in bianco” e
lui è uno dei 75 dissidenti arrestati, adesso in libertà per motivi di
salute.
“-Agente Miguel, ho letto nel libro “I dissidenti” di Rosa Miriam
Elizalde e Luis Baez, che lei è stato avvicinato dal gruppo
controrivoluzionario grazie ad un’amica di Elizardo Sanchez Santacruz,
il famoso doppiogiochista, e che dalla fine del 1991 ha incominciato
ad addentrarsi nei meandri del giornalismo a pagamento. Ma perché
proprio lei?
-Già
dai primi contatti, mi sono reso conto che stavano cercando un gruppo
di persone con un determinato livello intellettuale, in un’epoca in
cui si credeva che fosse vicina la fine della Rivoluzione Cubana.
Volevano individui con un passato vicino alla Rivoluzione che
potessero considerarsi frustrati, risentiti o scontenti, per semplice
opportunismo o vigliaccheria davanti a situazioni di reale rischio per
il paese. L'idea era che gli antichi sostenitori e difensori del
processo rivoluzionario ingrossassero la consunta riserva della
controrivoluzione, completamente demoralizzata per il suo curriculum
terroristico e la sua alleanza per niente discreta con la mafia di
Miami.
Così,
per pulire l’immagine si cercavano persone che apparentemente si
occupassero dei diritti umani, con lo scopo di confondere le forze
progressiste e i movimenti di solidarietà con l’Isola caraibica.
A
differenza della vecchia opposizione sovversiva, la nuova non doveva
essere violenta, anzi doveva fare un discorso politico moderato,
perfino nazionalista, e non tutti chiedevano il rovesciamento del
governo cubano, bensì un dialogo per un'apertura politica ed il
cambiamento pacifico.
La
scelta sulla mia persona è stata per una situazione individuale molto
pesante che stavo vivendo, avevo da poco perso il lavoro da contabile,
era morto mio padre e stavo lottando per la custodia di mio figlio,
dopo aver vissuto un processo di divorzio molto conflittuale.
-Come
si manteneva?
Facevo la guardia notturna in un mercato. Però la vera ragione del
fatto che si sono avvicinati proprio a me è che sono stato segretario
della Federazione degli Studenti Universitari mentre Carlos Lage ne
era il presidente, e ho studiato con quasi tutti i dirigenti della
Rivoluzione Cubana. Il loro progetto era cercare di strapparmi
informazioni riservate sulle tematiche economiche dell’isola, per
questo ero il loro giornalista economico più importante.
-E
lei ha soddisfatto questa esigenza?
Certo, però esattamente al contrario, cioè mi dedicavo a dare
informazioni false su Carlos Lage, quelle che erano convenienti per lo
stato cubano.
-Ho
una curiosità personale: che cosa può spingere un cittadino comune ad
accettare una missione così rischiosa per 11 anni, forse i soldi, la
sete di avventura o la sua coscienza?
Definitivamente per coscienza. Pensi solamente che ho firmato il mio
giuramento di lealtà per la difesa di Cuba mentre si stava approvando
nel Congresso degli Stati Uniti la tristemente celebre Legge
Torricelli, per mezzo della quale si è privato il paese
dell’opportunità di importare casi 900 milioni di dollari in alimenti,
giusto quando praticamente tutti i miei compatrioti residenti nel
paese stavano facendo la fame. Va bene, che si sappia: ho giurato come
agente della Sicurezza cubana perché per me la Legge Torricelli è
stata un’aggressione criminale contro lo stomaco di mio figlio. In
seguito questa legge è stata rinforzata con la Helms Burton e altre
atrocità che mi hanno dato la forza di essere fedele fino in fondo
alla parola data, incluso per compiere con l’ordine di rivelare la mia
identità di combattente, nonostante non stessi d’accordo.
-I
“dissidenti” sono stati condannati in base a quale legge? Su cosa si
basano le sentenze?
La
Legge principale in questione è la Legge 88 del 1999, si chiama
esattamente “Legge di protezione dell’Indipendenza Nazionale e
dell’Economia di Cuba”. Questa legge tratta del fatto che, cito
testualmente, “il governo degli Stati Uniti si è dedicato a
promuovere, ad organizzare, finanziare e dirigere elementi
controrivoluzionari e annessionisti dentro e fuori al territorio della
Repubblica di Cuba. Durante quattro decade ha invertito generosi
presupposti materiali e finanziari per la realizzazione di numerose
azioni segrete con il proposito di distruggere l’indipendenza e
l’economia di Cuba, utilizzando per questi fini, tra gli altri,
individui reclutati dentro il territorio nazionale, come ha
riconosciuto la CIA dall’anno 1961, in un dossier che è stato
divulgato nel 1998”.
Le
sentenze, che vanno dai 6 ai 28 anni, sono state applicate in base,
sempre alla Legge 88 e al Codice Penale cubano, nessuno dei cosiddetti
“indipendenti” è stato giudicato da una legge posteriore alla loro
accusa. Abbiamo uno stato di diritto, siamo un Paese con istituzioni
che si rispettano e che svolgono il loro lavoro nell’ambito della
legge, come riportava giustamente il cancelliere Felipe Perez Roque
nella conferenza stampa che si è svolta dopo la pubblicazione delle
sentenze.
E’
stato applicato l’Articolo 91 del Codice Penale cubano, Legge 62 del
1987, che proveniva, a sua volta, dal Codice Penale spagnolo. Tale
articolo fa parte della legislazione penale cubana sin dall’epoca in
cui Cuba era una colonia della Spagna, ed è molto simile a quello
contenuto, quasi con le stesse parole, nel Codice Penale
nordamericano. Cito: “Atti contro l’indipendenza o l’integrità
territoriale dello Stato. Colui che nell’interesse di uno Stato
straniero realizzi un fatto in detrimento dell’indipendenza dello
Stato cubano, o dell’integrità del suo territorio, sarà condannato a
pena di privazione di libertà da 10 a 20 anni, o di morte”.
Secondo la Legge 88, l’antidoto legale di Cuba alla Legge Helms-Burton,
negli articolo 6.1 e 7.1 si afferma che “colui che accumuli,
riproduca, diffonda materiale sovversivo del governo degli Stati Uniti
d’America, delle loro agenzie, dipendenze, rappresentanti, funzionari
o di qualunque entità straniera per appoggiare gli obiettivi della
Legge Helms-Burton, il blocco e la guerra, sarà condannato...” e
“colui che allo scopo di raggiungere gli obiettivi della Legge
Helms-Burton” –che, come si sa, prevede del denaro per finanziare la
sovversione– “di appoggiare il blocco e la guerra economica, che
collabori per qualunque via con emittenti radio o televisioni,
giornali, riviste o altri mass media stranieri sarà condannato…”.
Tutto questo deve essere visto nell’ottica di 40 anni di blocco, di
aggressioni, di un’invasione armata, dell’uso della valigia
diplomatica dell’Ufficio della Sezione di Interessi di Washington a
L’Avana per finanziare e fornire mezzi necessari ai gruppi creati e
pagati dal governo degli Stati Uniti affinché svolgano il lavoro
controrivoluzionario a Cuba.
-Questi processi svoltosi a Cuba sono stati tacciati dalla stampa
straniera come troppo generici e superficiali, lei che ne è stato
protagonista, cosa ne pensa?
Si
sono svolti 29 processi a Cuba, praticamente in tutte le province del
Paese. Sono state accusate 75 persone, di cui 74 uomini, e i tribunali
hanno imposto le relative condanne: da 6 a 28 anni di privazione di
libertà. E’falso affermare che ci sono state pene di morte; è falso
che ci siano state condanne all’ergastolo, anche se sono previste
nella legge, e devo dire che i comportamenti di alcuni di questi
accusati meritavano condanne più dure di quelle ricevute, come si
prevede anche in altre legislazioni del mondo.
I
processi penali sono stati istruiti con carattere sommario in virtù
della Legge di 1977 n. 5, Legge di Procedura Penale.
Il
processo sommario è un’istituzione che, certamente, non è stata creata
a Cuba e ancora meno utilizzata soltanto a Cuba. Praticamente fa parte
delle legislazioni di oltre 100 paesi nel mondo, compresi gli Stati
Uniti, ed è stato il governo coloniale spagnolo a portarla a Cuba.
Processo sommario, cosa significa: Potestà del Presidente del
Tribunale Supremo di ridurre i termini dell’esecuzione del processo;
ma, in nessun caso, di limitare le garanzie.
Tutti
gli imputati hanno avuto una difesa legale, hanno potuto dichiarare la
loro testimonianza, portare testimoni all’udienza ed accedere al
dossier dell’accusa.
-Su
questo punto, mi scusi, mi sorge spontaneo domandarle se lei non crede
che negli stessi Stati Uniti invece si violino questi procedimenti,
come nel caso dei Cinque cubani?
Certo, proprio loro che sempre si preoccupano di giudicare gli altri,
ancora oggi dopo quasi nove anni dall’arresto, non hanno permesso agli
avvocati della difesa dei Cinque cubani di poter accedere all’80%
della documentazione presentata dalla procura, perché il governo degli
Stati Uniti l’ha dichiarata segreta. Questo non è capitato nel nostro
caso. Non è nemmeno successo che gli accusati non conoscessero i
propri capi di accusa per preparare le loro allegazioni, com’è è
successo nel caso dei Cinque cubani a Miami.
A
Cuba, nessuno dei “dissidenti” è stato confinato in solitario in celle
di rigore, per impedire che si preparino per il processo.
Per
spiegare meglio, come afferma Leonardo Weinglass, avvocato di Antonio
Guerrero, uno dei Cinque cubani, i Cinque sono stati arrestati a Miami
nel settembre del 1998 con 26 accuse di violazioni delle leggi
federali degli USA. Di queste accuse, 24 sono delitti di carattere
tecnico e sono relativamente lievi, e includono una presunta
falsificazione di identità e non rispetto della dichiarazione di
essere agenti stranieri. Nessuna delle accuse gli imputa l’utilizzo
delle armi, di essere stati coinvolti in atti violenti o di
distruzione delle proprietà.
I
Cinque arrivarono negli Stati Uniti provenienti da Cuba dopo molti
anni di violenze perpetrate da mercenari armati dalla comunità degli
esiliati cubani nella Florida. Durante più di 40 anni questi gruppi
sono stati tollerati e incluso protetti, dai successivi governi degli
USA.
La
missione dei Cinque non era quella di ottenere dei segreti militari
degli Stati Uniti, come dice l’accusa, se no il fatto di monitorare le
attività terroriste di questi mercenari e informare dei loro piani
aggressivi contro Cuba.
L’arresto e il processo di questi uomini per il loro coraggioso
intento di fermare il terrore non è stato solo ingiusto, se no che ha
smascherato l’ipocrisia dell’affermazione degli USA che sempre si
opporranno al terrorismo in qualsiasi luogo appaia.
E'
importante che alla fine Washington ammetta che le organizzazioni di
Miami fanno parte integrante dello stato, infatti investigare i loro
movimenti significa conoscere segreti federali, come hanno
praticamente ammesso i giudici di Miami.
D'altronde sappiamo perfettamente che il caro Bush ha vinto le
elezioni nel 2000 grazie al margine dato dai suoi elettori della
Florida, che chiaramente non possono restare insoddisfatti, i Cinque
devono assolutamente marcire in un carcere federale.
E a
corroborare questa necessità di soddisfare le necessità dei fedeli
controrivoluzionari di Miami è arrivata anche la scarcerazione di uno
dei più grandi terroristi internazionali, Luis Posada Carriles, per
rendere la farsa del carcere ai Cinque cubani ancora più dolorosa”.
Eh
sì, è proprio vero, Miguel ha ragione, è assurdo pensare che un
terrorista che ha ucciso e torturato in tutta l’America Latina, ha
fatto scoppiare un aereo con 73 persone a bordo, ha collaborato con la
CIA per sovvertire tutti quei governi del continente americano che non
erano esattamente le creature ubbidienti dello Zio Sam, ha ucciso un
mio connazionale, Fabio di Celmo a L’Avana (e scusate, qui dove sono
rimasti i cinque radicali che cercavano lo stato di diritto? Che io
sappia non hanno mai dimostrato per le strade d’Italia chiedendo
l’estradizione di un assassino reo confesso di un loro compatriota)
venga giudicato solo per falsa testimonianza ed entrata illegale nel
paese del nord. Però, cosa possiamo aspettarci?
Leggendo un articolo di Miguel Padron, “Armati fino ai denti”
rabbrividisco conoscendo il fatto che lo stesso presidente Bush ha
affermato al funerale delle recenti 32 vittime dell’Università
Politecnica della Virginia che questi studenti si trovavano nel luogo
e nel momento sbagliato. Subito torna alla mente che è la stessa frase
che Posada Carriles ha detto parlando di Fabio di Celmo, dopo essersi
dichiarato il mandante delle esplosioni che costarono la vita del
giovane italiano.
Fabio
è morto perché stava nel luogo e nel momento sbagliato.
Fino
a quando negli Stati Uniti i terroristi e gli infermi di mente
aggressivi e pericolosi, circolano per strada, e perfino uno di loro è
il presidente di questo paese, i Cinque lottatori cubani per la
giustizia resteranno incarcerati in carceri di massima sicurezza.
L’insicurezza porta i nordamericani ad armarsi fino ai denti, elevando
moltissimo i livelli di violenza e rendendo gli USA il peggior luogo
dove vivere.
E
Cuba e la sua Rivoluzione?
Continueranno il loro cammino sicure di essere uniche, differenti,
laboriose per conseguire un mondo migliore che sì, è POSSIBILE e
saranno sempre condannate dall’imperialismo, che sempre cercherà di
distruggerle, però senza riuscirci, finché esisteranno uomini come
Miguel, Antonio, Ramon, Renè, Fernando e Gerardo, perché tutte le cose
hanno un prezzo a questo mondo, però nessuno ha ancora scoperto quanto
costa la libertà in questa “islita” caraibica.