I danni collaterali del processo dei Cinque
“VOGLIO CONOSCERE IL MIO PAPÁ”
Ivette, la figlia minore di René González, ha appena
cinque anni. Lei con tutta la sua famiglia è stata utilizzata dalle
autorità degli Stati Uniti come strumento di pressione nell’inutile
tentativo di riuscire ad ottenere un tradimento del patriota.
Olga Salanueva, la mamma di Ivette, racconta che
quando la deportarono, non le permisero di portare con sé la figlia.
“Voglio conoscere il mio papá!” ripete la piccola
Ivette, di cinque anni, figlia di René González, uno dei Cinque Eroi
patrioti cubani condannati negli Stati Uniti. Alta per la sua etá, magra,
con bellissimi occhi verdi – furbi! – osserva con attenzione, nel
soggiorno del piccolo appartamento nell’Avana, mentre sua madre, Olga
Salanueva, ricorda quegli anni infernali che iniziarono il 12 settembre
del 1998, verso le cinque di mattina…
Olga stava dormendo quando bussarono alla porta
“forte, con violenza…” e spaventata, sveglió René. Irma di 14 anni, e
Ivette di 4 mesi e mezzo, dormivano nella loro stanza.
Olga ricorda quel drammatico momento come se lo
stesse rivivendo: “…praticamente come se volessero buttare giù la porta,
René si infilò qualcosa e andò ad aprire, mentre io rimasi nella stanza.
Sentí un sacco di rumore, molto movimento e… quando entrai nel soggiorno
stava già per terra, ammanettato, con le mani dietro la schiena!”
Erano piú d’uno, armati: “Io ho assistito alla
terribile scena e a quello che fecero… lo fecero in una casa dove
sapevano che c’era una famiglia. Che c’era una donna, che c’erano
bambini piccoli. Entrarono in quattro o in cinque, gli altri rimasero
fuori sul pianerottolo: la casa era piena di agenti”.
“Quando mi videro entrare nel soggiorno, mi spinsero
contro il muro; spaventata alzai le mani. Dissi: - René digli
chiaramente che qui ci sono anche le bambine! - Penso che questo
risveglio, Irma non se lo dimenticherá mai perché fu molto violento… Lei
era nella sua stanza. Gli agenti mi chiesero di svegliarla. Gli dissi: -
È molto presto, non la svegliate - Mi dissero di no, che dovevo
svegliarla in quello stesso momento. Non mi permisero di entrare nella
stanza, mi lasciarono sulla soglia della porta e mi dissero: - Chiamala!
- La chiamai: - Irma, Irma - il piú dolcemente possibile, ma quando si
sveglió e vide quegli uomini armati, s’immagina?… Cominció ad
innervosirsi, a piangere, dicendo: Mamma! Che succede?, Che succede?,
Dov’é papá?”
Si sveglió anche Ivette, spaventata.
Gli agenti portarono via René, e Olga rimase sola in
casa con loro. Per ore ed ore, circondata da agenti, aspettó il mandato
di perquisizione.
“Parlavano in inglese, anche se c’era sempre
qualcuno che parlava in spagnolo… Il mandato arrivó tardi, quasi
all’imbrunire…”.
“Dopo aver perquisito minuziosamente tutto l’appartamento,
in alcune casse si portarono via tutte le presunte prove che vennero
successivamente manipolate e presentate al processo. Tutte le cose che
normalmente ci sono in una casa, come libri, video di famiglia, il
computer di René, il nostro certificato di matrimonio, i certificati di
nascita delle bambine, i nostri diplomi di laurea, documenti di
qualunque genere e che si trovavano a casa nostra, se li portarono
via…”.
Finalmente, la notte successiva, gli agenti se ne
andarono, lasciando Olga con le sue bambine nell’appartamento tutto in
disordine e senza dirle nulla su quello che sarebbe successo.
INTERROGATI PER SEI ORE SENZA POTER CHIAMARE L’AVVOCATO
Portati al quartier generale dell’FBI della Florida
del sud, a Miami, i Cinque Eroi furono immediatamente sottoposti ad un
duro interrogatorio di sei ore consecutive, “naturalmente, senza
avvocato…”.
“Quello che succede nei films – non parlo senza il
mio avvocato – non c’entra niente con questa storia”.
“Il primo provvedimento che l’FBI prese, fu portarli
nelle celle d’isolamento della Federal Detention Central. Normalmente
una persona prima va in questura insieme agli altri arrestati. Se lí
commette qualcosa di grave, allora il detenuto viene separato dagli
altri e portato nella cella d’isolamento. Per un periodo non superiore a
60 giorni. E per una grave indisciplina”.
Ci rimasero 17 mesi.
“Quando gli agenti lasciarono la casa, mi diedero
solo un numero di telefono a cui chiamai insistentemente…invano. Fino a
quando la domenica si presentarono due agenti dell’FBI e mi dissero che
avevano detenuto René insieme ad altri uomini come presunte spie di
Fidel e mi chiesero se io volevo collaborare”.
Cominciavano le intimidazioni, i ricatti e le
pressioni.
“Io dissi che non sapevo di che cosa mi stessero
parlando. Allora mi risposero che loro sapevano tutto, mi chiesero se
sarei andata a Cuba, se avrei avuto contatti con Cuba. Gli dissi che no
e che se loro sapevano tutto… perché mi facevano tutte quelle domande?”
A quel punto venne fuori la minaccia peggiore: “Mi
fecero capire chiaramente che avevano la possibilitá di togliermi le
bambine… - Si ricordi – mi dissero - che lei ha due figlie …una molto
piccola… possiamo mandarle in un istituto… - E se ne andarono”.
LO “SCANDALO” DELLE “SPIE”
Lunedí, 14 settembre, gli arrestati vennero portati
davanti alla Corte Federale.
“Comparvero dopo due giorni di prigione senza aver
fatto una doccia, senza aver avuto la possibilità di radersi, brutti e
sporchi. E furono quelle le foto che uscirono sui giornali… una persona
che viene buttata giù dal letto, un sabato, alle 5 di mattina, che poi
vive per due giorni in una costante tensione... per poi scattare le foto
in quelle condizioni…
Naturalmente, l’impressione che si voleva creare era:
se erano brutti e sporchi erano anche colpevoli.
René racconta che quelle furono le ore piú difficili.
Olga spiega, “perché fu una cosa imprevista, assolutamente inaspettata,
violenta e quando lo misero in prigione non gli permisero neanche di
chiamare la sua famiglia”.
Padre esemplare, pilota professionista, con una
reputazione irreprensibile, René dovette affrontare la brutalità degli
individui che lo trattarono come un delinquente.
“Quando lo portarono davanti alla Corte, il posto si
riempì di giornalisti, della cameraman e di gente ostile invitata da
alcuni gruppi…
In quella confusione, René vide la figlia Irma che
alzò la mano e che lo chiamò - Papi!- Allora vide che stavamo bene e
cambiò faccia… fu un momento molto intenso per tutti noi…”
LO SHOW DELLA DIFESA ORCHESTRATO DALL’FBI
Da quel lunedí, incominció lo show dei mezzi d’informazione
di Miami, organizzato dal Capo dell’FBI della Florida del sud, Héctor
Pesquera, i cui legami con la mafia cubano-americana vennero scoperti da
quando fu visto mentre faceva festa a Puerto Rico con alcuni terroristi
dello yatch “La Esperanza”. I suoi amici sicari erano stati assolti dopo
essere stati scoperti in flagrante mentre eseguivano un piano per
uccidere il presidente Fidel Castro.
A Miami, la strategia della stampa, sottomessa agli
estremisti della FNCA e del nucleo terrorista di José Basulto, era
pronta.
“I primi titoli furono: Spie in mezzo a noi, spie di
Castro, e via dicendo. Per creare subito un’opinione e gettare le basi
per quello che sarebbe successo dopo”, spiega Olga.
Lo “scandalo delle spie” ideato dai caporioni
terroristi e messo in scena dalla polizia politica, era partito.
La stampa, giá aveva condannato I Cinque – contro
qualsiasi etica professionale – senza che gli accusati avessero
precedenti penali, né subito alcun processo, né tanto meno, senza che
nessuno di loro fosse mai stato accusato di spionaggio.
“Ci furono persone che si permisero di parlare con
la stampa contro di noi, persone che praticamente non ci conoscevano. Lí
non si vive come a Cuba, ognuno sta rintanato nel suo appartamento,
nessuno conosce i suoi vicini. Ci furono anche persone che dissero che
se lo avessero saputo prima, avrebbero fatto giustizia con le loro
stesse mani!“.
L’unico computer di René stava nel soggiorno di
casa, “peró ci fu una persona che dichiaró che ne aveva visto uno nel
soggiorno e un altro nella stanza da letto – non so quando questo
signore sia entrato nella nostra stanza da letto! – e cosí ci furono
persone che si prestarono alla manipolazione della notizia…”
“Praticamente, la stampa si piazzò nel pianerottolo
del nostro appartamento per riprenderci… e vidi anche che avevano
scritto qualcosa sulla nostra porta… con le bombolette a pressione… e il
giorno dopo mi resi conto, leggendo il giornale, che ci avevano
disegnato sopra la falce ed il martello, per indicare che lí vivevano
comunisti… una forma di segnalarci nell’edificio, nel vicinato… sembra
che lo abbiano disegnato con una certo timore perché non riuscirono a
farlo bene…”
Per fortuna ci furono altre persone rispettabili che
mostrarono solidaretá, “perché ero una donna sola con due bambine. Mi
dicevano - non ti preoccupare, tutto si chiarirá… tutto andrá bene…”.
LA FAMIGLIA OSTAGGIO DELLA POLIZIA POLITICA
Mentre René era sequestrato nella cella d’isolamento
della cosidetta “Unitá di Alloggio Speciale” dell’FDC, Olga e le sue
figlie continuarono ad essere vittime del processo di tortura
psicologica elaborato dall’FBI per cercare di piegare il morale del
detenuto.
Per loro tutti i metodi sono buoni.
“In tutto quel periodo, l’unico modo per René di
vedere sua figlia Ivette fu guardarla dalla finestra. Io camminavo lungo
il marciapiede e lui dal 12º piano guardava. Visse cosí il primo anno di
vita di sua figlia, un periodo in cui avvengono tanti cambiamenti…”,
racconta Olga.
“Un detenuto che commette un’indisciplina e che sta
in cella d’isolamento, quando arrivano sua moglie e i suoi figli, lo
trasferiscono al piano di sotto, in un salone dove gli portano i figli.
A René non glielo permisero. In 17 mesi vide le sue figlie solo in due
occasioni”.
La prima volta che René riuscí a vedere le bambine,
Ivette aveva giá compiuto un anno. “Cioè quando Ivette compí un anno,
lui non l’aveva ancora vista”.
Dopo diverse comunicazioni dell’avvocato di René con
la Corte per permettergli di vedere le figlie, l’FBI organizzó un
incontro traumatizzante per la moglie del detenuto e le sue bambine.
Olga si presentó nell’FDC con Irma, che allora aveva
15 anni, e la piccola Ivette. Le accompagnarono in una sala speciale
dove c’erano vari agenti dell’FBI.
Arrivó René che non vedeva la sua famiglia dalla
mattina del suo arresto. “Lo portano ammanettato… lo fecero sedere… e
gli legarono le manette alla sedia. Tutto questo sotto gli occhi delle
bambine”.
La scena fu terribile. Ivette, sorpresa di vedere
René ammanettato, con la sua visione infantile di quello che stava
succedendo gli fece: “Bau, Bau” come il cane che abbaia. Olga si
spaventó e le disse alla bambina: “No Ivette, no. Tuo padre non è un
cane, no…”.
Raccontando l’aneddoto, Olga accenna ad un sorriso,
ma i suoi occhi sono lucidi e si asciuga una lacrima con la punta del
dito.
Irma uscí dall’incontro sotto shock… “Le dissi di
stare tranquilla, che suo padre era incapace di fare del male… che io lo
conoscevo bene… che conoscevo i suoi sentimenti e che tutto si sarebbe
risolto…”.
DOVETTI LASCIARE L’APPARTAMENTO
Dall’arresto di René, Olga con un incredibile
coraggio, sapendo che suo marito era in prigione in condizioni durissime,
dovette lottare da sola per garantire una vita decente alle sue bambine.
“Da quel momento, cominciai ad avere problemi con l’affitto,
non c’erano piú le entrate di René… Io continuai a lavorare per
mantenere le bambine… Dovetti lasciare la casa, cambiare zona…”
Finí in un piccolo appartamento di una stanza con
bagno e cucina, con la figlia piú grande mentre la nonna di René si
occupava della piccola.
“Io lavoravo in una compagnia di tele-marketing
dalle due del pomeriggio fino alle 11,30 di sera. Prima Ivette stava in
un day care e il pomeriggio René l’andava a prendere. Ma da quando mio
marito venne arrestato non c’era nessuno che la potesse andare a
prendere e la dovetti lasciare alla nonna di René – che vive negli Stati
Uniti dagli anni 40. Vive a Sarasota, a 240 miglia a nord di Miami. È
una signora che attualmente ha 84 anni, in quel periodo ne aveva circa
80…”
“La mia vita era lavorare, i fine settimana vedere
René e andare a Sarasota per stare con la bambina e la domenica tornare
a casa per ricominciare a lavorare. Quei due anni furono molto difficili,
durante tutto quel tempo eravamo in attesa del processo che ritardò due
anni, prima di cominciare…”.
Nel luglio del 2000, la Procura presentó a René una
lettera con la quale poteva confessare la sua colpevolezza in cambio di
una pena ridotta.
“L’ultima visita che feci a René fu precisamente il
13 agosto, il giorno del suo compleanno. Avevamo giá commentato in una
visita precedente il fatto che la Procura gli avesse proposto una
trattativa…” Un procedimento normale nel sistema giudiziario degli Stati
Uniti ma che in questo caso fu accompagnato da ricatti alla famiglia.
“Gli ricordarono di nuovo che la sua famiglia aveva
uno status legale che poteva essere revocato… Peró René rifiutò questa
proposta, disse di no, che sarebbe andato a giudizio per dichiarare
perché stava dove stava e quello che aveva fatto e che in nessun momento
si era sentito colpevole”.
SEQUESTRATA DALL’INS NELLA CELLA PER “PERSONE
PERICOLOSE”
La reazione degli agenti di Héctor Pesquera fu
immediata e molto dura.
“Dopo pochi giorni, il 16 agosto, venni trattenuta
dal Servizio d’Immigrazione e Naturalizzazione, l’INS, e fui portata in
un carcere statale a Fort Lauderdale in cui l’INS ha una cella per le
persone pericolose o arrestate per questioni di sicurezza. Un posto
simile alla cella d’isolamento. Ci rimasi tre mesi. In un primo periodo
stetti completamente sola poi insieme a persone che andavano alla Corte
e che avevano avuto problemi di disciplina, che avevano litigato. La
punizione consisteva nel portarle lí perché era una cella dove non ti
facevano vedere il sole e dove non avevi contatti con nessun’altro”.
“Era un altro modo per fare pressioni su René,
perché il processo non sarebbe iniziato a settembre, come era stato
pianificato, ma a novembre. E fino a novembre mi lasciarono lí…”.
Per fortuna in quel momento Irma era a Cuba, in
vacanza dai nonni.
La detenzione non riuscí a piegare Olga che rimase
fedele a suo marito e alla Patria. Alcuni giorni prima del processo di
René, l’INS ordinó la sua scarcerazione.
“Il 22 novembre mi deportarono, e il processo
cominciò il 27. Allora chiesi di parlare con René, ma non me lo
permisero…”.
“Chiesi di partire con mia figlia Ivette, chiesi che
mi lasciassero portare la mia bambina all’aeroporto per viaggiare nello
stesso aereo, non me lo permisero…”, ricorda Olga. “Dissero che se
volevo far uscire mia figlia dal territorio nordamericano era un mio
problema, di cercarmi da sola i mezzi per farlo…”.
“VIVEVO CON IL TIMORE CHE LA MAFIA LO VENISSE A
SAPERE…”
Un altro terribile pensiero ossessionava Olga.
“Era lo stesso anno in cui era stato sequestrato il
bimbo Elián. Erano riusciti a portarlo via dal territorio nordamericano
a giugno…, io vivevo con il timore che la mafia venisse a sapere quello
che stava succedendo a mia figlia! E soprattutto perché la bambina era
nata in territorio statunitense. Avrebbero potuto creare uno show
analogo”.
Con molte difficoltá, dalla sua prigione, Olga lottó
per trovare una soluzione. Urgentemente.
“Parlai con gli avvocati di René e scrivemmo una
procura, tutti e due, dalla prigione. Mia suocera venne da Cuba e prese
Ivette che stava con la nonna, che soffriva – oltretutto – di nervi per
tutta questa situazione, era molto agitata”.
“Avevo anche paura che andassero a casa sua per
toglierle la bambina, che scoprissero che era una persona molto anziana…
perché le leggi lí sono un pó strane sulla custodia dei bambini”.
Dal suo ritorno a Cuba, sono passati quasi tre anni.
Olga ha presentato alla Sezione di Interesse degli Stati Uniti all’Avana,
diverse richieste per il rilascio di un visto, per poter andare insieme
alle sue bambine, a visitare suo marito.
“Da quel momento, il Governo di Cuba, a noi
familiari dei Cinque, mise a disposizione ogni mezzo per poterli andare
a trovare. Ed io, insieme alle altre famiglie, presentai la richiesta
del visto. Alla prima occasione mi venne concesso, ma mentre mi stavo
preparando per partire me lo revocarono”.
“Dissero che erano stati informati che se fossi
entrata negli Stati Uniti, mi sarei potuta unire a qualche
organizzazione, che avrei potuto essere una minaccia contro la sicurezza
nazionale del paese. È una menzogna. A Miami avevano avuto due anni e
due mesi di tempo per arrestarmi. Non lo fecero perché non avevano gli
estremi per farlo. Perché dopo sono diventata un pericolo? Se ero una
minaccia, perché non presero provvedimenti quando mi trovavo nel loro
territorio?”
Un’altra volta, quando chiesi il visto insieme ad
Adriana, la moglie di Gerardo Hernández che sta nella mia stessa
situazione, mi dissero che potevamo far parte dei servizi segreti cubani
e che era per questo che ce lo rifiutavano. Cambiarono ancora una volta
il pretesto”.
Lo scorso giugno, Adriana ed Olga presentarono una
nuova richiesta. “Non ci hanno risposto”.
“Aspettammo vari mesi, poteva essere una nuova
strategia: non dirci né sí né no, solo per farci aspettare in eterno”.
“Dedussi che neanche Ivette sarebbe potuta andare.
Non poteva viaggiare sola… c’era sempre il rischio che potessero fare
una rappresaglia contro la bambina. Una bambina che ha sofferto per
molti cambiamenti. Penso che quando arriverá il momento in cui vedrá suo
padre, la famiglia dovrá essere unita con tutti presenti. Sarebbe troppo
violento per lei viaggiare e vedere suo padre, chiedendosi: e la mamma
dov’è?
“È una situazione molto difficile per la bambina e
anche per mio marito…”
“QUANDO VERRÁ IL MIO PAPÁ”
Ivette ha potuto parlare al telefono con René solo
poche volte… “Riconosce la sua voce… riconosce le sue foto quando si
vedono in televisione… ma quando gli chiediamo: che cosa ti ricordi di
papá?, lei non lo ricorda cosí… fisicamente… realmente, per fortuna, non
ricorda quell’incontro in prigione…sí, ha il ricordo, peró lo avrá
sopito… fino ad ora non é riemerso…”.
Ivette è una bambina molto vivace. “È molto forte e
fa sempre domande, chiede tutto. Di suo padre, praticamente sa tutto. A
volte la gente parla, qualcuno si sbaglia e dice che suo padre è stato
condannato all’ergastolo e lei immediatamente rettifica: - no, mio padre
no… - Conosce le altre famiglie dei Cinque, li chiama zii, zie e le tre
figlie di Ramón sono le sue cugine”.
“La bambina anela di poter vedere il padre: chiede
quando succederà. Dice - voglio andare a conoscere il mio papá! -
Comprende il perché delle cose. Dice - non sono potuta andare a vedere
mio padre perché non danno il visto a mia madre”.
Ma oltre ad andare a vedere René, Ivette sogna il
suo ritorno. “Lei sta molto bene qui, nel suo mondo, dice: - quando
verrá mio padre, sará lui che mi verrá a prendere all’asilo. Quando
verrà mio padre, andremo insieme al parco -. Sogna un futuro a Cuba con
suo padre”.
Mentre I Cinque Eroi sono sequestrati
dall’amministrazione nordamericana, sottomessa alla volontá dei suoi
alleati mafiosi di Miami, Ivette, sua madre e sua sorella, continuano ad
essere vittime, pur vivendo a Cuba, del ricatto dell’FBI.
Sono tre anni (il 21 novembre, tra meno di tre
settimane) che persiste la cinica manovra che vuole distruggere la
volontá di René attraverso il dolore di questa dolorosa separazione.
VIOLATI TUTTI GLI ACCORDI INTERNAZIONALI
Tutte le azioni di pressione attuate contro René
González utilizzando la famiglia costituiscono violazioni di una serie
di accordi internazionali sui diritti umani dei detenuti.
I Principi per la Protezione delle persone soggette
a qualunque forma di detenzione o prigione stabiliscono:
19. Tutte le persone detenute o arrestate avranno il
diritto di essere visitate, in particolare dai loro familiari, e di
corrispondere con loro… secondo le condizioni e le ragionevoli
restrizioni determinate dalla legge o dai regolamenti dettati
conformemente dal diritto”.
- Le Regole Minime per il Trattamento dei Reclusi
dispongono:
37. I reclusi saranno autorizzati a comunicare
periodicamente, sotto vigilanza, con i loro familiari e con gli amici di
buona reputazione, sia per posta che con le visite”.
- L’articolo 23, paragrafo 1, del Patto
Internazionale dei Diritti Civili e Politici (ICCPR), che gli Stati
Uniti hanno ratificato stipula che:
- La famiglia è il gruppo basilare naturale e
fondamentale della societá e ha diritto ad essere protetta da parte
della società e dello Stato.
- L’articolo 24 dell’ICCPR stipula che:
- Tutti i bambini hanno diritto, senza
discriminazione alcuna di razza, colore, sesso, lingua religione,
origine nazionale o sociale, posizione economica o di nascita, ad essere
protetti come richiede la loro posizione di minori, da parte della loro
famiglia, della societá e dello Stato.
Queste azioni, oltre a violare le Norme
Internazionali, vanno contro l’Ottavo Emendamento degli Stati Uniti che
stabilisce: …”non si applicheranno punizioni crudeli e inusuali”,
essendo questo un modo di infliggere una pena al detenuto che va oltre a
quella imposta dalla sentenza, imponendo una pena crudele alla sua
famiglia, di carattere illegale ed inumano.
Condoleezza Rice, parlando a nome del Presidente
degli Stati Uniti, confessava recentemente, in una lettera al
rappresentante statale David Rivera, che l’arresto dei Cinque
costituisce un “risultato” della politica degli Stati Uniti verso Cuba,
confermando la natura politica dell’arresto realizzato da elementi
dichiaratamente nemici di Cuba dell’FBI nella Florida del sud.
Fino a quando durerá questo trattamento crudele ed
inumano contro René, arrestato per essersi infiltrato nella mafia di
Miami e per aver rivelato i piani terroristi che organizzava? Fino a
quando andrá avanti il ricatto contro una donna e le sue figlie, da
parte di un’amministrazione abituata a sacrificare tutti i principi
umanitari per assicurarsi la complicitá con una mafia terrorista? Fino a
quando continuerá la sottomissione di un’intera Amministrazione ad
alcuni caporioni legati al terrorismo, per fini elettorali, contro gli
interessi dell’immensa maggioranza dei nordamericani che desiderano la
normalizzazione delle relazioni del loro paese con Cuba?
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