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                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

 

 

SANTO D’ALEMA, SATANASSI FIDEL, SLOBODAN, SADDAM

Cosa c’è sotto il nero patto D’Alema-Bertinotti?

 

 

In questi giorni che slittano verso festività cristiane e che dovrebbero essere segnati da quella che i cristiani vantano essere la loro spirituale umiltà, o umile spiritualità, la famosa modestia, insomma, ci arriva dalle pagine di “Liberazione” una sonorissima sberla, del tutto immodesta e niente affatto umile. E’ il mostaccio del monarca di RC, ormai permanentemente atteggiato a berlusconiano sbeffeggiamento (ricordate quella sua paracela “faccia da schiaffi” con il sigaro celodurista, ai tempi della corsa al disastro “primario” del plebiscito pro-Prodi?)  sopra la scritta cubitale “mi abbono a Liberazione perché è sempre critica, anche con me” (evidenziazione mia). Critica con Sua Altezza reale? Ma se si muore di lesa maestà in RC! Si direbbe l’invenzione di un creativo davvero subdolo, infiltrato dal nemico, tanto è controproducente per coloro cui rimane un minimo di senso del ridicolo, ma anche della decenza e dello stile. Si direbbe il culto della personalità nella parodia di Corrado Guzzanti. Un autentico sfottò, si direbbe anche, a conoscere la fabbrica di panegirici che è questo bollettino di corte dai tempi del “compagno scomodo”(s’è mai capito per chi) Curzi all’attuale Sansonetti il quale, in un partito che registra un quasi 50% per cento di iscritti tra il disperato e il disgustato, concede agli interventi dell’opposizione interna uno 0,3 dello spazio e alle lettere qualcosa come un’epistola critica (medicata e tosto neutralizzata dalla risposta) su cinquanta di salmodianti, estatiche, fesse o confuse. Insomma  un’orchestrina scolastica appesa alla bacchetta del direttore come Orlando ai fili di Podrecca. Purtroppo mercato ha voluto che quell’inserto di indefettibile stile berlusconide offendesse anche le pur sobrie pagine de “Il Manifesto” (un po’ come tocca accettare, dicono loro, la pubblicità inquinante di un’Enel, o di un’Agip, per continuare a poter dire cose di sinistra), giornale gruviera, nel senso che la materia è saporita, ma i buchi sono tanti.

 

Il mercato, ai cui margini rosicchia Rifondazione, è implacabile quanto la discesa di questo partito della sinistra sradicata verso le mirabili sorti e progressive dell’underground capitalistico italiano. E così  alle sfrontate fattezze del capo e al successivo paginone con sorriso a zanne di Ritanna Armeni, dama di compagnia di Bertinocchio e ancella televisiva della spia Cia Ferrara, che si abbona “perché Liberazione va oltre la tv”, minaccia davvero spietata, non poteva non seguire l’apoteosi su tutta l’ultima pagina di un abbonando davvero pontificale: Paolo Mieli. Un altro cerchio del Partito della Rifondazione Comunista (nome-bisticcio quanto quello del delfinetto di Bertinocchio, Gennaro Migliore) che si chiude. Sotto il ghigno benevolo del direttore ex-potop del Corriere della Sera, catechismo del capitalismo italiano, la scritta: “Mi abbono a Liberazione perché mi è indispensabile”. Indispensabile? E ti credo. E quando più lo trovi un “giornale comunista” che al contaballe della “Grande Storia” (Rai Tre), biografo eulogiaco di Sharon, con al guinzaglio il vicedirettore Magdi Allam, sicofante del Torquemada di eretici islamici Pisanu, offre una “sinistra radicale” tanto lustrascarpe?

 

Tutto questo come prologo all’argomento del giorno: un editoriale di Rina Gagliardi, ex-vicedirettrice di “Liberazione”, intitolato “Polemiche incivili: in difesa di D’Alema…” Gagliardi, transitata dal quotidiano-lampione (“Il Manifesto”) al quotidiano-moccolo (“Liberazione”), sta a Bertinotti come Vespa sta a Berlusconi. La vera Teresa d’Avila estatica al cospetto di Gesù è lei. Qualsiasi carambola, giravolta, sbraco o campagna punitiva ordita dal suo pigmalione le appare come vuoi il discorso della montagna, vuoi la moltiplicazione dei pani e dei pesci, vuoi la cacciata dal tempio. Il che comporta naturalmente che si debbano cingere di allori anche le fronti di coloro che col taumaturgo razzolano, tramano e operano e, se del caso, come stavolta, brandire spade in loro difesa da cattivi e malnati critici. Gagliardi se la prende  con quelli che complottano contro i DS  e  D’Alema facendo leva su Unipol  e sulle milionarie passioni barcaiole di baffino, alimentate da fondi accoccolati, ma guarda un po’, proprio  nella Banca Popolare Italiana del noto inquisito Fiorani. Adoperando a sproposito una parola di ben altra portata, attribuisce il misfatto all’odierno Zeitgeist (spirito del tempo, con cui filosofi tedeschi interpretavano i grandi movimenti della storia) “che americanizza la politica, trasforma le campagne elettorali in un wrestling generalizzato, spinge al primato assoluto del business, degrada l’informazione a strumento di autentica disinformazione”. Detto da dietro i paginoni con faccia e proclami di un primatista (da primarie) personalizzantista, plebiscitarista, presenzialista e presidenzialista, una specie di Lecciso della politica, la difesa del compare D’Alema diventa un vero autodafè.

 

Poi si va sul concreto: “La campagna feroce e incivile contro il presidente dei DS… quello che ha la colpa di coltivare un hobby  (la barca miliardaria, autentico strumento di redistribuzione del reddito. N.d.r.) che non sia giocare a ramino con la suocera…un attacco indecente che lo vuole obbligato a costumi francescani in un mondo di ostentazione del denaro, delle ville, delle feste…” Giusto, D’Alema, oltre a veleggiare attorno a Saint Tropez, segua l’esempio delle ville (Delle Rose) e delle feste di Bertinotti, quando cinguetta con i gerarchi di AN alla festa di fidanzamento del figlio, o con Cecchi Gori, Valeria Marini e Berlusconi, al compleanno del primo. Altro che “populismo plebeo”, altro che “costumi francescani”!  Mica siamo come quei tapini di cubani che strisciano in stracci sotto il gioco del castrismo… Ma la si faccia finita, prorompe poi machissima la Rina, di “vivisezionare le abitudini e propensioni personali di D’Alema” (neanche quelle a  bombardare scuole e ospedali?), la si smetta con quel “fattore K introiettato che vede sempre e comunque, con paura o malignità, fantasmi rossi”. E già, intanto i fantasmi rossi sono diventati davvero invisibili, ha ragione la Rina a rassicurare quel Paolo Mieli sul retro di copertina, e poi il fattore “K” se deve servire a qualcosa è meglio che lo si usi così, come fissa degli altri quando vola qualche straccio sporco, tipo Arcobaleno o malefatte delle cooperative. Quando urge vestirsi da vittime. Israele docet. Ecco perché la neonata “Sinistra per Israele”…

 

Certo, di fronte all’evidenza – Unipol, Consorte, Colannino, Fiorani, Ricucci, CMC di Ravenna,  vergognosi do-ut-des, tra l’affaristico e il malavitoso, paralleli a quelli politici della famigerata Bicamerale berluscon-dalemiana – tocca pure fare dei distinguo e cavarsi d’impiccio. E così Gagliardi, sul finire dell’apologia si mette a fare le bucce a DS e loro cooperative, nessuno dei quali farebbe più il suo probo mestiere. E si chiede “perché il vertice dei DS persevera diabolicamente nella solidarietà con un Consorte (andava bene anche la c minuscola) che non sembra tanto diverso dai Fiorani, dai Ricucci, dagli Gnutti e compagnia cantando?… Non è di sinistra affermare il vecchio motto che il denaro non olet (non puzza)”. E neanche parrebbero di sinistra le feste con la Marini e il generone romano, o il cincischio cronicizzato con Vespa, no Rina? Qui, a parte essersi pietosamente dimenticata del riferimento dalemiano a Colannino-Telecom e a pozzanghere melmose varie da carneficina di lavoratori e altarizzazione del libero mercato, Gagliardi, passando dalla novena alla fustigazione, ha bruciato le proprie buone intenzioni e ha incenerito anche il suo idolo: c’è qualcuno in Italia che possa tracciare una distinzione tra il presidente D’Alema e il vertice DS? Ma se il rapporto tra il capo e la corte, come quello tra Bertinocchio e il primo terzo della piramide, è come quello tra ape regina e api operaie, formica sovrana e formiche soldati! Quale mossa suicida bastonare i DS e salvarne la testa! E invece no, siamo prevenuti  e indecenti come coloro che se la tirano con la barca del morigeratissimo Massimino. Giacchè lui e il vertice DS manco si conoscono, si sono incrociati sul pianerottolo, buongiorno, buonasera, tutto qui.

 

Sono davvero ammirevoli questi funamboli di “Liberazione”. Di Milosevic, vasellinando la sodomia di D’Alema il bombardiere (che in cambio gli consentiva di brontolare borborigmi contro l’intervento “umanitario”), hanno assunto la definizione di pulitore etnico, dittatore, ladro di tesori, ipernazionalista e stragista a Sebrenica e in mille altri posti. Ma Sebrenica e altri massacri erano dei falsi, l’unico unionista jugoslavo antinazionalista  e antimperialista era  Slobo, di tesori non ne ha mai avuto altri che lo stipendio di presidente e, ora, un paese ridotto a lisca di pesce, lontano dietro i riquadri ferrati della sua cella all’Aja. Quanto al dittatore, elezioni regolari si tenevano in Serbia con ricorrenza quasi ossessiva e buona parte dei comuni e la massima parte dei media erano in mano a un’opposizione corrotta e pagata da tedeschi, statunitensi e dal loro agente Soros, quello delle venerate “rivoluzioni dei fiori”.

Scattanti alla chiamata, come sempre, gli squadroni della diffamazione di Curzi-Gagliardi si sono via precipitati su Saddam, sugli iraniani (per le ragioni sbagliate, non certo per il loro collaborazionismo con gli occupanti dell’Iraq), su Fidel, sui governi sovrani da abbattere con i brogli elettorali e con le manifestazioni arancione foraggiate dai soliti Cia, NED, Soros e gangster vari.  Saddam mostrificato come dettavano i signori della guerra psicologica imperialista ed entusiasticamente caricato di tutte le montature inventate dal nazisionismo in preda a furore popolicida. Il vincitore del barbarico colonialismo britannico, il costruttore di uno stato moderno, laico, progressista e di una società viva, cosciente, dignitosa, poi confermatasi lucida protagonista del riscatto di classi e popoli attraverso una resistenza di massa eroica, che oggi è il fronte principale della controffensiva mondiale, che viene affiancato ad Al Zarkawi e Al Qa’ida, cortine fumogene di un terrorismo tutto a controllo anglo-statunitense.  Questo leader della riscossa del Terzo Mondo deformato in psicopatico tiranno da granguignol, che macina gli oppositori nel tritacarta, gassa i propri cittadini, stermina i comunisti su indicazione Cia, tutte infamie smentite da prove ostinatamente ignorate. Mai un pizzico di giornalismo investigativo autonomo. Pappagalli e scimmiotti. La lotta di mezzo secolo per sottrarre la nazione araba, le sue risorse, il suo futuro a un destino di oscurantismo e sottomissione, pur in condizioni spaventose come quelle dell’embargo genocida, la resistenza al fanatismo religioso di una  Persia alimentata da sostegni finanziari e militari israelo-statunitensi, che vengono degradati in doppiogiochismo di chi, pur riunendo intorno a se tutto quanto intendeva contrastare il ritorno del colonialismo, sarebbe stato strumento di Washington. Fidel, creatore e difensore, nel collasso planetario delle strutture e delle speranze di un’umanità in uscita da sfruttamento, guerra, oppressione, guida di un popolo la cui forza ha innescato un rivolgimento continentale, che viene manipolato, su istruzioni del terrorismo storico nordamericano, in autocrate intollerante nei confronti di cosiddetti dissidenti, effettivi manutengoli pagati della vendetta USA.

 

Queste sono le imprese del giornaletto di Gagliardi e Co., oggettivamente (e neanche tanto) fiancheggiatore dei veri Stati canaglia attraverso la sua accettazione e ripetizione dei più letali strumenti di offesa dell’essere umano. Altro che Pacs. Altro che “gli uomini uccidono le donne”, come suona un’ossessiva campagna di depistaggio del manipolo veterofemminista che brandisce il giornale come un arma di distruzione di massa (e dell’intelligenza e del ruolo rivoluzionario delle donne). L’avallo delle menzogne e la copertura delle vergogne. Il cavaliere senza macchia e senza paura, difeso con scaltrezza degna di miglior causa da Gagliardi, non è forse quel D’Alema che scatenò la prima delle guerre di devastazione dell’umanità,  offrendo basi di sangue e di bugie all’aberrazione neocon, che si gloriò dei massacri compiuti dai suoi tornado in combutta con i tagliagole e trafficanti di droga UCK, addestrati dall’agente Cia Osama bin laden? Quel D’Alema sotto le cui ali governative si consumò, sulla pelle di vittime vere e fittizie, l’enorme porcheria albanese dell’ Arcobaleno di Barberi (ma l’inquisitore di quella schifezza non è diventato, pronube D’Alema, sindaco di Bari, di quella Bari dove un signore malavitoso della sanità privata dava conforto materiale al futuro presidente del consiglio?),  e poi il tradimento di classe e di decenza della Bicamerale con i pregiudicati P2 e mafia?  Quel  D’Alema che l’Italia altra, sgomenta, ha visto celebrare sul palco dei sodali la beatificazione di Escrivà de Balaguer, fondatore della massoneria cattofascista chiamata Opus Dei; quel D’Alema che ha sottoscritto a Roma, in piena carneficina jugoslava, il potenziamento della Nato da difensiva a killer in tutto il mondo; quel D’Alema che ha applicato in Italia la regola che un esercito di mercenari professionisti è meglio di una leva di massa, massa magari recalcitrante ad andare a sterminare donne e bambini sui ponti di Nassiria?

 

Elementi, questi, antipatici e che, forse per questo, non figurano nell’eulogia di Rina Gagliardi. Elementi che è di cattivo gusto resuscitare nell’ora dell’ulteriore rigoglio del patto D’Alema-Bertinotti, quello consacrato dalla prima decapitazione dello sprovveduto Prodi. Elementi che è meglio sottacere se domani  si vuole andare sottobraccio alle feste della Marini, delle fidanzate AN, ai titillamenti con Vespa, alla spoliazione dei lavoratori e non-ammessi-al-lavoro, alla grandiosa epopea anti-terrorismo, all’intervento umanitario contro qualche milione di persone da democratizzare col fosforo e con Abu Ghraib. E soprattutto se si lavora, nel nome di quel patto, per un ministero a me e un “altissimo ruolo istituzionale” per fratello Massimo. Non sono io che lo dico. E’ Rina: “Liberazione” del 23 dicembre, pag. 12, ultime due colonne, 13sima riga. 13esima? Un caso?  

 

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