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SANTO D’ALEMA, SATANASSI FIDEL, SLOBODAN, SADDAM
Cosa c’è sotto
il nero patto D’Alema-Bertinotti?
In questi giorni che slittano verso
festività cristiane e che dovrebbero essere segnati da quella che
i cristiani vantano essere la loro spirituale umiltà, o umile
spiritualità, la famosa modestia, insomma, ci arriva dalle pagine
di “Liberazione” una sonorissima sberla, del tutto immodesta e
niente affatto umile. E’ il mostaccio del monarca di RC, ormai
permanentemente atteggiato a berlusconiano sbeffeggiamento
(ricordate quella sua paracela “faccia da schiaffi” con il sigaro
celodurista, ai tempi della corsa al disastro “primario” del
plebiscito pro-Prodi?) sopra la scritta cubitale “mi abbono a
Liberazione perché è sempre critica,
anche con me”
(evidenziazione mia). Critica con Sua Altezza reale? Ma se si
muore di lesa maestà in RC! Si direbbe l’invenzione di un creativo
davvero subdolo, infiltrato dal nemico, tanto è controproducente
per coloro cui rimane un minimo di senso del ridicolo, ma anche
della decenza e dello stile. Si direbbe il culto della personalità
nella parodia di Corrado Guzzanti. Un autentico sfottò, si direbbe
anche, a conoscere la fabbrica di panegirici che è questo
bollettino di corte dai tempi del “compagno scomodo”(s’è mai
capito per chi) Curzi all’attuale Sansonetti il quale, in un
partito che registra un quasi 50% per cento di iscritti tra il
disperato e il disgustato, concede agli interventi
dell’opposizione interna uno 0,3 dello spazio e alle lettere
qualcosa come un’epistola critica (medicata e tosto neutralizzata
dalla risposta) su cinquanta di salmodianti, estatiche, fesse o
confuse. Insomma un’orchestrina scolastica appesa alla bacchetta
del direttore come Orlando ai fili di Podrecca. Purtroppo mercato
ha voluto che quell’inserto di indefettibile stile berlusconide
offendesse anche le pur sobrie pagine de “Il Manifesto” (un po’
come tocca accettare, dicono loro, la pubblicità inquinante di un’Enel,
o di un’Agip, per continuare a poter dire cose di sinistra),
giornale gruviera, nel senso che la materia è saporita, ma i buchi
sono tanti.
Il mercato, ai cui margini rosicchia
Rifondazione, è implacabile quanto la discesa di questo partito
della sinistra sradicata verso le mirabili sorti e progressive
dell’underground capitalistico italiano. E così alle sfrontate
fattezze del capo e al successivo paginone con sorriso a zanne di
Ritanna Armeni, dama di compagnia di Bertinocchio e ancella
televisiva della spia Cia Ferrara, che si abbona “perché
Liberazione va oltre la tv”, minaccia davvero spietata, non poteva
non seguire l’apoteosi su tutta l’ultima pagina di un abbonando
davvero pontificale: Paolo Mieli. Un altro cerchio del Partito
della Rifondazione Comunista (nome-bisticcio quanto quello del
delfinetto di Bertinocchio, Gennaro
Migliore) che si
chiude. Sotto il ghigno benevolo del direttore ex-potop del
Corriere della Sera, catechismo del capitalismo italiano, la
scritta: “Mi abbono a Liberazione perché mi è indispensabile”.
Indispensabile? E ti credo. E quando più lo trovi un “giornale
comunista” che al contaballe della “Grande Storia” (Rai Tre),
biografo eulogiaco di Sharon, con al guinzaglio il vicedirettore
Magdi Allam, sicofante del Torquemada di eretici islamici Pisanu,
offre una “sinistra radicale” tanto lustrascarpe?
Tutto questo come prologo
all’argomento del giorno: un editoriale di Rina Gagliardi,
ex-vicedirettrice di “Liberazione”, intitolato “Polemiche
incivili: in difesa di D’Alema…” Gagliardi, transitata dal
quotidiano-lampione (“Il Manifesto”) al quotidiano-moccolo
(“Liberazione”), sta a Bertinotti come Vespa sta a Berlusconi. La
vera Teresa d’Avila estatica al cospetto di Gesù è lei. Qualsiasi
carambola, giravolta, sbraco o campagna punitiva ordita dal suo
pigmalione le appare come vuoi il discorso della montagna, vuoi la
moltiplicazione dei pani e dei pesci, vuoi la cacciata dal tempio.
Il che comporta naturalmente che si debbano cingere di allori
anche le fronti di coloro che col taumaturgo razzolano, tramano e
operano e, se del caso, come stavolta, brandire spade in loro
difesa da cattivi e malnati critici. Gagliardi se la prende con
quelli che complottano contro i DS e D’Alema facendo leva su
Unipol e sulle milionarie passioni barcaiole di baffino,
alimentate da fondi accoccolati, ma guarda un po’, proprio nella
Banca Popolare Italiana del noto inquisito Fiorani. Adoperando a
sproposito una parola di ben altra portata, attribuisce il
misfatto all’odierno Zeitgeist
(spirito del tempo, con cui filosofi tedeschi
interpretavano i grandi movimenti della storia) “che americanizza
la politica, trasforma le campagne elettorali in un wrestling
generalizzato, spinge al primato assoluto del business, degrada
l’informazione a strumento di autentica disinformazione”. Detto da
dietro i paginoni con faccia e proclami di un primatista (da
primarie) personalizzantista, plebiscitarista, presenzialista e
presidenzialista, una specie di Lecciso della politica, la difesa
del compare D’Alema diventa un vero autodafè.
Poi si va sul concreto: “La campagna
feroce e incivile contro il presidente dei DS… quello che ha la
colpa di coltivare un hobby (la barca miliardaria, autentico
strumento di redistribuzione del reddito. N.d.r.) che non sia
giocare a ramino con la suocera…un attacco indecente che lo vuole
obbligato a costumi francescani in un mondo di ostentazione del
denaro, delle ville, delle feste…” Giusto, D’Alema, oltre a
veleggiare attorno a Saint Tropez, segua l’esempio delle ville
(Delle Rose) e delle feste di Bertinotti, quando cinguetta con i
gerarchi di AN alla festa di fidanzamento del figlio, o con Cecchi
Gori, Valeria Marini e Berlusconi, al compleanno del primo. Altro
che “populismo plebeo”, altro che “costumi francescani”! Mica
siamo come quei tapini di cubani che strisciano in stracci sotto
il gioco del castrismo… Ma la si faccia finita, prorompe poi
machissima la Rina, di “vivisezionare le abitudini e propensioni
personali di D’Alema” (neanche quelle a bombardare scuole e
ospedali?), la si smetta con quel “fattore K introiettato che vede
sempre e comunque, con paura o malignità, fantasmi rossi”. E già,
intanto i fantasmi rossi sono diventati davvero invisibili, ha
ragione la Rina a rassicurare quel Paolo Mieli sul retro di
copertina, e poi il fattore “K” se deve servire a qualcosa è
meglio che lo si usi così, come fissa degli altri quando vola
qualche straccio sporco, tipo Arcobaleno o malefatte delle
cooperative. Quando urge vestirsi da vittime. Israele docet. Ecco
perché la neonata “Sinistra per Israele”…
Certo, di fronte all’evidenza –
Unipol, Consorte, Colannino, Fiorani, Ricucci, CMC di Ravenna,
vergognosi do-ut-des, tra l’affaristico e il malavitoso, paralleli
a quelli politici della famigerata Bicamerale berluscon-dalemiana
– tocca pure fare dei distinguo e cavarsi d’impiccio. E così
Gagliardi, sul finire dell’apologia si mette a fare le bucce a DS
e loro cooperative, nessuno dei quali farebbe più il suo probo
mestiere. E si chiede “perché il vertice dei DS persevera
diabolicamente nella solidarietà con un Consorte (andava bene
anche la c minuscola) che non sembra tanto diverso dai Fiorani,
dai Ricucci, dagli Gnutti e compagnia cantando?… Non è di sinistra
affermare il vecchio motto che il denaro non olet (non puzza)”. E
neanche parrebbero di sinistra le feste con la Marini e il
generone romano, o il cincischio cronicizzato con Vespa, no Rina?
Qui, a parte essersi pietosamente dimenticata del riferimento
dalemiano a Colannino-Telecom e a pozzanghere melmose varie da
carneficina di lavoratori e altarizzazione del libero mercato,
Gagliardi, passando dalla novena alla fustigazione, ha bruciato le
proprie buone intenzioni e ha incenerito anche il suo idolo: c’è
qualcuno in Italia che possa tracciare una distinzione tra il
presidente D’Alema e il vertice DS? Ma se il rapporto tra il capo
e la corte, come quello tra Bertinocchio e il primo terzo della
piramide, è come quello tra ape regina e api operaie, formica
sovrana e formiche soldati! Quale mossa suicida bastonare i DS e
salvarne la testa! E invece no, siamo prevenuti e indecenti come
coloro che se la tirano con la barca del morigeratissimo
Massimino. Giacchè lui e il vertice DS manco si conoscono, si sono
incrociati sul pianerottolo, buongiorno, buonasera, tutto qui.
Sono davvero ammirevoli questi
funamboli di “Liberazione”. Di Milosevic, vasellinando la sodomia
di D’Alema il bombardiere (che in cambio gli consentiva di
brontolare borborigmi contro l’intervento “umanitario”), hanno
assunto la definizione di pulitore etnico, dittatore, ladro di
tesori, ipernazionalista e stragista a Sebrenica e in mille altri
posti. Ma Sebrenica e altri massacri erano dei falsi, l’unico
unionista jugoslavo antinazionalista e antimperialista era Slobo,
di tesori non ne ha mai avuto altri che lo stipendio di presidente
e, ora, un paese ridotto a lisca di pesce, lontano dietro i
riquadri ferrati della sua cella all’Aja. Quanto al dittatore,
elezioni regolari si tenevano in Serbia con ricorrenza quasi
ossessiva e buona parte dei comuni e la massima parte dei media
erano in mano a un’opposizione corrotta e pagata da tedeschi,
statunitensi e dal loro agente Soros, quello delle venerate
“rivoluzioni dei fiori”.
Scattanti alla chiamata, come
sempre, gli squadroni della diffamazione di Curzi-Gagliardi si
sono via precipitati su Saddam, sugli iraniani (per le ragioni
sbagliate, non certo per il loro collaborazionismo con gli
occupanti dell’Iraq), su Fidel, sui governi sovrani da abbattere
con i brogli elettorali e con le manifestazioni arancione
foraggiate dai soliti Cia, NED, Soros e gangster vari. Saddam
mostrificato come dettavano i signori della guerra psicologica
imperialista ed entusiasticamente caricato di tutte le montature
inventate dal nazisionismo in preda a furore popolicida. Il
vincitore del barbarico colonialismo britannico, il costruttore di
uno stato moderno, laico, progressista e di una società viva,
cosciente, dignitosa, poi confermatasi lucida protagonista del
riscatto di classi e popoli attraverso una resistenza di massa
eroica, che oggi è il fronte principale della controffensiva
mondiale, che viene affiancato ad Al Zarkawi e Al Qa’ida, cortine
fumogene di un terrorismo tutto a controllo anglo-statunitense.
Questo leader della riscossa del Terzo Mondo deformato in
psicopatico tiranno da granguignol, che macina gli oppositori nel
tritacarta, gassa i propri cittadini, stermina i comunisti su
indicazione Cia, tutte infamie smentite da prove ostinatamente
ignorate. Mai un pizzico di giornalismo investigativo autonomo.
Pappagalli e scimmiotti. La lotta di mezzo secolo per sottrarre la
nazione araba, le sue risorse, il suo futuro a un destino di
oscurantismo e sottomissione, pur in condizioni spaventose come
quelle dell’embargo genocida, la resistenza al fanatismo religioso
di una Persia alimentata da sostegni finanziari e militari
israelo-statunitensi, che vengono degradati in doppiogiochismo di
chi, pur riunendo intorno a se tutto quanto intendeva contrastare
il ritorno del colonialismo, sarebbe stato strumento di
Washington. Fidel, creatore e difensore, nel collasso planetario
delle strutture e delle speranze di un’umanità in uscita da
sfruttamento, guerra, oppressione, guida di un popolo la cui forza
ha innescato un rivolgimento continentale, che viene manipolato,
su istruzioni del terrorismo storico nordamericano, in autocrate
intollerante nei confronti di cosiddetti dissidenti, effettivi
manutengoli pagati della vendetta USA.
Queste sono le imprese del
giornaletto di Gagliardi e Co., oggettivamente (e neanche tanto)
fiancheggiatore dei veri Stati canaglia attraverso la sua
accettazione e ripetizione dei più letali strumenti di offesa
dell’essere umano. Altro che Pacs. Altro che “gli uomini uccidono
le donne”, come suona un’ossessiva campagna di depistaggio del
manipolo veterofemminista che brandisce il giornale come un arma
di distruzione di massa (e dell’intelligenza e del ruolo
rivoluzionario delle donne). L’avallo delle menzogne e la
copertura delle vergogne. Il cavaliere senza macchia e senza
paura, difeso con scaltrezza degna di miglior causa da Gagliardi,
non è forse quel D’Alema che scatenò la prima delle guerre di
devastazione dell’umanità, offrendo basi di sangue e di bugie
all’aberrazione neocon, che si gloriò dei massacri compiuti dai
suoi tornado in combutta con i tagliagole e trafficanti di droga
UCK, addestrati dall’agente Cia Osama bin laden? Quel D’Alema
sotto le cui ali governative si consumò, sulla pelle di vittime
vere e fittizie, l’enorme porcheria albanese dell’ Arcobaleno di
Barberi (ma l’inquisitore di quella schifezza non è diventato,
pronube D’Alema, sindaco di Bari, di quella Bari dove un signore
malavitoso della sanità privata dava conforto materiale al futuro
presidente del consiglio?), e poi il tradimento di classe e di
decenza della Bicamerale con i pregiudicati P2 e mafia? Quel D’Alema
che l’Italia altra, sgomenta, ha visto celebrare sul palco dei
sodali la beatificazione di Escrivà de Balaguer, fondatore della
massoneria cattofascista chiamata Opus Dei; quel D’Alema che ha
sottoscritto a Roma, in piena carneficina jugoslava, il
potenziamento della Nato da difensiva a killer in tutto il mondo;
quel D’Alema che ha applicato in Italia la regola che un esercito
di mercenari professionisti è meglio di una leva di massa, massa
magari recalcitrante ad andare a sterminare donne e bambini sui
ponti di Nassiria?
Elementi, questi, antipatici e che,
forse per questo, non figurano nell’eulogia di Rina Gagliardi.
Elementi che è di cattivo gusto resuscitare nell’ora
dell’ulteriore rigoglio del patto D’Alema-Bertinotti, quello
consacrato dalla prima decapitazione dello sprovveduto Prodi.
Elementi che è meglio sottacere se domani si vuole andare
sottobraccio alle feste della Marini, delle fidanzate AN, ai
titillamenti con Vespa, alla spoliazione dei lavoratori e
non-ammessi-al-lavoro, alla grandiosa epopea anti-terrorismo,
all’intervento umanitario contro qualche milione di persone da
democratizzare col fosforo e con Abu Ghraib. E soprattutto se si
lavora, nel nome di quel patto, per un ministero a me e un
“altissimo ruolo istituzionale” per fratello Massimo. Non sono io
che lo dico. E’ Rina: “Liberazione” del 23 dicembre, pag. 12,
ultime due colonne, 13sima riga. 13esima? Un caso?
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