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                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

LA GATTA FRETTOLOSA I GATTINI CIECHI IL GATTO DELLO CHESHIRE E “ IL CHI E’ ” DELLA RESISTENZA IRACHENA ( CON IL COROLLARIO: 19 FEBBRAIO CONTRO  19 MARZO?)

 

 

15/02/2005

 

 

Alice e il gatto dello Cheshire

Ci rintronano ancora nella testa gli “8 milioni di voti per la democrazia” urlati indistintamente da tutta “L’Unione” (un apostrofo rosa tra le parole t’amo di Bertinocchio a Mastella e viceversa) che tanto è indistinta e slabbrata da racchiudere, nei momenti stellari, cioè della massima abiezione, tutto l’arco mistificazionale che va da Bertinotti a Calderola, da Ingrao a Gasparri.  E’ abbastanza impressionante vedere nel paese delle meraviglie il Gatto dello Cheshire irretire con le sue balle la finta tonta Alice, entrambi ormai del tutto sucubi alla Regina di Pique. E se il giornaletto del Bertin-Alice (ora l’epigono Sansonetti di Sandro Curzi lo sta strizzando per vestirlo “di lungo” e renderlo degno dei salotti chic) scrive cazzate terroristiche sul terrorismo, indiscutibile responsabile della sventura di Sgrena, il Gatto dello Cheshire, travestito dal decano dei gazzettieri italiani embedded (Repubblica, 14/2/5) da la linea: “La lettura del voto iracheno rivela la straordinaria, eccezionale, intelligenza politica degli 8 milioni e mezzo (sic!) di elettri che l’hanno espresso, sfidnadno le minacce   dell’opposizione armata- E come se, oltre alla dignità e al coraggio già riconosciuti, anche un’antica saggezza li avesse accompagnati alle urne- E con loro avesse disegnato un’assemblea non solo capace di redigere una Costituzione accettabile per tutte (sic!) le componenti del mosaico etnico e religioso, ma anche di promuovere il primo legittimo (sic!) governo nel paese lacerato da un conflitto che è guerra civile”. Non mi occupo in genere della stampa dei padroni, né di Repubblica specie dopo averla vista imbrattarsi le pagine degli escrementi di Magdi Allam, ma vedere ridursi così il giornale che si pretendeva della borghesia illuminata italiana e un vecchio giornalista, Bernardo Valli, che me lo ricordo nella Baghdad in guerra che non muoveva un passo se non tra Centro Stampa e hotel, ma paternalizzava con supponenti stereotipi su tutti… Bè, compagni, siamo alle patetiche capriole di un funambolo incartapecorito, dà proprio il senso della morte, della putrefazione. Aria da salotto di Bertinocchio.

 

A questo punto ai poveri Pecoraro Scanio (Verdi) e Diliberto (PdCI) non resta che penzolarsi fuori dalla finestra per far sentire i propri distinguo e i palettisti dell’Ernesto (Mozione Due del PRC)  li vedi rincorrere affannati il galoppante segretario per rimuoverne le deiezioni  con cui via via bombarda la storia, l’etica e la volontà dei comunisti, dei pacifisti veri e degli antimperialisti, manco fosse un drappello di carabinieri a cavallo. Tutti a salvarsi letteralmente il culo manomesso dalla realtà, con la carta igienica della “democrazia, o riconquistata (destra), o rivendicata” (sinistra). Ora poi c’è l’ulteriore ciambella di salvataggio dei “risultati” dell’impeto democratico, perbacco, con ben tre schieramenti in campo: i sistanisti del bandito Shalabi, caro agli ayatollah iraniani, agli inglesi e alla Cia; i curdi del Likud e gli alauisti sciti un po’ laici, cari al Pentagono e ai neonazi lì attorno annidati. Commissione elettorale “indipendente”, nominata dal viceré Paul Bremer e che ha negato l’iscrizione ad almeno tre milioni di elettori inaffidabili (e sono già i pochi otto su 14 milioni aventi diritto, meno tre), curdi che hanno introdotto nelle urne di Kirkuk 100.000 nomadi abusivi e a quelli col nome arabo gli hanno stracciato le schede sul naso e marines donne che hanno conteggiato per otto giorni muovendo le dita al ritmo del tamburello honduregno del nuovo viceré e squadronista della morte, Negroponte. Sono stati bravi: hanno conteggiato in modo che tutte e tre i Frankenstein zoppicassero, quale più, quale meno, in modo che non potranno muoversi senza una zeppa sotto ai piedi, inserita all’uopo e seconda alterni bisogni dagli occupanti.

 

Nel frattempo svapora, fil di fumo all’orizzonte, la “svolta”. Come naufraghi a un relitto continuano pervicacemente ad aggrapparcisi, però, i frettolosi che si erano compromessi il futuro politico-economico-televisivo insistendo sul ritiro delle truppe, o quegli altri che s’erano ritrovati in distonia con le oceaniche masse contro-guerra, da Liberazione al Manifesto, passando per Libero, Leggo e l’Almanacco di Sant’Eustachio. Un coro assordante. Ed ecco che, visto che le elezioni le hanno fatte in meno di un quarto degli aventi diritto, visto che i curdi stanno facendo pulizia etnica elettorale e fisica là dove sgorga il petrolio, visto che Giulietto Chiesa, Stefano Chiarini, Samir Amin, Gianni Minà, Tariq Ali, hanno fatto carne di porco del servaggio mediatico di tutti gli altri, a cosa ci si torna ad attaccare, come per l’Afghanistan, come per la Jugoslavia, come per la Somalia, come per il Ruanda, come per il Congo, come per la Corea d’antan, alla benemerita, seppure sbrindellata e ampiamente pregiudicata, ONU. Porca miseria, ci tiri fuori lei dal pasticcio della nostra dabbenaggine, complicità, ignoranza, malafede, idiozia con cui abbiamo contribuito a incastrarci nella tana della volpe a stelle e striscie in Iraq. Eccelle qui il cerchiobottista (dieci colpetti al cerchio, un colpone micidiale alla botte) del Manifesto Tommaso – contropulizia etnica - Di Francesco che nell’editoriale del 14 febbraio celebra una messa cantata a Kofi Annan per aver detto che - forse, chissà, ma non è il caso, manco per niente, figurarsi! - l’ONU potrebbe vagamente interessarsi dell’Iraq. Insieme a una totalmente inventata, al di là dei facili borborigmi del papa, opposizione della Chiesa cattolica alla guerra (già scordato i bellicisti Sodan e Ruini?), definita addirittura “evento storico”. Per Di Francesco l’ONU (francesi, tedeschi, burundesi in casco blù) è l’ancora di salvataggio, la radiosa aurora che per un Feltri, o un Ferrara, è invece lo spappolamento degli iracheni, possibilmente da piccoli. Con l’ONU si stirano perfino le incalzanti rughe a Bertinotti (si pagano certe nefandezze, Fausto, si pagano!), mentre Fassino, che pure preferirebbe la Delta Force anche in Via Nazionale, si accontenterebbe.  Poco conta che lo spaurito segretario generale abbia detto che, semai, in Iraq ci andrà, Consiglio di sicurezza “nella sua saggezza” (sic) permettendo, per mettere su consultori per bimbi disturbati dalle bombe a grappolo e, soprattutto, agenzie di consulenza per il libero mercato in cui divorare i beni degli iracheni. Poco conta che qualcuno dei suoi collaboratori più stretti lo abbia poi visto rotolarsi su un tappeto del Beluchistan, in preda a crampi di risa all’idea di sostituire con caschi blù europei e del Paraguay i 150.000 marines più 40.000 mercenari che dopo due anni non controllano neanche la strada per l’aeroporto, né, come ammesso da un generale USA, nessuna delle grandi strade del paese, figurarsi i centri abitati. Esplosione d’ilarità pienamente giustificata se si pensa alla faccia che Annan si ritroverebbe davanti a coloro cui dovrebbe restituire in bare, stavolta non nascondibili, qualcosa come i 6000 caduti effettivi che gli USA hanno sofferto, insieme a 30.000 feriti, (secondo fonti ospedaliere, dei Veterani di guerra e altre), dal giorno dell’epifania di  George –topgun – Bush sulla portaerei Nimitz per l’annuncio della vittoria.

 

Gattini ciechi intorno a Giuliana Sgrena.

Lasciamo da parte, per carità delle donne, le orripilanti ginocrate – straripanti sul depistante tabloid Liberazione, tenute cautamente più ai margini dal Manifesto -  che si sono avventate sul sequestro della malcapitata giornalista come il mio bassotto Nando si scaglia su un ginocchio di bue, artigliando, addentando, rosicchiando ad esaurimento dell’ultimo frammento di cartilagine. E’ da queste signore in carriera politica che ci è venuta la sublimazione estrema  della bertinocchiana “spirale guerra terrorismo”, fondata sul modello neonazista-likudnista dello scontro di civiltà: brutta la guerra e, di contro, orrendo il terrorismo, ineluttabilmente islamico. Tanto più orrendo, nelle versione Morgantini-Lanfranco-Annunziata perché, essendo islamico, se la prende con le donne. Giuliana rapita perché donna, magari perché con il rossetto in borsetta, magari perchè con un marito umiliato in casa a fare la spesa. Non conta, quando si tratta di utilizzare morti, dannati e feriti, che tutte le donne sequestrate in Iraq sono state rilasciate (salvo Margaret Hassan, di cui nulla si sa di certo), mentre degli uomini ne sono stati decapitati e sparati a decine. Ma lasciamole alla loro feroce e razzista autocelebrazione. C’è addirittura di peggio al mondo.

 

Il rapimento di Sgrena ha  dato, manco fosse il matrimonio di Carlo e Camilla, la stura a quelle elucubrazioni masturbatorie in cui si esercita con voluttà una categoria di giornalisti che, non comprendendo un cazzo, si è lasciata svezzare dai Vespa, Curzi, Ferrara, relativamente al bisogno di abbeverarsi al pensiero. Dilagò subito la teoria della banda di balordi e, nonostante la stupidità di sequestri a fin di soldi fatti non, in  rapidità, con meno dispendio e senza polveroni, sui riccastri avventatisi da dentro e fuori dell’Iraq sulle spoglie del paese, continua a far capolino di fronte all’ assenza di uno straccio di notizia. Stracci poi vengono comunque rivoltati e rilanciati, quando – ma qui c’è una velina politica –  si specula su quale mai delle infinite, confuse, contradditorie, oscure organizzazioni della lotta armata possa essere quella che tiene in mano Sgrena. Sarà l’asset Cia Zarkawi, saranno i sunniti di Saddam, saranno gli integralisti islamici, saranno gli “stranieri”, saranno gli islamici di Cremona? Non importa, l’essenziale è che siano islamici e siano stampigliati “terroristi”. Il dio di Bush e di Sharon non ha soffiato apposta nel naso al pupazzo di creta Zarkawi (dopo che gli si era sbriciolato Bin Laden) perché percorresse in lungo e in largo l’Iraq decapitando e sfracellando civili – moschee scite, panetterie scite, assembramenti sciti –  in modo che alla Resistenza si potesse attribuire lo squartamento in tre della più forte, orgogliosa, matura nazione del Medio oriente, programmato invece da anni in casa Bush-Rice-Rumsfeld-Sharon?

 

E qui, mi consenta, andrebbe fatto un invito alla circospezione a  tutti coloro che, in lindissima fede, nel mondo musulmano, comunità estere, associazioni di professioni, clero, si sono inseriti nel coro degli appelli ai rapitori “perché Giuliana è dalla parte del popolo iracheno e ha denunciato gli abusi dell’occupazione”. Giusto, doveroso appello, ma all’indirizzo sbagliato. Non è nonostante che abbia denunciato la tragedia degli iracheni, che Sgrena è stata rapita, ma proprio perché lo ha fatto. Grave errore di destinatario, giustificabile con la disperata ricerca di legittimità che hanno queste comunità e persone, permanentemente sotto schiaffo da parte di un occidente islamofobo, terrorista, razzista, altro che antisemita come vorrebbero i mallevadori dei crimini israeliani.. L’obiettivo sul quale puntare i propri appelli, meglio, le proprie accuse, invece, sta lì, splendente nella sua intonsa impunità e tracotanza: gli squadroni della morte importati dal Centroamerica dal macellaio Negroponte e addestrati a sequestri e assassinii mirati (hanno fatto fuori 150 scienziati ed intellettuali iracheni) dai collaudati in tutto il mondo specialisti del Mossad. Nessun giornalista, o altro soggetto, favorevole all’occupazione e che ciancia di terrorismo anziché di lotta legittima di liberazione, è stato mai né ucciso, né rapito. Tutti i giornalisti e attivisti rapiti avevano denunciato le barbarie anglo-italo-polacco-americane.

 

Chi può essere tanto cretino da credere che una forza occupante di netto stampo sionista-nazista, che spara in testa ai giornalisti non embedded, si caccia dai piedi le più grandi televisioni regionali, bombarda gli alberghi della stampa, licenzia chi bisbiglia verità su suoi orrori (vedi l’ultimo caso del direttore CNN, ma prima di lui Peter Arnett e Dan Rather), tolleri chi, pur tra leggerezze e stereotipi, quotidianamente manda in giro messaggi che smascherano la Grande Menzogna? Chi mai può pensare che la Resistenza, una Resistenza che ha conquistato il dominio del territorio, che ha attirato in trappola la più grande forza d’invasione, che impedisce agli USA di azzannare altri Stati, che opera in maniera intelligente e coordinata con una media di 120 azioni al giorno, che è dotata di un’intelligence infinitamente superiore a quella, frettolosa e cieca, del nemico, che è infiltrata nelle più alte sfere dell’apparato repressivo e fantoccio, che comunica incessantemente con il mondo (anche se, ontologicamente, i nostri scribacchini la voce dell’”altro” non la ritengono degna di ascolto), che reagisce puntualmente ai comunicati delle televisioni straniere più distanti per lingua e cultura, chi mai può pensare che una Resistenza di tal fatta non sappia chi è Giuliana Sgrena, chi Margaret Hassan, chi Baldoni, Chesnot, Audenas, Malbrunot, Torretta, Pari  e che, arrecando danno a costoro si mutila non solo i piedi, ma ogni possibilità di guadagnarsi, con l’opinione pubblica, il futuro, la vittoria?

 

E allora, un minimo di intelligenza richiederebbe che si sparasse a zero sul quartier generale: tu, Serventi Longhi, segretario della corporazione, voi del Manifesto (del kibbutzaro Liberazione non mette conto parlare), voi informatori minimamente liberi, tutti voi che  non avete nulla da guadagnare dall’infilarvi tra le rottamande costole di Fassino, o sotto i baffi grevi di stolta spocchia di D’Alema, o nel portaocchiali di pelle di terrorista dell’eurosinistro Bertinocchio, l’Occhettotti di lunga ferma. Vorrei vedere cosa succederebbe se tutti, illuminati anche solo da un coriandolo di logica e di una stella filante di memoria stragista e statoterrorista (11 settembre), urlassero in faccia al delinquente Chalabi, alla spia Sistani, al terrorista Alaui, al moloch Negroponte: siete voi e dovete farla finita perché ora arriviamo a centinaia e pretendiamo – e qui sì che l’esangue Annan potrebbe dare una mano – che ci siano garantite le condizioni di sicurezza, di accesso e di operatività imposte dalle norme, dagli accordi, dalle convenzioni. Altro che tirarci bidoni come le colonne della Croce Rossa, i giochi delle tre carte di Maurizio Scelli e delle due Simoncelle,  i massacri di civili a Nassiryia fatti passare per la calza della Befana. Il re sarebbe nudo. Come sarebbe stato nudo se tutta la squinternata aggregazione sedicente di sinistra, o democratica, o pacifista, avesse raccolto le denunce, le prove, le inchieste sulla massima frode del millennio.Quella della Terra piatta? No, una uguale: quella de 19 dirottatori cavernicoli che dalle grotte dell’Afghanistan decollano, sfondano assolutamente indisturbati l’apparato difensivo più potente del mondo, fanno guadagnare in borsa miliardi ai padroni delle guerre USA, fanno crollare due Torri (che è come se io cadessi a terra sbattendo contro una zanzara) e aprono le porte al programma neonazista per il Nuovo Secolo (PNAC) e per la definitiva sottomissione delle plebi del mondo. Quanto auspicato non accadrà e Negroponte avrà due opzioni: ammazzare la sua prigioniera per la definitiva satanizzazione della guerra di liberazione e la completa identificazione terroristica antiterrorismo Bertinocchio-D’Alema-Polo; o liberarla con blitz alla vigilia del 19 marzo antiguerra e pro-Resistenza e del voto sul rifinanziamento della “missione” in Iraq, per la beatificazione inciucista degli occupanti, ridipinti in azzurro-ONU, e a scorno dei pacifisti veri, quelli non-nonviolenti.

 

19 febbraio contro 19 marzo?

In questo contesto si inserisce l’improvviso tsunami 19 febbraio, la manifestazione chiamata dal Manifesto e sorta dalla sacrosanta necessità di tutti noi di manifestare per la vita e la libertà della collega e compagna e, insieme, per il diritto all’informazione negato, asservito, fatto a pezzi. Ma c’è un ma. Al Social Forum Mondiale di Porto Allegre, nella vera svolta antimperialista e rivoluzionaria impressa dagli eventi (e anche da Hugo Chavez), su suggerimento originario di Mumbay e rilanciato dal movimento antiguerra statunitense, si era fissata al 19 marzo la grande manifestazione mondiale contro la guerra, contro l’occupazione, per il ritiro delle truppe e, finalmente! per il diritto di resistere, formula astutamente velata per dire che siamo al fianco dei partigiani iracheni proprio come, in tempi meno impudichi e vili, eravamo accanto – o insieme- a quelli spagnoli, italiani, jugoslavi, algerini, cubani, vietnamiti, palestinesi (prima di Gennaro – ma che cognome! - Migliore). Uno sgambetto da stendere nella polvere tutti i buonisti con le zanne e il rullo compressore nonviolento che fino allora aveva fornito supporto morale alla clava imperialista che si abbatteva sul popolo iracheno. Una mina tra le gambe dei forchettoni in corsa forsennata verso i buffet governativi con l’accompagnamento dei trombettieri e degli sviolinatori degli interventi umanitari e pacificatori. Uno squarcio di chiarezza nel marasma delle furberie, deformazioni, bugie. Tutti ora marceremo ovviamente per “Liberare la pace”, come chiede il Manifesto – che tutto sommato ha i titoli per farlo -, ma al tempo stesso perpetuando un equivoco micidiale: chiedere la liberazione delle rapite a chi non ce l’ha, con ciò, offrendo ancora una volta tute mimetiche agli occupanti sequestratori che la tengono. E, soprattutto, nessuno, nella corale in saio delle ONG umanitarie, dei sindacati ufficiali, delle Donne in nero che confondono la truffa di Sarajevo con la tragedia di Jenin, delle tavole della pace aparecchiate per D’Alema, del sempre più senile Ingrao (“Se sono stati i terroristi a rapire Giuliana”), degli assopacisti, dei farlocchi ma perniciosi panciafichisti di “tutto l’Iraq è un caos”, di roba che più ambigua non si può come Reporters Sans Frontieres, Peacereporter, Amnesty, Human Rights Watch, di sindaci, assessori, missionari, si periterà anche solo di nominare il diritto alla Resistenza, che dio ce ne guardi! Chè, vogliamo incoraggiare i terroristi? (Da un lato); chè, vogliamo figurare come teneri nei confronti degli islamici e guastarci il festino unionista di governo (dall’altro)?

 

D’accordo, resta il 19 marzo, originariamente fissato con quel preciso obiettivo. Ma cade appena un mese dopo e li senti già gli uffà: ma come abbiamo appena manifestato per la pace, contro la guerra…! E non gli basta aver chiuso in questa tenaglia la tardiva solidarietà con il popolo iracheno che resiste anche in armi. Già sono sbucati sotto la pioggia dei rinvii e dei depistaggi i soliti lombrichi di cui avemmo nauseante percezione al tempo delle nostre manifestazioni – ricordate quanto sabotate! – per la Palestina e per Cuba. Ha iniziato Patrizia Sentinelli, segreteria del PRC, marito del Musacchio europeo, correa di Rutelli nel quinquennale sfascio di Roma, inventandosi su Liberazione una bugiarda priorità che il FSM avrebbe dato a una manifestazione a Bruxelles, nella stessa data, contro l’Europea liberista, tutta, ovviamente, a uso e consumo della già nata focomelica “Sinistra Europea” di Bertinotti e altri arrampicatori a passi felpati sui monti della collera sociale. Gli specialisti di Operazioni Sporche del partito si sono poi infltrati nelle assemblee di movimento per quella scadenza, perorando anch’essi, con argomenti alla pene di segugio, il 19 marzo eurocratico a Bruxelles, fortunatamente, ancora,  contenuti dalle più oneste e corrette componenti a sinistra. Hanno voluto mettere il 19 febbraio contro il 19 marzo. Quando si dice “operazioni sporche”. E questa, sì, compagni, che è una battaglia!

 

Chi è la Resistenza irachena.

Dispiace che dalle grandinate di sostanze intossicanti non si salvino del tutto pur volenterosi  organizzazioni e compagni antimperialisti e correttamente non-noviolenti, quando, per esempio, scrivono con aria saputa che lì, in Iraq, si scontrano classi sociali mimetizzate da sciti, sunniti e curdi, e che, ahinoi, non v’è spazio per componenti popolari socialiste e comuniste. Ah, se fossimo lì noi, le vere avanguardie! Ragazzi, qui si tratta di lotta popolare e nazionale contro invasori e loro ascari! Punto. Inconsciamente si avalla la teoria degli opposti estremismi, tutti ideologicamente inadeguati, poveri disorientati nazionalisti,  infoiati religiosi, filoiraniani, panarabisti (si sa, sono primitivi, non hanno prodotto che un misero Baath),  E poi giù, rimasticando tutte le brodaglie della disinformazione sulle contraddizioni nella resistenza irachena, con le sue posizioni regressive, religiose, saddamiste, baathiste.  Compagni, invocate l’autodeterminazione per il popolo iracheno? Incominciate dai vostri pregiudizi e dagli stereotipi che sembrano avere così facile presa su chi, in fondo, in fondo, attinge ancora all’inveterato vizio colonialista dell’eurocentrismo di sinistra.

Le ultime volte che ero in Iraq, durante un percorso di conoscenza e approfondimento durato 35 anni, nell’autunno del 2002, nell’invasione del 2003, nel novembre successivo, ho sempre intervistato uno che sen’intendeva.. Un combattente palestinese rivoluzionario se c’è n’è uno. Un marxista. Lasciamo stare il nome. Un tempo era il braccio destro del numero due iracheno, Tariq Aziz, poi ha diretto un grande quotidiano arabo, poi era al vertice del partito Baath. Nell’autunno prima dell’aggressione, raccontandomi dell’addestramento  che anche lui, sessantenne, come due milioni di attivisti del Baath, sosteneva ogni fine settimana, mi dettagliò molti particolari di quanto sarebbe poi puntualmente successo: una resistenza  accanita intorno alle città maggiori, affidata preferibilmente ai fedajin di Saddam e alle milizie Baath, allo scopo di dare a esercito, Guardia Repubblicana e forze speciali, il tempo per scomparire in clandestinità e mettere in atto il piano per imporre al nemico il proprio terreno di scontro: la guerriglia. Una guerriglia studiata dagli ufficiali e dirigenti del partito soprattutto in Vietnam. Allo scopo si andavano preparando enormi depositi di armi, comunicazioni di intelligence e logistiche, unità combattenti di centinaia di migliaia di guerriglieri, ognuno dei quali doveva avere il supporto di 10-20 persone mimetizzate nella popolazione civile. Più tardi anche qualche ispettore dell’ONU confermerà. Come Scott Ritter, o giornalisti competenti, come Robert Fisk. I servizi d’informazione, notoriamente efficienti in un paese assediato e tartassato dalle infiltrazioni, avevano steso un rapporto minuzioso di tutti gli abitanti delle città e dei maggiori centri, misurandone il grado di adesione alla lotta contro l’imperialismo-sionismo, in modo che il futuro combattente della liberazione avesse conoscenza precisa dell’ambiente topografico, geografico e sociale nel quale si sarebbe dovuto muovere.  Quelle che oggi, allo scopo di imporvi le stimmate del “folle suicida”, vengono descritte come autobombe di kamikaze, sono in effetti quasi sempre dispositivi esplosivi a volte piazzati in macchine ferme, ma perlopiù da anni sistemati sotto la superficie di canali, acquedotti, linee telefoniche ed elettriche, condotte di irrigazione.

 

A leggere, come capita se non si ignorano i giornali stranieri e la controinformazione in rete, i comunicati e rapporti interni alle forze armate occupanti, si distingue una realtà perfettamente aderente a queste promesse: un numero di perdite degli occupanti sei volte superiore a quanto denunciato, un numero di operazioni di cui i nostri embedded sotto i letti dei loro alberghi ci raccontano un centesimo, percepito come botto dalle loro finestre o dai loro stringers mandati in giro al posto loro; una Falluja di cui gran parte è stata occupata e rioccupata dalla guerriglia; un ininterrotto crescendo di operazioni che, tra l’altro, hanno totalmente paralizzato le esportazioni del petrolio; addirittura una perfetta conoscenza dei sistemi avionici che permettono di tirar giù aerei e elicotteri  come fossero tafani; l’incapacità degli occupanti di venire a capo della fantastica sapienza di coordinamento e intervento, cui si risponde con il rastrellamento di civili a casaccio, che poi vengono sistematicamente torturati dal ministro della Giustizia USA, Alberto Gonzales, per interposta persona, per rivelare ciò che non sanno. E noi? Noi continuiamo a chiederci chi sarà ma questa Resistenza, ci balocchiamo furbetti tra denominazioni di estrazione storica e balle inventate dagli statunitensi e loro corifei, titoliamo “Zarkawi ha colpito”, “Zarkawi ha rivendicato”, ignorando le smentite che vengono da ogni fonte autentica sul territorio, nonché da quelle che sono oggi le uniche rappresentanze politiche, gli ulema associati (ovviamente non ufficialmente investiti, sennò sarebbero cazzi, e già lo sono), circa un Zarkawi qualsiasi e una presenza di Al Qa’ida. Vorremmo noi, figli delle carte da bollo e degli statuti della Sinistra Europea, che si manifestasse un Fronte di Liberazione Iracheno (che c’è e si è annunciato dal primo giorno di occupazione), parlasse da una sua tv satellitare, pubblicasse un suo giornale, ci invitasse alle conferenze stampa, ci facesse fare tour, cocktail e seminari tra le varie anime della guerriglia. Ah, allora sì che la Resistenza irachena ci parlerebbe, vero? Non ci basta che la guerriglia  colpisca a piacimento, perfino il nazi-likudnik Wolfowitz nel suo pigiama, che sappia intervenire, sulla base di una rete di informatori invincibile, contro i più alti ranghi del regime malavitoso e fantoccio. Non ci basta capire che un elemento di disturbo e distorsione come questo fasullo giordano, in quanto fantasma al servizio dell’occupante, verrebbe acchiappato e liquidato in quattro e quattr’otto in un mare dove tutti i pesci si conoscono a lavorano verso la stessa meta.?

Dobbiamo affrontare due verità, che ai  nostri schemini piacciano o no: quelle che resistono all’occupazione sono le forze regolari del governo regolare iracheno, di cui è tuttora presidente legittimo Saddam Hussein. La guerra vera è iniziata il 9 aprile e viene diretta dai quadri superiori dell’esercito e dal partito Baath, cui si sono aggiunti settori non collaborazionisti dell’ex-Partito Comunista, laici, islamici sia sunniti sia sciti, nazionalisti panarabi che fanno riferimento al socialismo nazionalista della decolonizzazione  (e vorreste non essere nazionalisti quando si tratta di liberare la propria terra?). La seconda verità, che a  noi, spesso ottenebrati dalla nostra incapacità di contestualizzare, pare tanto onerosa, è che una tale capacità di resistere, mobilitare e vincere, nonostante gli spaventosi oltraggi subiti e nonostante un rapporto di forze all’apparenza catastrofico, deve pur derivare da qualcosa di importante, di collettivo, di profondo e duraturo: una maturità politica e una coscienza dei propri diritti umani, conquistati e poi rapinati, con la quale una classe dirigente ha saputo rendere giustizia, dignità e autostima a un popolo massacrato dai colonialisti e dall’assedio imperialista e, quindi, renderlo padrone del proprio destino.

 

Certo, per assimilare un dato come questo, che va contro il diluvio biblico con il quale ci hanno ottenebrato la capacità di conoscere e di valutare, tocca studiare un po’ di storia, spulciare in un po’ di archivi, purchè non forniti dalla fumeria d’oppio del sicofante Magdi Allam, o dal salotto gossip dal subalterno Bertinocchio. Sterminio di curdi, armi chimiche ad Halabja, persecuzioni di sciti, bambini kuwaitiani estratti dalle incubatrici, oppositori gettati nel tritacarne, fosse comuni, partite con palloni di ferro per squadre insoddisfacenti e altre trovate di P.R. si riveleranno per quelle che sono: miracoli della madonnina piangente, segreti di Fatima, onestà di Berlusconi. Genuine, come i dissidenti cubani, come la pulizia etnica di Milosevic, come la pedofilia di Ho Ci Min, come la galere di Fidel, come le foibe e, per converso, come il pacifismo della Chiesa Cattolica nei secoli dei secoli. Amen. 

 

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