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                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

Terrorismo nell’occhio nudo nell’occhio di vetro  nello schermo

 Bloody Sunday

 

 

Sono stato discretamente miope durante i miei primi quarant’anni, poi la presbiopia ha gradualmente compensato la miopia e per un po’ non ho dovuto portare occhiali. Li avevo nel 1967, quando battevo sulla Olivetti 22 a bordo di carri armati che schiacciavano uliveti, villaggi, storia e giustizia in quel di Palestina; mi scivolavano sul naso con i caldi umori che colavano dalla foresta tropicale nel Vietnam del Tet, insieme alla seconda arma di distruzione di massa dopo Hiroshima, l’agent orange, la diossina; me li sono ritrovati tra i denti, stortignaccoli e crepati, quando, per schivare raffiche israeliane sulle sponde del Giordano, insieme ai compagni fedayin ci tuffavamo nell’ispido sottobosco di un qualche bananeto; una fucilata partita per sbaglio dal Kalachnikov del guerrigliero eritreo in fila indiana dietro me, alle porte di Asmara in mano a Haile Selassiè, mi portò via una stanghetta, insieme a qualche pelo di basetta.

 

Quella domenica 30 gennaio del 1972, invece. pur essendo ancora tempo di “quattrocchi”, come mi sfottevano i compagni di liceo, io le lenti le avevo perse qualche giorno prima durante il ricorrente evento dell’ agro corner: l’incrocio di strade che, a Derry, Irlanda del Nord, chiudeva la miseria del ghetto cattolico-repubblicano e apriva verso l’ubertosa cittadella unionista-protestante. Agro viene da agrimony, e gli adolescenti del ghetto, disoccupati, incazzati e libertari, sfogavano eufemistiche “acrimonie” tirando pietre, molotov e bombe di chiodi sulla barriera di corpi in uniforme, filo spinato e lastre di minerale nella quale si materializzava un “NO!” britannico quasi millenario. La barriera rispondeva a gas e, a volte, a fucilate. Qualche sedicenne ci rimetteva penne e futuro.

 

Quella domenica, non c’era granchè bisogno di occhiali, pareva. S’era in ventimila, praticamente tutti i ghettizzati, ma anche tutti vittoriosi nella “Libera Comune di Derry” da cui, mesi prima, i boys di Sua Maestà erano stati scacciati a sassate. Ventimila, dagli anni della carrozzella a quella delle stampelle, fitti fitti, un lungo corteo, nero per il vestito della festa, nel segno dello striscione che, davanti a un furgone che suonava We shall overcome, chiedeva “Civil rights!”. Per vedere le pance rinsecchite dalla denutrizione, le facce sbiancate dalla penuria, le casette “a scatola di fiammiferi” dell’apartheid regale, i sorrisi dell’unità in lotta e per contare i passi lungo i due chilometri che dalla collina di Creggan si srotolavano verso l’infimo della Bogside, non servivano lenti. Bastava la pelle, l’anima e l’occhio di vetro degli obiettivi, il nastro del registratore, allora magnetofono.

 

Bastano alla grande anche quando, quasi conclusa, in pace, la marcia sul piazzale davanti alla facciata che ancora oggi, insieme a una mia gigantografia, dice “You are now entering Free Derry”, davanti, sul palco, Bernadette Devlin, la “pasionaria” della riunificazione negata, prende a parlare e, dietro, sulla coda del corteo si avventa mezza dozzina di blindati, il primo battaglione parà salta giù e, chi col ginocchio per terra per puntar meglio, chi a cazzo di cane, come capita, spara nella schiena di una folla travolta dalla sorpresa, prima ancora che dal panico e, poi, dalla furia che solo un irlandese… Forse l’occhio nudo non vede cristallino, ma gli occhi di vetro sì e il nastro perdio se sente. Tanto che a questi arnesi, più che a chi li adopera, gli sparano addosso, nove volte, documentato dalle mie stesse foto e da decine di testimoni, tra i quali chi mi aveva tirato via per il bavero, ma ne ammazzano 14  e altri 16 ne sbranano, mutilandoli peggio che una medaglia al merito sopra il taschino di Michael Jackson. Michael Jackson, allora aiutante di campo del colonnello Wilford, stragista di Derry, ritto sul blindato che urla Thirty is the limit!, fermatevi a trenta. Tanta precisione gli ha meritato il titolo di sir e, oggi, il comando di tutte le forze armate britanniche, specificamente di quelle che ripetono, insieme ai marines, una Derry al giorno in Iraq.

 

Sono l’unico sul campo. Perché uscivo dalla viscere del ghetto, dove mi ero alloggiato. I colleghi dei Grandi Media stavano in hotel, nella cittadella, e la barriera non li aveva fatti passare, vedere, riferire. Sono l’unico e non ci vedo tanto bene. Tanto che sto a mezzo metro dal televisore, giù nei più remoti recessi del ghetto, dure ore dopo, all’ora del tg BBC delle 18 e, mentre dall’immenso lager, ancora libero a costo di quattordici sparati nella schiena a 16-20 anni e a una folla che, nonostante tutto, tutto questo, ha fatto muro, come spire di fumo salgono al cielo lamenti e invettive, sullo schermo appare il generale Ford, capintesta di tutta la marmaglia colonialista in Nord Irlanda: ”Terroristi dell’IRA ci hanno sparato addosso dai tetti dei Rossville Flats, abbiamo dovuto difenderci e rispondere; avremo sparato mezza dozzina di colpi, non ci sono vittime attribuibili all’esercito di Sua Maestà…”  In un sacchetto tenevo un centinaio di bossoli, tutti di carabine Sterling, in dotazione al Primo Battaglione Paracadutisti, raccolti dai ragazzi di Derry sulla scena del massacro. Terroristi non ce n’erano sui tetti. Terroristi erano scesi dai blindati. Terroristi avevano parlato in tv. Diverrà una prassi. Vi si sarebbe attenuto anche Lord Widgery che, un paio di mesi dopo, avrebbe presieduto il tribunale d’inchiesta governativo per servire Sua Maestà. E nessun altro.

Era una notte buia e tempestosa quando, in una macchina sgangherata, Martin McGuinness, oggi ministro per il Sinn Fein nel Nord mezzo vinto, allora diciottenne capo della resistenza, mi sbolognò oltre confine, nella Repubblica, con i miei occhi di vetro, le mie pellicole, i miei nastri magnetici, prima che l’ordine della radio militare – “Fermate quel fotoreporter, con qualsiasi mezzo” - potesse essere eseguito. Poco dopo l’alba arrivai a Dublino, alla radiotv di Stato, ai maggiori giornali. La registrazione della strage e le immagini prese dalla talpa con l’occhio di vetro fecero il giro del mondo in 24 ore e annientarono il terrorismo da schermo. E per tutti fu la “Domenica di Sangue”.

Un quarto di secolo più tardi, l’occhio di vetro continuava a proiettare immagini di terrorismo sulla storia. Piccolo sostegno all’eroica tenacia di un popolo dei ghetti che non si è arreso e che ha costretto Blair a coprire l’infamia con una nuova inchiesta, tuttora in corso. Intanto lui si rifà a Bassora.

 

 

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