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BOMBE E MANIFESTI
23/02/04
Ragazzi, di bombardamenti, per mia sfiga
generazionale e professionale, me ne intendo parecchio. Ne ho avuto
esperienza diretta nella Germania dove le città piene di gente e d’arte
e vuote di militari venivano polverizzate in un botto solo da
cinquecento bombardieri angloamericani; nel Vietnam, dove nessun
ombrello ci riparava dalle milionate di litri di diossina del presidente
adorato da Veltroni, della Grande Democrazia specialista di ADM, guerre
chimiche, nucleari e biologiche, che cancellarono milionate di ettari di
foresta e di esseri viventi e si insediarono permanentemente nei genomi
della gente, con l’effetto di produrre mostriciattoli senz’occhi, o
senza cervello; in Palestina, dove la feccia dell’antisemitismo mondiale
spara missili contro passerotti semiti con kefìah, uccidendo al tempo
stesso l’anima dei migratori semiti con kipa; in Jugoslavia, dove nuovi
nazisti vendicarono quelli vecchi bombardando a tappeto – Massimo D’Alema
col dito rattrappito sul grilletto - 10 milioni di civili, iniziando
con missili sul sacrario dei 7000 ragazzini serbi di Kragujevac fucilati
a rappresaglia di un’azione partigiana; in Iraq, dove due genocidi
bombaroli successivi non hanno piegato il più antico popolo del mondo e
anzi hanno dato la vita alla più grande lotta di liberazione dai tempi
della gloriosa Algeria e del Vietnam inevitabilmente vittorioso (come
tutte le rivoluzioni, basta tentarle per essere vittoriosi, diceva il
Che). Sono scampato a tutte queste gragnuole e, insieme ai palestinesi
in lotta (contro la nuova Gestapo e quelli che ci riprovano con il
colonialismo), ai vietnamiti, ai serbi, agli irlandesi, ai cubani e,
soprattutto, ai tanto bravi e perciò tanto imbarazzanti iracheni. Culo e
amicizia con gli dei. Dei che ci fanno sapere come tutto quello che non
ci ammazza ci faccia più forti.
Ora però, compagni, siamo messi peggio e
scampare diventa difficile. Il bombardamento è diventato ininterrotto,
non ci da tregua, non offre bunker o spazi di pace e di recupero. Sarà
pure virtuale ma, come ci insegna Matrix, è anche peggio.. Arriva da
tutte le parti, sopra, sotto, destra, sinistra, a 360 gradi. E quel che
è peggio, ci viene sia da davanti che da dietro, dalle schiere nemiche,
come da quelle “amiche”, o che tali supponevamo, o che tali si
dichiarano. Le prime le conosciamo da secoli, siamo attrezzati. Bush,
Blair, Berlusconi sono chiari, dichiarati e chiarificatori: il
capitalismo, l’imperialismo, la morte stanno lì, ci sparano in faccia.
Siamo attrezzati e, all’occorrenza, alla faccia dei disarmatori
unilaterali, armati. E’ un’altra B che ci preoccupa oggi, altre le
bombe, quelle che ci arrivano da dove non le aspettavamo.
Non eravamo appena sfuggiti all’incursione
dei B-52 movimentisti? Porto Alegre è la madre di tutti i movimenti e
anatema e morte ai partiti e al partitismo e giù missili caricati a
mobbing contro chi non si adeguava a una “democrazia muncipale e
partecipata” che ci permetteva di litigare sul 12% di un bilancio
pubblico, o sullo 0,02% di una tassa che incentivasse le speculazioni
sui capitali. E tutto era solo movimento e altro mondo possibile, anche
se sparava cazzate su zone rosse e, giocando con scudi, catapulte e
gommapiuma, agevolava ai cannibali i sacrifici umani. E, al tempo
stesso, non eravamo stati cacciati sottoterra dai sibili dei missili
che rompevano la “gabbia dell’Ulivo” e ne stroncavano tutti gli
inquilini? E subito dopo non ci era stato detto che, essendo Berlusconi
peggio di Jack lo Squartatore ( ma non lo era già prima?), la “gabbia
dell’Ulivo” non era affatto distrutta e che l’Ulivo era tutt’altro che
morto e che, anzi, lo si doveva puntellare, ci si doveva arrampicare e
condividerne i frutti. Ma poi non si scatenò all’istante una salva di
granate contro quelli che erano stati i nostri amici più intimi nel
Movimento, i Disobbedienti? Per cazzate romane infinitamente più sceme e
meno gravide di funeste conseguenze di quelle genovesi, furono colpiti
da quella salva non solo i cari, ma un po’ maneschi disobbedienti. Da
quella raffica si sviluppò un bombardamento che si estese, ben oltre i
disobbedienti rinnegati, a colpire la storia intera dell’umanità
incazzata, addirittura l’universo mondo delle lotte di libertà
indebitamente “angelicate”, financo le foibe, fino a farle tracimare di
onesti nazifascisti. Un bombardamento talmente massiccio, prolungato e
nuclearmente definitivo, da far apparire quelli churchilliani di Dresda,
trumaniani di Hiroshima, dalemiani del Kosovo, bushiani dell’Iraq poco
più di un nugolo di frecce di Cavallo Pazzo. Un bombardamento che,
finalmente, andava al fondo di tutte le cose. Era, l’avete capito, il
bombardamento della NON VIOLENZA, quello che ci vorrebbe togliere la
pelle. E il futuro. A noi la pelle e a qualche milione di corpi
sottoterra la dignità. Dignità? Moneta senza corso né legale nè morale
tra i bombardieri virtuali della non violenza. Anche perché palestinesi
e iracheni l’hanno davvero inflazionata.
Ma i bombardamenti rintronano e, a quanto
pare da come restiamo allocchiti, ci rintronano. Senza soluzione di
continuità. Bombardata la “gabbia dell’Ulivo”? Bombardato chi bombardava
la “gabbia dell’Ulivo”. Oggi siamo al bombardamento di chi bombardava
chi bombardava la “gabbia dell’Ulivo”. E dunque al diavolo di nuovo la
gabbia ed eccoci sani e salvi nell’altra alleanza di tutte le sinistre
altre. A loro il triciclo-tris, a noi il carrello da supermarket:
Correntone, Verdi, PdCI e PRC, poker! Ma la federazione delle sinistre
non l’aveva già proposta Cossutta? Ma va, Cossutta, chi è costui? E poi,
a forza di bombe non s’è sentito nulla. Finito il bombardamento? Macchè,
il bombardamento dei non violenti è strutturale, fisiologico, perenne
come le guerre di Bush. Eravamo fino a ieri al bombardamento del PC
francese, partituccolo in estinzione, insieme stalinista e bombarolo in
Jugoslavia, come dicasi anche per quei rimasugli in svaporamento della
Izquierda Unida spagnola e per quei socialdemocratici da Oktoberfest
della PDS tedesca? Ebbene, oggi si bombarda a tappeto chi non afferra la
sensazionale scoperta, oltre a tutto assai rimunerativa sul piano delle
munificenze UE per chi si attiene ai suoi statuti rivoluzionari, del
Partito della Sinistra Europea, la grandiosa, strategica, coalizione del
PRC con le forze nonviolente e bombarole del PCF e di IU, gli innovatori
alla birra della PDS, insieme alle masse in marcia lussemburghesi, due
colonie di rotori eolici scandinavi e una spolveratina di estoni
sanamente antirussi. E, visto che negli arsenali nonviolenti di bombe
c’è sempre una buona riserva, stiano in guardia quei rigurgiti comunisti
che dilagano dalla Russia all’est europeo e, oltre, al Mediterraneo
greco e all’Atlantico portoghese. Ce n’è per tutti.
L’hanno chiamato “Manifesto”, alla faccia
di tutti i manifesti, compreso quello di un secolo e mezzo fa, che se lo
possono mangiare le tarme. E’ come se un pollaio lo chiamassero
Grand Hotel d’Europe. Rubato
il titolo, l’hanno pubblicato su “Liberazione”. L’italiano non sarà
quello di Manzoni, piuttosto sa dell’accanimento persuasivo di una Vanna
Marchi e della mitezza al miele di gelsomino di Liala. Ma non reca
firma. Noi però l’abbiamo intuito subito: qui ci hanno messo mano un
po’i Focolarini, un po’ i Boy Scout e un po’ il Dalai Lama (a cui non
per nulla l’altro giorno s’è intrecciato una delle grandi B della
modernità). Con intervento del solito correttore di bozze Gennaro
Migliore, un uomo che si è conquistato il diritto a dire la sua su ogni
cosa grazie all’intransigente e universalmente nota difesa della
rivoluzione cubana, dei Cincos cubani, ergastolani a Miami per aver
smascherato una campagna terroristica contro il proprio paese, delle
FARC rivoluzionarie colombiane, dei Tanzim palestinesi al cui tanto caro
slogan “Intifada fino alla vittoria” si associa appena sveglio e prima
di coricarsi, di Slobodan Milosevic vittima all’Aja di un tribunale di
sgherri della Cia, dell’eroica resistenza di popolo irachena guidata da
Baath e comunisti; un uomo che più di ogni altro ha saputo respingere
il ricatto dei neonazisti di Sharon quando assaltano con la mannaia
dell’antisemitismo chiunque passa una lacrima a un martire palestinese;
un uomo che sa bollare di “terrorista” chi se lo merita, quando liquida,
per esempio, sulla scia di una perversa seppure vincente tradizione,
traditori e collaborazionisti, ma da del “compagno” a chi, come il PC
iracheno, aiuta gli USA e gli agenti Cia indigeni a portare pace,
ricostruzione e democrazia. Un uomo, insomma, che rende onore al suo
nome. Pare che anche Padre Zanotelli sia stato chiamato a mettere mano
al testo. I boy scout ci stavano, ma Migliore e i Focolarini si sono
opposti: troppo esuberante, quasi smanierato.
Una cosa va riconosciuta subito. Il
“manifesto” è davvero nuovo. E se qualche ottuso non se ne rendesse
conto, bastano quei “nuovo” e “nuova” che vengono ripetuti volte come i
grani del rosario, fino ad assurgere a valore assoluto ontologico ed
epistemiologico e da rendere inutile ogni aggiunta che ne determini
contenuto e senso. Il concetto viene poi ribadito da un autentico
bombardamento – restiamo sempre in tema – di termini autenticamente
catartici: “trasformazione”(dell’attuale società capitalista),
“cambiamento” ovviamente “radicale” che sviluppi “alternative” per la
necessaria “trasformazione”, “alternative” naturalmente “solidali”,
politiche di “alternativa”, obiettivo “universalista”, “altra”
globalizzazione, conflitto per il “cambiamento”, politica di
“trasformazione”, carattere “originale” del modello sociale, sinistra
che vuole “cambiare” questo mondo, sinistra “alternativa”, “nuova”
forza politica, “nuovo” rapporto tra politica e società, “un’altra”
Europa, “altri” valori e contenuti”, “alternativa” al capitalismo, per
la “trasformazione” sociale, “nuovo” soggetto politico, in termini
“nuovi” le questioni, profonda “trasformazione” sociale e democratica,
“modificare” il dogma della libera economia di mercato, “altre”
politiche sociali ed economiche”, le priorità devono essere “cambiate”,
forze politiche della “trasformazione” sociale, “nuovi” diritti dei
lavoratori, “allargamento” della democrazia, “nuovi” lavori, “nuovo”
spazio politico, “nuova” società.
Vi sembra un po’ ripetitivo? Ma tutte le
nenie che vogliano addormentare hanno i ritornelli e, come dicevano gli
antichi, “repetita juvant” e a forza di “nuovo”, “altro”,
“trasformazione”, “modifica”, “cambiamento” ci si sente già tutti
rinnovati, senza dover praticare la vecchia abitudine di soffermarsi sul
cosa e sul come. Nuovo come? Altro come? Trasformazione in cosa?
Cambiamento quale? Modificare verso dove? Non stiamo lì a sfrucugliare.
Hic et nunc si vola assai
più alto delle vecchie materialità contingenti come “socialismo”,
rivoluzione, comunismo (figurarsi!), lotta di classe, proprietà privata,
mezzi di produzione e controllo dei lavoratori, classi contrapposte da
superare. Qui si parla di “umanità”. Qui si recide ogni radice e ci si
lancia verso i radiosi orizzonti New Age della scoperta del mio nel tuo
e del mio-tuo nell’umanità tutta, Bush, Wolfowitz e Tanzi compresi.
Siamo “alternativi, radicali, femministi, ambientalisti”. Qui c’è
qualcos’altro di stupendamente umano: non si capisce che differenza ci
sia tra questo manifesto e quello del nuovo partito europeo dei 32
frammentini verdi nascosti tra Pirenei e Pomerania, pendolari tra il
sole che ride e la pioggia benefica delle elargizioni di una UE
capitalista, neoliberista e militarista. Sono meravigliosamente e
nonviolentemente intercambiabili e indicano un’omologazione che la fa
finita con le ideologie e consacra l’universale impegno per “l’umanità”
(detta da altri anche “moltitudini”). Migliore Gennaro, in particolare,
si è complimentato con Cohn Bendit quando, meglio ancora di lui, ha
saputo costruire i pilastri del comune programma strategico: ”Una
politica di pace e diritti in Europa e nel mondo (con l’eccezione dei
serbi che, per il quintetto Sofri-Cohn Bendit-Langer-Fischer-D’Alema,
sono davvero di troppo) che dica no alla Cina che ammazza i dissidenti,
alla Russia che massacra i ceceni”.
Qui non si scherza e si affrontano in
termini “nuovi” la “globalizzazione, la pace, la democrazia, la
giustizia sociale, l’uguaglianza di genere, lo sviluppo bilanciato e
sostenibile, il rispetto delle specificità culturali, religiose,
ideologiche (però non scassateci la minchia con Cuba, o col Baath),
delle persone disabili e dell’orientamento sessuale”. Si ha la dolce
sensazione di uscire da un ovattato centro di bellezza, con solarium e
chirurgia estetica. E’ tempo di lifting. E se il risultato non vi piace,
prendetevela con voi stessi. Non avete forse discusso accanitamente e a
lungo la bozza del “manifesto” in tutte le sedi del partito, non siete
stati invitati a fare attivi, seminari, dibattiti, dai circoli ai
comitati nazionali? Non avete sezionato e passato al microscopio ogni
bozza di manifesto? Ah no? Eravate distratti, oppure stavate facendo
lavoro politico alla vecchia maniera, in fabbrica, nei call center,
nelle scuole e nelle cascine? Vuol dire che il capo ha pensato,
vagliato, deciso per voi, come il buon padre di famiglia di Mons. Tonini.
O come il “presidente operaio, allenatore, muratore, picciotto e anche
papà”. A voi è rimasto tutto il tempo e l’agio per discettare della
suicida e anche un po’ mascalzona violenza dei diseredati e malmenati e
dell’angelica non violenza delle “nuove soggettività” partecipative
(della violenza di padroni e generali non mette conto parlare, non
vogliamo averci niente a che fare, altrimenti ci contamina). Non
violenza che, alla luce dei bagliori iracheni, delle pulizie etniche in
Palestina, delle alluvioni d’uranio nei Balcani, dello sfoltimento
demografico e rinfoltimento oppiaceo in Afganistan, del riarmo
legislativo degli strumenti di repressione, è ovviamente cosa
prioritaria e che s’impone con urgenza e valenza assolute.
Insomma, rassereniamoci. Il manifesto del
Partito della Sinistra Europea ha tutte le qualità per piacere a tutti.
Non rompe niente, non fa male a nessuno, semmai prova ad aggiustare. Chi
è che non vorrebbe una “società più giusta” (dopo aver rabbrividito anni
fa all’idea di una società di schifo rivoltata come un calzino)? Chi si
opporrebbe mai all’”emancipazione umana”, alla”liberazione delle donne e
degli uomini”? Chi non si farebbe avvolgere volentieri nella “spirale
guerra-terrorismo” che tante ragioni etiche e ideologiche conferisce a
un Occidente, magari un po’ esagerato nel rinchiudere a Guantanamo e in
Auschwitz palestinesi postmoderne razze e società inferiori e, ohibò,
poco democratiche o addirittura violente, ma che ci toglie il sospetto,
tanto orripilante quanto forsennato, che la spirale non sia una spirale,
ma un ping pong con lo stesso giocatore da entrambe le parti del tavolo.
E chi mai si rifiuterebbe allo “sviluppo di alternative solidali,
democratiche, sociali ed ecologiche? E chi sarebbe così insensato da
opporsi a un “nuovo rapporto tra politica e società”. Pare che anche
Mastella abbia voluto inserire nel programma del suo nuovo partito,
ovviamente europeo, un brano esemplare e assolutamente originale
estratto dal manifesto: “Lavoriamo ad altre politiche sociali ed
economiche con priorità sociali in favore della piena occupazione e
della formazione, dei servizi pubblici e per una politica ambiziosa di
investimenti e per l’ambiente”. E a Berlusconi l’enigma di genere Bondi
ha dovuto strappare la penna di mano perché non sottoscrivesse con
entusiastico svolazzo il lapidario proclama. Mentre si riferisce dal
Vaticano che Woityla si sarebbe commosso fino alle lacrime (lui che per
la vecchia bizzarria della lotta di classe si era adombrato assai più
che sulla guerra alla Jugoslavia) di fronte all’impegno che “le priorità
devono essere cambiate in favore dell’umanità, non del profitto”. Perdio!
E, infine, da tutta Europa sorrisi benevoli e applausi convinti sono
piovuti sui nuovi sinistri europei allorché (sibilando “pussa via!” ai
comunisti dell’est e dell’ovest) hanno promesso che “la sinistra europea
è pronta a cooperare con tutte le forze democratiche di questi paesi in
favore della democrazia, della pace e della giustizia sociale… in un
contesto di costante rafforzamento della pace, della democrazia e della
giustizia sociale”. E non fate caso se questa tiritera si prolunga per
due paginoni, potendosi dire le stesse cose in due paragrafi. Tanti di
noi hanno la testa dura e se il chiodo non lo martelli e rimartelli, o,
più adeguatamente, se non bombardi e ribombardi, il buco nel cervello
rischi di non farlo.
Amici, il cento volte “nuovo” ha prodotto
un manifesto tanto tenero e ammiccante che a definirlo, come si sarebbe
tentati, socialdemocratico, si farebbe torto perfino a Intini. Insieme
al sanguinoso e sanguinario Novecento e a quella marcia di liberazione
di qualche miliardo di uomini/donne, fattisi strada a forza di ineducati
schiaffoni, abbiamo seppellito prima Lenin, poi Marx ed Engels, il cui
Manifesto si nasconda nelle bancarelle dell’usato e lasci le vetrine
europee al vero “nuovo” e “universale” manifesto del Partito della
Sinistra Europea, caro a tutti e al contrario di tutti. Pensate allora
che sia venuto il turno dei Kautsky e dei Bernstein? Errore:
nell’immondezzaio della storia anche loro. Kautsky e Bernstein si
illudevano di essere socialdemocratici, tanto che oggi si rivoltano
nella tomba alla constatazione di quanto, di fronte alla vera
socialdemocrazia movimentista, disobbediente, partitista ed
antipartitista, solidale e cooperatrice, cristianamente e
buddisticamente non violenta, fossero stati estremisti e sovversivi.
C’era un ex-comunista di rango, tale
Massimo Boffa, oggi a “Panorama” (e dove se no?), che l’altra sera nel
kibbutz “L’Infedele” di Gad Lerner proclamava: “La rivoluzione è la
cosa più orribile che possa succedere. Per fortuna oggi negli USA
governa un gruppo idealistico che punta a diffondere democrazia e
diritti umani. La guerra all’Iraq e all’Afganistan sono state guerre
idealistiche”. E subito tutto il coro stabile del kibbutz infedele a
chiedersi angosciato, grondando aneliti bianchi, biblici e cristiani che
neanche Isabella la Cattolica, Hernan Cortez, Torquemada, Filippo il
Bello, o Ben Gurion: “Cosa possiamo fare per aiutare l’Iraq e l’Iran ad
avere democrazia e diritti umani”? E così che, forse, nei secoli scorsi
si arrovellavano in Vaticano, a Londra, Madrid, Parigi, Berlino, Roma su
come portare Gesù e la civiltà tra gli indigeni, dalla Cina al Cile,
dall’Etiopia all’Algeria, dai pellerossa alle tribù swahili, da Lepanto
a Gerusalemme, dal Vietnam a Cuba. Ma la risposta ce l’ha “Liberazione”,
con i suoi direttori d’ordinanza (ah, che bricconcello quel Furio
Colombo de “L’Unità” che fa il giornalista e strepita contro i militari
in Iraq mentre il suo editore li perpetua!)e la spara ogni giorno a
piena pagina: “Onu garante di libertà, democrazia e sicurezza”. Proprio
come in Somalia, Bosnia, Kosovo, Afganistan, e durante 13 anni di
embargo e un milione e mezzo di suoi morti in Iraq. Del resto pare
brutto che a svendere, snaturare, privatizzare, balcanizzare l’Iraq
siano gli angloamericani e loro vivandieri/e e baldracchi/e. E se gli
iracheni la loro gratitudine all’ONU l’hanno voluta esprimere
direttamente a Viera de Mello, vice di Kofi Annan, vuol dire che bisogna
insistere. Apprezzeranno ancora.
Beh, parti del Partito della Sinistra
Europea sulla guerra idealistica a Iraq e Afganistan qualche riserva ce
l’hanno. Ma sul resto ci siamo: democrazia e diritti umani ueber alles.
L’ha insegnato Paolo di Tarso, ma l’ha rivisitato Goebbels: tattica
vincente è oscurare i fatti con le parole.
Tra tutti coloro che festeggiano e
celebrano e consentono e applaudono resta fuori un bastian contrario.
Eppure hanno proclamato la fine del Novecento, della rivoluzione, del
socialismo e della lotta di classe proprio in suo nome, con tanto di
cerimonietta alla lapide. Non t’incazzare Rosa Luxemburg, lo sai che le
donne finiscono sempre col venir manipolate, a volte anche da femministe
e femministi. E ricorda: tutto quello che non ti ammazza, ti fa più
forte. Vale anche per i ricordi.
P.S. Chi volesse saperne di più e di
meglio sul PSE (che non è il partito socialista spagnolo e neanche
quello europeo, ma quasi) si legga l’egregio e esauriente saggio di
Fausto Sorini (in rete e su “L’Ernesto”, dove io invece parlo di quegli
inveterati e arcaici rivoluzionari del Venezuela bolivariano).
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