MONDOCANEarchivio

                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

CANDI(DA)TI

UNA CORNACCHIA CHIAMATA AQUILA

PATACCA ISRAELIANA E SUOI TROMBETTIERI

 

 

25/03/2004

 

 

 

“Liberazione” è il tabloid di Rifondazione Comunista che titola creativamente Quatar”,  o Al Queda (intendendo un paese del Golfo Persico e  un’organizzazione terroristica affiliata alle case madri Cia e Mossad); è il giornale che il 23 marzo pubblica rimproveri equipollenti del responsabile esteri Gennaro Migliore (i genitori, vistolo crescere, hanno disperatamente cercato di scusarsi con il mondo per il cognome) contro il governo Likud  “che fa la guerra” e contro Hamas “che fa il terrorismo” (notare la differenza a sfavore di Hamas), equidistanza applaudita magicamente già nello stesso numero del giornale dalla letterina di un lettore dotato di preveggenza. E’ il foglio che il 24 marzo, V° anniversario dell’aggressione clintonian-dalemista alla Jugoslavia, non ha saputo infilare neanche nei titoli di coda (di paglia?) una menzioncina dell’inizio del massacro dei serbi e della guerra preventiva e permanente USA (in compenso è stato capace, insieme a giornalisti indipendenti come Carlo Rossella, Gad Lerner e Giuliano Ferrara, di ribadire, cinque giorni dopo una caterva di smentite ufficiali, che “ragazzini albanesi erano annegati nell’Ibar perché inseguiti da bambini serbi con cane”!). E’ il quotidiano che, con la nonviolentissima Rina Gagliardi, aveva fatto al bombardiere D’Alema un’”intervista” che ricordava i teneri preliminari di un accoppiamento (D’Alema è quello con la puzza al naso che non si accorge che è la sua). E’ anche il “giornale comunista”che pensa di pararsi il culo rispetto all’oggettivo collateralismo con l’imperialismo, offerto dalla “spirale guerra-terrorismo islamico”, lasciando che lettori meno “scomodi” del compagno direttore, definitosi tale in un giorno di vino buono, si chiedano se non è il caso di guardare alle bombe di Madrid riandando alle mille bombe di Stato del passato, o se non sia il caso di chiedere a Rifondazione se, “tra le sue prossime scelte politiche non abbia anche quella di governare con chi ha preso i soldi da Tanzi” (Secondo “Libero”, Massimo-la bomba-D’Alema, Minniti, Castagnetti). Domanda ingenua, quest’ultima, dato che Piero-la criptodestra-Fassino, insignito anche lui da Rina-tappetorosso-Gagliardi di orgasmatica “intervista”, è quello sposo, per ora morganatico ma domani governativo, che, all’atto del fidanzamento con Bertinotti, disseppellì Enrico-meglio la Nato-Berlinguer per intimargli che onesto è uguale cretino e resuscitò Bettino-rubiamo!-Craxi perché ribadisse che “moderno” è uguale a brigante di passo (ricordate “Ghino di Tacco”?). E a proposito di “comunista”, termine identitario nella testata del giornale come anche, con ostinata ripetitività, nel progetto di Bertinotti, sommessamente esprimo l’idea che dare del comunista a queste cose è come dare dell’aquila a una cornacchia.

 

Bene in questo versatile giornale del futuro partito europeo ecologista, nonviolento, progressista, democratico, femminista e, perché no, gay e antisessista, abbiamo or ora letto il resoconto di come, nella Direzione Nazionale del partito, Bertinotti-Zeus abbia ricevuto dalla ninfa Amaltea (ha, il segretario, notoriamente una Delta Force di ninfe)la cornucopia da cui far piovere sui sudditi della novella sovrana UE fiori e frutti, simboli di abbondanza, fertilità e felicità. Era la sessione dedicata alla scelta (?) dei candidati per il prossimo europarlamento. E qui c’è poco da fare gli spiritosi: la scelta di Zeus è, per definizione, divina. Per cui prendere o lasciare. E’ vero che di questo Olimpo moderno, a giudicare dai voti il padre degli dei non governa che poco più della metà e, a sentire di questi eurotempi i circoli cui vado infliggendo i miei dibattiti, libri e documentari video, di credenti tra i comuni mortali (leggi: iscritti) parrebbe affascinarne anche meno della metà. Ma che cosa si pretende da un segretario che coraggiosamente si proclama “non di sintesi”, ma di parte e che, coerentemente, ha l’accortezza di non turbare la pace di un partito felicemente passivizzato escludendo una volta di più dalla rose della sua cornucopia qualsiasi fiore di parti altre, potenziale elemento di turbamento di un’olimpica gerarchia che per le minoranze, quartinternazionaliste, ferrandiane o dell’Ernesto, non prevede ruoli da comprimari. Sennò il coro in commedia chi lo fa? Dolci canditi hanno da essere i candidati, non incongrui grani di sale e pepe, se di dolce e non violenta colomba pasquale si tratta di cucinare la sfoglia.

 

Avendo avuto in sorte di conoscerli tutti, i quattro candi(da)ti, non posso che essere pervaso da ammirazione per la sagacia del fornaio: Fausto Bertinotti lui medesimo, e non si discute, Vittorio Agnoletto, Luisa Morgantini, Roberto Musacchio. Non dobbiamo metterci al passo con i tempi moderni e, dunque, decomunistizzare? E allora, chi meglio dei quattro cavalieri della catarsi ecologista, femminista, non violenta, eccetera? Si diceva che tutto questo difettava di pluralismo democratico? Ma come: un dio, un uomo, una donna, un musacchio, cosa si può chiedere di più vario? Che cento fiori fioriscano.

 

Lasciatemi andare ai ricordi.Dei miei altalenanti trascorsi con Fausto parlo già nel libro “Mondocane – serbi, bassotti, Saddam e Bertinotti”, di cui ovviamente tutti avete contezza. Inutile ripetersi. Con Luisa Morgantini ho percorso il Medio Oriente in lungo e in largo. Non c’è capogita migliore di Luisa, giuro. Conosce tutti e anche di più e ti porta dappertutto e anche di più. Donna in nero archetipo, infila ovunque, tra mazzate ai manifestanti internazionali, missili terminator israeliani e pietre palestinesi, vergini di ferro turche e kurdi senza lingua, bombe Nato e incubatrici serbe spente, la sua turbinosa veste nera e l’imperativo slogan : “Al dialogo!”. In tutta evidenza nessuno le da retta, è naturale, ma intanto il mondo dell’utopia “volemose bene”, detto anche del “Disarmo unilaterale”, si sente soddisfatto e ben rappresentato. Oggi basta dichiararsi non proprio disgustati dalla resistenza irachena e palestinese per finire sulle liste di Ros e Digos per la prossima retata. Ma state tranquilli, alla Morgantini nessuno torcerà mai un capello. Sarà tra noi sempre. Tale è il suo culto della pace e talmente supportato dalla forza travolgente di un ego che espande a dimensioni sovrumane le sue dimensioni corporee, che basta che un marine dica buongiorno a un iracheno e Luisa celebra il dialogo. E sta come torre ferma che non crolla, giammai la cima per soffiar di venti. Prendete Ginevra. Un accordo tra due esponenti di un ceto politico che non rappresentano niente e nessuno, respinto come truffaldino (niente ritorno dei profughi, niente confini certi, niente ritiro dei coloni, niente mezzi di difesa dei piccoli, anzi presidi militari dei grossi in mezzo a loro) da tutto il popolo palestinese. Ma “un accordo”! E sugli accordi Luisa, granitica vindice della  pace senza se e senza ma, non ci fa piovere. Mi sovviene di Beid Sahour, villaggio non lontano da Betlemme. Marciammo in tanti nonviolenti e buonistissimi, con le bandiere di un popolo e dell’altro. Giungemmo alle barriere di una postazione israeliana sul colle e ci fermammo sul filo spinato. Sventolando l’ennesimo internazionale“appello al dialogo”, Luisa s’inerpicò a passo di marcia sul colle, nera e svolazzante. Arrivò a venti passi da un gruppo di fucilatori israeliani con l’arma in mano. Poi l ‘arma l’abbassarono, tramortiti dall’impeto e dal falsetto tonante di Luisa. Ma subito la risollevarono e la puntarono. Non sulla Morgantini. Su di me che ero salito sulla torretta di guardia della base a baciare la bandiera palestinese che un ragazzo aveva issato. Roba maschilista, militarista e nazionalista, commentò più tardi Imma Barbarossa, capo della Delta Force femminile di Bertinotti. Luisa ridiscese mortificata il clivo. Le avevamo rovinato il dialogo.  Lungo il ritorno visitammo alcune case sventrate dalle cannonate di quei partner del dialogo perduto. Ma Luisa farebbe dialogare perfino i morti di Hiroshima con “Gilda” (non si chiamava così quell’atomica?). Ha fatto una sola eccezione Luisa, e ancora 10 milioni di serbi più uno di profughi si chiedono perché. Allestì a Podgorica, in chiusura dell’uccisione della Jugoslavia, un seminario su gente con cui non si dialoga: Slobodan Milosevic e “il fascismo serbo”. Non quello di Tudjman e ustascià, Izetbegovic e tagliagole Al Qaida, Hashim Taci e UCK, Clinton e Wesley Clark. Serbo. Una non violenza paragonabile a quella delle verità di Goebbels. I serbi non se la sono dimenticata: troppo facile bastonare il cane morente. Ma l’eccezione conferma la regola. O no? Fu del resto memorabile tutta l’azione delle sinistre (per Bertinotti ce ne sono due, a me pare che siamo molto disinvolti già a dichiararne una)in occasione del conflitto balcanico. Madeleine Albright, democratica e, soprattutto, donna, che tiene bordone e bordello al delinquente Hashim Thaci. Il Papa pacifista della liberazione polacca  (avete forse sentito uno dei suoi borborigmi sui recenti massacri di serbi e incendi di chiese cristiane in Kosovo?) che si alternava con Marco Panella nell’incitamento  dell’ustashame croato al genocidio. Il Consorzio Italiano di Solidarietà, ICS, di Giulio Marcon, che tiene barche di volontari in Kosovo e neanche uno tra il milione di profughi rom e serbi in Serbia (stanno con Milosevic, diocenescampi!). Il  noto Ramon Mantovani, predecessore agli esteri di RC del Migliore, così detto, che, dal tè delle cinque con secessionisti croati, bosniaci e albanesi grondanti sangue serbo, con nel taschino un biglietto-omaggio per il D’Alema-Show, sparava puttanate contro il “nazionalismo” serbo, il “privatizzatore” Milosevic, la “pulizia etnica” degli schipetari e prometteva catene e roghi a quei compagni che osassero far partecipare alle proprie manifestazioni contro la guerra le comunità – ovviamente compromettenti -  di immigrati serbi in Italia. Per finire con quel compare di merende di Mantovani e Co., Luca Casarini, che alla marcia di Aviano contro la Nato fece strappare le bandiere jugoslave e picchiare coloro che le portavano. Baratri etico-politici del nostro tempo.

 

Roberto Musacchio, responsabile ambiente del partito e, soprattutto, compagno della segretaria Patrizia Sentinelli, con-giunta di Francesco-cicciobello-Rutelli e delle sue ineguagliabili opere ambientali in tempi di Giubileo. Un biondoricciuto putto di Benozzo Bozzoli, se visto da dietro, un prestante giovanotto che si muove sempre un po’ curvo e come su pattine, educato e deferente nei corridoi della direzione nazionale, se visto di fronte. Uno che, tutto solo, innerva il termine “ecologista” del  nuovo partito eurosinistro. Resta memorabile il coraggioso plauso con cui, abnegandosi per l’ambiente e gli animali, mimetizzò la sua mortificazione all’annuncio che un operaio bravo, ma che non aveva mai frequentato Ermete Realacci, era stato da Bertinotti sostituito come candidato alle ultime politiche dal collaudato ambientalista Livio Togni che, per tutta una vita da domatore, si era esercitato ecologicamente spezzando le intemperanze selvatiche di tigri, elefanti, cani e orsi. Di Togni in Senato, dopo un’ovazione da lui tributata a Berlusconi e un  voto con la maggioranza per mandare i nostri ragazzi armati in Afghanistan, si persero le tracce, fino a quando si riscattò con un disegnino di legge ecologico che offriva al  plurinquisito Ente Circhi un sovrappiù di finanziamenti per nuove imprese animaliste. Comunque, auguri per Strasburgo, Roberto. Cohn Bendit è già lì che t’aspetta.

 

Con Vittorio Agnoletto ho qualche difficoltà. Sicuro decomunistizzatore anche lui, emana però un’aria di persona perbene e sincera. Come me è stato picchiato da israeliani, il che me lo fa vicino. Nel movimento dei movimenti non ne vedo di migliori e mi piace riandare a una  lunga notte trascorsa insieme, in grande sintonia. I Disobbedienti di Casarini avevano da poco rumorosamente rubato la scena al movimento contro l’imperialismo e contro la guerra, a Genova e altrove, e Vittorio non aveva gradito. Non credo per motivi di competitività personale, l’uomo mi pare cristallino e onestamente appassionato al suo impegno. Quella nostra lunga notte fu spesa a parlare di Casarini, Giovani Comunisti (organizzazione giovanile omologa del partito) e Bertinotti. La riassumo. Fummo subito d’accordo nel manifestare robuste perplessità sul leader veneziano dei Disobbedienti, con Agnoletto che non si faceva capace come colui che della difesa degli immigrati avesse fatto il cuore della sua battaglia politica, assaltando un CPT dopo l’altro, durante il regime dell’Ulivo prendesse un cospicuo stipendio mensile dalla ministra che, con la sua legge Turco-Napolitano, agli immigrati aveva allestito le prime sbarre e lubrificato la scivolata verso il perfezionamento della Bossi-Fini. Eteregonesi dei fini. O dei mezzi? A mia volta espressi riserve altrettanto veementi sul Casarini che, in piena aggressione Nato alla Jugoslavia, si recò a Belgrado per stringere affettuosa e operativa amicizia politica e radiofonica con l’organizzazione anti-jugoslava Otpor, e la sua Radio B-92 (filiale della radio Cia “Liberty”), poi autrice- confessa – su istruzioni e con soldi Cia –confessati – del colpo di Stato che secondo “Liberazione” fece ridere Belgrado, secondo “Il Manifesto” costituì una rivoluzione democratica e secondo i serbi uccise la sovranità di un grande paese e lo vendette ai cravattari di qua e di là dell’Atlantico. Erano i tempi in cui i leader dei Giovani Comunisti si facevano passare per Disobbedienti, nei Social Forum e nel le interviste negavano vergognosi la loro precedente identità, rappresentavano l’anello di congiunzione tra un segretario di partito ex-sindacalista moderato, ex-socialista, ex-diessino, quindi che più istituzionale non si può, è la Cosa ufficialmente più antipartito (anche se Casarini per un po’ di partiti c’era transitato) e antiistituzionale presente su piazza. Si chiedeva, un Agnoletto sbigottito: ”Ma come, i giovani sono tutto l’avvenire di un partito e ora Bertinotti prende e regala i suoi giovani a questa gente?” E anche qui, il buon Vittorio non si faceva capace. Tanto buono, Vittorio peraltro, da farsene una ragione ed eccolo qua, candidato per RC all’Europarlamento, addirittura subito dopo il numerassimo uno, Bertinotti. Bah, le vie di Vittorio sono infinite e, comunque, io sono sicuro che a Strasburgo farà onore a sé  e meglio di tutti gli altri.

 

Come si vede, delle “anime” diverse, delle “sensibilità” altre rispetto alla sparutissima maggioranza, cioè di un quasi 50% del partito tra i candidati non c’è ombra. Come suol dirsi: non c’è trippa per gatti. Un momento, un gatto c’è. E  pure lui a me molto famigliare. Non tra i capilista, un po’ dopo, dunque non tanto per eleggerlo, quanto per decorarlo. E’ un quartinternazionalista ex-post è, dunque, un rivoluzionario per antonomasia e, come ci insegnano i protagonisti storici di questa scuola, acrobaticamente al tempo stesso un eccellente entrista. Perciò è uno che simboleggia come nessuno l’informazione alternativa, l’inchiesta veritiera, l’autonomia di giudizio rispetto all’informazione addomesticata dal potere, il coraggio e la deontologia del vero giornalista. Si chiama Salvatore (ha nel nome la stessa aporia che Migliore ha nel cognome, ma non è colpa sua) Cannavò. Fa il vicedirettore sotto (?) il “compagno scomodo” Sandro Curzi. Anche di questo Cannavò ho esperienza personale e diretta. Inaugurai la mia collaborazione a “Liberazione” con i reportage dalla Jugoslavia sotto schiaffo all’uranio. Avevo da poco lasciato il TG3 ed ero ancora soffuso di radiosa – per quanto idiota – popolarità televisiva e Cannavò, pur friggendo come una batteria di uova al tegamino, mi dovette lasciar fare: riferivo cose che facevano inorridire lui quanto Giuliano Ferrara: Milosevic NON era un dittatore, la pulizia etnica era fatta dagli altri e non dai serbi, il nazionalismo stava di casa a Zagabria, Sarajevo e Pristina e non a Belgrado, gli operai serbi erano più protetti di qualsiasi altro operaio europeo, rom e albanesi del Kosovo si rifugiavano in Serbia per sfuggire ai tagliagole dell’UCK per i quali il Nostro e l’intero quartinternazionalismo avevano vaticinato l’autodeterminazione. Pian piano l’aureola televisiva si affievolì, le uova furono buttate e Cannavò potè tornare ad agitare la clava dell’antiserbismo e dell’antigrimaldismo. Ero a Belgrado durante le fatidiche giornate dell’ottobre 2001, quello della “sollevazione dei giovani democratici serbi contro Milosevic” e, obnubilato da strabismo antimperialista, presi per buone le dichiarazioni fattami dagli stessi leader di Otpor di essere pagati, addestrati e motivati dalla Cia, in vista di una Jugoslavia spezzettata e di un protettorato Nato antioperaio e privatista su tutti i suoi pezzetti. Non fosse stato per Cannavò, che buttò nel cestino tutte le mie corrispondenze dettate tra le fiamme dei vari pogrom e, attingendo invece alle più affidabili e sobrie Ansa e CNN, scrisse appunto di Belgrado che rideva nell’aurora della rivoluzione democratica, che barbina figura avrei fatto con i miei lettori! La chitarra elettrica del corista Cannavò, con la spina infilata in una presa dell’ufficio del segretario nazionale, sovrastò ancora per qualche tempo la mia chitarra acustica e senza spina fino a quando, insistendo io a suonare le ballate della carneficina irachena  e, ohibò, dei partigiani irriducibili di quel paese e di Cuba, la spense del tutto, lasciando che Curzi-Gagliardi la promuovessero in discarica.

 

La lista dei candi(da)ti non finisce qui. Ci sono le salmerie. Salmerie, ma altrettanto di rango. E’ vero Antonio Tabucchi, grande intellettuale, scrittore numero uno di questo paese, fustigatore dei capitalisti, limpidamente di sinistra non ha scelto la “sinistra alternativa” di Bertinotti e Musacchio. E’ andato a fare il candidato tra quegli stalinisti non-nonviolenti del “Bloque de Izquierda” portoghese, quelli che al partito europeo femminista, ecologista, eccetera hanno fatto marameo. Cavoli suoi. C’è suor Adriana Zarri, teologa spigolatrice, Marco Caldiroli, medico democratico, Lidia Menapace, della Delta Force femminile di Zeus, Nunzio D’Erme, lanciatore casariniano di escrementi, Renzo Maffei, non-violento ONUista dell’Arci… foglioline di lattuga attorno ai gamberoni. C’è anche un amico: Raniero La Valle. Raniero è diverso, ancor più di Agnoletto. Non si fa prendere per il culo dall’imperialismo. Me lo fa caro il ricordo di un viaggio in Jugoslavia sotto le bombe, bianco, tranquillo, sorridente e fresco come una camelia anche quando facemmo da bersaglio a ben tre missili Nato a Kragujevac. Non se la tira, La Valle, eppure la sa più lunga di tutti quelli che si ritrovano tra queste righe. Sarà non violento, ma ho la sensazione che se si trovasse accanto a un ragazzo pestato dalla Celere di Canterini, non gli impedirebbe affatto di rispondere come biologia comanda. 

 

Non sono iscritti a RC tutti questi, ma cionondimeno non sono comunisti. Fra un po’ a noialtri che ci eravamo iscritti a quello che pensavamo un Partito Comunista come il nome farebbe supporre, ci affiancheranno al fischio di Zeus le greggi degli iscritti al solo Partito della Sinistra Europea. Gente che del fatto che l’aquila sia in effetti una cornacchia non gliene potrebbe fregare di meno. Anzi.  Sono quelli che guardano al Continente, ma come insegnano Negri, Revelli, Sullo (un grillo parlante su “Carta”), Sentinelli, Smeriglio, Marcos e anche il non-tanto-non-violento Casarini, vedono soltanto il municipio. E da lì ricostruiranno lo Stato. Alla maniera dei leghisti, dal basso. Chiaramente con il consenso della P2, dell’Opus Dei, dei washingtoniani di ogni denominazione (divide et impera) e di Sharon. Esseri umani anche loro, basta dialogarci. Ci guarderemo stupiti, ci parleremo senza capirci, a noialtri parrà di sentire cose del buon tempo antico e loro insisteranno che è innovazione. Ci disperderemo ai quattro venti. Succede quando si vuole costruire la Torre di Babele.

 

P.S.

Parlo sempre male di “Liberazione”. Parrebbe quasi un risentimento per esserne stato cacciato. E’ ora di guardare altrove. Per esempio al Manifesto. E’ versatile quel giornale. E pluralista. Nell’interno leggi una corrispondenza dalla Palestina di quel principe dei corrispondenti che è Michele Giorgio, o magari un’analisi dell’ottimo Stefano Chiarini, due che non si fanno minchionare da nessuno e da quelle parti vivono e bazzicano da anni, e in prima trovi un editoriale di Tommaso de Francesco che, invece, è il caporedattore esteri. Trattasi del bambino quasi-kamikaze, quello che è arrivato tempestivissimo a rimediare ai contraccolpi planetari subiti dal regime stragista di Israele dopo l’assassinio di Yassin + 8; quello che rilancia la tonante propaganda israeliana sui palestinesi che mandano i bambini a morire per un lancio di sassi ( ricordo gli affannosi e diuturni sforzi di insegnanti e genitori per acchiappare quei ragazzini prima che arrivassero a tiro di un killer biblico); quello che si presenta nella fila a un posto di blocco dai mille occhi, elettronici e non, con il corpetto esplosivo bene in vista e più grosso di lui; quello che è atteso puntualmente dalla televisione di Stato e da altre consociate con il cavalletto piazzato, l’obiettivo puntato, il fuoco aggiustato e l’audio modulato; quello che è risultato essere un povero ragazzino che non sa quello che si fa (ricordate i tipi che spararono a John Lennon, a Kennedy, a Martin Luther King? Tutti mattocchi)…Michele Giorgio, che la montatura israeliana l’annusa a distanza di chilometri per esserci aggrovigliato dentro da sempre, ha almeno il decoro di riferire di smentite palestinesi, stranezze, perplessità, forse montature. La decenza del dubbio. Del parere altro. Quella che non sfiora il capo, colui che vedeva nazionalismi serbi, pulizie etniche e dittature là dove poi non risultò esserci che la menzogna degli aggressori e tuttora straparla di contropulizie etniche albanesi. Lui ha la stessa certezza di Luttwack e Sharon: “I mandanti di questa azione criminale non possono ricorrere alla giustificazione dell’inferno quotidiano rappresentato dall’occupazione militare israeliana dei territori palestinesi…La rincorsa del sangue , ormai è chiaro, uccide insieme agli innocenti, le stesse ragioni del popolo palestinese”. “Ormai è chiaro” per te, collega Di Francesco, che poi ai palestinesi, da maestrino che la sa lunga, hai la bonomia di suggerire di mantenere il silenzio, “quel silenzio che è civile e si propone come forza d’urto reale verso i potenti della terra ben più di una risposta militare”. I potenti della terra annuiscono. A parte l’opinabilità di questo assioma morgantinian-migliorista, se avessimo avuto più silenzio nella prima pagina di oggi del Manifesto (che ciononostante ci preme e ci serve), forse si sarebbe sentita meglio la verità emersa dai dubbi dell’onesto Michele Giorgio. “Liberazione” che nello stesso giorno era, per una volta, parsa più sobria nel sancire il “mostruoso mandante palestinese”, ha subito recuperato il giorno dopo con uno scritto di un altro dei soliti non violenti, Nichi Vendola, da prendere come io raccatto quello che il bassotto Nando lascia per strada. Fino a quando spappagalleremo sui loro terrorismi esattamente come vogliono loro, contribuendo ad uccidere chi si permette di insistere con sussulti di vita? Forse fino a quando al caratterista Osama faranno carico anche della nostra disintegrazione.  

 

 

info@siporcuba.it

 HyperCounter