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CANDI(DA)TI
UNA CORNACCHIA
CHIAMATA AQUILA
PATACCA ISRAELIANA E SUOI
TROMBETTIERI
25/03/2004
“Liberazione” è il tabloid di
Rifondazione Comunista che titola creativamente
Quatar”, o
Al Queda (intendendo un
paese del Golfo Persico e un’organizzazione terroristica affiliata
alle case madri Cia e Mossad); è il giornale che il 23 marzo
pubblica rimproveri equipollenti del responsabile esteri Gennaro
Migliore (i genitori, vistolo crescere, hanno disperatamente cercato
di scusarsi con il mondo per il cognome) contro il governo Likud
“che fa la guerra” e contro Hamas “che fa il terrorismo” (notare la
differenza a sfavore di Hamas), equidistanza applaudita magicamente
già nello stesso numero del giornale dalla letterina di un lettore
dotato di preveggenza. E’ il foglio che il 24 marzo, V° anniversario
dell’aggressione clintonian-dalemista alla Jugoslavia, non ha saputo
infilare neanche nei titoli di coda (di paglia?) una menzioncina
dell’inizio del massacro dei serbi e della guerra preventiva e
permanente USA (in compenso è stato capace, insieme a giornalisti
indipendenti come Carlo Rossella, Gad Lerner e Giuliano Ferrara, di
ribadire, cinque giorni dopo una caterva di smentite ufficiali, che
“ragazzini albanesi erano annegati nell’Ibar perché inseguiti da
bambini serbi con cane”!). E’ il quotidiano che, con la
nonviolentissima Rina Gagliardi, aveva fatto al bombardiere D’Alema
un’”intervista” che ricordava i teneri preliminari di un
accoppiamento (D’Alema è quello con la puzza al naso che non si
accorge che è la sua). E’ anche il “giornale comunista”che pensa di
pararsi il culo rispetto all’oggettivo collateralismo con
l’imperialismo, offerto dalla “spirale guerra-terrorismo islamico”,
lasciando che lettori meno “scomodi” del compagno direttore,
definitosi tale in un giorno di vino buono, si chiedano se non è il
caso di guardare alle bombe di Madrid riandando alle mille bombe di
Stato del passato, o se non sia il caso di chiedere a Rifondazione
se, “tra le sue prossime scelte politiche non abbia anche quella di
governare con chi ha preso i soldi da Tanzi” (Secondo “Libero”,
Massimo-la bomba-D’Alema, Minniti, Castagnetti). Domanda ingenua,
quest’ultima, dato che Piero-la criptodestra-Fassino, insignito
anche lui da Rina-tappetorosso-Gagliardi di orgasmatica
“intervista”, è quello sposo, per ora morganatico ma domani
governativo, che, all’atto del fidanzamento con Bertinotti,
disseppellì Enrico-meglio la Nato-Berlinguer per intimargli che
onesto è uguale cretino e resuscitò Bettino-rubiamo!-Craxi perché
ribadisse che “moderno” è uguale a brigante di passo (ricordate
“Ghino di Tacco”?). E a proposito di “comunista”, termine
identitario nella testata del giornale come anche, con ostinata
ripetitività, nel progetto di Bertinotti, sommessamente esprimo
l’idea che dare del comunista a queste cose è come dare dell’aquila
a una cornacchia.
Bene in questo versatile giornale del
futuro partito europeo ecologista, nonviolento, progressista,
democratico, femminista e, perché no, gay e antisessista, abbiamo or
ora letto il resoconto di come, nella Direzione Nazionale del
partito, Bertinotti-Zeus abbia ricevuto dalla ninfa Amaltea (ha, il
segretario, notoriamente una Delta Force di ninfe)la cornucopia da
cui far piovere sui sudditi della novella sovrana UE fiori e frutti,
simboli di abbondanza, fertilità e felicità. Era la sessione
dedicata alla scelta (?) dei candidati per il prossimo
europarlamento. E qui c’è poco da fare gli spiritosi: la scelta di
Zeus è, per definizione, divina. Per cui prendere o lasciare. E’
vero che di questo Olimpo moderno, a giudicare dai voti il padre
degli dei non governa che poco più della metà e, a sentire di questi
eurotempi i circoli cui vado infliggendo i miei dibattiti, libri e
documentari video, di credenti tra i comuni mortali (leggi:
iscritti) parrebbe affascinarne anche meno della metà. Ma che cosa
si pretende da un segretario che coraggiosamente si proclama “non di
sintesi”, ma di parte e che, coerentemente, ha l’accortezza di non
turbare la pace di un partito felicemente passivizzato escludendo
una volta di più dalla rose della sua cornucopia qualsiasi fiore di
parti altre, potenziale elemento di turbamento di un’olimpica
gerarchia che per le minoranze, quartinternazionaliste, ferrandiane
o dell’Ernesto, non prevede ruoli da comprimari. Sennò il coro in
commedia chi lo fa? Dolci canditi hanno da essere i candidati, non
incongrui grani di sale e pepe, se di dolce e non violenta colomba
pasquale si tratta di cucinare la sfoglia.
Avendo avuto in sorte di conoscerli
tutti, i quattro candi(da)ti, non posso che essere pervaso da
ammirazione per la sagacia del fornaio: Fausto Bertinotti lui
medesimo, e non si discute, Vittorio Agnoletto, Luisa Morgantini,
Roberto Musacchio. Non dobbiamo metterci al passo con i tempi
moderni e, dunque, decomunistizzare? E allora, chi meglio dei
quattro cavalieri della catarsi ecologista, femminista, non
violenta, eccetera? Si diceva che tutto questo difettava di
pluralismo democratico? Ma come: un dio, un uomo, una donna, un
musacchio, cosa si può chiedere di più vario? Che cento fiori
fioriscano.
Lasciatemi andare ai ricordi.Dei miei
altalenanti trascorsi con Fausto parlo già nel libro “Mondocane –
serbi, bassotti, Saddam e Bertinotti”, di cui ovviamente tutti avete
contezza. Inutile ripetersi. Con Luisa Morgantini ho percorso il
Medio Oriente in lungo e in largo. Non c’è capogita migliore di
Luisa, giuro. Conosce tutti e anche di più e ti porta dappertutto e
anche di più. Donna in nero archetipo, infila ovunque, tra mazzate
ai manifestanti internazionali, missili terminator israeliani e
pietre palestinesi, vergini di ferro turche e kurdi senza lingua,
bombe Nato e incubatrici serbe spente, la sua turbinosa veste nera e
l’imperativo slogan : “Al dialogo!”. In tutta evidenza nessuno le da
retta, è naturale, ma intanto il mondo dell’utopia “volemose bene”,
detto anche del “Disarmo unilaterale”, si sente soddisfatto e ben
rappresentato. Oggi basta dichiararsi non proprio disgustati dalla
resistenza irachena e palestinese per finire sulle liste di Ros e
Digos per la prossima retata. Ma state tranquilli, alla Morgantini
nessuno torcerà mai un capello. Sarà tra noi sempre. Tale è il suo
culto della pace e talmente supportato dalla forza travolgente di un
ego che espande a dimensioni sovrumane le sue dimensioni corporee,
che basta che un marine dica buongiorno a un iracheno e Luisa
celebra il dialogo. E sta come torre ferma che non crolla, giammai
la cima per soffiar di venti. Prendete Ginevra. Un accordo tra due
esponenti di un ceto politico che non rappresentano niente e
nessuno, respinto come truffaldino (niente ritorno dei profughi,
niente confini certi, niente ritiro dei coloni, niente mezzi di
difesa dei piccoli, anzi presidi militari dei grossi in mezzo a
loro) da tutto il popolo palestinese. Ma “un accordo”! E sugli
accordi Luisa, granitica vindice della pace senza se e senza ma,
non ci fa piovere. Mi sovviene di Beid Sahour, villaggio non lontano
da Betlemme. Marciammo in tanti nonviolenti e buonistissimi, con le
bandiere di un popolo e dell’altro. Giungemmo alle barriere di una
postazione israeliana sul colle e ci fermammo sul filo spinato.
Sventolando l’ennesimo internazionale“appello al dialogo”, Luisa
s’inerpicò a passo di marcia sul colle, nera e svolazzante. Arrivò a
venti passi da un gruppo di fucilatori israeliani con l’arma in
mano. Poi l ‘arma l’abbassarono, tramortiti dall’impeto e dal
falsetto tonante di Luisa. Ma subito la risollevarono e la
puntarono. Non sulla Morgantini. Su di me che ero salito sulla
torretta di guardia della base a baciare la bandiera palestinese che
un ragazzo aveva issato. Roba maschilista, militarista e
nazionalista, commentò più tardi Imma Barbarossa, capo della Delta
Force femminile di Bertinotti. Luisa ridiscese mortificata il clivo.
Le avevamo rovinato il dialogo. Lungo il ritorno visitammo alcune
case sventrate dalle cannonate di quei partner del dialogo perduto.
Ma Luisa farebbe dialogare perfino i morti di Hiroshima con “Gilda”
(non si chiamava così quell’atomica?). Ha fatto una sola eccezione
Luisa, e ancora 10 milioni di serbi più uno di profughi si chiedono
perché. Allestì a Podgorica, in chiusura dell’uccisione della
Jugoslavia, un seminario su gente con cui non si dialoga: Slobodan
Milosevic e “il fascismo serbo”. Non quello di Tudjman e ustascià,
Izetbegovic e tagliagole Al Qaida, Hashim Taci e UCK, Clinton e
Wesley Clark. Serbo. Una non violenza paragonabile a quella delle
verità di Goebbels. I serbi non se la sono dimenticata: troppo
facile bastonare il cane morente. Ma l’eccezione conferma la regola.
O no? Fu del resto memorabile tutta l’azione delle sinistre (per
Bertinotti ce ne sono due, a me pare che siamo molto disinvolti già
a dichiararne una)in occasione del conflitto balcanico. Madeleine
Albright, democratica e, soprattutto, donna, che tiene bordone e
bordello al delinquente Hashim Thaci. Il Papa pacifista della
liberazione polacca (avete forse sentito uno dei suoi borborigmi
sui recenti massacri di serbi e incendi di chiese cristiane in
Kosovo?) che si alternava con Marco Panella nell’incitamento dell’ustashame
croato al genocidio. Il Consorzio Italiano di Solidarietà, ICS, di
Giulio Marcon, che tiene barche di volontari in Kosovo e neanche uno
tra il milione di profughi rom e serbi in Serbia (stanno con
Milosevic, diocenescampi!). Il noto Ramon Mantovani, predecessore
agli esteri di RC del Migliore, così detto, che, dal tè delle cinque
con secessionisti croati, bosniaci e albanesi grondanti sangue
serbo, con nel taschino un biglietto-omaggio per il D’Alema-Show,
sparava puttanate contro il “nazionalismo” serbo, il
“privatizzatore” Milosevic, la “pulizia etnica” degli schipetari e
prometteva catene e roghi a quei compagni che osassero far
partecipare alle proprie manifestazioni contro la guerra le comunità
– ovviamente compromettenti - di immigrati serbi in Italia. Per
finire con quel compare di merende di Mantovani e Co., Luca Casarini,
che alla marcia di Aviano contro la Nato fece strappare le bandiere
jugoslave e picchiare coloro che le portavano. Baratri
etico-politici del nostro tempo.
Roberto Musacchio, responsabile
ambiente del partito e, soprattutto, compagno della segretaria
Patrizia Sentinelli, con-giunta di Francesco-cicciobello-Rutelli e
delle sue ineguagliabili opere ambientali in tempi di Giubileo. Un
biondoricciuto putto di Benozzo Bozzoli, se visto da dietro, un
prestante giovanotto che si muove sempre un po’ curvo e come su
pattine, educato e deferente nei corridoi della direzione nazionale,
se visto di fronte. Uno che, tutto solo, innerva il termine
“ecologista” del nuovo partito eurosinistro. Resta memorabile il
coraggioso plauso con cui, abnegandosi per l’ambiente e gli animali,
mimetizzò la sua mortificazione all’annuncio che un operaio bravo,
ma che non aveva mai frequentato Ermete Realacci, era stato da
Bertinotti sostituito come candidato alle ultime politiche dal
collaudato ambientalista Livio Togni che, per tutta una vita da
domatore, si era esercitato ecologicamente spezzando le intemperanze
selvatiche di tigri, elefanti, cani e orsi. Di Togni in Senato, dopo
un’ovazione da lui tributata a Berlusconi e un voto con la
maggioranza per mandare i nostri ragazzi armati in Afghanistan, si
persero le tracce, fino a quando si riscattò con un disegnino di
legge ecologico che offriva al plurinquisito Ente Circhi un
sovrappiù di finanziamenti per nuove imprese animaliste. Comunque,
auguri per Strasburgo, Roberto. Cohn Bendit è già lì che t’aspetta.
Con Vittorio Agnoletto ho qualche
difficoltà. Sicuro decomunistizzatore anche lui, emana però un’aria
di persona perbene e sincera. Come me è stato picchiato da
israeliani, il che me lo fa vicino. Nel movimento dei movimenti non
ne vedo di migliori e mi piace riandare a una lunga notte trascorsa
insieme, in grande sintonia. I Disobbedienti di Casarini avevano da
poco rumorosamente rubato la scena al movimento contro
l’imperialismo e contro la guerra, a Genova e altrove, e Vittorio
non aveva gradito. Non credo per motivi di competitività personale,
l’uomo mi pare cristallino e onestamente appassionato al suo
impegno. Quella nostra lunga notte fu spesa a parlare di Casarini,
Giovani Comunisti (organizzazione giovanile omologa del partito) e
Bertinotti. La riassumo. Fummo subito d’accordo nel manifestare
robuste perplessità sul leader veneziano dei Disobbedienti, con
Agnoletto che non si faceva capace come colui che della difesa degli
immigrati avesse fatto il cuore della sua battaglia politica,
assaltando un CPT dopo l’altro, durante il regime dell’Ulivo
prendesse un cospicuo stipendio mensile dalla ministra che, con la
sua legge Turco-Napolitano, agli immigrati aveva allestito le prime
sbarre e lubrificato la scivolata verso il perfezionamento della
Bossi-Fini. Eteregonesi dei fini. O dei mezzi? A mia volta espressi
riserve altrettanto veementi sul Casarini che, in piena aggressione
Nato alla Jugoslavia, si recò a Belgrado per stringere affettuosa e
operativa amicizia politica e radiofonica con l’organizzazione
anti-jugoslava Otpor, e la sua Radio B-92 (filiale della radio Cia
“Liberty”), poi autrice- confessa – su istruzioni e con soldi Cia
–confessati – del colpo di Stato che secondo “Liberazione” fece
ridere Belgrado, secondo “Il Manifesto” costituì una rivoluzione
democratica e secondo i serbi uccise la sovranità di un grande paese
e lo vendette ai cravattari di qua e di là dell’Atlantico. Erano i
tempi in cui i leader dei Giovani Comunisti si facevano passare per
Disobbedienti, nei Social Forum e nel le interviste negavano
vergognosi la loro precedente identità, rappresentavano l’anello di
congiunzione tra un segretario di partito ex-sindacalista moderato,
ex-socialista, ex-diessino, quindi che più istituzionale non si può,
è la Cosa ufficialmente più antipartito (anche se Casarini per un
po’ di partiti c’era transitato) e antiistituzionale presente su
piazza. Si chiedeva, un Agnoletto sbigottito: ”Ma come, i giovani
sono tutto l’avvenire di un partito e ora Bertinotti prende e regala
i suoi giovani a questa gente?” E anche qui, il buon Vittorio non si
faceva capace. Tanto buono, Vittorio peraltro, da farsene una
ragione ed eccolo qua, candidato per RC all’Europarlamento,
addirittura subito dopo il numerassimo uno, Bertinotti. Bah, le vie
di Vittorio sono infinite e, comunque, io sono sicuro che a
Strasburgo farà onore a sé e meglio di tutti gli altri.
Come si vede, delle “anime” diverse,
delle “sensibilità” altre rispetto alla sparutissima maggioranza,
cioè di un quasi 50% del partito tra i candidati non c’è ombra. Come
suol dirsi: non c’è trippa per gatti. Un momento, un gatto c’è. E
pure lui a me molto famigliare. Non tra i capilista, un po’ dopo,
dunque non tanto per eleggerlo, quanto per decorarlo. E’ un
quartinternazionalista ex-post è, dunque, un rivoluzionario per
antonomasia e, come ci insegnano i protagonisti storici di questa
scuola, acrobaticamente al tempo stesso un eccellente entrista.
Perciò è uno che simboleggia come nessuno l’informazione
alternativa, l’inchiesta veritiera, l’autonomia di giudizio rispetto
all’informazione addomesticata dal potere, il coraggio e la
deontologia del vero giornalista. Si chiama Salvatore (ha nel nome
la stessa aporia che Migliore ha nel cognome, ma non è colpa sua)
Cannavò. Fa il vicedirettore sotto (?) il “compagno scomodo” Sandro
Curzi. Anche di questo Cannavò ho esperienza personale e diretta.
Inaugurai la mia collaborazione a “Liberazione” con i reportage
dalla Jugoslavia sotto schiaffo all’uranio. Avevo da poco lasciato
il TG3 ed ero ancora soffuso di radiosa – per quanto idiota –
popolarità televisiva e Cannavò, pur friggendo come una batteria di
uova al tegamino, mi dovette lasciar fare: riferivo cose che
facevano inorridire lui quanto Giuliano Ferrara: Milosevic NON era
un dittatore, la pulizia etnica era fatta dagli altri e non dai
serbi, il nazionalismo stava di casa a Zagabria, Sarajevo e Pristina
e non a Belgrado, gli operai serbi erano più protetti di qualsiasi
altro operaio europeo, rom e albanesi del Kosovo si rifugiavano in
Serbia per sfuggire ai tagliagole dell’UCK per i quali il Nostro e
l’intero quartinternazionalismo avevano vaticinato
l’autodeterminazione. Pian piano l’aureola televisiva si affievolì,
le uova furono buttate e Cannavò potè tornare ad agitare la clava
dell’antiserbismo e dell’antigrimaldismo. Ero a Belgrado durante le
fatidiche giornate dell’ottobre 2001, quello della “sollevazione dei
giovani democratici serbi contro Milosevic” e, obnubilato da
strabismo antimperialista, presi per buone le dichiarazioni fattami
dagli stessi leader di Otpor di essere pagati, addestrati e motivati
dalla Cia, in vista di una Jugoslavia spezzettata e di un
protettorato Nato antioperaio e privatista su tutti i suoi pezzetti.
Non fosse stato per Cannavò, che buttò nel cestino tutte le mie
corrispondenze dettate tra le fiamme dei vari pogrom e, attingendo
invece alle più affidabili e sobrie Ansa e CNN, scrisse appunto di
Belgrado che rideva nell’aurora della rivoluzione democratica, che
barbina figura avrei fatto con i miei lettori! La chitarra elettrica
del corista Cannavò, con la spina infilata in una presa dell’ufficio
del segretario nazionale, sovrastò ancora per qualche tempo la mia
chitarra acustica e senza spina fino a quando, insistendo io a
suonare le ballate della carneficina irachena e, ohibò, dei
partigiani irriducibili di quel paese e di Cuba, la spense del
tutto, lasciando che Curzi-Gagliardi la promuovessero in discarica.
La lista dei candi(da)ti non finisce
qui. Ci sono le salmerie. Salmerie, ma altrettanto di rango. E’ vero
Antonio Tabucchi, grande intellettuale, scrittore numero uno di
questo paese, fustigatore dei capitalisti, limpidamente di sinistra
non ha scelto la “sinistra alternativa” di Bertinotti e Musacchio.
E’ andato a fare il candidato tra quegli stalinisti non-nonviolenti
del “Bloque de Izquierda” portoghese, quelli che al partito europeo
femminista, ecologista, eccetera hanno fatto marameo. Cavoli suoi.
C’è suor Adriana Zarri, teologa spigolatrice, Marco Caldiroli,
medico democratico, Lidia Menapace, della Delta Force femminile di
Zeus, Nunzio D’Erme, lanciatore casariniano di escrementi, Renzo
Maffei, non-violento ONUista dell’Arci… foglioline di lattuga
attorno ai gamberoni. C’è anche un amico: Raniero La Valle. Raniero
è diverso, ancor più di Agnoletto. Non si fa prendere per il culo
dall’imperialismo. Me lo fa caro il ricordo di un viaggio in
Jugoslavia sotto le bombe, bianco, tranquillo, sorridente e fresco
come una camelia anche quando facemmo da bersaglio a ben tre missili
Nato a Kragujevac. Non se la tira, La Valle, eppure la sa più lunga
di tutti quelli che si ritrovano tra queste righe. Sarà non
violento, ma ho la sensazione che se si trovasse accanto a un
ragazzo pestato dalla Celere di Canterini, non gli impedirebbe
affatto di rispondere come biologia comanda.
Non sono iscritti a RC tutti questi,
ma cionondimeno non sono comunisti. Fra un po’ a noialtri che ci
eravamo iscritti a quello che pensavamo un Partito Comunista come il
nome farebbe supporre, ci affiancheranno al fischio di Zeus le
greggi degli iscritti al solo Partito della Sinistra Europea. Gente
che del fatto che l’aquila sia in effetti una cornacchia non gliene
potrebbe fregare di meno. Anzi. Sono quelli che guardano al
Continente, ma come insegnano Negri, Revelli, Sullo (un grillo
parlante su “Carta”), Sentinelli, Smeriglio, Marcos e anche il
non-tanto-non-violento Casarini, vedono soltanto il municipio. E da
lì ricostruiranno lo Stato. Alla maniera dei leghisti, dal basso.
Chiaramente con il consenso della P2, dell’Opus Dei, dei
washingtoniani di ogni denominazione (divide
et impera) e di Sharon. Esseri umani anche loro, basta
dialogarci. Ci guarderemo stupiti, ci parleremo senza capirci, a
noialtri parrà di sentire cose del buon tempo antico e loro
insisteranno che è innovazione. Ci disperderemo ai quattro venti.
Succede quando si vuole costruire la Torre di Babele.
P.S.
Parlo sempre male di “Liberazione”.
Parrebbe quasi un risentimento per esserne stato cacciato. E’ ora di
guardare altrove. Per esempio al Manifesto. E’ versatile quel
giornale. E pluralista. Nell’interno leggi una corrispondenza dalla
Palestina di quel principe dei corrispondenti che è Michele Giorgio,
o magari un’analisi dell’ottimo Stefano Chiarini, due che non si
fanno minchionare da nessuno e da quelle parti vivono e bazzicano da
anni, e in prima trovi un editoriale di Tommaso de Francesco che,
invece, è il caporedattore esteri. Trattasi del bambino
quasi-kamikaze, quello che è arrivato tempestivissimo a rimediare ai
contraccolpi planetari subiti dal regime stragista di Israele dopo
l’assassinio di Yassin + 8; quello che rilancia la tonante
propaganda israeliana sui palestinesi che mandano i bambini a morire
per un lancio di sassi ( ricordo gli affannosi e diuturni sforzi di
insegnanti e genitori per acchiappare quei ragazzini prima che
arrivassero a tiro di un killer biblico); quello che si presenta
nella fila a un posto di blocco dai mille occhi, elettronici e non,
con il corpetto esplosivo bene in vista e più grosso di lui; quello
che è atteso puntualmente dalla televisione di Stato e da altre
consociate con il cavalletto piazzato, l’obiettivo puntato, il fuoco
aggiustato e l’audio modulato; quello che è risultato essere un
povero ragazzino che non sa quello che si fa (ricordate i tipi che
spararono a John Lennon, a Kennedy, a Martin Luther King? Tutti
mattocchi)…Michele Giorgio, che la montatura israeliana l’annusa a
distanza di chilometri per esserci aggrovigliato dentro da sempre,
ha almeno il decoro di riferire di smentite palestinesi, stranezze,
perplessità, forse montature. La decenza del dubbio. Del parere
altro. Quella che non sfiora il capo, colui che vedeva nazionalismi
serbi, pulizie etniche e dittature là dove poi non risultò esserci
che la menzogna degli aggressori e tuttora straparla di
contropulizie etniche
albanesi. Lui ha la stessa certezza di Luttwack e Sharon: “I
mandanti di questa azione criminale non possono ricorrere alla
giustificazione dell’inferno quotidiano rappresentato
dall’occupazione militare israeliana dei territori palestinesi…La
rincorsa del sangue , ormai è chiaro, uccide insieme agli innocenti,
le stesse ragioni del popolo palestinese”. “Ormai è chiaro” per te,
collega Di Francesco, che poi ai palestinesi, da maestrino che la sa
lunga, hai la bonomia di suggerire di mantenere il silenzio, “quel
silenzio che è civile e si propone come forza d’urto reale verso i
potenti della terra ben più di una risposta militare”. I potenti
della terra annuiscono. A parte l’opinabilità di questo assioma
morgantinian-migliorista, se avessimo avuto più silenzio nella prima
pagina di oggi del Manifesto (che ciononostante ci preme e ci
serve), forse si sarebbe sentita meglio la verità emersa dai dubbi
dell’onesto Michele Giorgio. “Liberazione” che nello stesso giorno
era, per una volta, parsa più sobria nel sancire il “mostruoso
mandante palestinese”, ha subito recuperato il giorno dopo con uno
scritto di un altro dei soliti non violenti, Nichi Vendola, da
prendere come io raccatto quello che il bassotto Nando lascia per
strada. Fino a quando spappagalleremo sui loro terrorismi
esattamente come vogliono loro, contribuendo ad uccidere chi si
permette di insistere con sussulti di vita? Forse fino a quando al
caratterista Osama faranno carico anche della nostra
disintegrazione.
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